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Rosalba Carriera (Venezia 1675 – 1757) - lo stile pittorico

 

 

“Discepola fu prima del Cav. Gio. Antonio Lazari Veneziano dilettante, poi del Cav. Diamantini, e in fine del Balestra, da cui molto apprese; e prendea consigli con gran modestia da ogni buon Pittore; e spezialmente da Antonio Pellegrini cognato suo, che non isdegnava talvolta di comporre, e di apprestare anche pastelli all’uopo ch’ella ne avea” (Zanetti 1771).

“Se dai maestri citati dalle fonti ben poco Rosalba poté apprendere, è certo che molto dovette giovarle lo studio degli esempi di ritrattistica del Bombelli e del Ghislandi [Fra Galgario] e della tavolozza chiara e vaporosa del cognato Giannantonio Pellegrini. Ma Rosalba seppe giungere da sola ad un sottile ed inedito linguaggio con il quale coglie a volte anche i più labili umori interni dei ritrattati, leggeri e leziosi come le stoffe di cui sono adorni” (Donzelli 1957).

La sua ritrattistica nasce, si può dire, già matura e si mantiene fedele, nel tempo, allo stato iniziale. “Ed è certo che Rosalba, neppure dopo il suo soggiorno parigino (1720-21), dove arrivò già celebre e ammiratissima, mutò di molto il suo modo di dipingere. [...] Nessuno seppe più della Carriera concretare e fondere dentro agli schemi allora di moda che rispecchiavano il gusto della società di quel tempo, un così profondo senso della bellezza, né portarlo a un così alto grado di purezza. Neanche i pur grandi ritrattisti francesi la superarono. Nei dipinti di costoro infatti si nota spesso qualcosa di crudo, di fotografico che ricorda troppo la materialità del vero; mentre in quelli di Rosalba vi è sempre un calore, una luce e un profumo spirituale che li nobilita e ce li fa amare. [...] Ed è anche per merito di queste sue qualità, naturali e meditate insieme, se il rococò nelle Lagune, tra il 1710 e il 1750, tocca forse il suo momento di maggiore incidenza internazionale, nel quale le forme di carattere più propriamente veneziano s’incontrano e si fondono felicemente con quelle di provenienza straniera (Martini 1982).

“Rosalba seppe esprimere con forza impareggiabile la svaporata delicatezza dell’epoca. La Pastorella miniata della Galleria di San Luca è squisita come un Gabriel de Saint Aubin; [...] all’Accademia il ritratto del Cardinale di Polignac può dar dei punti a molti La Tour e regge al migliore Peronneau. Le si presentavano come modelli le gentildonne più svaporate d’Europa? Ma che Rosalba riuscisse sempre a intravvedere un viso, a sentire una variazione minuta di temperatura interna dove non sembrava essere che un piumino stinto di cipria e di rossetto, questo ripeto, mi par segno di forza” (Longhi 1946).

L’Autoritratto, con il ritratto della sorella Giovanna in elaborazione tra le mani, inviato verso il 1715 al granduca Cosimo III, ora agli Uffizi è forse la prima immagine che la pittrice offre di sé sui quarant’anni. In quest’opera, “la schiaritura della veste, ornata di delicati ricami, comporta una dosatura più nervosa di luci e di ombre nel viso, d’una schiettezza quasi popolana” (Pallucchini 1994).

Attorno al 1735 - 1740 esegue l’effigie di Caterina Barbarigo Sagredo (Eikemeier 1971). Donna “celebre a Venezia per bellezza, cultura e per la vita al di fuori dai canoni di comportamento delle nobili veneziane dell’epoca” (Sani 1988). “Il ritratto, simbolo della femminilità in chiave rococò, è certo un capolavoro di arguzia pittorica per il modo con il quale l’immagine femminile dolcemente libertina è incorniciata dal tricorno nero, dalla fluida capigliatura bruna, e dal manto blu scuro, ravvivato dal nastro rosso annodato sul petto; piacque molto, tanto da essere più volte replicato: se ne conoscono infatti due redazioni (una al Fogg Art Museum di Cambridge, l’altra, in sembianze di Berenice, al Detroit Institute of Arts di Detroit)” (Pallucchini 1994). 

Va detto in proposito che molti dipinti furono replicati in gran numero e in momenti diversi, ma non sempre dalla sua mano. Rosalba Carriera infatti ebbe numerose seguaci (la sorella Giovanna, Margherita Terzi, Marianna Carlevarijs, Felicita Sartori) e uno stuolo di imitatori.

“Lo stile suo era nitido, lieto e facile: vaghissima la tinta senza scostarsi dal naturale, e il disegno ben regolato delle opere sue avea grazia nativa e nobile, non facile a trovarsi in pittura. Non riportò forse giammai tante vittorie sul cuore umano beltà femminile con le lusinghe, quante ne poté vantare Rosalba con le dotte sue opere” (Zanetti 1771).

 


Daniele D'Anza

 

 

marzo 2005