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Annalia Delneri

 

 

Dalla scenografia al paesaggio della ragione:

Giovanni Antonio Canal, detto il Canaletto

 

 

 

1 - Canaletto, Arco di Costantino, penna e inchiostro bruno con acquerello grigio. Londra, British Museum

 

 

Dai «bellissimi disegni per gli scenarii» alle «vedute al naturale»

Figlio di Artemisia Barbieri e di Bernardo Canal (1675-1744), Giovanni Antonio nacque a Venezia il 17 ottobre 1697. Il padre, affermato pittore di scenari teatrali e iscritto alla Fraglia dei pittori veneziani dal 1711, apparteneva a una delle famiglie veneziane che avevano diritto a portare le armi e a definirsi «Origine Civis Venetus». Bernardo fu il primo maestro di Antonio che divenne suo collaboratore fin dalla metà del secondo decennio del Settecento. Nel 1716 aiutò il genitore e il fratello maggiore, Cristoforo, a dipingere i fondali per alcune opere che furono rappresentate al teatro di Sant'Angelo di Venezia, tra cui Arsilia regina di Ponto e Incoronazione di Dario di Antonio Vivaldi e Penelope la casta di Chelleri. Per lo stesso teatro, l'anno successivo, i Canal dipinsero le scenografie per Innocenza riconosciuta di Pollarolo e per l'opera anonima Il vinto trionfante del vincitore. Nel 1717 lavorarono anche al teatro di San Cassiano allestendo le scene per Agrippa di Porta, per Fornace di Pollarolo e per Antigone di Orlandini.

Verosimilmente fu in questo periodo che Antonio Canal ebbe modo di conoscere Marco Ricci (1676-1730) che, rientrato definitivamente dall'Inghilterra (1716), divenne protagonista del rinnovamento della scenografia veneziana. Forte dell'esperienza maturata come pittore di fondali al King's Theatre di Haymarket, l'artista bellunese introdusse per primo nella città lagunare il gusto per un nuovo tipo di messinscena che, improntato su uno stile più libero e naturalistico, si opponeva alla macchinosa scenografia prospettica dei Bibiena.

Forse tra il Canaletto e Marco vi fu anche qualche screzio iniziale dovuto alla concorrenza. Infatti, Sebastiano Ricci, zio di Marco, nel 1718 era divenuto impresario del teatro di Sant'Angelo (Moretti 1978, p. 111) – teatro in cui i Canal avevano lavorato dal 1716 al 1717 – e come primo atto aveva affidato al nipote la realizzazione degli scenari per Amor di figlia di Giovanni Porta, opera andata in scena nella stagione autunnale di quell'anno. Forse fu proprio la spiazzante presenza di Marco Ricci a determinare la partenza dei Canal per Roma nel 1719: certo è che la ventata di novità introdotta dall'artista bellunese sulle scene veneziane non poteva essere ignorata dal Canaletto. Nella città papale i Canal realizzarono i fondali di Tito Sempronio Gracco e di Turno Aricino di Alessandro Scarlatti, opere che furono rappresentate al teatro Capranica durante il Carnevale del 1720.

Di questa prima attività del Canaletto non è pervenuta alcuna prova grafica o pittorica, anche se Anton Maria Zanetti (1771, v, p. 463) ricordava i «bellissimi disegni per gli scenarii» aggiungendo che l'artista lasciò «poi il teatro, annojato dalla indiscretezza dÈ Poeti drammatici – ciò fu circa l'anno 1719, in cui scomunicò, così dicea egli, solennemente il teatro».

A Roma, sempre secondo Zanetti, «tutto si diede a dipingere vedute dal naturale. Bei soggetti ei trovò quivi nel genere spezialmente dell'antichità; e belli per i pittoreschi accidenti n'ebbe dopo nella patria sua, i siti della quale non possono essere più opportuni a quel fatto; cosicché chi veduti non gli ha, crede nel mirar le pitture, che siano piuttosto immaginari pensamenti che semplici verità».

Il soggiorno romano è documentato da una serie di ventidue disegni conservati al British Museum, dove pervennero nel 1858 contrassegnati da una numerazione progressiva 1-23. Prima di approdare al museo londinese, l'album del Canaletto era appartenuto a Giambattista Brustolon (1712-1796) che l'aveva ricevuto in dono dagli eredi dell'artista e ne aveva tratto una serie di ventidue incisioni per le quali, nel 1781, aveva ottenuto dal Senato il privilegio di stampa ventennale (Succi 1983, pp. 81-82, nota 5). In passato la critica non è stata concorde sulla autografa dei fogli del British Museum,1 tuttavia la ricostruzione dei passaggi di proprietà dell'album, nonché la trascrizione incisoria di Brustolon provano la loro autenticità e forse, come osservava Bettagno (1989, p. 42), «la più corretta interpretazione di questi disegni romani è quella che li inquadra come momento di passaggio fra il primitivo lavoro dell'artista come scenografo e le vedute della metà degli anni venti, ispirate e ricche di inventiva».

Più di recente Hugo Chapman (2001, pp. 19-22) faceva notare per la prima volta la data «Augusto x 1720» apposta sulla trabeazione dell' Arco di Costantino (fig. 1) e diradava i dubbi sulla paternità dei fogli del British Museum rilevando che, una volta accertata la loro datazione al 1720, «l'immaturità e la generale mancanza di scioltezza, che caratterizzano le prime prove dell'artista veneziano [...], sono esattamente ciò che ci si deve aspettare da un giovane privo di esperienza, anche se naturalmente dotato di talento com'era Canaletto.. Lo studioso osservava inoltre che «il notevole scarto di qualità fra i [fogli] più riusciti e i meno felici della serie fornisce una chiara indicazione dei rapidi progressi di Canaletto nell'arte del disegno, forse evidenti soprattutto negli studi di figure». Nelle macchiette Chapman evidenziava il passaggio da una maniera disegnativa «rudimentale e quasi infantile» a un'esecuzione più evoluta in cui «si comincia a percepire la capacità [dell'artista] di cogliere il particolare aneddotico e pieno di brio: una dote che consentirà al Canaletto, nel giro di pochi anni, di ricreare vivacemente nei dipinti il chiasso e l'animazione dei campi e dei canali di Venezia, ma che già affiora in forma embrionale nelle sarcastiche annotazioni sulla società romana contenute in alcune di queste vedute».

Ulteriore conferma dell'autografia della serie del British Museum proviene dalla circostanza che alcuni fogli si ricollegano ai primi dipinti certi del Canaletto, come l'Arco di Costantino, già in collezione Bartolo Bracaglia, New York, considerato da Constable (1965, p. 509) «as one of the earliest works with wich Canaletto opened his career as a topographer», e pertanto databile al 1720-1721. Allo stesso periodo risale l'Arco di Settimio Severo, già in collezione privata di Bergamo, che veniva ritenuto da Morassi (1966[a], p. 212) una "primizia romana" del Canaletto: «La veduta è animata da spiritose macchiette, molto simili, di gusto e di fattura a quelle [...] del grande Capriccio del '23, seppure meno brillanti ed alquanto più arcaiche rispetto a queste ultime».

Nel 1720 il Canaletto rientrò a Venezia dove iniziò una carriera autonoma, come è provato dall'iscrizione – per la prima volta – alla Fraglia dei pittori veneziani.

Nella città natale la suggestione per la magniloquenza dell'antica Roma, ravvisabile nei disegni del British Museum e nei primi dipinti, si stemperò sciogliendosi ben presto da qualsiasi legame con la topografia romana.

Con la sensibilità propria soltanto dei grandi artisti, il Canaletto colse nei paesaggi romani e veneti il senso della continuità della storia e nei capricci veneziani dei primi anni venti condensò magicamente questi assunti.

 

2 - Canaletto, Veduta ideata con piramide, firmato e datato in basso, a sinistra: «IO ANTONIO CANAL / 1723». Collezione privata

 

L'espressione più alta di questo momento è rappresentata dalla coppia Capriccio con piramide e Capriccio architettonico proveniente dalla galleria dei fratelli Giovanelli di Noventa Padovana. Il primo dei due dipinti (fig. 2), firmato e datato 1723, fu reso noto da Morassi (1963, pp. 146-147) che lo descriveva come «una composizione ideale o veduta ideata (come la chiamerà più tardi lo stesso Canal) messa insieme con gli elementi architettonici e paesistici più disparati, soprattutto romani e veneti: la piramide di Caio Cestio, l'arco di Tito, rovine del Foro romano, la Basilica di Vicenza, un insieme fantomatico lagunare con ricordi della Salute, della Torre di Malghera, di San Nicolò del Lido e via dicendo. Insomma una specie di omaggio affettivo alla lega veneto-romana, presago del genio piranesiano». Lo studioso sottolineava che «nell'impianto della veduta ideata v'è un basilare concetto scenografico quasi da fondale di teatro, carico di estrosi capricci. E, nel gusto della pittura medesima, un piglio irruente, largo, che mira all'insieme, alle masse, agli effetti: a un bello spettacolo cioè. Vi si aggiungano alcune evidenti desunzioni paesistiche da Marco Ricci, e si saranno toccate le radici del quadro». Morassi considerava l'opera «davvero chiarificatrice per gli inizi di Canaletto» ed evidenziava le peculiarità della pennellata, ora liquida, ora densa d'impasto, «buttata giù alla brava [...] proprio come fanno gli scenografi. Aveva sì il Canaletto dichiarato di scomunicare la pittura teatrale; ma la sua essenza gli era rimasta nel sangue. La scena è trattata come un abbozzo in grande, ma senza accentuazione di linee prospettiche, senza fissi contorni: ma tuttavia con una sapienza, ripeto, con un intuito pittorico che blocca a colpo sicuro ogni forma nella sua vera essenzialità».

Tra i caratteri distintivi della pittura degli esordi del Canaletto enucleati da Antonio Morassi, quelli di maggior rilievo sono la contiguità con l'arte di Marco Ricci e il gusto scenografico, categorie che da allora fungono da chiave interpretativa per l'opera giovanile dell'artista. Le invenzioni paesistiche, la scenografia pittorica, la cultura antiquaria dei «rottami antichi» (come Ricci definiva le rovine romane), la consuetudine con la grande tradizione architettonica del Cinquecento veneto, la ricerca luministica volta alla resa tangibile della qualità fisica della luce, furono i messaggi che l'intuito artistico del Canaletto seppe cogliere dalla lezione di Marco Ricci, un riferimento imprescindibile per intendere il senso della sua "scomunica" al teatro.

La qualità straordinaria dei due grandi capricci architettonici del 1723 rende altresì evidente il piglio sicuro e la più larga visione d'insieme che il Canaletto possiede fin dagli esordi. Nella Veduta ideata con piramide sorprendentemente nuova è la suggestione del paesaggio lagunare: una città fantastica con rovine classiche e monumenti rinascimentali veneti si affaccia su una sponda di un ampio canale mentre, sull'altra, si profilano in un'evanescenza luminosa le sagome di edifici evocanti la Salute e la punta della Dogana (fig. 3).

 

 

3 - Canaletto, Veduta ideata con piramide, fig. 2 particolare

 

4 - Canaletto, Veduta ideata con piramide, fig. 2 particolare

 

Stupende figurine di viandanti stracciati, accattoni, portabandiera sbandati, mori con turbante piumato, "macchiano" la tela guidando lo sguardo nello spazio figurato con lo squillante cromatismo delle loro vesti rese con una pennellata sfrangiata e strisciata di colpi di chiaro (fig. 4). Reale e immaginario si combinano in questo capriccio che nella sua straordinaria concezione spaziale anticipa compiutamente l'impaginazione assolutamente innovativa e sperimentale delle contemporanee vedute esatte dell'artista.

 

 

5 - Canaletto, Capriccio architettonico. Collezione privata

 

6 - Marco Ricci, Rovine classiche con oratore. Collezione privata

 

 

Lo spunto vedutistico viene ripreso e precisato nel pendant Capriccio architettonico (fig. 5), in cui da un lato trapela la contiguità con le opere dell'ultimo decennio di Ricci come, per esempio, la bellissima tempera raffigurante Rovine classiche con oratore (fig. 6), dall'altro risulta evidente che il Canaletto sostituisce il fantastico archeologico con brani desunti dall'architettura cittadina. L'arco in primo piano che inquadra la retrostante Libreria è infatti modellato sull'arcata superiore della Libreria stessa, mentre l'edicola a croce potrebbe essere considerata una metamorfosi della Dogana (Corboz 1985[a], p. 366) dietro cui, quasi come nella Venezia reale, si erge la cupola della Salute. Nella veduta fantastica si insinua la città vera, che avvalendosi di rimandi immediatamente riconoscibili — la Libreria, il muro a ondine di San Giorgio Maggiore —, suggerisce eloquentemente lo spazio compreso tra la Libreria e la Dogana.

 

7 - Canaletto, La Piazzetta verso la Salute. Collezione privata

 

Che è lo spazio indagato nella coeva veduta con La Piazzetta verso la Salute (fig. 7) di collezione privata. Dal capriccio alla veduta, due generi che, seguendo l'innovativa e stimolante proposta di lettura della produzione canalettiana portata avanti da André Corboz tra il 1974 e il 1985, non sono affatto in contrasto, ma si muovono su piani contigui che si intersecano e sovrappongono nella sperimentazione vedutistica dello spazio.

All'atmosfera mattinale e luminosa dei capricci del 1723 subentrano i cieli mutevoli delle prime grandi vedute come le quattro tele già Liechtenstein e attualmente ripartite tra il Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid (Il Canal Grande da campo San Vio e La piazza San Marco verso la Basilica) e il Museo di Ca' Rezzonico di Venezia (Canal Grande da palazzo Balbi a Ca' Foscari e il Rio dei Mendicanti). Con una intensità di visione che non aveva precedenti, nelle tele Liechtenstein si dispiega una Venezia totale, che cattura riportando alla mente in modo vivido ogni aspetto della città e della sua vita: piazza San Marco, simbolo del potere ma anche luogo di mercato e di incontri; Canal Grande, ripreso da punti di vista opposti e rappresentato nella sua dimensione di arteria pulsante di vita e di traffici; rio dei Mendicanti, zona periferica e marginale dove la sobria ma elegante architettura della chiesa e dell'ospizio di San Lazzaro si inserisce senza forzature nel quartiere popolare pittorescamente descritto nella parata di grandi case senza pretesa sul lato opposto del canale.

 

8 - Canaletto, Il Canal Grande da campo San Vio. Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza

 

 

Con piacere palese il Canaletto indugia su peote, bragozzi e gondole gentilizie che si intersecano sul Canal Grande, dipinge gruppi di popolani che raccontano e discutono seduti a terra (fig. 8), documenta la vita della piazza percorsa da patrizi, preti, servette, orientali, dame con la velada e operai, mentre nell'area antistante la basilica di San Marco si tiene il mercato con pittoresche bancarelle e capre vaganti (fig. 9).

 

 

9 - Canaletto, La piazza San Marco verso la Basilica. Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza

 

A partire dal 1726-1727 nella pittura del Canaletto si effettua una svolta decisiva, ma tutt'altro che repentina: un'esperienza pittorica che lo conduce dal colorismo caldo e intenso, ricco di vibrazioni chiaroscurali, della produzione giovanile a una nuova tonalità solare, costruita con una pennellata precisa e minuziosa, capace di esaltare al massimo la resa prospettica luminosa e tersa. I colori sono saturi e le macchiette hanno un'evidenza perentoria. La luce, invece di avvolgere le masse, taglia i profili creando vedute di una definizione sbalorditiva: un risultato a cui il Canaletto arriva, come acutamente rilevato da Cesare Brandi (1960, pp. 28-34), escludendo ogni alito d'aria e trasformando l'atmosfera in lente, spessore di puro cristallo che conferisce all'immagine un valore stereoscopico emergente. Ed è proprio attraverso questa "intensificazione" dell'immagine che l'artista «distrugge il vecchio meccanismo illusionistico della prospettiva, rinnovando la visione alla base. La prospettiva del Canaletto non costituisce un'immagine che s'allontana, ma un'immagine che s'avvicina».

Il laboratorio di questa metamorfosi fu l'incredibile serie di vedute eseguite dalla seconda metà degli anni venti alla fine del terzo decennio, che comprende i memorabili cicli delle vedute del Canal Grande commissionate da Smith e tradotte all'acquaforte da Antonio Visentini nel Prospectus Magni Canalis, i dipinti su rame eseguiti per Owen McSwiny, le ventidue piccole tele del duca di Bedford, le ventuno già Harvey, i dipinti commissionati da Henry Howard tra cui vi era la spettacolare Veduta del bacino di San Marco ora al Museum of Fine Arts di Boston. Il mercato inglese assorbì la maggior parte della produzione canalettiana, ma suoi estimatori, come Jean de Julienne, il principe de Conti e Blondel D'Azincourt, si trovavano anche in Francia (Haskell 1989, p. 32), in Germania e a Vienna, dove nei palazzi dei principi del Liechtenstein erano esposti, oltre ai quattro capolavori giovanili precedentemente ricordati, altri nove dipinti dell'artista databili entro il quarto decennio del secolo (Bettagno 1982, pp. 56-57).

 

 

Il capriccio progettuale nei paesaggi della ragione

Nel primi anni quaranta si registra nel Canaletto un significativo mutamento di tematica: dalle "vedute esatte" l'artista ritorna a quelle ideate, ovvero ai capricci. Si è voluto vedere all'origine di questo nuovo corso la crisi provocata dallo scoppio della guerra di successione austriaca nel 1741, che bloccando il turismo inglese ebbe come conseguenza il crollo della domanda di vedute, con un ritorno ai motivi immaginari. Inoltre, in quegli anni, il Canaletto non era più il detentore assoluto della specialità delle vedute: Michele Marieschi si stava dimostrando un temibile concorrente e la considerazione in cui era tenuto da collezionisti e amateurs si era consolidata con la pubblicazione, nel 1741, della silloge Magnificentiores Selectioresque Urbis Venetiarum Prospectus, comprendente ventuno grandi vedute di Venezia incise all'acquaforte. Anche Bernardo Bellotto, nipote del Canaletto, si stava avviando verso una carriera autonoma e la fine dell'apprendistato presso la bottega dello zio era stato sancito dal viaggio a Roma tra il 1741 e il 1742. Ognuno di questi fattori può aver contribuito a modificare i temi canalettiani determinando il riaccendersi dell'interesse per la veduta fantastica, che differenziandosi profondamente da quella degli esordi assume precisi connotati ideali. All'origine del nuovo ciclo, le richieste degli amatori svolsero un ruolo non secondario e la parte assunta da Francesco Algarotti in questo mutamento di interessi ebbe una rilevanza specifica.

Algarotti, emblematico personaggio della cultura internazionale del Settecento, era nato a Venezia nel 1712 da un'agiata famiglia di mercanti e, dopo aver compiuto gli studi a Bologna, interessandosi principalmente di scienze naturali e matematica, ritornò nel Veneto accostandosi alle arti. La sua formazione continuò con una serie di soggiorni a Firenze, Siena, Roma da dove, nel novembre del 1734, partì per Parigi. L'anno successivo accolse l'invito di Emilia du Chatelet a recarsi al castello di Cirey, dove era ospite anche Voltaire e dai colloqui di quei giorni, come ricordava Da Pozzo (1983, p. 58), «cominciò a prendere forma compiuta l'operetta che ebbe il titolo di Dialoghi sopra l'ottica newtoniana». Nel 1737 Algarotti ritornò a Venezia per pubblicare il volume che fu edito con il titolo Il newtonianismo per le dame, ovvero dialoghi sopra la luce e i colori. In quell'anno furono stampate ben due edizioni, entrambe senza nome dell'autore e con il falso luogo di Napoli.

L'opera fu ristampata due anni dopo, questa volta con il nome dell'autore, in Edizione emendata ed accresciuta. Napoli [ma Venezia] 1739, a spese di Giambattista Pasquali. Il marchio Pasquali dell'edizione del 1739 dimostra che, durante il soggiorno veneziano del 1737, Algarotti era entrato in contatto con Joseph Smith — di cui la stamperia Pasquali era diretta emanazione — avviando un rapporto che negli anni successivi si intensificò, soprattutto in relazione al dibattito sull'architettura e, segnatamente, sul palladianesimo. Alla fine del 1737 Algarotti riprese i suoi viaggi in Francia, in Inghilterra e in Russia. Nel 1740 si trovava presso la corte di Federico II di Prussia, che nel dicembre di quell'anno lo fece nominare conte. Nel 1742 era a Dresda, ospite di Augusto III di Polonia in qualità di consigliere artistico. In tale veste egli predispose un progetto2 per il completamento e l'estensione della grandiosa Galleria reale formulando proposte che rivelano «innanzi tutto quel particolare modo erudito di avvicinarsi all'arte che sarebbe rimasto caratteristico di lui e di tutto il secolo» (Haskell 1966, p. 351). La parte più interessante del progetto di Algarotti era il suggerimento di costituire «una piccola e scelta raccolta di quadri moderni» (Algarotti, 1791-1794, p. 362); tra gli autori consigliati vi era il gruppo di veneziani Tiepolo, Pittoni e Piazzetta, allargato ai veneti d'adozione Zuccarelli e Amigoni.

Nel giugno 1743 Francesco Algarotti giungeva a Venezia per tentare di tradurre le sue proposte in realtà ed è abbastanza logico pensare che per farsi introdurre nell'ambiente artistico — di cui aveva una discreta conoscenza delle opere ma non degli artisti — si rivolgesse a esperti collezionisti e mecenati, come senza dubbio era Joseph Smith, che tra l'altro alcuni anni prima aveva già dimostrato la propria disponibilità verso il giovane connaisseur adoprandosi per la pubblicazione del suo primo libro.

Il vero anello di congiunzione tra i due personaggi sembra però essere costituito dal Canaletto, il cui interesse in quegli anni si volgeva verso il capriccio in un'accezione specificamente architettonica, tesa a moltiplicare gli scarti tra immagine e realtà topografica. La fedeltà della percezione ottica alla realtà, che sembra aver guidato il pittore nella interminabile serie di vedute del decennio appena concluso, cede di fronte al vivace interesse per la manipolazione del dato che l'artista continuamente scompone e ricompone quasi divertendosi a rendere instabile ciò che sembrava fisso e immutabile. Ed è proprio con la sperimentazione acquafortistica che il Canaletto pare acquisire maggiore consapevolezza del fascino della poetica della metamorfosi. La stessa tecnica esecutiva, più rapida e immediata rispetto alla stesura pittorica, si prestava naturalmente a portare avanti una esperienza focalizzata non più sulla consueta veduta gratificante, ma sull'ambiguità del capriccio capace di suscitare interesse, sorpresa e stimolante inquietudine nei conoscitori e nei committenti più avvertiti.

È in questa fase della carriera dell'artista che avviene l'incontro con Algarotti. L'emissario di Augusto III non aveva incluso l'artista nella rosa dei nomi prescelti per la Galleria reale a causa dei troppi impegni dell'artista. Il fratello Bonomo, infatti, gli aveva fatto presente in una lettera del 28 gennaio 1741 che: «Il Canaletto poi oltre che pretenderebbe un assai considerabil Prezzo per farli [i dipinti], pressato da più Commissioni dimanderebbe qualche anno di tempo per compirli» (in Haskell 1966, p. 540).

 

10 - Canaletto, Capriccio con il ponte di Palladio. Parma, Galleria Nazionale

 

 

Nel 1743 la carica ricoperta conferiva ad Algarotti un maggior potere contrattuale e l'esperto riuscì così a ottenere un quadro dal Canaletto: il celebre Capriccio con il ponte di Palladio (fig. 10) ora alla Galleria Nazionale di Parma. Nella nota lettera a Prospero Pesci datata 28 settembre 1759, Algarotti si soffermava a lungo sul dipinto: «Altre volte abbiam ragionato insieme di un nuovo genere, direi quasi, di pittura, il quale consiste a pigliare un sito dal vero, e ornarlo di poi con belli edifizj o tolti di qua e di là, ovveramente ideali [...]. Il primo quadro che io feci lavorare in tal gusto, fu una veduta del nostro Ponte di Rialto dalla banda che guarda infra Tramontana, e Levante [...]. Tal fabbrica lodata a ragione dall'autor suo, dipinta e soleggiata dal pennello di Canaletto di cui mi son servito, non posso dire il bello effetto che faccia massime specchiandosi nelle sottoposte acque [...]. Ella può ben credere che non mancano al quadro né barche né gondole, che fa in eccellenza il Canaletto, né qualunque altra cosa trasferir possa lo spettatore in Venezia; e le so dire che parecchi Veneziani han domandato qual sito fosse quello dalla città ch'essi non aveano ancora veduto» (Algarotti 1764-1765, pp. 74-77).

La sortita di Algarotti nel campo dell'arte si caratterizza per l'empirismo di un intervento che riservava a se stesso il compito di progettare l'opera preoccupandosi delle sensazioni dell'osservatore, mentre all'artista era devoluto il solo compito di occuparsi della fattura del dipinto. Cogliendo la novità di questo atteggiamento, Corboz (1985[a], p. 428) faceva notare che il connaisseur, indipendentemente dall'ambiguità delle sue posizioni, «ricorre a una tecnica di persuasione originale: convincere con l'immagine, proponendo ai suoi interlocutori prodotti finiti, già integrati nel sito come i nostri fotomontaggi».

Le proposte di Algarotti furono convincenti per il console Smith che nel 1744 commissionò al Canaletto tredici sovrapporte che sviluppavano una sequenza di immagini con fabbriche palladiane e monumenti veneziani astratti dal tessuto urbano per creare siti ideali di una immaginifica città del futuro.

 

11 - Canaletto, Frontespizio dedicatorio della raccolta di acqueforti. Collezione privata

 

 

II ritorno alla laguna

Il ciclo di trentaquattro acqueforti Vedute altre prese da i Luoghi, altre ideate (fig. 11) incise dal Canaletto agli inizi degli anni quaranta segnano una delle più poetiche sortite dell'artista nel campo della costruzione fantastica.

Proponendo una lettura originale e avvincente della silloge, Dario Succi (2001, pp. 43-53) osservava che la sequenza dei fogli segue un coerente filo logico che, in linea con il programma enunciato nel titolo, richiama prima le vedute propriamente dette, poi i capricci o le vedute ideate.

Il filo tematico enucleato da Succi è riscontrabile nell'impaginazione originaria dell'album del Canaletto proveniente dalla raccolta di Anton Maria Zanetti (1680-1767) e conservato al Kupferstichkabinett di Berlino. In esso le tavole seguono l'itinerario di un viaggio che dalla laguna di Venezia risale lungo la riviera del fiume Brenta fino a Padova. La sequenza continua con i quattro fogli raffiguranti le grandi vedute ideate, relative agli stupendi capricci intitolati Portico con lanterna, Veduta immaginaria di Padova, Veduta immaginaria di Venezia, la Città con la tomba di un vescovo. La silloge si chiude con le incisioni di piccolo formato anch'esse disposte con un preciso ordine: prima le cinque deliziose vedute veneziane e quella padovana raffigurante La terrazza, poi le rimanenti invenzioni a capriccio.

La felicità inventiva e l'intensità lirica dei fogli canalettiani veniva precisata dallo studioso che osservava: «Canaletto costruisce le immagini utilizzando i tagli prospettici e le invenzioni capricciose per introdurci ai valori essenziali di un'arte che, lungi dal ridursi alla presentazione fedele della realtà, si presenta come il riflesso di un particolarissimo stato d'animo, capace di esprimersi in creazioni di una magia incomparabile e unica. Le sue vedute incise, anche quelle «prese dai luoghi», nulla hanno a che fare con propositi meramente documentari perché, pur ritagliate entro spazi precisi e colte nella loro consistenza specifica, appaiono spogliate delle caratteristiche contingenti e rivissute con accenti assolutamente personali [...]. Staccandosi dai predecessori [Carlevarijs, Marieschi e Visentini], Canaletto impagina una specie di summa in cui convivono e si mescolano la veduta topografica, il capriccio rovinistico e il capriccio paesistico, con l'intento di evidenziare la complementarietà di questi generi, smentendo una contrapposizione proclamata da quasi tutti gli studiosi».

La felicità creativa degli anni che precedono il lungo soggiorno inglese trova la sua massima espressione nell'album acquafortistico pubblicato nel 1744-1745: un'opera oggi considerata come uno dei capolavori dell'arte del Settecento europeo.

La sperimentazione incisoria colloca la pittura del Canaletto in una nuova prospettiva e l'artista accentua l'interesse per il capriccio in una accezione non più scenografica ma razionalmente architettata e poeticamente evocativa. Dai capricci romani del 1742 e dai sovrapporta del 1743-1744 commissionati da Smith, il Canaletto volge lo sguardo alla laguna creando quella breve serie di invenzioni paesistiche che Anna Pallucchini (1958, p. 12) definiva le sue «fantasticherie da viandante solitario» (fig. 12).

 

12 - Canaletto, Capriccio con isola della Laguna, un padiglione e una chiesa. Saint Louis Art Museum

 

Nel 1746 il Canaletto partì alla volta di Londra dove giunse alla fine di maggio. Per facilitargli l'ingresso nella società inglese, Joseph Smith si era raccomandato con Owen McSwiny – già committente del Canaletto – affinché introducesse l'artista presso il duca di Richmond. L'incontro avvenne però solo in un secondo tempo perché il nobiluomo era in viaggio; nel frattempo il Canaletto prese possesso della realtà londinese dipingendo il secondo ponte di Westminster, il cui completamento costituiva l'evento dell'anno.

Nel 1747 il Canaletto propose al duca di Richmond due vedute di Londra riprese dalla di lui dimora e dal progetto nacquero Londra e il Tamigi da Richmond House (Constable, Links 1989, n. 424) e Whitehall e il Privy Garden da Richmond House (ivi, n. 438), i capolavori del suo soggiorno inglese. Seguirono diverse commissioni tra le quali quelle del duca di Beaufort e di Lord Brooke. Tra il 1750 e il 1751 l'artista rientrò brevemente a Venezia dove fece l'unico investimento della sua vita acquistando un immobile alle Zattere (la Scuola dei Luganegheri).

Tornato a Londra nella primavera del 1751, reclamizzò la sua presenza sul «Daily Advertiser del 30 luglio con l'annuncio che «Signior Canaletto Gives Notice that he has painted the Rapresentation of Chelsea College, Ranelagh House, and the River Thames». Gli interessati potevano recarsi a vedere il dipinto presso la sua abitazione in Silver Street dove sarebbe rimasta esposta per quindici giorni, dalle otto all'una del mattino e dalle tre alle sei del pomeriggio (Constable 1976, pp. 37-38).

Durante il secondo soggiorno inglese il Canaletto lavorò, ancora, per Hugh Smithson, poi duca di Northumberland, e per il conte di Warwick; nel 1754 dipinse sei vedute per Thomas Hollis e sei capricci per la dimora dei Lovelace.

 

14 - Canaletto, Capriccio con palazzo, ponte e obelisco. Olio su tela 150,5 x 134,9 cm. Collezione privata

 

15 - Canaletto, Capriccio con chiesa e monumento al Colleoni. Olio su tela 150,5 x 134,9 cm. Collezione privata

 

Due tele di quest'ultima straordinaria serie (Figg. 14-15), documentano l'itinerario canalettiano verso la metà degli anni cinquanta, dominato dalla nota malinconica dei capricci "d'evocazione", che riprendono ed elaborano diversi disegni e schizzi eseguiti dall'artista agli inizi degli anni quaranta durante le escursioni compiute nell'entroterra veneto, dalla laguna a Padova.

Tra la fine del 1755 e l'inizio del 1756, l'artista rientrò definitivamente a Venezia. Corboz (1985[a], p. 268) sottolineava che «quest'ultimo periodo, sino alla morte nel 1768, non è ancora stato oggetto di un esame critico, sia perché la sua composizione era mal conosciuta, sia perché la sua "maniera" era giudicata con grande severità. Ci sembra invece essenziale rinunciare a stabilire la superiorità d'una qualunque delle fasi canalettiane, e soprattutto rifiutare il "controsenso darwinista" che consiste nell'applicare indebitamente fuori della biologia lo schema infanzia-maturità-vecchiaia, in altri termini svalutare l'ultimo periodo. Esso fu certamente incupito da problemi di mercato: il gusto del pubblico si volgeva ornai a una pittura diversa e il ritorno a Venezia fu senza dubbio accompagnato da gelosie che faranno fallire la prima candidatura di Canal all'Accademia nel 1763». Prima di Corboz, solo Cesare Brandi (1960) aveva colto la continuità sperimentale del Canaletto che nell'ultimo periodo porta alle estreme conseguenze intuizioni già presenti nella sua pittura agli inizi degli anni quaranta. È allora che l'artista procede alle prime riduzioni e condensazioni per accrescere l'effetto di realtà. Lo studioso ricordava (ivi, pp. 13 e 77) che «quando Ruskin osservava per biasimo che, nelle architetture, con un punto nero sotto il capitello in funzione d'ombra, e uno giallo al di sopra per la luce, il Canaletto se l'è bell'e cavata senza preoccuparsi di dare altre indicazioni scultoree, noi vediamo già al punto d'arrivo questo processo di disintegrazione delle apparenze naturali e della loro compiuta rifusione in seno all'immagine». Brandi rilevava ancora che l'antipatia dei critici per questa ultima fase canalettiana «deriva in primo luogo dalla implicita negazione naturalistica che sembra contenere».

 

 

13 - Canaletto, Veduta immaginaria di Roma. Olio su tela 48 x 39,3 cm. Collezione privata

 

16 - Canaletto, Capriccio con monumento e ponte di legno sulla laguna. Tempera su carta 36,5 x 53,5 cm. Collezione privata

 

17 - Canaletto, Capriccio torre cilindrica e ponte lagunare. Tempera su carta 36,5 x 53,5 cm. Collezione privata

 

18 - Canaletto, Capriccio con ponte ed edifici vari. Tempera su carta 36,5 x 53,5 cm. Collezione privata

 

Quasi presago della futura incomprensione, il Canaletto si congeda con opere di straordinaria suggestione come la serie dei quattro capricci lagunari con edifici in rovina (Figg. 13, 16-18). Chiude la serie il Capriccio con piccolo monumento ed edificio circolare (Fig. 18) il cui soggetto non trova riscontri nell'opera del Canaletto, pur comprendendo diversi elementi che rimandano a temi già sperimentati dall'artista.

 

 

119. Canaletto, Rovine di una mezza cupola, penna e inchiostro bruno con acquerello grigio. Londra, British Museum

 

20.  Canaletto, La Scuola Grande di San Marco, particolare. Madrid, collezione Carmen Thyssen-Bornemisza

 

 

Le vestigia dell'edificio emisferico, per esempio, rimandano alle Rovine di una mezza cupola, uno dei disegni giovanili della serie con soggetti romani conservati al British Museum (fig. 19). La nota saliente del dipinto è però costituita dal "piccolo monumento", in primo piano a sinistra. È questo un motivo tratto dal tessuto urbano di Venezia: non un brano di architettura monumentale, ma un semplice cippo miliare, come quello che si trovava davanti alla Scuola Grande di San Marco e che tanto rilievo assume, per esempio, nella deliziosa veduta "quasi presa dai luoghi" della collezione Carmen Thyssen-Bornemisza (fig. 20).

 

21 - Canaletto, Piccolo monumento, acquaforte. Collezione privata

 

Ma è nelle vedute "ideate" che il cippo acquista, con lievi correzioni, una dimensione monumentale diventando protagonista delle composizioni: così nella bellissima incisione con il Piccolo monumento (fig. 21) e, ancora, nello splendido disegno Capriccio con fontana e rovine sulla laguna della Royal Collection (fig. 22) dove il "piccolo monumento" sostiene la vasca della Fontana e reca, ben visibile sul fronte parallelo al primo piano, l'insegna del casato del Canaletto.

 

 

22 - Canaletto, Capriccio con fontana e rovine sulla laguna, penna a inchiostro scuro. Windsor, Royal Collection

 

Nella stilizzazione estrema della tempera qui considerata è rimasto solo il basamento della fontana, mentre sullo scudo marmoreo rivolto allo spettatore le insegne (una squadra capovolta) si riducono a quattro lineette, che tuttavia risultano chiare e inconfondibili come una firma.

 

23 - Canaletto, Capriccio con fontana ed edificio circolare sulla laguna. Tempera su carta, particolare. Collezione privata

 

 

Il Canaletto, innovatore e sperimentatore fino alla fine, abbandona ogni residuo di pittoricismo verista, dipinge senza pentimenti, con pennelli grossi, rinunciando quasi alla materia, nonché alla possibilità di essere compreso: in una fantastica laguna monumentale e silente il connaisseur (fig. 23) indica il cenotafio recante lo scudo di «Antonius Canale Origine Civis Venetus».

 

 

Annalia Delneri

 

 

 

NOTE

 

1 Una chiara sintesi della vicenda attributiva della raccolta del British Museum si deve a Hugo Chapman 2001, pp. 19 e ss., nota 1.

2 Algarotti, Progetto per ridurre a compimento il Regio Museo di Dresda, 28 ottobre 1742, in Algarotti 1791-1794, VIII, pp. 351-388.