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Bernardo Bellotto: le vedute della campagna veneta e lombarda

 

 

 

 

Nato a Venezia il 20 maggio 17221 Bernardo Bellotto aveva solo sedici anni quando nel 1738 il suo nome venne iscritto nei registri della Fraglia dei pittori veneziani. L'iscrizione così precoce alla corporazione dei pittori dimostra che in quell'anno l'artista, eccezionalmente dotato, aveva già compiuto il periodo di apprendistato presso il Canaletto, probabilmente iniziato intorno al 1735-1736. Bellotto era entrato quindi giovanissimo a contatto con il mondo dell'arte, seguendo la consuetudine del tempo che vedeva gli aspiranti pittori entrare nella bottega di un maestro fin dall'adolescenza per impratichirsi con i pigmenti e assumere poi il ruolo di aiutante.

La fortuna di lavorare a contatto con il celeberrimo Antonio Canal costituì un vantaggio formidabile per l'allievo, consentendogli di bruciare le tappe di una straordinaria carriera che lo portò nell'estate del 1747, appena venticinquenne, a Dresda al servizio della corte europea più illuminata, quella di Augusto III, principe elettore di Sassonia e re di Polonia. Ma già il 20 novembre 1740 Matthias von der Schulenburg, uno dei più importanti collezionisti residenti a Venezia, aveva acquistato quattro «Prospettive di Venezia del Nipote di Canaletto», raffiguranti due vedute «di San Marco e due del'arsenale» al prezzo complessivo di nove zecchini (Binion 1990, p. 173), tutte ancora non identificate.2

Il periodo di frequentazione della bottega del Canaletto, protrattosi fino al 1743, è già stato analizzato dallo scrivente in una precedente occasione (Succi 1999, pp. 23-44), nella quale sono stati per la prima volta precisati gli elementi distintivi di una fase molto controversa tra gli studiosi, specialmente per quanto riguarda il periodo che va dagli esordi fino al 1740 circa. In quegli anni il giovanissimo artista produsse un cospicuo numero di vedute che, pur presentando — come è naturale per un esordiente — alcune incertezze compositive e stilistiche, non possono essergli negate sulla base di confronti superficiali e filologicamente scorretti con le bellissime tele eseguite più tardi. Così facendo resterebbero nel buio lunghi anni di attività produttiva meritevoli di essere portati alla luce con un lavoro attento e scrupoloso, privo di quelle chiusure mentali che in passato hanno talvolta permeato i lavori di alcuni seri studiosi di area nordica. Questi eccellenti compilatori delle schede di sterminati cataloghi ragionati o infaticabili indagatori sulle lontane provenienze dei dipinti, posti di fronte a problemi di fondamentale importanza per la ricostruzione della produzione di artisti del livello del Canaletto e di Bellotto, hanno palesato una sostanziale insensibilità ai valori profondi della pittura veneta. Basti ricordare le assurde battaglie di retroguardia condotte fino alla fine da Constable contro gli illuminanti studi di Antonio Morassi (1956) sull'attività giovanile del Canaletto e le incomprensioni di Stefan Kozakiewicz per le pionieristiche indagini di Terisio Pignatti (1966) sul giovane Bellotto.

Per quanto riguarda la fase immediatamente successiva, quella che va fino al 1743, un contributo fondamentale per la conoscenza dell'evoluzione dello stile bellottiano sulla base di elementi oggettivi è venuto dalla ricostruzione della straordinaria serie di quindici vedute veneziane, eseguite da Bellotto tra il 1741 e il 1742, che Henry Howard, IV Earl of Carlisle (1694-1758) acquistò — come "Canaletto" — per adornare la magnifica country house di Castle Howard, nello Yorkshire (Succi 1999, pp. 44-71).3

Nel 1742 Bellotto si recò a Roma, effettuando soste a Firenze e a Lucca, lasciando una documentazione sull'evolversi della sua pittura in sei bellissime vedute fiorentine e nella Piazza San Martino di Lucca (Kozakiewicz 1972, nn. 53-58). Rientrato a Venezia, il 16 agosto 1743 l'artista espose due vedute, una di Roma con Il Campidoglio (ivi, n. 77) e un'altra – non rintracciata – di Venezia, alla tradizionale mostra estiva di San Rocco. Con la partecipazione a quella importante rassegna pubblica Bellotto rese nota la sua volontà di operare da quel momento in piena autonomia, sciogliendo ogni residuo legame con la bottega del Canaletto.

Al 1744 risale il viaggio in Lombardia, destinato a costituire un momento decisivo nell'itinerario artistico del maestro veneziano, seguito nell'estate del 1745 da un viaggio a Torino, dove dipinse due vedute di quella città per il suo primo mecenate di rango reale, Carlo Emanuele in. Successivamente Bellotto soggiornò a Verona dipingendo, per committenti non identificati, almeno sette vedute fluviali della città scaligera, tutte di grandi dimensioni.

 

1 - Bernardo Bellotto, I molini sul Brenta a Dolo. Henley-on-Thames, collezione del visconte di Hembleden

 

 

Si conosce una sola veduta della terraferma veneziana dipinta da Bellotto, quella riproducente I molini sul Brenta a Dolo (fig. 1) nella collezione del visconte di Hambleden, Henley-on-Thames, eseguito non «fra il 1738 e il 1740» come pensava Kozakiewicz (ivi, n. 29), ma nel 1744, nell'anno cioè del soggiorno in Lombardia. Lo dimostrano l'eccezionale qualità della stesura pittorica, la novità della ripresa realistica del luogo, senza dettagli edulcoranti (mancano gli eleganti personaggi che il Canaletto inserì nel corrispondente dipinto all'Ashmolean Museum di Oxford: Constable, Links, n. 371), i decisi contrasti chiaroscurali, il profondo lirismo: elementi tutti che sono vicinissimi alla magica atmosfera delle vedute di Gazzada.

Il paese di Dolo è diventato famoso nella storia dell'arte non tanto per le vedute dipinte dal Canaletto e da Bellotto quanto per le tre stupende acqueforti che il primo incise tra il 1742 e il 1744.

 

2 - Canaletto, Al Dolo, acquaforte, 1742-1744. Collezione privata

 

Lo straordinario reportage, frutto degli appunti presi durante il soggiorno nel territorio padovano effettuato nel 1742, si apre con lo splendido foglio intitolato Al Dolo (fig. 2) che mostra il placido paese adagiato sulle rive del Brenta, con la chiesa parrocchiale di San Rocco, lo slanciato campanile, il palazzo Andruzzi con l'elegante facciata palladiana avvolta nell'ombra e i bassi profili dei molini sullo sfondo, posti in primo piano nella veduta in controcampo di Bellotto. Prima dei molini si intavede, a sinistra, tra una casa e gli squeri, il canale che porta alla darsena dalla quale è appena uscito un burchiello.

 

3 - Canaletto, Alle Porte del Dolo, acquaforte, 1742-1744. Collezione privata

 

Nell'incisione Alle Porte del Dolo (fig. 3) i volumi degli edifici nitidamente profilati sulla riva opposta del Brenta si stagliano netti, specchiandosi nelle acque rilucenti del fiume gremito di barche che scivolano pigramente, avvolte nel calore di un meriggio estivo. Il burchiello in primo piano, lasciata la darsena, avanza a forza di remi tra le baracche dello squero in penombra e il muro screpolato della casa con lo stemma sporgente. La meditata complessità dell'impostazione dei vari piani in cui si articola la veduta si coniuga alla perfezione con la straordinaria resa atmosferica en plein air; ricca di brillanti contrappunti chiaroscurali.

 

 

4 - Canaletto, Le Porte del Dolo, acquaforte, 1742-1744. Collezione privata

 

Nel terzo foglio con Le Porte del Dolo (fig. 4) il Canaletto ci sorprende con la novità di una veduta "anomala" perché non mirata a porre in risalto sontuose residenze di nobili personaggi. L'artista ha posto di sbieco la darsena (oggi interrata) per utilizzare più efficacemente i rapporti chiaroscurali che movimentano le masse degli edifici. L'occhio è abbagliato dalla luce che colpisce la facciata dell'umile casa a destra e vibra nella penombra delle altre costruzioni disposte a semicerchio. Mentre una coppia elegante si concede una pausa nell'attesa di riprendere il viaggio, alcuni venditori di frutta, una merlettaia e un negoziante contribuiscono attivamente al gioco luministico.

Queste acqueforti, come altre della serie canalettiana, pur descrivendo precise realtà topografiche, sono spogli di caratteristiche contingenti: in esse si rispecchia uno stato d'animo particolarissimo, capace di esprimersi in immagini di una magia incomparabile, risplendente, unica. Il Canaletto, impadronitosi rapidamente dei segreti dell'arte incisoria — forse grazie all'insegnamento di Antonio Visentini, il finissimo acquafortista che lavorava per conto del comune patron Joseph Smith — la adattò alla propria sensibilità trasformando questo strumento tecnico in geniale mezzo espressivo. Nascono così i tagli falcati delle acque, il gioco delle linee dei cieli sinuosamente parallele che sovente si infrangono in aggruppamenti spumeggianti e quel generale effetto di instabilità "riflessata" che sembra quasi far vacillare le immagini. L'album delle acqueforti di Antonio Canal, eseguito in un momento di intenso ripiegamento lirico, costituisce un episodio di grande rilievo nell'arte europea del XVIII secolo ed esprime una felicità inventiva che non sarà mai più raggiunta dal maestro veneziano nemmeno nelle sue più alte creazioni pittoriche. Come si è accennato, nel 1744 Bellotto effettuò un viaggio in Lombardia che segnò la svolta decisiva nella sua vicenda artistica: il soggiorno a Milano, dove dipinse tre vedute raffiguranti Il palazzo dei Giureconsulti e il Broletto Nuovo (Succi 1991, p. 50), Le chiese di Sant Eufemia e di San Paolo Converso, già nella collezione del cardinale Pozzobonelli, e Il Castello Sforzesco (Mazzocca, Morandotti 1999, nn. 1, 4), si alternò con soste nell'hinterland, a Vaprio d'Adda e a Gazzada.

 

 

5 - Bernardo Bellotto, Vaprio e Canonica verso nord-est, 1744. New York, Metropolitan Museum of Art

 

 

6 - Bernardo Bellotto, Vaprio e Canonica verso sud, 1744. Roma, collezione privata

 

Le prime vedute della campagna lombarda sono quelle raffiguranti Vaprio e Canonica verso nord-est, oggi al Metropolitan Museum of Art (fig. 5), e il pendant in controcampo Vaprio e Canonica verso sud, di collezione privata romana (fig. 6). I due quadri vennero eseguiti per il conte Antonio Simonetta e per sua moglie Teresa Castelbarco, il cui salotto era uno dei più frequentati di Milano. «Lo studio del conte Simonetta — scriveva Charles de Brosses il 16 luglio 1739 (1973, p. 63) — è molto ben sistemato, sia per i libri, sia per i quadri, per lo più di scuola lombarda [...]. Il conte Simonetta è un giovane molto gentile con gli stranieri e non privo di conoscenze e di cultura. La contessa sua moglie [...] possiede la più bella casa di Milano.. Sembra possibile attribuire a questa coppia raffinata la responsabilità del viaggio in Lombardia di Bellotto, al quale venne commissionata l'esecuzione delle vedute raffiguranti l'ameno sito lungo il fiume Adda in cui si trovava la loro vasta tenuta agricola, il "Tenimento Monasterolo". I due dipinti, che denunciano nell'impostazione convenzionale della ripresa prospettica una dipendenza dagli schemi consueti del vedutismo, sono fortemente caratterizzati dall'infelice collaborazione di un altro artista di gusto rococò. Gli interventi di questo pittore riguardano l'albero sporgente a destra con fastidioso effetto scenografico, tutte le leziose macchiette (con la sola eccezione del cavallo e del cavaliere visibili nel dipinto al Metropolitan e della lavandaia nel pendant, una vasta area dei cieli trascoloranti e pesantemente "incipriati", secondo la definizione di Kozakiewicz. La collaborazione fu certamente imposta dal committente, il quale potrebbe forse aver chiesto l'intervento — come suggerito da Sergio Marinelli — di Mattia Bortoloni che a quel tempo stava affrescando a Cavenago la villa Rasmi. I due disegni corrispondenti, conservati al Hessisches Landesmuseum di Darmstadt, sono importanti non solo per le iscrizioni autografe di Bellotto attestanti l'esecuzione dei dipinti per il conte Simonetta nel 1744, ma anche perché — la circostanza non è mai stata rilevata — documentano il progetto originario di Bellotto, senza le manipolazioni del collaboratore (Kozakiewicz 1972, nn. 84, 89). Infatti nel disegno relativo alla veduta del Metropolitan l'albero è molto meno ingombrante e vicino ad esso compaiono poche macchiette di gusto realistico. Nell'altro disegno il primo piano a sinistra è occupato da una lingua di terra sulla quale è raffigurato l'artista alle prese con una camera ottica: nel dipinto questa parte è stata stravolta, sostituita dal terrapieno sopraelevato sul fiume, dalla tenda e dalle figure artificiosamente atteggiate, cromaticamente dissonanti.

 

 

7 - Bernardo Bellotto, Capriccio con ponte su un fiume, 1744. Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza

 

Un'altra collaborazione con lo stesso ignoto artista, finora non rilevata dagli studiosi, è riscontrabile nel Capriccio con ponte su un fiume del Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid (fig. 7), caratterizzato da un complesso assemblaggio di elementi compositivi parzialmente desunti dalla realtà. Il dipinto presenta un evidente collegamento con il disegno di Bellotto conservato al Museum Boymans-van Beuningen di Rotterdam, databile tra il 1742 e l'inizio del 1743 (ivi, n. 110), in cui sulla riva destra del fiume compaiono, dopo alcune case parzialmente nascoste da un muro, il palazzo di un ammiraglio e la torre del castello di Ezzelino a Padova. Il disegno di Bellotto ricalca un disegno del Canaletto della collezione Smith, oggi a Windsor Castle (Parker 1948, n. 86, tav. 58), la cui prima idea si trova in un altro disegno canalettiano, pure a Windsor, nel quale il campo visivo è limitato alla riva sinistra del fiume includendo le case recintate dal muro, il palazzo nobiliare posto perpendicolarmente al fiume, la torre di Ezzelino e due arcate del ponte, con esclusione di elementi di fantasia (ivi, n. 85, tav. 57). Quest'ultimo disegno sembra ripreso dal vero ed è databile al 1742, al tempo del soggiorno di Antonio Canal a Padova e lungo la riviera del Brenta.

Il dipinto di Bellotto del Museo Thyssen-Bornemisza, si differenzia dal disegno di Rotterdam in vari dettagli, come l'ampliamento dell'alveo del fiume, le aggiunte della torre, delle barche e delle lavandaie a destra nonché del paesaggio prealpino sullo sfondo. Secondo Marini (1990, p. 92) il paesaggio ricorderebbe le Prealpi lombarde mentre la torre «trova precisi riscontri in quella detta di Bona Savoia, che domina la piazza d'armi del Castello Sforzesco a Milano. Questi elementi consentono di stabilire una precisa collocazione cronologica del dipinto, situandone l'esecuzione non «fra il 1740 e il 1742» come pensava Kozakiewicz, né intorno al 1745 come ipotizzato da Marini, ma nel 1744 all'inizio del soggiorno in Lombardia e nella cerchia delle committenze del conte Simonetta. La proposta trova conferme oggettive nelle evidenti affinità stilistiche e cromatiche — come la resa dell'increspatura dell'acqua e lo sfondo con sfumature rosate — con la veduta raffigurante Vaprio e Canonica verso nord-est del Metropolitan di New York, eseguito nel 1744.

In entrambe le tele le macchiette sono addebitabili a quell'anonimo artista di cultura rococò la cui collaborazione con Bellotto è circoscritta a questi due quadri e, come si è visto, alla veduta di Vaprio e Canonica verso sud.

Una veduta di Vaprio e Canonica verso nord-est proveniente dalla collezione del cardinale Giuseppe Pozzobonelli (Bona Castellotti 1991, p. 133), sconosciuta a Kozakiewicz, è recentemente riapparsa in una vendita a Londra.4

 

 

8 - Bernardo Bellotto. Vaprio Canonica verso nord-est, 1744. Collezione privata

 

 

Il dipinto, firmato in lettere capitali «BERNARD.° BELLOTT.° DET.° IL CANALETTO» (fig. 8), coincide perfettamente, come dimostra la presenza della coppia elegante con l'ombrellino, con un disegno conservato al Museo Nazionale di Varsavia che Kozakiewicz (1972, n. 86) erroneamente riteneva preparatorio per un'altra veduta di Vaprio, già in Irlanda nella collezione del duca di Abercon, nella quale manca il dettaglio dell'ombrellino. Come nei due disegni di Darmstadt, questo foglio – anch'esso proveniente dal fondo di bottega dell'artista – reca in calce una scritta autografa a penna «Vista di Vaver Fatta da Bernardo Bellotto de:° il Canaletto», mentre un'annotazione a matita ne indica l'ubicazione: «quadro si trova a Dresda».

 

 

5 - Bernardo Bellotto, Vaprio e Canonica verso nord-est, 1744. New York, Metropolitan Museum of Art

 

Il dipinto Pozzobonelli presenta un'impostazione prospettica più salda, molto meglio articolata e ariosa, rispetto alla precedente veduta di Vaprio e Canonica verso nord-est eseguita per il conte Simonetta (fig. 5). La veduta panoramica pone in risalto la bella villa del principe Antonio Maria Melzi d'Eril, visibile a sinistra, tra i cipressi, alla sommità di un'orangerie terrazzata, dalla quale si godeva una stupenda vista sul naviglio Martesana (il canale progettato da Leonardo che portava fino a Milano), sulla confluenza dell'Adda con il Brembo e sulla campagna circostante. Le caratteristiche stilistiche più evolute nella resa dei vari elementi compositivi, la finissima gamma cromatica tendenzialmente fredda, la resa del movimento dell'acqua, confermano una collocazione cronologica che, pur rimanendo compresa entro il 1744, è posteriore di qualche tempo rispetto al pendant Simonetta.

Da Vaprio il pittore si spostò a Gazzada, verosimilmente ospite nella villa di Gabrio e Giuseppe Perabò, due nobili varesini che erano in stretti rapporti con il cardinale Pozzobonelli, dal quale era venuta a Bellotto anche la commissione della veduta milanese con le chiese di Sant'Eufemia e di San Paolo Converso.

 

9 - Bernardo Bellotto, Veduta di Gazzada, 1744. Milano, Pinacoteca di Brera

 

10 - Bernardo Bellotto, La villa Perabò Melzi a Gazzada, 1744. Milano, Pinacoteca di Brera

 

 

Fu dunque per la famiglia dei Perabò e non per quella dei Melzi, divenuti proprietari della villa solo nel 1838 come è stato recentemente chiarito (Olivari 1999, p. 219) che Bellotto eseguì la Veduta di Gazzada e La villa Perabò Melzi a Gazzada (figg. 9-10), due capolavori assoluti in cui la poesia delle umili case quasi aggrappate alla chiesa e immerse nella elegiaca bellezza della natura circostante viene esaltata dalla qualità contingente, transeunte, di una luce che imprime alle composizioni accenti quasi surreali, ben diversi dalle atmosfere immobili e traslucide dei cieli canalettiani eternamente sereni.

 

 

1 - Bernardo Bellotto, I molini sul Brenta a Dolo.

 

La tessitura brunastra dei tetti della villa padronale, della chiesa e delle case rustiche, così affine – anche nei valori luministici e nella particolare adesione sentimentale – a quella che vivifica la veduta con i "molini" sul Brenta (fig. 1), si accende di stille dorate sotto l'algore latteo della immensa distesa celeste. L'artista ha saputo fondere coerentemente la grandiosità dell'impaginazione panoramica abilmente scandita dalla successione di piani paralleli, con il sorprendente rilievo dato agli umili elementi compostivi collocati vicinissimi all'occhio dell'osservatore: la casa colonica con il muretto sbrecciato, la sfilata dei panni posti ad asciugare su fili tesi tra paletti conficcati nel terreno, poche figure di popolane e di contadini accomunati dalla fatica e dal tedio di una vita quotidiana che fluisce lenta e monotona.

La novità di queste due vedute sta anche nella forza incisiva della descrizione, nella stesura materica cromaticamente controllata che imprime alle case, agli alberi dalle chiome frementi, ai profili lontani dei monti spruzzati di neve, una intonazione lucida, un movimenta lento e solenne con effetti di verità stregata.

Lasciando la terra di Lombardia, Bellotto era forse consapevole di aver fatto il viaggio più importante della sua vita, quello che lo aveva indirizzato sulla via della scoperta di se stesso e della propria identità artistica. Il pittore poteva aggiungere nella cartella dei disegni di Venezia, che già formavano il prezioso fondo della sua bottega, i tre fogli con le vedute di Vaprio, corredandoli con annotazioni di proprio pugno a futura memoria, come quella che recita: «copia del quadro vedutta di Vaver fatta per S. E. il Sig.r Cav. Antonio Simoneta Milanese di Bernardo Bellotto d.° il Canaletto l'Anno 1744».

Proprio questi disegni vennero utilizzati dall'artista qualche tempo dopo per l'esecuzione di altre due vedute di Vaprio di eccezionale livello qualitativo che, a lungo conservate in Irlanda nella collezione del duca di Abercon, Baron's Court (Kozakiewicz 1972, nn. 85, 88). dopo essere passate in vendita presso ChristiÈs il 13 dicembre 1991, costituiscono oggi il vanto di una collezione milanese.

 

 

11 - Bernardo Bellotto, Vaprio e Canonica verso nord-ovest, 1747-1748. Milano, collezione privata

 

12 - Bernardo Bellotto, Vaprio e canonica verso sud, 1747-1748. Milano, collezione privata

 

 

Le tele, raffiguranti Vaprio e Canonica verso nord-ovest e Vaprio e Canonica verso sud (figg. 11-12) sono state sempre, anche in tempi recenti (Olivari 1999, p. 220; Beddington 2001, nn. 29-30), datate «intorno al 1744» seguendo in maniera acritica l'indicazione fornita da Kozakiewicz (1972, nn. 85, 88). Ma la maturità stilistica e la potenza espressiva di questi dipinti di una bellezza incantevole e incantata, la brillante luminosità dei pigmenti, la fluida e limpida resa dell'atmosfera rarefatta e delle acque cristalline, il saldo e stringente rigore compositivo stanno a indicare che le due vedute, proprio perché «più magicamente vere» di quelle precedentemente eseguite a contatto immediato con i luoghi, vennero replicate dal pittore quando ormai le immagini dell'Adda, di Vaprio, di Canonica e di Gazzada erano solo un ricordo nostalgico.

Anche alcuni elementi esterni, come le dimensioni (molto più piccole – 47x71 cm – rispetto alle precedenti versioni eseguite per il conte Simonetta e il cardinale Pozzobonelli, che, misurando 64x99 cm, risultano in stretto collegamento con il formato delle due vedute di Milano di formato orizzontale) avvalorano l'ipotesi di una datazione al 1747-1748 quando l'artista era ormai lontano dall'Italia, a Dresda, come indica senza possibilità di equivoci la scritta che il «quadro si trova a Dresda» apposta sul disegno conservato a Varsavia.5

 

 

Dario Succi

 

 

NOTE

1 Kowalczyk (1995, p. 72) ha rettificato la data del 30 gennaio 1721 precedentemente accettata dagli studiosi.

2 Il recente tentativo di Kowalczyk (2001, pp. 5-9) di identificare le due vedute di piazza San Marco della galleria Schulenburg con il pendant già nella collezione Féderic Spitzer è palesemente infondato. Stilisticamente infatti i due dipinti, come ho già avuto occasione di scrivere (Succi 1999, p. 37) sono databili verso la fine del 1741 e sono ben diversi da quella veduta con Il Canal Grande dal palazzo Foscari alla chiesa della Carità del Nationalmuseum di Stoccolma che la stessa studiosa (2001, p. 4) giustamente — ma in palese contraddizione filologica — riferisce all'inizio del 1740 sottolineandone l'incertezza della tecnica e la rigidità della prospettiva. È impossibile che Bellotto abbia dipinto opere tanto differenti — per tecnica esecutiva e valori luministici — a distanza di qualche mese.

3 La eccezionale serie di vedute di Bellotto che si trovava a Castle Howard si componeva di quindici tele, non di diciassette come avevo ipotizzato (Succi 1999, p. 71) tirando le conclusioni di una lunga e complessa ricerca su quella prestigiosa collezione che in precedenza era stata quasi del tutto negletta dagli studiosi. Infatti le due vedute dell'entroterra veneziano che, provenienti direttamente da Castle Howard, vennero vendute da Sotheby's il 10 maggio 1922 come "Canaletto" sono state identificate, sulla base dei precisi elementi da me forniti (Kowalczyk 2001, p. 13) nel pendant di Cimaroli che fu esposto nella mostra su Luca Carlevarijs allestita nel Palazzo della Ragione a Padova (Succi 1994[a], nn. 92-93). Questa precisazione lascia intatta l'importanza europea della straordinaria collezione di quaranta vedute veneziane che Earl of Carlisle aveva potuto dispiegare a Castle Howard.

4 ChristiÈs, 3 dicembre 1997, n. 90.

5 Il disegno del Museo Nazionale di Varsavia raffigurante Vaprio e Canonica verso nord-ovest non è, come pensavano Kozakiewicz (1972, n. 86) e Olivari (1999, p. 220), preparatorio della corrispondente veduta, oggi in collezione milanese, ma va riferito alla versione Pozzobonelli, come dimostra in maniera eloquente la presenza della coppia elegante con l'ombrellino che è visibile solo nell'esemplare eseguito per il cardinale. Tuttavia lo stesso disegno venne utilizzato da Bellotto anche per la replica di formato più piccolo, eseguita a Dresda per uno sconosciuto committente. In questo senso trova una spiegazione logica l'iscrizione a matita «quadro si trova a Dresda' che va riferita alla veduta di formato più piccolo e che venne aggiunta in un momento successivo alla dicitura a penna — «Vista di Vaver  fatta da Bernardo Bellotto de.° Canaletto. — che venne scritta con puntuale riferimento alla versione Pozzobonelli.