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		Giovanni Antonio Canal detto 
		Canaletto (Venezia 1697 – 1768) 
 
 
 
 
 
		
		
		“La vita di Antonio Canal detto il Canaletto non è ricca di avvenimenti 
		biografici ed è priva di episodi significativi; in ogni caso, è 
		certamente povera di notizie. Antonio sembra essere stato un uomo dedito 
		unicamente al suo lavoro, immerso per così dire nella sua opera. A 
		seguire i diversi autori che si sono occupati di lui, la data di nascita 
		di Canaletto è incerta: viene spesso indicato il 28 ottobre del 1697. 
		Mariette indica il 18 e afferma di aver avuto una memoria dallo stesso 
		artista; noi preferiamo seguire la lettura fatta da I. Chiappini (1968) 
		dei registri battesimali di San Lio e indicheremmo la data del 17 
		ottobre. Antonio proviene da una famiglia di artisti: il padre Bernardo 
		ed il fratello Cristoforo erano infatti pittori di scenografie. Antonio 
		inizia con loro la sua prima esperienza, fatta di collaborazione agli 
		allestimenti scenici nei teatri veneziani” (Bettagno 1982). “Nei primi 
		anni seguitò col padre quell’esercizio, utile per sciogliere la mano e 
		svegliare la fantasia della gioventù e per obbligarla ad operar con 
		prontezza; e fece bellissimi disegni per gli scenari” (Zanetti 1771). 
		
		Verso il 1719 Canaletto seguì il padre a Roma, dove i Canal realizzarono 
		le scene del Tito Sempronio e del Turno 
		Aricino di Alessandro Scarlatti, rappresentate al teatro Capranica 
		durante il carnevale del 1720 (Croft-Murray in Constable 
		1962). Nell’Urbe il giovane Canaletto maturò l’intenzione di 
		abbandonare l’attività teatrale per dedicarsi pienamente alla pittura. 
		Non è forse un caso che proprio in quegli anni operava nella città 
		capitolina, accanto a Panini, Codazzi, e i “bamboccianti” olandesi, quel 
		Gaspar van Wittel che “inaugurò virtualmente la storia della veduta 
		veneziana del Settecento, stabilendone l’impostazione visiva e 
		individuando, per primo, punti di vista che il Canaletto rese famosi” 
		(Briganti 1966).    
		
		Rientrato in laguna Canaletto iniziò un’intensa attività artistica che 
		lo condusse in breve tempo a realizzare, in gran numero, quelle 
		“Venezie” per cui ancora oggi è famoso. Il successo strepitoso delle sue 
		vedute gli procurò importanti commissioni, come la 
		Veduta di Corfù, realizzata per il maresciallo Schulenburg o le 
		famose tombe allegoriche dipinte su richiesta di Owan Mc Swiney. 
		
		È da porsi 
		agli inizi del 1730 l'avvio del sodalizio con il banchiere, mercante e 
		collezionista di altissimo lignaggio Joseph Smith. Un sodalizio 
		destinato a lanciare Canaletto definitivamente nel panorama artistico 
		internazionale. Con lo Smith “si viene a stabilire una specie di 
		concatenazione artista-intermediario-cliente-collezionista, che 
		praticamente finisce col determinare una posizione quasi di monopolio 
		dell’intermediario, nella scelta della clientela (nel nostro caso era 
		quasi tutta anglosassone) come nella esclusione dell’artista dai diretti 
		rapporti con il cliente-collezionista. Si è parlato alternativamente di 
		sfruttamento e di mecenatismo: considerazioni opposte su una circostanza 
		che, veduta a distanza e con storica obiettività, ci appare di una 
		evidenza indiscutibile. Un rapporto che, nel caso del Canaletto viene 
		tranquillamente e felicemente accettato dall’artista, il quale forse, 
		proprio in esso ha potuto trovare quell’equilibrio che gli ha permesso 
		più di quindici anni di indefessa produzione ad un livello di creatività 
		tra i più strabilianti. Le poche informazioni che abbiamo su Canaletto 
		sono tutte abbastanza chiare nell’accennare al suo temperamento 
		difficile, spinoso nel trattare, un pittore assillato di commissioni e 
		sempre pronto a discutere sul prezzo” (Bettagno 1982). In una lettera di 
		McSwiney a Lord March, datata 28 novembre 1727, si legge a un dipresso: 
		“l’amico è stravagante, cambia i prezzi ogni giorno; se uno pensa di 
		avere un quadro da lui, bisogna stare attenti a non mostrarsene troppo 
		entusiasti perché si rischia di essere maltrattati sia sul prezzo che 
		sul dipinto. Ha molto più lavoro di quello che possa fare in un tempo 
		ragionevole”. Mentre il 17 luglio 1730 Joseph Smith, evidentemente non 
		ancora “in società” con il pittore, scrive a Samuel Hill: “finalmente 
		sono riuscito ad avere l’impegno dal Canaletto di finire i due pezzi 
		entro un anno; ha un tale seguito e tutti sono pronti a pagare quello 
		che chiede. Ma poiché considera se stesso al di sopra di tutti gli altri 
		pensa di avermi fatto un grande favore: ma non è la prima volta che io 
		sono contento di subire le impertinenze di un pittore a vantaggio mio e 
		dei miei amici”. Ancora più severo il giudizio di McSwiney in una 
		lettera del 27 settembre 1730 a John Conduit: “si tratta di un uomo 
		avido e ingordo ed essendo famoso la gente è felice di pagare quello che 
		chiede”. “Tenendo conto di queste testimonianze mi sembra quasi logico 
		che un uomo dai difficili rapporti umani quale era il Canaletto trovasse 
		nell’intesa con Joseph Smith la soluzione di molti suoi problemi di 
		natura pratica e che finisse non tanto per considerarsi sfruttato, 
		quanto per trovare una «copertura» che gli dava la piena libertà di 
		lavorare senza preoccupazioni materiali. Per un uomo la cui vita appare 
		priva di episodi caratteristici - si direbbe quasi un artista senza 
		biografia – il lavoro deve aver contato più di ogni altra cosa” (Bettagno 
		1982).   
		
		Joseph Smith, eletto console britannico a Venezia nel 1744, teneva 
		esposte nel suo palazzo ai Santi Apostoli dodici vedute del Canal Grande 
		eseguite dal pittore, vero e proprio campionario per gli ospiti e 
		potenziali acquirenti che frequentavano la sua casa. A scopo prettamente 
		promozionale, Antonio Visentini fu incarico di inciderle assieme ad 
		altri due dipinti raffiguranti la 
		Regata in Canal grande e il 
		Ritorno del Bucintoro al molo il giorno dell’Ascensione. Le 
		quattordici vedute furono edite con il titolo 
		Prospectus Magni Canalis Venetiarum nel 1735. Il successo di questa 
		iniziativa spinse Smith, sette anni più tardi, a pubblicare una seconda 
		edizione con l’aggiunta di altre ventiquattro tavole, sempre incise da 
		Visentini da dipinti del Canaletto. 
		
		Il console Smith però non fu solamente un abile mercante, egli svolse 
		anche il ruolo di operatore culturale. Contribuì infatti alla 
		divulgazione dell’architettura palladiana e delle teorie di Newton. 
		“Questo fautore del palladianesimo internazionale, impegnato a fondo 
		nella battaglia illuministica” mise al servizio dell’architettura “le 
		sue risorse - a cominciare dall’immensa biblioteca –”, sollecitando nei 
		suoi salotti continue discussioni.  
		“Se l’atteggiamento di Smith fosse stato diverso, se si fosse fatto 
		pubblicista d’una tendenza particolare, non avrebbe potuto svolgere la 
		funzione di contatto che gli fu propria, essenziale alla formazione 
		dell’intellighenzia neoclassica in Veneto. [...] Il conte Carlo Lodoli 
		(1690 – 1761), francescano per volontà d’indipendenza, era senza alcun 
		dubbio il personaggio chiave del club Smith, perché il carattere delle 
		sue posizioni obbligava gli altri a risolversi” (Corboz 1985). Questo 
		filosofo militante, fautore di un’architettura razionale e funzionale 
		basata sul corretto uso dei materiali e scevra da inutili ornamenti, fu 
		il primo vero critico razionalista italiano nel campo delle arti visive 
		e soprattutto dell’architettura. Altri illustri membri del “club Smith” 
		furono il marchese Giovanni Poleni (1683 – 1761), “membro delle 
		principali accademie d’Europa, guadagnato alle idee newtoniane al punto 
		da creare a Padova nel 1738 la prima cattedra di «filosofia 
		sperimentale» (cioè fisica)” (Corboz 1985); Francesco Algarotti (1712 – 
		1764), singolare figura di poligrafo, mercante antiquario e 
		collezionista, “il camaleonte di quest’epoca, cangiante, pieno di 
		charme
      e intelligenza, avido di piacere, ma ansioso di non compromettersi troppo” 
		(Levey), autore di un’opera divulgativa quale il 
		Newtonianismo per le dame (1737) e del più significativo 
		Saggio sopra l’architettura (1756); Andrea Memmo (1729-1793), 
		seguace delle idee lodoliane e futuro procuratore di San Marco, che nel 
		1786 pubblicò a Roma gli Elementi 
		dell’architettura lodoliana ossia l’arte del fabbricare con solidità 
		scientifica e con eleganza non capricciosa, i quali a  trent’anni 
		di distanza ripropongono le teorie discusse nel salotto di Joseph Smith  
		(«ero sempre da Smith», dice all’inizio dell’opera, «e Lodoli anche»); 
		Antonio Visentini (1688-1782), pittore, incisore, architetto e teorico 
		dell’architettura, il braccio destro del console, ovvero colui che ne 
		assecondò i progetti e lavorò per alcuni membri del "club".  
		
		Lo sconvolgimento europeo, derivante dalla guerra di successione 
		austriaca (1741-1748), ridusse però drasticamente il flusso dei turisti, 
		ponendo fine a quel filone dorato impersonato soprattutto dalla ricca 
		borghesia inglese, che alimentava i guadagni di Canaletto e del suo 
		agente. Fu allora Smith,  con ogni probabilità, a suggerire 
		all’artista di recarsi in Inghilterra. Nel maggio del 1746, all’età di 
		quarantanove anni, con alcune lettere di presentazione e di 
		raccomandazione del console, Canaletto giunse a Londra. “Malgrado tale 
		altolocata protezione, il soggiorno londinese non deve essere stato per 
		il pittore veneziano molto semplice, anche per i difficili rapporti con 
		gli artisti locali. Questi infatti cercarono di screditarlo, diffondendo 
		la voce che egli non fosse il vero Canaletto, quanto piuttosto suo 
		nipote, quel Bernardo Bellotto che nel 1747 aveva a sua volta abbandonato 
		Venezia. Canaletto reagì alla provocazione inserendo un annuncio sul «Daily 
		Advertiser» del 1749 e del 1751, invitando gli amatori d’arte ad andarlo 
		a veder dipingere nello studio a Silver Street (l’attuale Beak Street 
		presso Regent Street, nel centro di Londra). Ma nonostante questa 
		ostilità, Canaletto a Londra ebbe numerose commissioni e della sua 
		permanenza in Inghilterra restano una cinquantina di grandi vedute, 
		alcune delle quali di elevatissima qualità” (Pedrocco 1995). 
		
		L’artista rimase in Inghilterra fino al 1755, ritornando una prima volta 
		a Venezia per otto mesi alla fine del 1750, allo scopo di investire il 
		denaro guadagnato. Un secondo rientro è documentato da Pietro Gradenigo, 
		che in data 28 luglio 1753 scrive: "Antonio Canaletto Veneziano celebre 
		Pittore da Vedute ritorna in da Inghilterra in Patria”. Questo secondo 
		soggiorno nella città natale deve esser stato più breve del precedente, 
		viste le numerose vedute realizzate in Inghilterra già nell’anno 
		successivo (Pedrocco 1995). Migliorata la situazione politica europea, i 
		turisti ritornarono in buon numero a visitare Venezia e l’artista 
		riprese a riprodurre i temi famigliari della laguna. Nel 1763, a seguito del decesso di tre membri (Giuseppe Camerata, Antonio Guardi e Giorgio Giacoboni), l’Accademia di pittura e scultura di Venezia provvide all’elezione dei soci destinati a sostituirli. La domanda presentata da Canaletto venne però respinta. Gli furono preferiti Francesco Zuccarelli, Petro Gradizzi e Francesco Pavona. Fortunatamente a tale sgarbo si rimediò nel settembre dello stesso anno quando il grande vedutista venne chiamato a coprire il posto lasciato dalla morte di Giuseppe Nogari. 
 
 
 
 
 
		 
 
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