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Annalia Delneri

 

Gli inizi di Giuseppe Bernardino Bison in una inedita suite di vedute di Venezia e di Roma

 

 


Questa serie di vedute inedite raffiguranti gli scorci più suggestivi di Venezia e di Roma presenta un grande interesse per la finissima qualità delle opere e per rilevanza scientifica dell'insieme, che documenta la poco nota attività pittorica giovanile di Giuseppe Bernardino Bison (Palmanova 1762 - Milano 1844), l'ultimo grande divulgatore della luminosa stagione della pittura veneziana del Settecento rinnovata dall'artista con sorprendente e inconfondibile vitalità di stile.


Formatosi all'Accademia di Venezia sotto la guida di Costantino Cedini, Bison lavorò inizialmente come pittore di teatro con Antonio Mauro, dal quale apprese i fondamenti tecnici delle esecuzioni rapide e lo spiccato gusto scenografico, destinato a perdurare come elemento caratterizzante della cultura figurativa bisoniana. Nell'ultimo decennio del Settecento collaborò con l'architetto Giannantonio Selva (decorazioni del distrutto palazzo Bottoni di Ferrara [1787] e del "Casino Soderini" di Treviso [1798]) e, all'inizio dell'Ottocento, si trasferì a Trieste, forse a seguito dello stesso Selva impegnato nel concorso per il Teatro Nuovo. Nella città giuliana Bison ottenne commissioni prestigiose, come la decorazione del palazzo della Borsa e del palazzo Carciotti. Fra Trieste, Gorizia, Lubiana e l'Istria, l'artista si impose per la pittura rapida, che coniugava l'eredità dei frescanti veneti del Settecento alle doti di figurista e ornatista, scenografo e paesaggista. Nel 1824 l'Accademia veneziana lo nominò socio onorario con l'encomio di "pittore di bella immaginativa e spiritosa esecuzione". Dopo una permanenza quasi trentennale a Trieste, Bison si trasferì a Milano (1831), dove fu appoggiato, sul piano economico e su quello dell'amicizia, dall'ingegnere Raffaello Tosoni di Cetona, esperto d'arte che fece ottenere all'artista il primo invito alla mostra di Brera (1833).

Giuseppe Bernardino Bison, operoso fino agli ultimi giorni, si spense a Milano il 28 agosto 1844.


La serie qui considerata è uno straordinario esempio della finezza con cui Giuseppe Bernardino Bison seppe interpretare agli inizi della sua brillante carriera la tradizione del vedutismo del Grand Siècle, rinnovandola e sublimandola nei bagliori del tramonto di un'epoca. Queste icone di Venezia e di Roma derivano, infatti, da capolavori di Antonio Canal detto il Canaletto, divulgati e resi celebri dalle trascrizioni all'acquaforte di Antonio Visentini, e dalle altrettanto famose vedute di Roma disegnate e incise da Giuseppe Vasi.
L'assoluta novità delle vedute di Canaletto, impostasi nella cultura europea settecentesca per il radicale mutamento del modo di "vedere" la scena urbana, viene assunta sul finire del secolo da Bison che, estrapolando l'impostazione prospettica dalle incisioni di Visentini, rinnova l'icona della città lagunare colorandola, non solo in senso letterale, ma anche nei toni impalpabili di una poetica del presente acutamente consapevole dell'eccellenza della tradizione e delle incertezze contingenti.
La stesura delicata della tempera, che nella scioltezza della pennellata tocca un grado estremo di lievità e trasparenza, permette all'artista di rinnovare l'incanto di una forma urbis unica al mondo. Il lento procedere lungo il Canal Grande diviene un'immersione totale nelle scene del teatro urbano: con uno squisito tocco minuto, leggero e preciso Bison restituisce le qualità solide ed eterne degli edifici e degli spazi architettonici, perseguendo la profondità spaziale mediante un nuovo senso atmosferico che varia e rende vibrante il tessuto pittorico. Con mirabile fluidità, quasi seguendo il lento corso dell'acqua, l'artista trapassa senza soluzione di continuità dalle tonalità azzurrate e smeraldine dei primi piani alle madre-perlacee trasparenze dei lontani sfumate da riflessi argentei e dorati.
Queste vedute restituiscono l'inconfondibile charme della pittura bisoniana individuabile nella qualità delle lontananze trascoloranti, leggere, incorporee, ma sempre leggibili in virtù del tocco sciolto, delicatissimo, mai sommario. Nel pulviscolo verde-azzurro-dorato, bellissime macchiette rendono compiutamente lo spirito del tempo: completamente diverse per numero, posizioni e atteggiamenti dalle figure canalettiane, i personaggi di Bison sono assimilabili a battute goldoniane che, argute e vivaci, punteggiano come note musicali la scena cittadina. Aristocratiche dame e patrizi imparruccati, eleganti donne veneziane con la tradizionale zenda nera, borghesi con il tabarro, mercanti, popolani e gondolieri indossano abiti settecenteschi imprimendo all'immagine il fascino dell'apparenza.
In questa efficacissima resa figurale, il giovane Giuseppe Bernardino Bison si ispira stilisticamente alla cifra canalettiana e con pennello minuzioso dipinge velade azzurre, giallo zafferano, bianche e marroni, tabarri rossi, ampie sottane rosa polvere, nere o rosse, multicolori giubbetti e brache da gondoliere; si sofferma anche sui volti degli uomini per aggiungere un paio di baffi o per infiocchettare le parrucche: una umanità dipinta con i colori di un tempo spensierato evocato all'epoca del tramonto della millenaria Repubblica Serenissima.
L'atmosfera veneziana permea anche le vedute di Roma, la città eterna che Bison ricostruisce sul cavalletto avvalendosi delle incisioni di Giuseppe Vasi integrate da altre fonti, forse Van Wittel e Panini, che gli consentono di giungere a un "effetto di realtà" permeato da una suggestione quasi incantata. Come nei dipinti a soggetto veneziano, il Maestro incentra l'interesse soprattutto sulle architetture, inquadrando gli aspetti quotidiani e la vita degli uomini in una prospettiva quasi teatrale con deliziose macchiette di dame abbigliate in splendidi e multicolori abiti settecenteschi, eleganti gentiluomini in velada o marsina, spesso con lo spadino e la parrucca, popolani che transitano con le loro mercanzie: garbate figure che si muovono e animano la scena del teatro della città.
Questa stupenda suite di vedute, databile all'ultimo decennio del Settecento, dà inizio alla grande avventura artistica di Giuseppe Bernardino Bison, che con timbro trasparente e cristallino coglie e tramanda la magica luminosità cromatica del Settecento affidando alla lievità della tempera una serie che, splendida nelle sue cornici originali, è un vero unicum da "cabinet d' amateur".
 


Le Vedute di Venezia


L'intelaiatura prospettica delle sette vedute di Venezia deriva dalle incisioni della raccolta Urbis Venetiarum Prospectus Celebriores, la silloge con cui Antonio Visentini (Venezia 1688-1782) tradusse sulle lastre di rame le vedute "esatte" più significative dipinte da Canaletto tra la fine degli anni venti e gli inizi degli anni quaranta.
La prima parte dell'opera fu pubblicata nel 1735 con il titolo Prospectus Magni Canalis Venetiarum. Il volume comprende quattordici incisioni che riproducono altrettante vedute di Canaletto commissionate da Joseph Smith, cui si deve anche l'iniziativa editoriale. Nel 1742 l'album fu riedito in un'edizione ampliata, intitolata Urbis Venetiarum Prospectus Celebriores, comprendente altre dodici vedute del Canal Grande e dodici dei "campi" minori di Venezia.
La pubblicazione dell'album ebbe un'importanza fondamentale per la promozione internazionale di Canaletto e per la novità assoluta rappresentata dall'impaginazione delle immagini la cui sequenza segna una svolta nel modo di vedere la città lagunare.
La prima parte della serie ripercorre idealmente tutto il Canal Grande: cominciando dal ponte di Rialto, centro commerciale tradizionale di Venezia, le prime sei tavole procedono verso sud fino allo sbocco del Canale nel Bacino di San Marco; le altre sei, ripartendo dal ponte di Rialto, esplorano la metà nord del Canal Grande. Alla fine sono poste due stampe raffiguranti la Regata e il Bucintoro.
La seconda parte ha inizio dall'entrata nord della città (Santa Chiara) e prosegue fino all'area marciana con un movimento alternato di vedute in campo e controcampo che coprono tutto il percorso del Canal Grande.
Le ultime dodici tavole sono dedicate ai "campi" minori di Venezia e si concludono con due immagini in contro-campo di piazza San Marco.
La creazione di un percorso proposto dalla sequenza delle incisioni, con lo sfondo di una veduta che diventa il primo piano della seguente, testimonia un atteggiamento assolutamente inedito di fronte alla città. Se si paragona il Prospectus con le vedute veneziane precedenti, balza all'occhio la staticità di queste ultime: le tavole di Carlevarijs (1703), di Vincenzo Coronelli (1708-1710) e di Lovisa (1717) forniscono moltissime informazioni sull'architettura maggiore e sui principali luoghi deputati di Venezia, ma la città come tale rimane illeggibile. La silloge Canaletto-Visentini non si accontenta di catalogare le facciate memorabili, ma entra nel vivo del tessuto urbano di cui gli edifici sono l'articolazione.
Le sette tempere di Giuseppe Bernardino Bison qui considerate derivano tutte dalle incisioni della prima parte della raccolta Urbis Venetiarum Prospectus Celebriores: quattro riprendono il Canal Grande seguendo il percorso dal ponte di Rialto verso il Bacino di San Marco; le altre tre raffigurano la principale via d'acqua veneziana dal lato opposto, dal ponte di Rialto verso la chiesa di Santa Chiara. Il fatto che la tempera raffigurante Il Canal Grande con San Geremia, palazzo Labia e l'ingresso a Cannaregio sia stata tratta dall'incisione di Visentini in primo stato (sulla fondamenta di San Geremia non compare la balaustra e la statua di San Giovanni Nepomuceno), fa ritenere che Bison si sia servito per tutte le tempere a soggetto veneziano del Prospectus Magni Canalis Venetiarum edito nel 1735.
 


Vedute di Roma


Le tavole incise da Giuseppe Vasi (Corleone 1710 - Roma 1782) costituiscono la fonte cui Giuseppe Bernardino Bison fa liberamente riferimento nell'elaborazione dell'impianto prospettico delle tre vedute di Roma che fanno parte della serie di tempere da "studiolo da amateur" qui considerate.
Giuseppe Vasi, giunto a Roma nel 1736, fu autore di una nutrita serie di incisioni che, suddivise in dieci volumi, furono pubblicate dal 1747 al 1761 sotto il titolo Delle Magnificenze di Roma antica e moderna. L'opera è classificata secondo un criterio tipologico: le porte e le mura di Roma (vol. I, 1747), le piazze principali (vol. II, 1752), le basiliche e le chiese antiche (vol. III, 1753), i palazzi e le vie più celebri (vol. IV, 1754), i ponti e gli edifici sul Tevere (vol. V, 1754), le chiese parrocchiali (vol. VI, 1756), i conventi e le case dei chierici regolari (vol. VII, 1756), i monasteri e i conservatori di donne (vol. VIII, 1757), i collegi, gli ospedali e i luoghi pii (vol. IX, 1759), le ville e i giardini (vol. X, 1761). In tutto 242 tavole, 200 delle quali numerate, in cui l'autore, come specificato nella dedicatoria del primo volume, perseguiva un preciso progetto che avrebbe consentito di avere sotto degli occhi l'esterno di tutta Roma. Prometto poi quanto prima di far vedere anche tutto l'interno di tale città, e certo con più esattezza di quello, che Biasi fatto finora. Nel fine darò la pianta in prospettiva nella quale s'individueranno li propri siti delle vedute mostrate in ciascun libro, per via d'una fedele numerazione, che richiamerà ad una ad una esse vedute, e mostreralle, com'è proverbio, a dito.


Promessa che Vasi manterrà pubblicando nel 1765 il Prospetto dell'alma città di Roma, visto dal monte Gianicolo, una grande tavola (cm 100 x 256) in 12 fogli corredata da 390 riferimenti di luoghi.
Come la Venezia di Canaletto-Visentini, la Roma di Giuseppe Vasi vuol far vedere la città attuale, fatta di spazi eccelsi e di molti luoghi "minori", colti nella dinamicità della vita quotidiana: è una lettura che si avvale di effetti da grandangolare o da teleobiettivo per evidenziare le relazioni interne del sistema urbano e dare maggiore apertura agli spazi pubblici (piazze e strade). L'artista procede facendo vedere nella sostanza della città reale una città possibile: un "effetto di realtà" che rifonda la città senza distruzioni. È la grande attualità delle "vedute riformatrici" del secolo dei Lumi.

 

1 - Giuseppe Bernardino Bison, Il Canal Grande dai palazzi Foscari e Moro Lin alla chiesa della Carità.


Questa veduta del Canal Grande, ripreso in tutta la sua ampiezza dopo l'ultima grande curva prima di sfociare nel Bacino di San Marco, deriva iconograficamente dalla tavola II di Antonio Visentini compresa nel Prospectus Magni Canalis Venetiarum che reca sul margine la scritta Ab Aedibus hinc Foscarorum, illinc Linorum, usque ad Templum Charitatis.

 

2 - Giuseppe Bernardino Bison, Il Canal Grande dalla chiesa di Santa Maria della Carità al Bacino di San Marco.


Sul retro iscrizione in grafia tardosettecentesca: "Veduta di Venezia dalla Chiesa della Carità sino all Tolonio"

La tempera deriva iconograficamente dalla tavola III di Antonio Visentini compresa nel Prospectus Magni Canalis Venetiarum che reca sul margine la scritta Hinc ex Aede Charitatis, illinc ex Regione S. Vitalis usque ad Telonium e introduce alcune significative varianti: manca la statua sul pinnacolo destro della chiesa; sono cambiati i particolari architettonici di alcuni edifici e la disposizione delle imbarcazioni; è totalmente rinnovato il repertorio macchiettistico perché, mentre nella redazione incisoria i personaggi raffigurati sono per lo più popolani e frati, nella tempera di Bison le figure sfoggiano abbigliamenti e modi signorili, particolarmente evidenti nella coppia che sta scendendo il ponte, nei tre gentiluomini che fanno crocchio sul campo e nelle tre damine alle loro spalle con le ampie gonne sostenute dai "panieri".
 

 

3 - Giuseppe Bernardino Bison, Il Canal Grande da campo San Vio alla Riva degli Schiavoni.


Sul retro iscrizione in grafia tardosettecentesca: "Veduta della casa Corneli sino al Tolonio in Venezia"


La tempera deriva dalla tavola IV di Antonio Visentini compresa nel Prospectus Magni Canalis Venetiarum che reca sul margine inferiore la scritta Hinc ex Platea S. Viti, illinc ex Domo Corneliorum, ad idem Telonium.
Rispetto all'incisione di Visentini la tempera qui considerata introduce alcune varianti marginali nella descrizione delle architetture (è cambiata l'apertura delle finestre di palazzo Barbarigo, sul lato opposto del canale le finestre della Casina delle Rose sono senza imposte e manca una finestra al primo piano della facciata nord di palazzo Corner della Ca' Granda), mentre mutano la disposizione e il tipo delle imbarcazioni, nonché le macchiette, diverse nell'abbigliamento e negli atteggiamenti.

 

 

4. Giuseppe Bernardino Bison, Il Canal Grande dalla chiesa della Salute al Bacino di San Marco.


Sul retro iscrizione in grafia tardosettecentesca: "Parte della Chiesa della Salute in Venezia"


La tempera deriva dalla tavola V di Antonio Visentini compresa nel Prospectus Magni Canalis Venetiarum che reca sul margine inferiore la dicitura Ex Aede Salutis, usque ad Caput Canalis.
Riprendendo l'impostazione prospettica dell'incisione di Visentini, Bison in questa tempera apporta alcune modifiche, la più rilevante delle quali consiste nella diversa apertura a sinistra della veduta che, ravvicinando il punto di vista all'altra sponda del Bacino, esclude dal campo visivo la Zecca con l'antistante ponte della Pescaria, la Libreria, la colonna di San Marco e una parte della Piazzetta. Notevoli differenze sono riscontrabili nel numero e nella disposizione delle imbarcazioni e delle macchiette.

 

 

5. Giuseppe Bernardino Bison, Il ponte di Rialto visto da Nord con il palazzo dei Camerlenghi e le Fabbriche Vecchie.


Sul telaio originale al verso si legge la scritta in grafia tardosettecentesca: "Ponte Rialto dalla Parte d'occidente in Venezia"


La tempera deriva dalla tavola VII di Antonio Visentini compresa nel Prospectus Magni Canalis Venetiarum che reca sul margine inferiore la dicitura Pons Rivoalti ad Occidentem, cum Aedibus Publicis utrique Lateri adjectis. La tempera riprende fedelmente l'impostazione prospettica della tavola di Visentini introducendo significative varianti nel numero e nella disposizione delle imbarcazioni e delle macchiette.

 

6 Giuseppe Bernardino Bison, Il Canal Grande con San Geremia, palazzo Labia e l'ingresso di Cannaregio.


Sul retro iscrizione in grafia tardosettecentesca: "Ingresso del Canal Regio in Venezia"


Questa veduta di uno dei punti più suggestivi del Canal Grande deriva dalla tavola X (in primo stato) di Antonio Visentini compresa nell'edizione del 1735 del Prospectus Magni Canalis recante in calce la dicitura Ingressus in Canalem Regium ex Aede S. Ieremiae. Nel secondo stato dell'incisione, edito nel 1742 sulla fondamenta della chiesa di San Geremia non compare la balaustra con la statua di San Giovanni Nepomuceno, collocata nel 1742.
La tempera riprende l'incisione di Visentini in primo stato senza modifiche nell'impostazione prospettica, mentre risultano variate la resa e la disposizione delle imbarcazioni e delle figure che animano la scena.

 

 

7 Giuseppe Bernardino Bison, Il Canal Grande dalla fondamenta della Croce a Santa Chiara e allo sbocco nella Laguna.


Questa veduta, che nella calda luminosità meridiana restituisce l'immagine di una Venezia scomparsa, deriva dalla tavola XII di Antonio Visentini compresa nel Prospectus Magni Canalis Venetiarum, recante sul margine inferiore la dicitura Ex Fullonio usque ad Aedem S. Clarae ubi Canalis desinit.
La tempera traduce con le delicate sfumature proprie del mezzo pittorico l'acquaforte di Visentini senza apportare modifiche allo schema vedutistico, limitando gli interventi alle imbarcazioni e alle macchiette che, soprattutto nel primo piano, si presentano vivaci e corpose.

 

8. Giuseppe Bernardino Bison, Piazza Colonna.


Sul retro iscrizione in grafia tardosettecentesca "Piazza Collona in Roma"


Questa veduta di piazza Colonna è liberamente tratta dalla tavola n. 22 del secondo volume di Giuseppe Vasi, Delle Magnificenze di Roma che contiene Le Piazze principali di Roma. L'incisione reca sul margine inferiore la firma dell'autore G. Vasi dis. sc. e la dicitura Piazza Colonna 1. Colonna Antonina, 2. Palazzo Chigi, 3. Curia Innocenziana, 4. Residenza di Monsignor Vicegerente, 5. S. Ch. della nazione de Bergamaschi.
Rispetto all'incisione di Vasi, la tempera di Bison qui considerata introduce varianti di un certo rilievo: la veduta è ripresa da un punto di vista più ravvicinato (la prospettiva dei tetti non permette di vedere i comignoli) e quasi assiale, in modo da consentire all'artista di ampliare la piazza, effetto potenziato sullo sfondo dall'allargamento della via Colonna Antonina e dell'imbocco a piazza Montecitorio. Numerose sono anche le licenze che il pittore si concede nella resa delle architetture: al centro la fontana, rimpicciolita e priva del basamento a gradini, appare ravvicinata alla Colonna; palazzo Chigi presenta una sopraelevazione dell'ultimo piano e l'altana verso Montecitorio è trasformata in torretta; il secondo piano del palazzo della Posta Pontificia diviene un sottotetto e vengono modificati gli abbaini; la facciata della chiesa di Santa Maria della Pietà è una libera interpretazione pittorica; la facciata del palazzo Ferraioli è priva delle lesene bugnate che la ripartiscono. Totalmente rinnovato è anche il repertorio macchiettistico con la diversa disposizione delle carrozze e l'inserimento di popolani e di venditori ambulanti che si mescolano a gentiluomini, dame, prelati e guardie svizzere.

 

9. Giuseppe Bernardino Bison, La lotteria in piazza di Montecitorio.


L'impianto prospettico di questa vivacissima veduta di piazza Montecitorio trae spunto dall'incisione n. 23 del secondo volume di Giuseppe Vasi, Delle Magnificenze di Roma che contiene Le Piazze principali di Roma. L'incisione reca sul margine inferiore la firma dell'autore G. Vasi dis. sc. e la dicitura Piazza di Monte Citorio 1. Curia Inno¬cenziana, 2. Piedistallo della Colonna di Antonino Pio, 3. Casa dei Signori della Missione, 4. Colonna Antonina, 5. Palazzo Chigi.
Bison rinnova completamente il modello di riferimento inscenando la veduta della piazza durante l'estrazione del lotto.
 

10.  Giuseppe Bernardino Bison, Veduta del Campidoglio e dell'Aracoeli.  


L'impianto prospettico di questa veduta del Campidoglio è parzialmente tratto dalla tavola di Giuseppe Vasi n. 80 compresa nel quarto volume Delle Magnificenze di Roma, dedicato a I Palazzi e le Vie più celebri di essa. L'incisione reca sul margine inferiore la firma dell'autore G. Vasi dis. sc. e la dicitura Palazzi del Campidoglio 1. Scalinata della Chiesa di Aracoeli, 2. Palazzo o Galleria di Statue, 3. Palaz. dei Senatori, 4. Palaz. dei Conservatori, 5. Salita verso Roma, 6 Salite verso Campo Vaccino.
Rispetto all'incisione di Vasi, la tempera di Bison riprende il complesso monumentale aprendo la veduta a sinistra per comprendere la chiesa e la scalinata dell'Aracoeli. L'artista inoltre abbassa leggermente il punto di vista per dare maggiore ampiezza al cielo e rendere più imponente la salita, effetto accresciuto dalle rare macchiette, tra cui spiccano le damine e il gentiluomo in primo piano, toccate con vivaci pigmenti di rosso, di giallo e di verdolino..

 

 

Annalia Delneri

 

 

ARTE Documento N°23    © Edizioni della Laguna