Francesco Albotto (Venezia?  1721 ? - Venezia 1757)

 

  

 

Ileana Chiappini di Sorio


L'intraprendente Francesco Albotto

 


 

Notizie intorno alla vita e all'operosità di Francesco Albotto (1721-1757) ci provengono da Pierre Jean Mariette (suo contemporaneo), il quale per primo ne d'uno stringato compendio biografico, forse suggerito da Anton Maria Zanetti senior, celebre collezionista e personaggio di cultura, molto addentro nell'ambiente artistico veneziano del XVIII secolo.
L'Albotto era stato discepolo di Michele Marieschi e pertanto veniva considerato un pittore vedutista, di conseguenza il Mariette scrive: "Les paysages ornè d'architectures", cioè i capricci e le vedute di Venezia "ne son pas mal touchè". Si fa chiamare "il secondo Marieschi" e di quest'ultimo aveva sposato la vedova. Infatti il 29 ottobre del 1744 l'Albotto convolava a nozze con Angela Fontana, figlia del pittore Domenico e vedova del Marieschi. Dopo pochi anni, nel 1751, Angela moriva di parto.
Dal 1750 al 1756 l'artista figura iscritto nella Fraglia dei pittori veneziani. Nel 1756 si risposava con Giovanna Pertesana, ma nel gennaio del 1757, a soli 35 anni, l'Albotto moriva, lasciando erede la moglie di alcune piccole proprietà immobiliari e di vari quadri di "vedute".
Dopo le indicazioni del Mariette l'artista è ignorato dalla critica e la sua figura viene dimenticata. Solo nel 1960, Rodolfo Pallucchini, rifacendosi, appunto, alle notizie del Mariette, annovera l'artista fra i pittori veneziani del Settecento e successivamente, nel 1972, pubblica una Veduta del Molo e del Bacino di San Marco, passata nell'asta Sotheby's di New York (il 17-18 maggio di quell'anno, n. 137 di catalogo), con l'assegnazione a "seguace di Michele Marieschi", ma, come riferito nell'articolo, nel verso della tela chiaramente si poteva leggere la segnatura: "Francesco Albotto F., in Cale de Ca' Loredan a San Luca" (fig. 1).

 

1. Francesco Albotto, Veduta del Molo e del Bacino di San Marco. New York, Casa d'Aste Sotheby's (già ).

 

Si tratta della prima opera da assegnare con certezza all'artista per dare inizio alla ricostruzione di questa misteriosa personalità artistica molto vicina, come notava il Pallucchini, a Michele Marieschi "sia nell'impianto prospettico [...] come nell'impasto pittorico". L'Albotto aveva fatto seguire al suo nome, nel dipinto di New York, anche l'ubicazione della sua casa e del suo atelier. Poco dopo, nel 1984, venivano reperiti da Mario Manzelli diversi documenti a conferma delle notizie tramandate dal Mariette e, in seguito, nel 1988, lo stesso studioso tentava una distinzione fra le personalità artistiche di Michele Marieschi e di Francesco Albotto, da sempre confuse. Faceva seguito, nel 1988, con le stesse intenzioni chiarificatrici, Dario Succi, che confutava anche alcune assegnazioni del Manzelli.
Bisogna tener presente che in precedenza, nel 1966, Antonio Morassi, nella prefazione al catalogo della mostra di Bergamo dedicata a Michele Marieschi, osservava che la qualità delle "vedute" e delle "fantasie" del pittore, non sempre ?dello stesso livello qualitativo e portava a esempio alcune fra le vedute, attribuite al Marieschi, oggi conservate nel Museo di Capodimonte, provenienti dalle collezioni reali napoletane, dove erano state assegnate erroneamente al Canaletto.
Il Morassi intendeva tornare sull'argomento per una precisazione di stile relativa alla personalità artistica del Marieschi, invece lo studioso lasciava interrotto il lavoro. Il gruppo delle dodici opere di Capodimonte, tutte tele a olio di uguali dimensioni (cm 61 x 97), era entrato a far parte delle collezioni del re di Napoli, nella metà del XVIII secolo, con l'assegnazione al Canaletto. Poco dopo i dipinti erano attribuiti al Bellotto e infine venivano passati al Marieschi. Uno di questi, raffigurante il Bacino di San Marco (salvo qualche piccolo dettaglio) simile a quello di New York della vendita di Sotheby's e, come già notato, anche il criterio valutativo si equivale per entrambi e, pertanto, l'analisi comparata accentuava le differenze stilistiche e le dissonanze percepite più volte fra i molti dipinti - forse troppi - assegnati al Marieschi. Si era venuto così a creare un disagio di sensibilit?valutativa, possibile da ovviare solo procedendo a una dissociazione fra le due personalità artistiche, Marieschi-Albotto, e considerando che molte opere assegnate al primo (fra le quali la più parte delle tele di Capodimonte), dovevano passare necessariamente all'allievo.
Un soggetto più volte ripetuto da Michele Marieschi, anche con varianti, il Capriccio con l'obelisco, spesso corredato da un monumento equestre o da architetture dirute oltre che da figurette, le quali, come già notato, presentano sovente uno stile discontinuo. Identico tema veniva ripetuto anche dall'Albotto che puntigliosamente si adeguava ai modelli del Maestro, così come faceva per le vedute di Venezia servendosi, probabilmente, anche delle incisioni del Marieschi, delle quali aveva, in usufrutto dalla prima moglie, le matrici di rame e anche il privilegio di stampa. Quindi poteva contrabbandare la più parte dei suoi dipinti o incisioni come autografi del Maestro.

 

2. Francesco Albotto, Capriccio con obelisco. Bergamo, Galleria Lorenzelli (già).

 

A esempio, è da assegnare a Francesco Albotto il Capriccio apparso con il numero 33 alla mostra del 1966 dedicata al Marieschi (fig. 2), oltre a diversi altri soggetti già individuati. Questo Capriccio con l'obelisco (n. 33 della mostra), se confrontato con uno di sicura mano del Marieschi, rivela la diversità di stile che individua la differente personalità artistica.

 

3. Michele Marieschi, Capriccio con obelisco. Venezia, Gallerie dell'Accademia.

Più scenografica appare l'opera del Marieschi, di straordinaria inventiva, dalla vivace stesura cromatica resa con pennellate corpose e rapide (vedasi il Capriccio con arco diruto, n. 728 delle Gallerie dell'Accademia di Venezia) (fig. 3). L'Albotto presenta una grafia più secca, sebbene spesso molto analitica, con figurette dall'atteggiamento composto che punteggiano la scena; la pennellata appare liquida, certe volte con tonalità acidule (un'assonanza cromatica con Canaletto), sovente è discontinua e disordinata.
Questo tema, spesso definito anche Capriccio fluviale con arco gotico, ricorrente in più redazioni, l'Albotto lo tratta con alcune varianti personali. Può esserci o meno l'inserimento della figura di un cane; i piccoli gruppi di figure, che animano le composizioni, hanno atteggiamenti differenti, oppure la statua, posta sul balaustrato dell'arco gotico, ha posizioni dissimili o è del tutto assente. Ma nella composizione d'assieme il soggetto non si discosta da quello ideato dal Marieschi.

 

4. Francesco Albotto, Capriccio con obelisco e arco gotico.


Il dipinto di collezione veneziana che si presenta ora, raffigurante un Capriccio con obelisco e arco gotico (olio su tela, cm 71 x 91,5), in precedenza assegnato al Marieschi, lo si propone invece a Francesco Albotto (fig. 4).
E' un'opera fra le migliori realizzate dall'artista, anche se mutuata dallo stesso soggetto di Michele Marieschi (vedasi il già citato Capriccio n. 728 delle Gallerie dell'Accademia di Venezia). Sostanzialmente, l'Albotto si differenzia dal Marieschi in questo Capriccio, oltre che per la materia pittorica, anche per piccoli dettagli, come la presenza del cane, o la diversa distribuzione delle figurette. Ma è evidente che l'Albotto ha tenuto ben presente l'opera del suo maestro. Infine, confrontando questo Capriccio di collezione veneziana con un altro assegnato all'Albotto, conservato a Milano n. 381 di Palazzo Marino, si notano in quest'ultimo alcune disattenzioni, come l'obelisco troppo svettante nel rapporto d'insieme, la struttura compositiva statica con una resa pittorica magra  soprattutto nel particolare del selciato in primo piano e le figurette bloccate senza alcuna vivacità. Il Capriccio, ora proposto all'Albotto, presenta invece un ottimo livello qualitativo per l'equilibrata proporzione architettonica, per il vivace cromatismo e l'animazione dei personaggi, soprattutto per il gruppo, sul bordo dell'acqua, irradiato dal riflesso di luce proveniente dall'ampiezza atmosferica. Per queste qualità tecniche, il dipinto può essere collocato cronologicamente poco prima del 1750, cioè nel periodo migliore dell'operosità di Francesco Albotto, quando poneva in vendita i suoi dipinti spacciandoli per opere di Marieschi e come tali venivano accettate.

 

5. Francesco Albotto, Campo dei Santi Giovanni e Paolo.


Il Campo dei Santi Giovanni e Paolo viene raffigurato in un'altra veduta di Francesco Albotto, appartenente alla stessa collezione di Venezia (olio su tela, cm 60 x 95) (fig. 5). Il prototipo del tema risale al Canaletto (Gemaeldegalerie di Dresda), ripreso da Michele Marieschi e trascritto anche nel corpus grafico di quest'ultimo. Le due opere sono state tenute ben presenti dall'Albotto, sebbene abbia usato differenti punti di vista nelle varie repliche. Quella che qui presentiamo si differenzia dalle altre per l'attenzione analitica nell'insieme della veduta, resa con lenticolare realismo. L'angolatura del campo visivo è volutamente allargata per privilegiare la basilica; a evidenza l'artista ha anche usato la camera ottica, che possedeva, risultando inventariata fra i suoi beni nel testamento. Le acque del canale dei Mendicanti sono rese con un colore verde acidulo, molto simile al cromatismo del Canaletto (vedasi Canal Grande con palazzo Balbi, oggi a Ca' Rezzonico). Nella fine del canale si 'leggono' le strutture di un'edilizia minore. Le finestre e le altane sono descritte minutamente con motivi di vita quotidiana, resi con attenta sensibilità elementi non trascritti con altrettanta fedeltà in altre versioni (vedasi l'analogo soggetto del Museo di Capodimonte), realizzati invece molto schematicamente.

 

6. Antonio Canaletto, Rio dei Mendicanti, particolare. Venezia, Ca' Rezzonico.

 

Questi minimi particolari del Canale dei Mendicanti sembrano quasi la controparte di quell'architettura che Canaletto riprende invece dalla parte opposta con altrettanta meticolosità lenticolare nella veduta dello stesso Canale dei Mendicanti (fig. 6), oggi a Ca' Rezzonico.
L'Albotto in questo dipinto è molto analitico e riprende la facciata della Scuola di San Marco (oggi sede dell'Ospedale Civile) con risultati grafici sorprendenti, soprattutto nella resa delle sculture e dei rilievi prospettici dei pannelli adiacenti al portale. Inoltre, proprio il portale e le due finestre superiori dell'edificio sono decorati con festoni composti da tralci di foglie, ornamenti usati generalmente per le grandi festività religiose, il che farebbe pensare alla ricorrenza di San Marco, patrono di Venezia e titolare della Scuola. Infine, l'intensità luminosa del cielo azzurro e la solarità che irrora la facciata dei palazzotti prospicienti il canale, farebbero supporre l'ideazione della veduta in un tempo di primavera avanzata e i festoni al portone e alle finestre potrebbero suggerire il momento della festa di San Marco. Considerando poi la solarità luminosa, esaltata dai tagli, decisi ma limitati, dell'ombra, viene naturale collocare la resa atmosferica in un tempo antimeridiano. Il selciato del campo è interrotto nelle partiture dei masegni di trachite dal passaggio, volutamente marcato e obliquo, che lega la "gradata" del canale con il portale della chiesa. L'artista intenzionalmente poi evidenzia il particolare dei gradini che scendono verso l'acqua del canale. Il "pilero" in pietra, davanti al ponte Cavallo, così detto per la statua equestre di Colleoni nel campo, regge una vela da "bragozzo", in luogo della tenda, per ottenere un taglio d'ombra, forse per proteggere un venditore da strada, personaggio che si intravede anche nell'incisione di Visentini da Canaletto e la coincidenza fa supporre dovesse, a quel tempo, esistere realmente.
Singolare presenza, sotto la statua del Colleoni, è quella di un asinello. Può apparire come una fantasia del pittore, ma, per il passato, i muletti erano usati dai patrizi veneziani per accedere celermente alle riunioni del Maggior Consiglio alla chiamata di una delle campane di Piazza San Marco, detta appunto "trottiera".
Nel XVIII secolo i patrizi usavano ormai solo le gondole, quindi il particolare del muletto in campo dei Santi Giovanni e Paolo può essere un'originalità tuttavia i quadrupedi erano stati di casa a Venezia. Infatti dietro le absidi della basilica stessa era esistita, fino alla fine del XVII secolo, la cavallerizza dei nobili, ricordata tutt'oggi nella toponomastica stradale. Del resto, anche Michele Marieschi in una sua incisione con il campo dei Santi Giovanni e Paolo riporta il particolare dei due cavalli in sosta proprio sotto la statua di Colleoni, uno dei quali bruca l'erba che fuoriesce dalle fenditure del selciato, fra oziosi personaggi di carattere popolaresco.
La veduta di Francesco Albotto riprende uno squarcio di vita quotidiana nella sua puntuale realtà. L'opera può collocarsi nel momento della miglior stagione dell'artista, per la resa luminosa, per la vivacità cromatica e per l'attenta ripresa della realtà dell'ambiente. Cronologicamente può risalire circa il 1745-1750.

Ileana Chiappini di Sorio

 

 

ARTE Documento N° 21,  2005     Edizioni della Laguna