TRE MAESTRI  DELLA PÂTE  DE VERRE

 

 

 

 

Franco Borga

 

 

 

 

 

G. ARGY-ROUSSEAU.  Vaso in pasta di vetro, 1922.

© Kitazawa Museum of Art.

 


Gabriel Argy Rousseau è maestro indiscusso della "pâte de verre", certamente la più artistica e la più personale di tutti i procedimenti creativi con il vetro e il cristallo.
Il segreto di tale tecnica, in cui già gli Egiziani furono maestri un millennio prima di Cristo, col passare dei secoli si era smarrito, finché a Parigi, il pittore e scultore Henri Cros (1840-1907), incuriosito dalle antiche tecniche, casualmente legge il trattato in cui Plinio descrive le differenti maniere di lavorare il vetro. Stimolato dall'idea di poter fare scultura con la tecnica del vetro in pasta, finanziato da un gruppo di amici, attrezza un laboratorio e dopo anni di difficili e laboriosi esperimenti raggiunge nel 1882, i primi risultati positivi (si dice anche che sia riuscito a decifrare antiche tavolette egiziane che gli rivelano il segreto). Anche il figlio Jean è coinvolto nella ricerca: gli è amico e compagno di studi all'Ecole Nationale de Céramique de Sèvres Gabriel Argy Rousseau in cui, forse da questo incontro nasce l'interesse per la misteriosa pâte de verre, tanto che, entusiasta, abbandona la ceramica e il disegno di stile impressionista e perviene autonomamente alla riscoperta dell'antica tecnica.
Argy Rousseau, dopo essersi applicato a studi chimici e conseguito la laurea in ingegneria a l'Ecole de Sèvres, apre il suo atelier al n. 52 della Avenue de Ternes a Parigi; nel 1914 espone al Salon des Artistes Français vasi smaltati ancora nel gusto Art Nouveau, insieme alle prime ricerche in pasta di vetro.
Durante il periodo della guerra '14-'18, mobilitato come ingegnere a Parigi al servizio dell'esercito, dà prova di inventore brevettando tre apparecchiature elettriche (appassionato di ricerca, farà altre scoperte tecniche scientifiche nel 1924-25, scoprendo un procedimento di fotografia istantanea a colori e mettendo a punto un apparecchio di selezione del colore, invenzioni che gli varranno l'onorificienza di Accademico delle Scienze); intanto però non trascura il suo lavoro creativo e è pronto ad esporre vasi, veilleuses e lampade dalle delicate sfumature in pasta di vetro al Salone del 1919, ottenendo un lusinghiero successo.

 

 

G. Argy-Rousseau. Brucia profumi, 1924. © Kitazawa Museum of Art.


Gabriel Argy Rousseau allarga il suo giro d'affari e ingrandisce l'atelier trasferendolo al n. 9 di rue de Simplon, con una cinquantina di lavoranti.
La galleria Moser Millot, concorrente di Geo Rouard, al 30 del boulevard des Italiens, gli assorbe tutta la produzione; le sue opere vengono vendute nei saloni, dove è invitato a partecipare a tutte le più importanti mostre: espone per molti anni al Salon d'Automne, nel 1920 a l'Esposition de l'Art et de l'Industrie, nel 1923 e l'Esposition des Arts Appliqués al Musée Galliera, nel 1925 a l'Esposition d'Art al Grand Palais, ricevendo onori, premi e riconoscimenti.
Accanto alle esecuzioni di mâitrise in pasta di vetro, Argy Rousseau continua la lavorazione a smalto a motivi floreali di vasi, flaconi e vaporizzatori in vetro trasparente o bianco, pezzi di uso corrente esposti e commercializzati della Galleria Bernheim, al 2 di rue Caumartin.
Nel 1923 comincia la lavorazione in pasta di cristallo materia che gli permette di conferire migliori effetti di semi trasparenza alle sue opere, già esaltate dai critici per luce interiore, plasticità, toni cromatici e leggerezza mai raggiunti da altri maestri.
Per le opere più importanti Argy Rousseau si avvale della collaborazione di alcuni scultori che forniscono il modello, tra questi Marcel Bouraine, con il quale firma deliziose statuette femminili in pasta di cristallo; realizza vasi, coppe, coppette miniature, cofanetti, pendentifs e orecchini, minute plafoniere, placche decorative e illuminanti su base, veilleuses e veilleuses brucia profumo montate su piede in ferro battuto, e rare piccole lampade da tavolo dal gambo in pasta di vetro o montate su un gambo di ferro battuto e patinato.
Le opere, tutte di piccolo formato presentano decorazioni naturalistiche — papaveri di campo e di montagna, crisantemi giapponesi, anemoni, cardi, boccioli di rose, violette, frutti di prugna e di vite, nudini, farfalle, gabbiani, lupi — oppure, e sono allora realizzazioni dalla forma rigorosa e dalla raffinata colorazione della pasta, hanno motivi ispirati alla Grecia antica, figurazioni classiche, fregi e rosoni. La scoperta della tomba del Faraone Toutankhamon, nel 1923, gli suggerisce i decori egiziani che entrano nel suo repertorio: gazzelle, scimmie, scarabei, ventagli e palmette; dopo il 1930 sviluppa un decoro geometrico, a faccette, rombi e spirali, ma ormai, per la crisi economica, è costretto a chiudere l'atelier e ricomincia a lavorare solo, a casa sua.
Il procedimento della pasta di vetro, paragonabile alla fusione in bronzo, richiede molti più accorgimenti tecnici: realizzato il modello in gesso, ogni maestro ha sistemi esecutivi differenti per ottenere le molteplici forme tutte d'un pezzo, colando nel modello la pasta di vetri macinati e polverizzati, colorata tramite ossidi metallici che, reagendo di volta in volta diversamente, permettono di ricavare dalla stessa matrice originali variazioni che risultano pezzi unici.
Come Gabriel Argy Rousseau, altri cinque artisti recuperano l'arte della pasta di vetro con cui realizzano luminose sculture colorate: Almaric Walter (1869-1959), Albert Dammouse (1848-1926), Georges Despret (1862-1952), Ringel D'Illzach (attivo tra il 1890-1910) e François Décorchemont (1880-1971); ma a Argy Rousseau va il merito di essere stato tra questi il più sensibile e raffinato, dai contemporanei definito "ingegnere e poeta".

 

 


François Décorchemont  - (Conches 1880-1971)

 

 

François Décorchemont, Coppa, 1919-1920. © Kitazawa Museum of Art.

 

Diplomatosi all'inizio del secolo a l'Ecole des Arts Décoratifs, Décorchemont si dedica alla pittura e alla scultura, esponendo nei vari Saloni parigini a partire dal 1903.
Appassionato della flora e delle fauna, colleziona rari insetti ed esegue calchi di piante ornamentali; intanto matura in lui l'interesse per la vetreria d'arte e in particolare per la pasta di vetro, alla cui riscoperta approda dopo lunghe ricerche; ne resta talmente entusiasta questa tecnica diventandone artefice e maestro.
Le sue prime opere, coppe e statuine, rientrano nei codici tradizionali; dopo il 1914, attraverso una stilizzazione delle forme più personale, egli realizza opere di buon livello, con o senza decoro figurativo; anche la scelta tematica diviene più originale: Décorchemont attinge a fiori e animali, ma è artista di talento quando crea putti, maschere, conchiglie e ramificazioni, dai colori sentiti e pittorici, l'ambra, il rosa, il viola, il blu e il verde.
Anche Décorchemont, come Argy Rousseau fa uso per i suoi impasti di polvere di cristallo o di vetro con una buona percentuale di ossido di piombo. Accanto alle crazioni di vasi, coppe, scatole e piatti in piccola serie, a volte Décorchemont mediante la lavorazione a cera persa, realizza vasi a un solo esemplare.
Le lettere e i numeri che affiancano la firma Décorchemont inserita in un elemento a forma di conchiglia, permettono la datazione delle sue opere.
Nella sua lunga attività espone in permanenza alla galleria Rouard, partecipa a molte esposizioni ufficiali; il trionfo a l'Esposition Internationale des Arts Décoratifs del 1925 a Parigi gli vale la Legion d'houneur nel 1926.
Nel 1932 realizza la sua prima piccola vetrata, superando la tecnica tradizionale: preparato il modello vi cola il vetro colorato nella massa ottenendo soggetti che sembrano quasi bassorilievi.
Dal 1935 al 1937 lavora ad una monumentale opera, 300 mq. di vetrate per la chiesa di Sainte-Odile a Parigi.

 


Amalric Walter (Sèvres 1869 - Lury-sur-Arnon 1959)

 

 

Amalric Walter, Vide poche, 1920-1925. Firme: A. Walter Nancy - Bergè SC. © Kitazawa Museum of Art.


Amalric Walter, dopo gli studi classici, si diploma a l'Ecole de Céramique de Sèvres; attirato dalla pasta di vetro, incomincia le sue ricerche con l'aiuto del professore Gabriel Lévy: insieme ottengono l'amalgama formato da polvere di vetro macinato, ossidi metallici e il misterioso "legante" sempre tenuto segreto dagli artisti che hanno ritrovato la famosa ricetta della "pâte de verre".
Walter e Lévy nel 1902 e 1903 espongono le loro prime realizzazioni, ancora nebulose e opache, lontane dalla bellezza delle paste di vetro che in seguito faranno apprezzare Walter.
Quest'ultimo incoraggiato e richiesto come artista collaboratore da più parti, nel 1906 accetta l'offerta di Daum che gli mette a disposizione un atelier: dopo alcuni anni di febbrile lavoro, Walter ottiene una particolare pasta di vetro dai colori sfumati, i gialli e gli ocra, i verdi e gli azzurri e i bruni.
Da Daum, Walter ha la fortuna di trovare un prezioso collaboratore in Henri Bergé, pittore, scultore e capo decoratore, che gli fornisce i plastici modelli che li rendono entrambi famosi. Si devono ricordare, come modellatori che collaborarono con Walter, anche Jean Bernard, Jules Cayette, Jules Cheret, Marcel Corette, Joe Descomps, P. Dubery, Alfred Finot, Andrè Houillon, Henri Mercier e Victor Provué (esecutore del modello per la statuina della celebre ballerina Loie Fuller), tutti artisti che hanno apposto il loro nome o le loro iniziali, accanto a quello di Walter.
Oltre a pannelli e piccole vetrate per mobili e pareti, realizza vere e proprie sculturine: statuine femminili e piccoli budda, vide-poches e posacenere, fermacarte e calamai, vasi e coppe, scatole e bomboniere, accessori per l'abbigliamento femminile; la decorazione è a motivi naturalistici, soprattutto animali, tema caratteristico di Walter: coleotteri, camaleonti, ramarri, lucertole, pesci, rane, lumache, foche, topini, pipistrelli, papagalli e colombe.
Dopo il successo ottenuto lavorando per Daum, Walter apre a fine guerra '14-'18, un proprio atelier al n. 16 di rue Sellier a Nancy, resta in buoni rapporti con la Maison Daum, e sarà ancora l'amico Henri Bergé a fornirgli la maggior parte dei modelli.
Le sue caratteristiche opere surreali sono oggi presenti in numerosi musei.

 


 

 

Franco Borga

 

 

 

 

 

 

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