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Nicola Grassi (Formeaso 1682 - Venezia 1748) - lo stile pittorico 

  

 

 

 

Nicola Grassi è “una delle figure più interessanti della notevolissima branca friulana, e una di quelle che meglio prova come non si possa con giustizia passare al Rococò senza conoscere il Barocco” (Fiocco 1929).
“Se nelle lunette con il Cristo nell’Orto ed il Cristo deriso, di San Michele di Formeaso, il Grassi mostra rapporti con i modi pittorici e la tipologia adunca di Antonio Carneo, tutt’al più complicata da ricordi strozzeschi e fettiani, nei pennacchi con due Profeti e due Evangelisti (San Marco e San Luca) dell’Ospedaletto di Venezia, attestatigli dalle fonti, ed eseguiti tra il ‘15 ed il ‘16, il Grassi dichiara apertamente di accettare i modi chiaroscurali del Piazzetta, come del resto li accettava nella stessa chiesa il giovane Tiepolo, nei suoi Profeti e nel Sacrificio d’Isacco” (Pallucchini 1960).
Ancora debitrici verso la lezione chiaroscurale di Piazzetta e di Bencovich appaiono l’Agar e Ismaele e il Giuda e Tamar dei Musei Civici di Udine. “Due autentici capolavori [...] recuperati nella loro fragranza cromatica e di passaggi chiaroscurali, capaci di donarci ottimi brani di pittura: dalla spumosa pietra su cui si posa Tamar celata in un velo bianco pieno di variazioni tonali, ai contadini in lontananza – resi con un tocco leggero, compendiario – intenti nei lavori agricoli ai piedi di una montagna, fino, nell’altra tela, alla soprannaturale apparizione dell’angelo dalle grandi ali in dinamico dialogo a distanza con Agar, tra contrapposizioni di pose e zone macchiate dalla luce o dall’ombra. Il corposo panneggiare e l’amore per ampie superfici squadrate, cifre stilistiche tipiche dell’intera produzione del maestro, sono qui impreziositi da una pennellata ricca di materia, sapientemente modulata da effetti luministici” (Lucchese 2003).
La traiettoria progressiva dell’artista, apprese le novità squisitamente settecentesche della pittura veneziana, continua “senza perdersi nelle frivolezze amabili e cristalline di Giambattista Pittoni”. Grassi “raffina il suo canto e si effonde in quelle creazioni aggraziate e fresche che tanto somigliano alla musica contemporanea dei pur veneti Tartini e Buranello. Sempre largo e sugoso nella pennellata, arguto nei tipici visi satireschi, che si affacciano di sbieco, egli racconta le storie del Vecchio e Nuovo Testamento nel modo più originale e attraente. Sono le opere di questo periodo che, quasi sempre, si attribuiscono al Pittoni, con molto vantaggio per quest’ultimo, ma con grande ingiustizia per chi ne era stato iniziatore e continuava ad esserne il Sosia più dotato. [...] Novelle bibliche, galanterie pastorali, fidanzamenti rusticani dovevano piacere molto al montanaro schietto, e nelle due tele di Sezza [Udine] lo dimostra. Vediamo nell’una Rebecca al pozzo, un bel pozzo adorno da un bassorilievo all’antica come quello famoso dell’Amor sacro e profano del Vecellio, accogliere di buon garbo le offerte del vecchio fedele Eleazaro, per parte di Abramo e, certo con altri palpiti, per parte del fidanzato Isacco, mentre non lungi si accavallano le pecore, i cammelli allungano il ridicolo collo e i garzoni ascoltano con attenzione maliziosa; vediamo nell’altro Giacobbe dedicare le sue cortesie a Rachele, la seducente e prediletta pastorella figlia di Labano, e al suo gregge” (Fiocco 1929).
Nell’Assunzione della Vergine, realizzata per la chiesa della Sava a Jesenice in Slovenia (ora in deposito presso il museo locale), il pittore gioca “sulle intonazioni del bianco, del giallo, dell’ocra, del rosso spento e del contrastante colore azzurro. Grassi è riuscito a permeare tutta la composizione di una luce soffusa, raggiungendo effetti vicini alla pittura a pastello” (Šerbelj 1992). L’Adorazione dei Magi, realizzata verso il 1740 per la chiesa udinese di San Francesco (oggi in custodia presso i Musei Civici di Udine), è invece la sua “opera più ambiziosa per la complessità e la grandiosità della composizione” (Pallucchini 1960). Essa “si pone come il momento di massima esaltazione del valore timbrico dei colori portati a sorprendente splendore. È pittura rapida, quasi di getto nella quale si alternano ampie zone cromatiche, ombre portate, raffinate velature. L’impostazione della scena è monumentale e ha il suo perno nella grande figura della Vergine attorno a cui ruotano tutti i personaggi con vivacità e varietà di atteggiamenti tipicamente rococò” (Bergamini 2003).
“Un aspetto finora sconosciuto della produzione di Nicola Grassi è esemplificato da due straordinarie tele che si trovano nelle collezioni del Musée des Beaux-Arts di Bordeaux, catalogate come opere di un anonimo pittore venetiano del XVIII secolo, «à la maniere de Veronese»: un pendant di soggetto evangelico con l’Adorazione dei Magi e Cristo e L’adultera.
In esso, la maniera del pittore carnico si approssima vistosamente a quella del grande maestro cinquecentesco, senza tuttavia scadere a livello di copia pedissequa: ci troviamo piuttosto dinanzi a una personalissima reinterpretazione dello stile veronesiano, con licenza di includervi alcune maliziose citazioni di quelli che potevano apparire motivi-firma paoleschi. Il più evidente di essi e senza dubbio incastonato nel Cristo e l’adultera, dove la bimba che abbraccia il suo cagnolino, sulla destra, è ripresa pari pari dalla Cena in Emmaus del Bijmans Van Beuningen Museum di Rotterdam.[...] Le tele si rivelano dunque non esercitazioni giovanili, ma gustose contraffazioni eseguite per mettere alla prova l’occhio del conoscitore settecentesco, e forse addirittura per ingannare qualche collezionista - d'oltralpe, e da credersi – inesperto. Se così fosse, dovremmo rassegnarci a mutare un poco l’immagine idilliaca che avevamo dell’artista carnico, cristallino e ingenuo, «one of life’s natural innocents», e prendere atto che la sua etica professionale poteva rivelarsi, all'occasione, non meno elastica di quella di molti suoi colleghi, primi fra tutti i suoi dichiarati maestri, complici in alcuni non limpidissimi traffici di dipinti pseudo-antichi” (Piai 1997).
Ad ogni modo, l’esistenza di seguaci, come ad esempio Giovanni Francesco Pellizzotti, testimonia l’importanza e la diffusione dell’opera di Nicola Grassi "nella Carnia del Settecento. La complessità culturale del pittore trapiantato fin da giovanissimo a Venezia, ma sempre in contatto con la propria terra, viene filtrata in un linguaggio più piano, quasi popolaresco per non dire sordo. [...] Le figure diventato tozze e impacciate, i volti volgono alla squadratura, i gesti sono freddi e statici” (Lucchese 1998).
Va detto infine che Zanetti (1771) ricorda l’artista come “valente pittore di ritratti che dipinse con un bel maneggio di colori, con vaghezza e con lucidità”, mentre Lanzi (1795) lo dichiara addirittura “competitore della Rosalba [Carriera]”. Il Ritratto di Giacomo Linussio (Tolmezzo, Museo Carnico Arti e Tradizioni Popolari), oltre a certificare il legame tra l’industriale manifatturiero ed il pittore, palesa un’aderenza a moduli propri a un altro grande artista friulano, Sebastiano Bombelli.

 

 

Daniele D'Anza

 

aprile 2005