CONSULENZE-STIME-EXPERTISE

 

 

Antonio Pellegrini (Venezia 1675 - 1741) - lo stile pittorico

 

 

 

 

“Fra tutte le rivalutazioni artistiche di questi ultimi anni, quella dell’opera di Gian Antonio Pellegrini (1675-1741) è senza dubbio una di quelle che meno sorprendono. Il suo cromatismo chiaro, dai rossi caldi e squillanti, la sua tecnica disinvolta, fatta per piacere agli amatori degli schizzi, il suo senso dello spazio e dell’effetto decorativo, tutto ciò spiega il rinnovato interesse per lui da parte di un’epoca che, parallelamente alla rivalutazione dei Caravaggeschi e dei Tenebrosi, non ha tuttavia cessato di amare un amabile XVIII secolo” (Rosenberg 1964).
“Per Antonio Pellegrini non fu necessario il lungo e faticoso apprentissage di Sebastiano Ricci: egli poteva inserirsi agevolmente nella corrente decorativa sviluppata a Venezia ai primi del Settecento per impulso del bellunese, al corrente degli esiti di un Pietro da Cortona e di un Luca Giordano” (Pallucchini 1994).
Dopo il tirocino in Austria e Moravia al seguito di Paolo Pagani ed il successivo soggiorno romano, l’artista rientrò a Venezia intorno al 1701, dove ebbe presto occasione d’esibire un linguaggio figurativo sicuro e aggiornato. Ne La consegna dello statuto ai confratelli, realizzata per la Scuola del Cristo a San Marcuola (oggi al Museo Diocesano di Sant’Apollonia), “the dramatic luminosity of the faces shows, as both Ivanoff [1952] and Aikema [1977] have observed, that in Rome Pellegrini had been deeply impressed by the work of Giovanni Battista Gaulli (called «Il Baciccio», 1639-1709) who at that time was offering a very lively alternative – in the spirit of Bernini – to the dominant classicism of Carlo Maratta (1625-1713). Aikema notes very appropriately that the influence of the latter finds a place in Venetian painting of this time in the work of Nicolò Bambini. Gaulli’s ceiling of the Gesù (1672-83), by contrast, is a dazzling performance which had already made a profound impact in Venice in Fumiani’s ceiling of S. Pantalon , but Pellegrini must have made a special study of smaller and more accessible works. [...] The Roman influence is also vividly expressed in the three canvas ceiling in the portego of Ca’ Albrizzi, brought to our attention by Bernard Aikema, who proposes for them a dating c. 1701-02. These are a truly staggering performance by the young painter, now perhaps about 26 years old” (Knox 1995).     
“Accanto alla produzione di carattere deco­rativo (a Venezia oltre al gruppo di soffitti su tela di Palazzo Albrizzi, dipinge ad affresco quello della chiesa di Sant’Antonino), il Pellegrini inizia quella sua feconda produzione di dipinti, sempre più richiesti, di tema mitologico o di storia classica, condotti con un senso teatrale atteggiato ad un sen­timentalismo patetico” (Pallucchini 1994). Di questo momento è la composizione con la Clemenza di Alessandro dinanzi la famiglia di Dario, del Musée Municipal di Soissons, nella quale “si avverte come il colore vada schiarendosi: con­tro i cieli algidi, risalta la gamma dei rossi accesi, dei gialli-limone, degli azzurri, dei violacei. La gestualità teatrale delle figure accentua il tono patetico del racconto” (Pallucchini 1994).
Alla fine del luglio 1713 l’artista “lascia l’Inghilterra, passando a Düsseldorf al servizio del principe elettore palatino Giovanni Guglielmo: nel castello di Bensberg (1-X-1713, 14-VII-1714) affrescò un soffitto e dipinse 14 scene allegoriche in onore del principe, oggi conservate nel castello di Schleissheim in Baviera. Si tratta di un ciclo di opere fondamentale per la comprensione del gusto del Pellegrini: non c’è dubbio sulle affinità con la pittura riccesca, di cui egli accetta l’impianto decorativo ed il pittoricismo, ma risolvendoli in modi personali. Nel Ricci v’era sempre una decisa impo­stazione formale e plastica, che proveniva dalla sua prima educazione emiliana e romana: nel Pellegrini l’impianto strutturale delle figure e dei gruppi è risolto pittoricamente con modi fluidi e vaporosi, senza remore disegnative o plastiche” (Pallucchini 1960). Egli infatti “già si muove nel più labile «capriccio» del nuovo secolo con un vagare blando di forme appena evocate nell’aria, non più a vortici ansiosi ma a remoli fluttuanti, color di rose” (Longhi 1946).
“Belle erano le invenzioni ch’ei concepiva, tutte vaghezza e allegria; onde per una dolce necessità le opere sue guadagnavano il cuore de’ riguardanti, e per un certo consenso faceano loro godere di quella felicità che provata avea l’autore nel dipingerle, e li obbligavano fino a premiarle generosamente. [...] Poteano dire i critici a sua voglia, che le di lui opere non aveano fondati studii di pittoresche dottrine, che per essere troppo prestamente dipinte non sarebbero arrivate a durare un mezzo secolo; tutto era un nulla; poiché fu mentre visse, ben premiato ed amato, in Patria e fuori e nelle più colte città d’oltramonti, dove invitato a dipingere ne riportò danari ed onore” (Zanetti 1771).

 

 

Daniele D'Anza

 

 

maggio 2005