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Schede per Antonio Carneo e Nicola Grassi

 

 

 


Alcune fortunate trouvailles mi consentono di riprendere i 'ragionamenti' su 'Antonio Carneo' e 'Nicola Grassi', le cui nuove emergenze figurative, pur non modificando i profili delineati in questi ultimi anni, legittimano riscontri e controprove di indiscutibile interesse, specifico e contestuale.
Temperamento focoso e appassionato, Carneo riesce a sollevare la sua pittura dalle secche del nomadismo culturale, anche se di effetto, attraverso il brivido di un'autentica vena lirica e con la perizia di assemblare nozioni stilistiche divergenti. Dotato di una curiosità penetrante, irrequieto e avido di sapere, coniuga le citazioni più eterogenee e dissonanti con una fantasia visionaria, con recuperi  'acrobatici', convalidati dal fare istintivo e travolgente.
Semplice, ma anche raffinato; provinciale, ma anche 'cittadino'; fedele all'impeto oratorio e all'anima bizzarra e inquieta della stagione che sta vivendo, ma anche allergico alla declamazione gratuita, il Carneo riqualifica l'eclettismo convenzionale e il falso decoro con estrose trasgressioni, con imprevedibili stravolgimenti. In periferia è più facile essere sinceri, toccare il cuore delle cose, eludere gli schemi canonici, per la ricerca di un fresco senso di vita, di risvolti popolareschi e di certezze morali: anche sulla spinta della rinascita spontanea degli impulsi etnici e antropologici, del richiamo della tradizione. Vissuto in mezzo alla gente semplice, senza storia, ne immortala i ritmi quotidiani, gli umori segreti, con icastico realismo, che nei ritratti si traduce spesso in una spietata evidenza figurale. È pittore ufficiale dei luogotenenti e dei mecenati, i conti Caiselli. Ma le sue simpatie vanno ai diseredati, agli umili e ai 'pitocchi', colti con sincera partecipazione umana, di soda matrice campagnola.
Nel quieto isolamento udinese, ospite dei protettori Caiselli, che gli forniscono 'vitto e alloggio', in cambio di quadri eseguiti liberamente, Antonio Carneo rifiuta le strumentazioni accademiche, gli schemi mentali premeditati e scava nell'animo dei compagni di strada, per trarne linfe generose, profumi inconsueti, che filtra attraverso un'ampia rosa di proposte culturali d'avanguardia, recepite attraverso canali misteriosi, tra miti arcani (salvo che per le stampe). Il suo è un universo figurativo quasi sempre senza sorriso, di intensa drammaticità, reso con una sintassi straziata, delirante. Al Carneo, di cui lo scorso anno cadde il terzo centenario della morte, spettano due importanti inediti: la Sacra conversazione di raccolta privata e la Sacra famiglia della Banca del Friuli di Udine.

 

 

1. Antonio Cameo, Sacra conversazione. Collezione privata.

 

La prima opera — raffigura la Madonna col Bambino adorato dai santi Simeone, Giacomo Maggiore e Antonio da Padova (fig. 1) — è nel formato 'oblongo' caro al pittore friulano. Esso gli consente di superare le paludi del manierismo e di proporre un'architettura compositiva decisamente 'moderna', anticlassica, sovvertendo le regole d'uso. L'equilibrio rinascimentale, di cui si avverte ricordo nella Madonna, è sconvolto dalla geometria di linee trasversali, di snodi obliqui, che tendono a slargare lo spazio fisico della tela, in una frenetica alternanza di bilanciamenti e di contrappesi, giostrati con mano sicura. Che il Carneo abbia meditato, per tali espedienti, qualche opera di Tintoretto, in occasione del probabile viaggio di studio a Venezia, propiziato dai Caiselli all'indomani del suo approdo udinese, è che verosimile. Ma si tratta di un Tintoretto 'riveduto e corretto', attraverso una metrica personalizzata e incalzante. Un lume discreto (non tagliente, come vuole il credo dei 'tenebrosi') evidenzia particolarmente la figura della Vergine (anche per sottolinearne l'importanza nell'economia della scena), mentre fa sgusciare dall'ombra i tre santi, individuati nelle connotazioni anatomiche essenziali, fluttuanti nell'atmosfera. La ritmica centripeta, l'audacia degli scorci e la scioltezza veneziana del pennello avvantaggiano di molto questo brano pittorico. E che dire del colore? Col fondo di una tenda rosa lilla, la tavolozza è registrata sul rosso vinoso chiaro della veste della Madonna, la cui luce vitrea riverbera nelle seriche stoffe dei santi (verdi bottiglia, turchini, grigi perla) e nelle loro carnagioni pallide o assolate. Il tocco è spedito e guizzante, largo e immediato.
Il Carneo lascia altre tele dello stesso formato orizzontale. Questa dovrebbe porsi cronologicamente verso il 1667-70, in quanto si apparenta, per i valori neocinquecenteschi, col primo grande quadro celebrativo dei Civici Musei di Udine, del 1667, i cui rimandi coinvolgono in particolare i testi del Padovanino e del Vecchia, del Bassano e del Liberi. La forma è ancora 'chiusa', i pigmenti rappresi e smaltati, la temperie culturale ignara dei messaggi dei pittori  'foresti'. Opera giovanile, dunque, ma carica di premonizioni e di avvenire.

 

 

2. Antonio Carneo, Sacra famiglia. Udine, Banca del Friuli.
 

 

Il secondo dipinto del Carneo fin qui inedito è la Sacra famiglia della Banca del Friuli (fig. 2) , in cui il pittore compagina un supporto arcaico (lo schema piramidale) con suggerimenti riconducibili in modo particolare alle lezioni del Fetti e dello Strozzi. Sia il Fetti che lo Strozzi sono debitori del naturalismo riformista del Caravaggio, cosi come del sensualismo rubensiano della materia, cui il primo aggiunge un'intensa partecipazione umana e il secondo la pennellata libera, stemperata nell'aria-luce. La Sacra famiglia denuncia tali ingredienti, pienamente assimilati (basti osservare le tipologie e lo sfondo). Il Carneo costruisce la scena con assoluta semplicità, senza forzature declamatorie o accenti di patetismo esteriore. Questo 'quadretto famigliarÈ è spoglio di ogni aulico paramento e attinge la sua carica vitale, come sempre, dalla realtà di ogni giorno, dal mondo 'buono' che circonda l'artista. Da notare il viraggio delle ombre, in funzione plastica e l'accelerazione del tocco nelle nuvole stracciate, nelle fronde dell'albero e nella quinta di destra.
L'episodio è evocato con molto candore (si badi al fiorellino che la Vergine trattiene con la mano destra) e con commosso lirismo. Per quanto sia difficile proporre una cronologia per un artista discontinuo e spesso inafferrabile nelle sue improvvise impennate, riterrei di situare l'opera verso il 1670-75, cioè all'indomani della 'scoperta' del messaggio del Fetti e dello Strozzi, cui il Carneo è particolarmente debitore.
Pittore raffinato ed elegante, che sa spremere dalla tastiera cromatica accordi maliosi, notazioni pungenti; sottile tessitore di trame spezzate, di forme contorte in chiave metaforica; realista e arcadico, surreale e prosastico, aristocratico e montanaro, Nicola Grassi non finisce di stupire a ogni nuovo incontro con qualche brano del suo mondo creativo.

 

3. Nicola Grassi, Sant' Elena che ritrova la vera Croce. Salisburgo, Residenzgalerie.

 

Tra le ultime acquisizioni, mi limito a ricordare quelle della Residenzgalerie di Salisburgo (fig. 3), il gruppo di opere pubblicato dal Martini e le tre tele di Jesenice.
Per la sua importanza e per la sede divulgativa di non facile reperibilità, ritengo opportuno accennare a quest'ultimo complesso, individuato acutamente dal dottor Ferdinando Serbelj e a cui la Narodna galerija di Lubiana dedica il primo quaderno di una serie che promette molte novità.
Le opere rappresentano l'Assunta, la Madonna col Bambino e i santi Domenico e Francesco e Sant'Antonio eremita con un ignoto martire. È un trittico superbo, giustamente collocato tra 1735-40, dal colore rubeo, sgranato in campiture metalliche, che sfumano nelle tinte pastello, sul contrappunto dei bianchi.

 

4. Nicola Grassi, Assunzione della Vergine. Jesenice, Museo.


L'Assunta (fig. 4), la cui preistoria è stata individuata in un disegno della collezione Scholz di New York, nell'impalcatura formale ricorda ancora il Piazzetta, rivisitato con l'ottica della lezione chiarista di Sebastiano Ricci e del Pellegrini, a sua volta materiata da una forza espressiva sanguigna, dalla certezza carnale dello straordinario 'dialetto' pittorico.

 

6. Nicola Grassi, Madonna col Bambino e due santi. Jesenice, Museo.

 


La Madonna col Bambino e i due santi (fig. 6), pur adottando uno schema classicista, attraverso il leggero decentramento delle figure, le toppe dei colori, dove domina il contrasto rosso azzurro, e la pennellata fresca e spumeggiante, recupera singolari valenze poetiche. Ancora una volta Nicola dichiara di possedere un robusto sentimento della realtà, impastato di una calda vibrazione emotiva.

 

5. Nicola Grassi, Sant'Antonio eremita con un martire. Jesenice, Museo.


Anche la tela sagomata raffigurante Sant'Antonio eremita e un martire (fig.5) è resa con un colorismo brillante e arioso, con un tocco fluido, a strappi. Notevole è la testa di sant'Antonio, costruita con pochi colpi di pennello, con un sintetismo lessicale degno di un grande maestro. Le opere testé riemerse a Jesenice recano una notevole addizione al corpus di Nicola Grassi e al ventaglio della sua epica stilistica. E certificano come il pittore, eludendo la delicata e descrittiva frivolezza dell'Arcadia, sapesse corrispondere alle attese corali dei fedeli con un gettito fantastico istintivo e con prelievi di succhi vitali dalla tradizione alpina. L'esegesi  critica del dottor Serbelij è condotta con metodo sicuro e puntuale, tanto da non lasciare molto spazio a ulteriori riflessioni.

 

7. Nicola Grassi, Giacobbe che si accomiata da Labano, particolare. Collezione privata.

 

Ibis. Nicola Grassi, Giacobbe che si accomiata da Labano. Collezione privata.


Dopo questa lunga introduzione, sono lieto di presentare due cospicui inediti di Nicola. Il primo raffigura Giacobbe che si accomiata da Labano (collezione privata) (fig. 7), tema biblico che Grassi ha trattato più volte, qui forse in una delle prime versioni: lo accertano le tinte rossigne, di estrazione piazzettesca, pausate dallo stillare dei bianchi, rimessi in circuito dal Ricci e dal Pellegrini: utili confronti si possono fare col  Lot e le figlie  dei Musei di Udine e con le due tele della collezione Ciceri di Tricesimo. L'orditura del quadro ha il suo asse portante nella figura di Labano, verso cui convergono le diagonali della gabbia grafica, in un nitore di scansioni volumetriche. La naturalezza delle tipologie, la semplicità dei gesti e il dosaggio meditato dei colori, acquisiscono credibilità e valenza realistica alla scena, che sembra mutuata dalla regione d'origine, l'amatissima Carnia. È il profumo di bosco e l'atmosfera casalinga che costituiscono il segreto della validità del linguaggio del Grassi, carico di risonanze umane e di sollecitazioni interiori e ben lontano dal rococò epidermico e caramelloso di moda.
Quest'opera, anche per le misure e per il fare bozzettistico (terre d'ombra, con sfarfallio di bianchi, preziose velature e raffinate modulazioni chiaroscurali) è uno degli esiti più suggestivi e commoventi del pittore Nicola, da situare verso il 1720-25.

 

8. Nicola Grassi, Paride. Udine, collezione privata.

 

 

Infine, presento una inconsueta e rara opera di Nicola Grassi, raffigurante Paride (Udine, collezione privata) (fig.8), che, nelle vesti di pastore, è in procinto di offrire la mela della vittoria a Anfitrite, o Venere, fuori quadro. Non sono molte le tele del pittore carnico con soggetto mitologico. Ciò avvantaggia largamente questo dipinto, per altro notevole anche sul piano qualitativo.

 

9. Nicola Grassi, Paride. Ubicazione ignota.

 

In verità, il Grassi ha trattato lo stesso tema in un quadro già nella raccolta Calligaris di Terzo di Aquileia (fig. 9), ma con una impostazione in diagonale piuttosto manierata e il volto un po' lezioso.
Nel nostro caso, la figura, calibrata perfettamente nello spazio, si erge di tre quarti, leggermente spostata rispetto all'asse mediano. La tornitura plastica è evidenziata dalle pulsazioni della luce, che vibra nella veste bianca, scivola nell'epidermide rosata e si spegne nei riccioli biondi.
In possesso di una consumata abilità tecnica (la pennellata è lieve e impalpabile o fluida e sfrangiata), il Grassi costruisce il personaggio mitologico con grande felicità, con una grazia quasi correggesca. La tavolozza è francescana, ridotta al minimo. Eppure Nicola ne cava tutta una gamma di notazioni musicali, di preziosità timbriche, di valenze di contrappunto.
Questo raro Paride, da situare verso il 1740, reca un notevole contributo alla ricostruzione dell'iter figurativo del Grassi, qui in uno dei suoi momenti magici.
 

 

Aldo Rizzi

 

 

 

P.S.: Nel testo corrente sono state omesse, per questioni di spazio, le note dell'autore.

 

 

 

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