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Giovanni Antonio Canal detto Canaletto (Venezia 1697 – 1768)

 

 

 

Quando Antonio Canal cominciò a «'stordir universalmente ognuno che vede le sue opere», perché «si vede lucer dentro il Sole» - così scriveva Alessandro Marchesini a Stefano Conti in una famosa lettera del 14 luglio 1725 - la tipicità della veduta veneziana aveva da non molto tempo iniziato a profilarsi grazie all'opera di Carlevarijs, al cui repertorio iconografico il giovane artista seppe talvolta attingere. Ma se il grande merito del friulano era stato quello di concentrare l'attenzione su alcuni aspetti della città elevandoli a luoghi simbolici - il bacino di San Marco, la piazza San Marco, la Piazzetta, il palazzo Ducale, l'imbocco del Canal Grande - Canaletto si servì di quegli esempi, e di altre fonti, per costituire un proprio repertorio di siti organizzato con una coerenza ed una poesia non commensurabili ai prototipi. Il suo modo di esibire lo spazio e di formularlo in superficie colorata non deve nulla ai precedenti e la sua immagine di Venezia è tutt'altro che oggettiva. Come ha evidenziato André Corboz nel suo rivoluzionario studio sull'artista (1985), le vedute canalettiane non hanno nulla da spartire con la banalità della "ripresa fotografica". Vedute esatte e vedute ideate sono variazioni del reale accomunate dalle continue interferenze tra la realtà visiva e l'immaginario. Per Antonio Canal la trasgressione alla realtà topografica costituisce infatti la norma, non l'eccezione: le sue vedute e i suoi capricci si muovono su piani contigui che si intersecano e si sovrappongono. Lo spazio secondo ragione della Venezia di Canaletto è quello di una città che - come affermava Francesco Algarotti nel 1744- «fabbricar potrebbesi»: il mito dell'età dei Lumi di cui l'artista fu l'interprete più alto. Mettendo a fuoco con precisione lenticolare la sua Venezia, descritta appassionatamente come struttura urbana e microcosmo formicolante, Antonio Canal esprimeva il suo orgoglio di cittadino della Repubblica Serenissima, assunta a modello emblematico di una comunità cristallina che aveva saputo sostituire con un ordine mirabile di significato universale il magma informe della natura primitiva: «Costruire in modo solido, duraturo e splendido, significa battere la natura e Canaletto è essenzialmente razionale non avendo, in apparenza, dubbi o rimpianti per questa sconfitta. In effetti, Venezia potrebbe difficilmente essere uguagliata come simbolo di ciò a cui l'arte, nel significato più completo della parola, può arrivare: la conquista di una terra in condizioni naturali disperate, la creazione da una palude di una città che rapidamente conquista il diritto all'ammirazione del mondo. Si comincia a capire, adesso, perché Canaletto scelse di essere un pittore della scena urbana, di vedute - non di paesaggi o di genere [...]» (Levey 1996, p. 33).

 

 

Dario Succi - Annalia Delneri