Giovanni Battista Langetti (Genova 1635? - Venezia 1676)

 

 

Nato a Genova nel 1635 (parrocchia di Santa Sabina), come confermano i documenti rintracciati da Stefani (1965-66), l’artista si reca ancora giovane a Roma dove “apprese principj della pittura sotto il Cortona” (Ratti-Soprani 1769). Trasferitosi a Venezia, verso la metà del sesto decennio, “si perfezionò sotto la direzione di Gio. Francesco Cassana” (Ratti-Soprani 1769). Messosi in proprio, riscosse da subito un certo successo presso i collezionisti privati, attratti dalla sue composizioni raffiguranti perlopiù vecchi sapienti, personaggi biblici o mitologici. Anton Maria Zanetti (1771) riferisce inoltre come Langetti “fosse solito a dipingere riccamente vestito di robe d’oro; esercitando l’arte molto politamente: e che mettendosi dinanzi un modello, con grande prontezza e facilità ne formasse in una sola mattina una bella mezza figura per il più d’un qualche Filosofo, che non vendea meno di cinquanta ducati a’ dilettanti innamorati delle pitture sue”. La pala del Crocifisso con la Maddalena, realizzata per la chiesa veneziana delle Terese tra il 1663 e il 1664 (oggi a Ca' Rezzonico), è da ritenersi infatti quasi un caso isolato all’interno della sua produzione, volta ad inscenare eventi drammatici di soggetto storico o veterotestamentario. 

Presso la sua casa, addobbata con una certa agiatezza, l’artista teneva lo studio allora frequentato da due allievi: Ludovico Druent e Francesco Zoppo (Stefani 1965-66). La sua carrie­ra si svolse sempre a Venezia, con l’esclusione di due brevi viaggi a Bergamo e a Firenze (Ratti-Soprani 1769) e alcune commis­sioni esterne, in particolare per Padova e Genova (Claut 2001).

Giambattista Langetti si spense a Venezia, stroncato da “febre malignia in otto giorni”, il 22 ottobre 1676. L’inventario dei beni rinvenuti nella sua abitazione dopo il decesso “ci guida attraverso una casa ampia, arredata con ricercatezza dall’ingresso alla soffitta, e dimostra quanto intensa fosse l’attività professionale dell’Artista sia per i molti quadri finiti o gli abbozzi principiati di sua mano, sia per i diversi disegni di carta e le decine di tele imprimide di cui si dà notizia. Dal documento abbiamo conferma che il Pittore era riuscito, con la propria affermazione, a trarre non poco profitto dal suo talento, come risulta dall’elenco dei valori e preziosi, dalle scritture di credito, dai molti oggetti in argento, dai «cuori» (cuoi) di cui sono rivestite le pareti, dal ricco guardaroba di sete e panni fini” (Stefani Mantovanelli 1990). 

 

 

 

Daniele D'Anza