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Daniele D'Anza - Giorgio Catania

 

 

LEONARDO, PALLADIO E L'ARCHETIPO GEOMETRICO

DELLA QUADRATURA DEL CERCHIO

 

 

 

 

 

 

      Il famoso disegno di Leonardo da Vinci custodito a Venezia presso le Gallerie dell’Accademia, noto come L’uomo vitruviano, esprime l’ideale delle perfette proporzioni del corpo umano e al contempo registra la “fatale irruzione” di un’immagine archetipica. Esso richiama, nella correlazione armonica con le figure del quadrato e del cerchio, alcuni archetipi geometrici universali. È stato giustamente notato come in questo caso affiori la teoria alchemica del microcosmo e macrocosmo, per cui l’homo ad circulum e l’homo ad quadratum del De architettura di Vitruvio possono sovrapporsi (Elettrico). Riprendere Vitruvio, peraltro, vuol dire accogliere la sua concezione dell’ars muratoria, fondata sull’armonia delle proporzioni e sulla corrispondenza tra la natura e le costruzioni architettoniche: un’armonia insita nelle forme naturali che si riverbera in quelle ideate dalla mente umana. Colti misuratori dello stile antico, gli architetti rinascimentali ricercarono la “misura” del monumento, avvalendosi sovente di quella “divina proporzione” insita nella “sezione aurea” ed espressa in matematica nella serie di Fibonacci. Raccoglitori di un capitale culturale disperso, essi ricondussero l’uomo al centro dell’universo, non più slancio verso l’alto ma scavo interiore, nella consapevolezza che la scintilla divina si nasconda in natura, manifestandosi nella resa armonica delle proporzioni. Verità presenti nei testi di Vitruvio, il quale, nel suo libro sull’Architettura, a tal proposito, così si esprime: “L’ombelico è il centro del corpo umano, poiché se si collocherà l’uomo supino con le mani e i piedi distesi e si farà col compasso centro dell’ombelico, tirando un circolo, le dita d’ambo le mani e dei piedi distesi toccheranno la circonferenza […]. Del pari trovasi nel corpo la figura quadrata, perché se dalla base dei piedi si misurerà fino alla cima del capo e quella figura sarà rapportata alle mani distese, si troverà la larghezza uguale all’altezza, allo stesso modo di quei piani che sono esattamente quadrati”.

 

Lo studio delle proporzioni dell’uomo impostato da Vitruvio segnò profondamente la cultura dell’epoca. Si conoscono, infatti, altri disegni volti a esplicitare la concezione dell’uomo come centro dell’universo (si riportano di seguito gli esempi delineati da Cesare Cesariano nel suo Di Lucio Vitruvio Pollione de Architectura libri dece traducti de latino in vulgare del 1521 e da Carlo Urbini).

 

 

 

Leonardo

Carlo Urbini

Cesare Cesariano

  

                                                                       

La realizzazione di queste potenti raffigurazioni, altamente evocative, fiorì su un terreno reso fertile anche dalle speculazioni matematiche del celebre frate francescano Luca Pacioli (Borgo San Sepolcro 1445 ca. –  Roma 1517).

 

Pacioli fu a Milano tra il 1496 ed il 1499, “ali stipendi” di Ludovico Maria Sforza, detto il Moro, in qualità di pubblico lettore di matematica presso le Scuole palatine. Risale a quegli anni la stesura del suo Compendio de la divina proportione, pubblicato a Venezia nel 1497 e poi ristampato nel 1509 da Paganino Paganini. Nella realizzazione di tale opera, l’eminente matematico si avvalse delle competenze artistiche di Leonardo, anch’egli presente a Milano, il quale per l’occasione fornì i disegni dei poliedri che adornano il trattato. A tale frequentazione fa più volte riferimento il frate nei suoi scritti e d’altra parte Leonardo lesse e studiò l’opera del borghigiano, approfondendo grazie a lui le proprie conoscenze matematiche; egli stesso nel Codice atlantico dichiara, tra l’altro, di avere speso “119 [soldi] in aritmetrica di maestro Luca”, o ancora, “Impara la multiplicatione de le radice da Maestro Luca”. Nella Milano di fine Quattrocento si instaurò quindi un sodalizio estetico-matematico evidentemente fruttuoso per entrambi. Entrambi peraltro rievocarono l’archetipo geometrico della quadratura del cerchio: lo stesso Pacioli, nel suo trattato, ricorda infatti come il cerchio che iscrive un quadrato si leghi fortemente all’idea del sacro e alla sua rappresentazione architettonica, ossia il tempio.

“E per questo li antichi, considerata la debita posizione del corpo umano, tutte le loro opere, maxime li templi sacri, a la sua proporzione le disponevano, perocché in quello trovavano le doi principalissime figure senza le quali non è possibile alcuna cosa operare, cioè la circular perfettissima e di tutte l'altre isoperimetrarum capacissima, come dici Dionisio in quel De sphaeris, l'altra la quadratura equilatera”

 

La divina proporzione e la suddetta correlazione armonica con le figure del cerchio e del quadrato furono quindi adottate nella costruzione di molti tra i più importanti edifici rinascimentali, tra questi la villa-tempio de La Rotonda alle porte di Vicenza, pensata da Andrea Palladio come specchio di un ordine e di un’armonia superiori e per questo impostata entro quell’archetipo universale rappresentato dalla quadratura del cerchio. Tali divine corrispondenze si ritrovano anche nella resa di elementi “minori” dell’edificio, quali i capitelli: ne è testimonianza il disegno del capitello ionico inserito dallo stesso Palladio nel suo trattato I quattro libri dell’Architettura.

 

 

 

Pianta e alzato della villa La Rotonda con evidenziate le proporzioni geometriche

 

 

Disegno di capitello ionico presente ne I quattro libri dell’Architettura di Andrea Palladio (1570)

 

 

“Alla base di questa idea troviamo la visione del pensiero greco ripresa dal Rinascimento che, nella distinzione tra terra e cielo, solo quest'ultimo nella sua perfezione è precisamente regolato da leggi matematiche e geometriche, mentre il mondo elementare rimane di per se assolutamente privo di questa esattezza. Ed è l'arte che impone la perfezione alla natura attraverso l'impiego della tecnica: per questo l'uomo sarebbe posto al centro come punto di unità potenziale tra cielo e terra, proponendosi come unione tra la perfezione di pianeti e costellazioni e la perfettibilità del mondo elementale. Lo stesso Vitruvio insisterà su ciò che costituisce la forma superiore di arte, quella che cioè si prefigge di rappresentare gli oggetti così come dovrebbero essere (De architectura, VII, 5,1). Questo concetto astrale e ad un tempo mentale dell'arte verrà ripreso da Plotino, per il quale gli dei pensano per belle immagini, ritenendo pertanto questa la forma superiore di pensiero (Enneadi, V, 8,6) e dallo stesso Leonardo, che considerò la pittura come «cosa della mente, anzi filosofia»” (Elettrico).

 

Ritornando ad analizzare il disegno di quest’ultimo, non si può non rilevare come in quello consimile di Cesariano l’uomo appaia inserito in un ingranaccio, dove cerchio e quadrato e quindi cielo e terra, risultano perfettamente sovrapponibili, braccia e gambe aperte con il centro fissato all’altezza dell’ombelico della figura, mentre nel disegno leonardesco, l’uomo adotta due posizioni, una più statica, l’altra più dinamica. In più, a ben vedere, “il quadrato non si trova centralmente inscritto nel cerchio, bensì disassato e spostato verso il basso in una posizione non casuale ma ben precisa dove il punto d’incontro delle diagonali coincide con i genitali dell’uomo. Genitali che qui indicano l’origine fisica, come l’ombelico indicava quella spirituale” (Gramigna). Tale sfasatura non fu certo casuale, ma attuata nell’intenzione di sottintendere due dimensioni diverse, una fisica, l’altra metafisica: sfasatura del quadrato con il cerchio e conseguente duplicazione della posa, ora statica ora dinamica. In quest’ultima variante, a braccia e gambe aperte, egli sembra rievocare la figura archetipica della ruota, che in arte conobbe un recupero con Marchel Duchamp.

Tradizionalmente il cerchio simboleggia la sfera celeste, ossia l’origine soprannaturale dell’uomo, mentre il quadrato definisce il suo destino terrestre. Date queste premesse l’analisi dell’opera induce ad affermare che, nella quadratura del cerchio, la dinamicità delle sfere celesti si armonizza alla terrestre staticità del quadrato, al contempo il fluire ciclico della vita sensoriale troverebbe un argine nella fermezza di quella contemplativa. L’archetipo geometrico, con la sua ambiguità al limite del paradosso, trova così compimento nella sovrapposizione di queste due essenziali figure geometriche, mentre la presenza umana si carica di significati cosmologici. Il simbolo che ne scaturisce esprime un contenuto inconscio presagito ma ancora sconosciuto. La piena e armoniosa integrazione dell’uomo entro il “cerchio dell’esistenza eterna” sembra stridere infatti con l’espressione corruciata, “angosciata” del volto di questo possibile autoritratto. Tale espressione rinvia a uno stato d’angoscia tipico di chi entra in contatto diretto con una forza archetipica tremendamente estasiante che spezza il cuore e che non sempre l’uomo è in grado di gestire. “Il fatto di soggiacere alle immagini eterne è cosa in se normale. È per questo che esse esistono. Devono attirare, convincere, affascinare e sopraffare, poiché sono create con il materiale primigenio della rivelazione e rappresentano la sempiterna esperienza della divinità, di cui hanno sempre dischiusco all’uomo il presentimento, proteggendolo contemporaneamente dal contatto diretto con essa” (Jung). Tale presentimento, inizialmente percepito come un atroce senso di vuoto gelido, induce l’uomo ad affermare: “Io sono uscito dal cerchio che ruota […] ho messo piede su ciò che è solido, l’ho preso e salvato dal moto dell’onda, dal ciclo delle nascite e dalla ruota vorticosa dell’infinito accadere” (Jung).

 

 

Daniele D'Anza - Giorgio Catania

(marzo 2013)

 

 

 

 

BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO:

Il Codice Atlantico di Leonardo da Vinci nella Biblioteca Ambrosiana di Milano, Milano, Hoepli, 1894-1904;

I manoscritti e i disegni di Leonardo da Vinci - Codice Arundel L 631, 4 voll., Roma, Danesi, 1923-27;

E. Cassirer, Individuo e cosmo nella filosofia del Rinascimento (1927), Firenze, La Nuova Italia, 1935;

G. Fumagalli, Leonardo «omo sanza lettere», Firenze, Sansoni, 1938;

K.M. Clark, Leonardo da Vinci; An account of his development as an artist, Cambridge U.P., 1952;

A.M. Brizio, Scritti scelti di Leonardo da Vinci, Torino, Utet, 1952;

G. Saitta, Il pensiero religioso di Leonardo da Vinci, in «Giornale critico della filosofia italiana», luglio-settembre 1953;

Filosofia delle forme simboliche (1923), tr. it. di E. Arnaud, 3 voll., La Nuova Italia, Firenze, 1961; 

G. Rosolato, Léonard et la psychanalyse, in «Critique», febbraio 1964;

C. G. Jung, Simboli della trasformazione, Boringhieri, Torino 1965;

C.G. Jung, Opere, Torino, 1970;

T. Reik, Il rito religioso, studi psicanalitici, introduzione di S. Freud, Torino 1977;

C.G. Jung, Gli archetipi dell’inconscio collettivo, Boringhieri, Torino 1980;

M. Kemp, Leonardo da Vinci. Le mirabili operazioni della natura e dell'uomo (1981), tr. it., Milano, Mondadori, 1982;

F. Saxl, La storia delle immagini, Editori Laterza, Bari, 2005.


 

SITOGRAFIA:

 

M. Elettrico, Significati ermetici dell’Homo ad circulum di Leonardo

S. Gramigna, Lo straordinario messaggio di Leonardo nel disegno dell'uomo vitruviano