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Sebastiano Mazzoni (Firenze 1611 - Venezia 1678)
Il
forte ascendente esercitato dalla pittura caricata e bizzarra del suo maestro, Baccio
del Bianco,
lasciò
tracce durevoli sul giovane, il cui esordio artistico si deve situare intorno al 1638. In
quell’anno, infatti, Mazzoni apponeva sigla e data ad uno spiritoso quadretto raffigurante Venere
e Marte sorpresi da Vulcano
(Barsanti
1986),
che risulta al momento la sua
prima opera sicura, nonché punto di riferimento indispensabile per ricostruirne l’attività
giovanile. In sintonia con la pittura “giocosa” del Seicento
fiorentino, vi è qui un “modo irriverente di trattare gli dei
dell’Olimpo, connesso
con una palese interpretazione di divertita allusività del soggetto
mitologico, e la rappresentazione
ai limiti del grottesco della bellezza femminile (si osservi la resa ben
poco leggiadra di Venere e delle Grazie, la cui sinuosa anatomia è
ancora di derivazione tardomanierista)”
(Benassai
1999). Successivamente la lezione di Bernardo Strozzi venne assimilata e
interpretata in un linguaggio originale e spiritoso fatto di pennellate
sottili e falcate, sostanziate da una materia densa e brillante e da un
colore acceso. La sua visione divenne inquieta e fantastica, grottesca e
drammatica allo stesso tempo. L’Annunciazione
delle Gallerie dell’Accademia di Venezia infatti, “caratterizzata da
un colorismo assai vario, su toni caldi e morbidi”, denuncia “in
modo palese le riflessioni del Mazzoni sugli esempi dello Strozzi. [...]
L’opera è di altissima qualità: splendida la figura dell’angelo che
quasi piomba dal cielo a recare l’annuncio, in un turbinio di fortissima
luce che ne fa emergere la figura dal fondo cupo con grandissima evidenza;
sensuale ed elegante quella della Vergine, che si prostra ai suoi piedi (Pedrocco
2000). Nel Sacrificio
di Isacco del Museo Sartorio di Trieste si rivela
invece un effetto patetico assai intenso e
un atteggiamento quanto mai affettuoso nell’angelo
che da terra blocca il braccio di Abramo. Il tocco pittorico appare
“morbido e vibrante” e l’attenzione
si focalizza sulle spumose increspature
del perizoma di Isacco nonché sulla “dissoluzione
della forma” prodotta dalla luce sulla testa di Abramo
(Gioseffi 1954). Nell’Annunciazione
della chiesa di San Daniele a Povegliano (TV) “il dirompente ingresso in
scena, dall’alto, dell’arcangelo scapigliato
dalle vesti svolazzanti colto in una postura ardita, è di certo una delle
trovate più geniali ed inconfondibili di Mazzoni [...], il movimento
ridondante di Gabriele si contrappone, intenzionalmente, alla figura
composta e meditativa della Vergine. [...]Rispetto alla certezza
prospettica del mattonato bicromo della pavimentazione e della predella su
cui è inginocchiata la Vergine, nell’alto della composizione si perde
comunque, entro un’atmosfera lattiginosa, il senso delle coordinate
spaziali. Solo suggerite da tali elementi architettonici di fondo esse
risultano infatti pittoricamente contraddette. Aumenta pertanto attraverso
tale meccanismo la percezione di un accadimento misterioso” (Fossaluzza
2004). La Morte
di Cleopatra dell’Accademia dei Concordi di Rovigo sembra invece
“una parodia umoristica del mondo della leggenda e della storia.
L’episodio è recitato in modo tragicomico da protagoniste d’aspetto
tra batracico e scimmiesco, caratterizzate da testine scorciate con
nasetti a punta e da piccole mani a cuscinetto, con affilate dita, ricurve
a mo’ d’artiglio. Qui la tipologia grottesca del Mazzoni appare
definitivamente fissata. Si direbbe una contropartita comica del
rimpicciolirsi delle proporzioni e delle graziette paffute del «rococò».
Le figure si dispongono nello spazio abbozzando un movimento circolare;
l’ancella piagnona di sinistra, con un gesto coreografico, ne dà
l’avvio. Lo sfondo grigio, vibrante di lumeggiature, dove accenna a
tondeggiare, quale richiamo ritmico, una colonna, sembra accrescere
l’evidenza plastica della scena. Un tocco minuto, denso e corposo nei
chiari; tenue e morbido negli scuri, modella le carni ed i panni con
fermezza, ma senza escludere delicatezza e preziosità” (Ivanoff
1958-59). Successivamente
nel Sacrificio di Jefte della
Kress Foundation o nel Banchetto di
Cleopatra di Washington, il pittore orchestra la scena entro quinte
architettoniche complesse e sontuose, di estrazione lontanamente
veronesiana, ma interpretate in senso schiettamente barocco. Il colore,
sempre brillante, tende a schiarirsi e a dissolversi in un pulviscolo
dorato. Il movimento, peculiare in ogni fase della sua pittura ed
accentuato dagli spettacolari sottoinsù, diviene negli anni più tardi
ancora più complesso e determinante. Nel Sogno di Onorio III della chiesa dei Carmini a Venezia, un violento
vortice prorompe in un clima d’incubo schiuso al soprannaturale. Nello
Sposalizio
mistico di Santa Caterina,
infine, “l’ardita
visione da sotto in su, avvertibile nella balaustra
scorciata alle spalle della santa e nell’arcone retrostante, appare
attenuata dal rilievo conferito
alla schiera evanescente di angioletti e
cherubini che fa corona al gruppo della Madonna
col Bambino. Per questa il Mazzoni si è
ispirato
chiaramente a opere del Tintoretto come
l'Assunzione
della Vergine (Venezia,
Scuola Grande di San Rocco), mentre
nel manto mariano
gonfiato dal vento fino ad assumere l’aspetto di
una vela permane l’attrazione del pittore
per le forme ricercate. Se nell’angioletto che sostiene il
libro con le spalle sembra di poter ancora
percepire l’antico spirito «giocoso» di Sebastiano, nel
volto fortemente scorciato di Maria compare
la sua propensione al grottesco. La
qualità non sempre elevata delle figure degli
angioletti
spinge a ritenere che qui il Mazzoni si sia avvalso di un collaboratore,
identificabile forse
con il giovane Niccolò Bambini, suo aiuto a partire dalla metà del
settimo decennio” (Benassai 1999). Daniele D'Anza
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