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Jacopo Guarana (Verona 1720 – Venezia 1808) - lo stile pittorico

 

  

 

 

Nonostante le fonti lo ricordino allievo di Sebastiano Ricci e successivamente di Giambattista Tiepolo, Jacopo Guarana iniziò “a dipinger da per se con maniera di colorire Cignanesca, di forza, e vaghezza sì bella, che piacendo al sommo ebbe l'onor di servire a soggetti riguardevoli di Tavole d’Altari, ed altri Quadri in copia” (Compendio delle Vite de’ Pittori Veneziani Istorici 1762). Effettivamente, osservando i soffitti realizzati dall’artista, “troviamo più connessioni con i moduli di un Cignani, di un Franceschini, di un Dal Sole, che non con il sistema tiepolesco, dove la luce predomina subordinando tutti gli altri elementi decorativi” (Pallucchini 1995).
“Nel profilo che Giannantonio Moschini ha dedicato a Jacopo Guarana, apparso poco dopo la morte del pittore nel Giornale dell’Italiana Letteratura, vengono indicati numerosi suoi interventi nei palazzi  veneziani: «ne troveremo una serie infinita», scrive, rilevando l’infaticabile attività dell’artista nel campo dell’affresco decorativo profano. Accanto a Francesco Zugno, Giovanni Scajaro, Costantino Cedini – che fu suo allievo -, Fabio e, più tardi, Giambattista Canal, Giambattista Mengardi, Pier Antonio Novelli, Guarana s’impone dunque sulla scena veneziana come uno degli artisti più richiesti, e proprio i suoi lavori negli interni civili lo comprovano.
Ventinove sono gli edifici menzionati da Moschini con affreschi dell’artista, senza contare quelli in cui si trovavano dipinti a olio, parti essenziali della decorazione come le tele in Palazzo Boldù a San Felice [...], incastonate fra bizzarri ornati in stucco, con Ercole e Onfale, Bacco e Arianna, Zefiro e Flora. Sono tra le più riuscite composizioni dell’artista, di aperta celebrazione nuziale, in cui l’insegnamento di Jacopo Amigoni, si piega a moduli più decorativi, quelli, in un certo senso, delle trascrizioni incisorie da invenzioni amigoniane, che tanta fortuna hanno allora conosciuto. Guarana stesso praticò l’arte calcografica, offrendo, tra l’altro, nelle stampe con Zefiro e Flora e con Bacco e Arianna delle varianti proprio delle scene dipinte per Palazzo Boldù. Olio o affresco erano comunque intesi dall’artista allo stesso fine, nella ricerca di forme mosse e lisciate, di piacevolezze seducenti” (Pavanello 1998).
“La disinvoltura con la quale il Guarana passa dalla grande composizione decorativa a raffigurazioni idilliche dimostra la sua disponibilità professionale. Se consideriamo una pala d’altare, Daniele nella fossa dei leoni per la chiesa di San Francesco di Udine, oggi in quel Museo Civico, pagata l’8 febbraio 1757 (Rizzi, 1966), abbiamo un’altra conferma del generico tipolismo del Guarana, riscontrabile nella figura angelica; mentre quelle di Daniele e di Abacucco sono di tutt’altra estrazione, oscillante tra Balestra e Sebastiano Ricci” (Pallucchini 1995). Il dipinto udinese, “impaginato e condotto con grande scioltezza, secondo moduli cari a Sebastiano Ricci, trova accenni innovativi nel particolare vivace dinamismo compositivo a ritmo zigzagante memore della lezione del Diziani, nei sapienti chiaroscuri, nelle sciabolate di luce e nella piacevolezza del colore, con felice accostamento delle campiture rosse, bianche, azzurre” (Bergamini 2003).
Verso il 1675 l’artista si trasferisce a Valnogaredo (Padova) per iniziare la decorazione della Villa Contarini. “Sui 45 anni, egli riafferma feli­cemente la propria personalità in questa impresa decorativa. Nel salone del primo piano, interamente affrescato, una coerente unità collega i brani figurali e la parte ornamentale. Il piano illusivo comprende Scene pastorali e Divinità dell’Olimpo in un continuum spaziale dalla terra al cielo. Sulle pareti della sala, dentro fastose incorniciature rocaille attribuite dalla Zava Boccazzi (1978) ad Andrea Urbani, si svolgono due episodi del Pastor fido di Giambattista Guarini: il Gioco della mosca cieca,  nel quale Corisca dà sfogo alla sua gelosia, rivelando con l'inganno l'amore che lega Amarilli a Mirtillo, e il Matrimonio, allietato da danze e musica con pastorelle. A fianco della scena del Matrimonio, alla stessa altezza del pavimento, si apre una balconata dove un personaggio offre un bussolà ad una dama con un cagnolino: un brano di cordiale realtà quotidiana accanto alla favola arcadico-pastorale. Nella struttura cromatica predominano tinte che dal viola passano al rosa, dal violaceo al giallo: colori e nuances che fanno pensare più all’Amigoni che al Tiepolo” (Pallucchini 1995). Il carattere francesizzante delle incorniciature è stato messo in evidenza da Zava Boccazzi (1978) che osserva inoltre come “la pittura, tutta aggraziata e duttile di Jacopo Guarana si uniformi anche stilisticamente alle caratteristiche decorative del quadraturista, al quale si deve una responsabilità non secondaria nell'effetto unitario del complesso”.
Poco dopo, nella primavera del 1780, Guarana comincia ad affrescare, assieme al quadraturista Giuseppe Moretti, la volta della navata della chiesa veneziana di San Tomà. “Nodo focale del programma iconografico teso all’esaltazione delle gesta e del sacrificio del Santo titolare è ovviamente la grande scena raffigurante il martirio di Tommaso, con il Santo travolto e trafitto dalle lance dei soldati, attorniato dagli indigeni e dal re Carisio mentre al di sopra, tra le nubi, al centro di un corteo angelico, appare la Trinità [...]. Se è senz’altro vero che la qualità del colore – come già osservava Pallucchini – ha rispetto al Tiepolo un’intonazione diversa, meno fulgida, e prevalgono infatti i grigi-celesti, i rossi mattone, i gialli ocra, e gli olivastri, tuttavia in questo caso non del tutto difetta della «luminosità timbrica del maestro», come appare in particolar modo nei rosa e negli azzurri delle vesti di Tommaso e del re Carisio, i quali emergono con viva forza al centro della scena proprio in virtù di tale improvvisa inversione del registro cromatico. Ne scaturisce un brano  di un più vibrante colorismo, che indica una volta di più nel Martirio di San Tommaso una rinnovata attenzione e un significativo, anche se parziale e momentaneo, avvicinamento ai modi del grande maestro.
Dove non arriva la qualità del colore a dar risalto alle figure interviene allora un più vigoroso plasticismo delle forme – che è pure uno dei tratti distintivi e qualificanti dell’opera -, così avviene nei personaggi disposti a tinte cupe e affocate, o negli angeli in contemplazione del Martirio, nelle cui vesti ritroviamo quella «maniera di colorire cignanesca» che le fonti attribuivano all’arte del Guarana (Guerriero 1998).
Va detto infine che “a carriera avanzata”, l’artista non fu “insensibile al mutato clima, di stampo accademico-classicistico, che pervadeva la civiltà figurativa veneziana di fine secolo. [...] Sono gli anni ormai del trionfo della cultura neoclassica, che vedeva in prima fila, nel campo delle decorazioni soprattutto gli ornatisti, da Paolo Guidolini a Davide Rossi” (Pavanello 1998).
Suo figlio Vincenzo Guarana (Venezia 1753-1815) ebbe pure fama di buon pittore. Si dedicò ad opere di carattere religioso, storico e alla ritrattistica.
 

 

Daniele D'Anza

 

aprile 2005