Antonio Molinari (Venezia 1655 - 1704)

 

   

“Genio vigoroso ed originale fu il Molinari, che non si lasciò trasportare dalla tenebrosa scuola del Zanchi in cui fece i primi suoi studii; ma con le idee di vaghezza e di nobiltà che avea nell’animo creò il proprio suo stile, e si fece commendato Maestro” (Zanetti 1771). Pur seguendo una sua via tutta personale, Molinari è comunque da considerarsi “l’artista che nel momento di passaggio tra il Sei e Settecento, che ha coinciso con un mutamento sostanziale di strutture linguistiche, rimase più fedele alla poetica dei ‘tenebrosi’. Egli fu un robusto costruttore di impianti scenici, sempre sostenuto da un ricco fermento naturalistico, pur nella sua accezione melodrammatica” (Pallucchini 1981).

Nella prima importante commissione pubblica veneziana, le tele con la Natività della Vergine e la Visitazione della chiesa dell’Ospedaletto (1683), “risalta la fedeltà ai modelli zanchiani, anche in talune tipologie di vecchi barbuti dai nasi adunchi e dall’espressione aggrottata. [...] Lo stesso schema compositivo del primo dipinto ricalca in maniera precisa la tela inviata dal maestro atestino nel santuario di Sombreno. Ma ciò che appare decisamente risolto è quel trepido toccarsi delle figure femminili nella Visitazione in cui si perviene ad una resa più articolata degli affetti” (Craievich 1999). Essa “è concepita drammaticamente: Elisabetta si protende verso Maria a coglierne trepidamente la confidenza: la luce batte intensa sulla sua fronte, mentre nelle occhiaie si addensa l’ombra; Maria, la nobile figura eretta, è una seria, un po’ imbronciata bellezza popolana: una Lucia manzoniana, con un volto che sarebbe piaciuto al Piazzetta (il quale nasceva proprio allora e sarebbe stato allievo del Molinari). Dal colore intenso, carminio e azzurro profondo, delle figure femminili si passa alla bruna penombra delle due figure maschili (nelle quali troviamo già fissata certa tiponomia ricorrente nel Molinari) che salgono nel crepuscolo, mentre l’ultimo chiarore del cielo si addensa all’orizzonte” (Moretti 1979).

La tela con Il trasporto dell’arca dell’alleanza, già al Corpus Domini ed ora nella chiesa di Santa Maria degli Angeli a Murano, definita a suo tempo da Zanetti (1771) come “una delle sue opere più belle”, “è articolata in modo da dare ritmo al corteo che sale da sinistra” (Moretti 1979), mentre la Moltiplicazione dei pani e dei pesci della chiesa veneziana di San Pantalon (1695-97 c.), sembra riprendere la scioltezza apertamente decorativa dello Zanchi maturo. È questo un dipinto di largo respiro scenico, “in cui le masse sono articolate da una regia sapiente ed attenta. Il discorso, sempre di vasta tenuta, è retto per lo più da una dinamica, incalzante, anatomia. In taluni episodi, tagliati di scorcio con aggressività avventante, il dettato si fa concitato, quasi febbrile, procedendo per impennate, a strappi, nel balenare di lumi accortamente dosati. È un fluire di forme aperte nell'aria, di una libertà fantasiosa e cantabile, per via di un dipingere spiritoso e sciolto, dove la luminosità schiarita del colore prelude già all’ « arietta » settecentesca” (Donzelli-Pilo 1967).

“Ci avviciniamo alla fine del secolo. Tra il 1696 e il 1700 Molinari dipinge la pala per l’altare della Scuola dei Fabbri a S. Moisè: opera di colore caldo e vigoroso, con le figure disposte secondo uno schema ascensionale” (Moretti 1979). Il suo stile però “non è uguale in ogni opera; cosa che avviene a chi tenta di uscire dalle vie mostrategli e ne cerca altre nuove. Ho veduto de’ suoi quadri in Venezia e fuori di gran rilievo, ed altri di pochissimo: mi è talora comparso bello, ma freddo. Nel miglior suo tempo, e nelle opere più decisive del suo merito, egli con uno stile non men sodo che ameno, appaga la mente e l’occhio: vi è studio di disegno e di espressione; beltà sufficiente di forme; ricchezza di vesti; sapore, accordo di tinte quanto in altro di quell’età” (Lanzi 1795-96).

In conclusione, il “ductus pittorico di Molinari, articolato attraverso la velocità, spesso meccanica, del pennello che dava corpo alle figure attraverso un segno generoso ma approssimativo [...] sembra precedere quei celebrati virtuosi del secolo successivo, come Ricci o Pellegrini, che faranno uso della stessa pratica negli imponenti complessi decorativi allestiti per le residenze di mezza Europa” (Craievich 1999).

Difatti l’unica “personalità, che per statura si possa affiancare a Sebastiano Ricci nel momento di passaggio tra Sei e Settecento è quella del Molinari”, il quale “sembra depurare la torbida ispirazione dei ‘tenebrosi’, rendendo attuale quella carica naturalistica, che ai primi del Settecento alimenterà la corrente che fa capo al Piazzetta” (Pallucchini 1981).

 

 

Daniele D'Anza