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Bernardo Bellotto

La Hofkirche di Dresda con il castello e il ponte di Augusto

Olio su tela, cm 134 x 231

Torino, Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli

 

 

A Dresda, in una giornata assolata di metà Settecento, la vita comune trascorre placida e serena. Popolani, nobili e borghesi passeggiano sopra il ponte sull’Elba o conversano nella piazza del castello, incuriositi forse dai lavori per la costruzione della nuova Hofkirche, la chiesa cattolica voluta dal regnante Augusto III di Polonia. L’arrivo improvviso della carrozza reale, preceduta e seguita da guardie a cavallo, accende immediatamente l’interesse dei più devoti che subito salutano con deferenza, abbassando il capo o sventolando un fazzoletto.
L’autore di questa veduta è il pittore veneziano Bernardo Bellotto, figlio di Fiorenza Canal, sorella del celebre Canaletto. Formatosi presso la rinomata bottega dello zio, il giovane rivela subito le proprie qualità, tanto che lo stesso Canaletto lo invita a recarsi a Roma per completare la formazione, viaggio peraltro di prammatica per i vedutisti veneziani. Nel 1744 è documentato in Lombardia, mentre l’anno successivo si trova a Torino, dove Carlo Emanuele III, duca di Savoia e re di Sardegna, gli commissiona due importanti vedute, una con il Palazzo Reale, l’altra con il vecchio ponte sul Po, oggi entrambe conservate alla Galleria Sabauda. In queste opere l’artista sfoggia un linguaggio autonomo, ormai del tutto affrancato da quello dell’illustre maestro. Pur condividendone la concezione illuminista di fondo e continuando a filtrare la realtà entro tagli prospettici di sottile esattezza geometrica, genera un preciso realismo descrittivo, la cui nitida e immobile fissità dell’atmosfera, quasi raggelata, si differenzia alquanto dal raffinato pulviscolo dorato che avvolge le vedute canalettiane.
Quando poco dopo nel 1747 Bellotto lascia Venezia per Dresda, con la moglie, il figlioletto e il fedele servitore al seguito, “lo fa con l’animo di chi abbandona per sempre la propria patria” (Rizzi 1995). Secondo la tradizione infatti i rapporti con lo zio non dovevano essere dei migliori. Canaletto, ricordato da un contemporaneo come “avido e ingordo”, è prevedibile fosse un poco invidioso della posizione che andava maturando il nipote, il quale, peraltro, viene descritto spesso malinconico al limite della depressione. In una lettera inviata dal collega Giuseppe Rosa, la moglie viene descritta “con le lagrime a gli occhij di alegreza solo desiderando di sapere se il marito sia libero della sua avuta malinconia”. Ad ogni modo i due non si rividero più. La chiamata a Dresda, mentre Canaletto era impegnato in Inghilterra, dovette apparire a Bellotto l’occasione favorevole per affermare la propria personalità artistica. Tuttavia in Sassonia egli continuò ad avvalersi del soprannome di “Canaletto”, agli inizi utilizzato di certo con il consenso dello zio-maestro.
Nel 1747 Bellotto giungeva quindi a Dresda, una città cosmopolita che patrocinava le arti e di conseguenza attirava numerosi artisti. La presenza italiana era cospicua. Primeggiavano l’architetto Gaetano Chiaveri, lo scultore Lorenzo Matielli, i pittori Pietro Rotari, Stefano Torelli e la friulana Felicita Sartori, già allieva a Venezia di Rosalba Carriera. La Sartori in quegli anni stava realizzando proprio a Dresda quelle opere in stile Rosalba che formano la base per la conoscenza della sua attività. Tale presenza, sia detto, non era certo casuale, poiché “l’italianizzante Dresda, nonostante il successivo fortunato appellativo di «Firenze sull’Elba» coniato dallo Herder, era soprattutto legata a Venezia, del cui «mito» era tutta informata, favorito esso da Augusto II il Forte e ancor più dal suo edonistico figlio Augusto III il quale vi aveva soggiornato come principe ereditario. [...] Di qui una predilezione artistica per tutto ciò che era veneziano, per cui Giannantonio Pellegrini aveva affrescato due padiglioni dello Zwinger e a Rosalba Carriera, della quale Augusto III era un accanito collezionista possedendone la bellezza di centocinquanta opere”, era dedicata una grande e luminosa sala (Rizzi 1995). A Dresda inoltre vi era, per così dire, di casa, il venezianissimo quanto cosmopolita Giacomo Casanova, dimorandovi stabilmente la madre, nota attrice.
Chiamato ad illustrare con alcune vedute la rinnovata città sassone, Bellotto ottenne, appena giunto, lo stipendio più alto che Augusto III avesse mai concesso ad un artista. Probabilmente tale riconoscimento gli fu accordato grazie all’appoggio del primo ministro, il conte Heinrich Brühl, anch’egli appassionato collezionista. “L’artista, gratificato di un così alto stipendio, dovette sentirsi obbligato a fornire al conte una serie di vedute simile a quella del re, quale segno di riconoscenza per la preferenza accordatagli; in tal modo si capirebbe anche il prezzo bassissimo (e del resto mai pagato) concordato per ogni quadro” (Kozakiewicz 1972). Bellotto quindi, durante il suo primo soggiorno a Dresda, appena terminata una veduta per Augusto III, veniva subito incalzato dall’onnipotente primo ministro per replicala in egual formato, vittima, si direbbe, dell’antagonismo collezzionistico dei due inseparabili uomini di governo. Ma l’amatore difficilmente tollera la mera replica, e Bellotto ovviamente differenziava le due versioni. Se quella reale infatti è caratterizzata da un cromatismo modulato su tonalità grigio-brune, la Brühl si qualifica per una gamma cromatica più vivace, orientata su una dominante rosso-blu (Kozakiewicz 1972). Tale variante, suggerita probabilmente dallo stesso ministro, non fu una soluzione occasionale attuata per compiacere il potente ministro, ma venne ripresa dall’artista nelle successive vedute di Pirna e, diversi anni dopo, in quelle di Varsavia.
L’opera in esame, conservata presso la Pinacoteca Agnelli di Torino, fa parte della serie che tra il 1747 ed il 1755 Bellotto eseguì per il conte Brühl. Allentata la ricerca atmosferica del Canaletto, il pittore indugia nella caratterizzazione prospettica della veduta, portandola ad una grandiosità d’impianto veramente panoramica. Essa “spazia dagli elevati Giardini Brühl del bastione della Vergine – l’odierna Brühlsche Terrasse – in direzione della piazza del Castello e del ponte di Augusto” (Weber 2001). Il punto di vista è studiato per conferirle ampiezza e profondità. La regia luministica, padroneggiata con maestria, è in funzione della scena rappresentata. Mantenendo infatti il primo piano in ombra, il pittore direziona lo sguardo verso l’ingresso in scena della carrozza, punto focale dell’intera composizione. La gelida luce vitrea, che delimita nettamente i chiari dagli scuri, genera però un’atmosfera immobile, cristallina, che di fatto raggela e neutralizza anche l’impeto spavaldo dei cavalli al galoppo. Trionfa insomma una concezione serena, dove lo spiccato senso panoramico, conferisce alla veduta un’autentica monumentalità. “Grazie all’impianto ordinato della composizione, all’armonia degli effetti coloristici e chiaroscurali, nonché alla profonda poesia, le cose viste obiettivamente appaiono come realtà del nostro mondo, riempita di vita quotidiana, e nello stesso tempo sono come respinte nella fissità senza tempo di un’altra sfera di eterna pace” (Kozakiewicz 1972).
Va infine notato, come l’analitica precisione disegnativa della sua pittura si allontani sempre più dalle effusioni rococò, virando verso un classicismo impassibile di linea e contorni, in certa misura già ottocentesco.
 


Daniele D'Anza
 


Bibliografia:
F. Pedrocco, scheda in Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli al Lingotto, Ginevra-Milano 2002, p. 48
A. Rizzi, Bernardo Bellotto. Dresda Vienna Monaco (1747-1766), Venezia 1995, p. 38
E. Camesasca, L’opera completa di Bernardo Bellotto, Milano 1974, n. 82
S. Kozakiewicz, Bernardo Bellotto, Milano 1972, I, p. 85, 100-102, 107. II, p. 122
Bernardo Bellotto genannt Canaletto, catalogo della mostra, Wien 1965, pp. 17, 100  
Bernardo Bellotto genannt Canaletto in Dresden und Warschau, catalogo della mostra, Dresden 1963, pp. 22, 79
E. Sindona – F. Russoli, Galleria della pittura europea, Milano 1961, p. 156
G. Frabetti, Milano: mostra del Settecento veneziano, in “Emporium”, CXXI, n. 726, 1955
Mostra del Settecento veneziano, catalogo della mostra, Milano 1955, p. 19
Exhibition of Works by the Old Masters, and by Deceased Masters of the British School, Winter Exhibition, London 1894, n. 107
 
Per la versione “reale”, custodita a Dresda (Gemäldegalerie Alte Meister), si rinvia a G. J. M. Weber, scheda in Bernardo Bellotto (1722-1780), catalogo della mostra a cura di B. A. Kowalczyk e M. da Cortà Fumei, Milano 2001, p. 154

 

 

Un sentito ringraziamento alla direzione della  Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli  per averci fornito le immagini e concesso la pubblicazione Online dell'opera.