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Luca Carlevarijs (Udine 1663 - Venezia 1730) - lo stile pittorico

 

 

 

“Non ha avuto positivo Maestro, ma ha studiato or qua or là. In piccolo, in porti di mare, e in paesini con vaghe figure dipinti, si portò tanto bene, che merita se ne faccia degna memoria” (Guarienti 1776).
Bisogna innanzi tutto premettere che la critica recente ha ormai dimostrato come il clima culturale e pittorico della vivacissima Venezia del tempo poteva aver influenzato l’artista tanto quanto un giovanile viaggio a Roma.
“Nel campo della veduta ideata (con porti di mare, ruderi antichi, costruzioni medioevali ecc.), il soggiorno a Venezia di Johann Anton Eismann, tra il 1685 ed il 1700, costituisce l’antefatto per il gusto del Carlevarijs in questo genere. La conferma del rapporto tra il giovane pittore ed il maestro di Salisburgo, come ha pro­vato l’Antoniazzi Rossi [1977], viene dalla citazione, nell’inventario della collezione del maresciallo Mattias Johannes von der Schulenburg, di dipinti rappresentanti «delle vedute marine con dei velieri, un castello e delle piccole figure», citate come opere di «Isman, e le figure di Carlevari». Quale autore di macchiette, il Carlevarijs doveva aver riportato dal suo viaggio romano il ricordo dei «bamboccianti», come pure, in tutt’altro campo, deve aver fatto conto degli esempi vedutistici, inappuntabili prospetticamente ma pittoricamente vuoti, di Gaspar Van Wittel (Vanvitelli), che nel 1694, durante la sua tournée nell’Italia del nord aveva visitato Venezia (la sua Veduta del bacino di San Marco del Museo del Prado è datata 1697). Il Moschini (1806) non aveva mancato di citare nella formazione del friulano un altro elemento, quello del Cavalier Tempesta, a Venezia dal 1697 al 1700, che era il tramite di una concezione paesistica legata ai modi di Gaspare Dughet e di Salvator Rosa” (Pallucchini 1994).
“Prima di Marco Ricci, che gli è di tredici anni più giovane, Luca Carlevarijs [...] dà l’avvio ad un nuovo genere pittorico del paesaggio: un paesaggio fantasioso fatto di rovine romane frammiste ad architetture di città e castelli, con porti pieni di navi e affollati di gente” (Morassi 1950).
“Ma quella che ci interessa è la sua opera di creatore della veduta Veneziana, sia in pittura che in acquaforte. Creazione fatta con una personalità così forte e sicura che, attraverso il suo sommo allievo Canaletto ed i suoi continuatori fino ai primi dell’800, le composizioni sue si ripetono quasi immutate nel taglio e perfino nelle disposizioni delle figure” (Mauroner 1931).
"Il suo passaggio dal paesaggismo al vedutismo è segnato dalla realizzazione della raccolta di 104 incisioni intitolata Fabriche, e Vedute di Venetia, data alle stampe nel 1703, ma frutto di un lungo lavoro preparatorio che deve aver impegnato l'artista per qualche anno, e dall'esecuzione di una serie di tele raffiguranti solenni ingressi di ambasciatori stranieri, venuti a presentare le proprie credenziali al governo della Serenissima" (Pedrocco 1995). 
Nell'opera incisoria, "che costituisce il presupposto basilare per lo svolgimento del vedutismo veneziano, l’attenzione dell’artista è rivolta non solo agli edifici sacri e civili di maggior richiamo, postulando in questo senso una scelta critica, ma anche ad inscenature di più largo raggio visivo, inglobanti gruppi di costruzioni colte nel loro ambiente particolarmente pittoresco, dove i cieli, specchiandosi nelle acque, suggeriscono scenografie di valore dinamico ed arioso” (Pallucchini 1994).
“Innovatore nel genere paesaggistico e riconosciuto capostipite dei vedutisti veneziani del Settecento, Carlevarijs rappresentò la sua città d’elezione con fedeltà documentaria, non solo valendosi delle sue cognizioni matematiche nel campo della prospettiva e dell’architettura, o di mezzi meccanici come la camera ottica, ma soprattutto partecipando con più pronta cordialità allo spettacolo della realtà visibile [...]. Questa sua innata propensione realistica si manifesta in maniera esemplare nelle scelte e nel trattamento delle macchiette. Si tratta di presenze vive e reali, circolanti in piena libertà nell’ambiente architettonicamente definito e paesaggistico” (Reale 1982).   
“Alla metà del terzo decennio del secolo dovrebbe appartenere un gruppo di opere in cui è visibile l’intervento di collaboratori, soprattutto nelle macchiette, che assumono un andamento più sofisticato e rocaille. Di chi può essere questa mano? Su basi congetturali e a titolo di esperimento proporrei il nome della figlia del Carlevaijs, Marianna, che nasce nel 1703: le sue testimonianze pittoriche sono molto scarse, ma sufficienti ad indicare una spiccata simpatia per i modi «internazionali» e «mondani» della Carriera, interpretati in chiave realistica, sotto lo stimolo paterno. Ed è proprio questo spirito, di rinuncia alla dimensione umana e alla carica individuale delle figure per una stesura più anonima e decorativa, che caratterizza una silloge di vedute tarde di Luca, peraltro vitalizzate dalla sua intelligente regia” (Rizzi 1967). Comunque sia, il suo unico allievo non “ideale” fu lo svedese Johann Richter (Stoccolma 1665 -  Venezia 1745), la cui presenza a Venezia s’inserisce “tra la piena maturità di Carlevarijs e il nascente astro di Canaletto, prima della cui piena affermazione Richter seppe conquistarsi un posto nelle collezioni locali e anche in quelle degli stranieri di passaggio per Venezia” (Reale 1994). 
In conclusione con Carlevarijs “s’impone a Venezia un genere vedutistico che diverrà di facile consumo specialmente tra gli stranieri in visita turistica, secondo la moda del tempo. Come è noto, era consuetudine della nobiltà inglese fare un viaggio nel Continente; nel «gran tour» era di prammatica la visita in Italia” (Pallucchini 1967). 
 
 
Daniele D'Anza     

 

 

marzo 2005