Luigi Rossi (Cassarate 1853 – Tesserete 1923)

 

 

Luigi Rossi nasce a Cassarate, vicino a Lugano (Canton Ticino), il 10 marzo 1853. Figlio di Francesco e Antonietta Giannini, si trasferisce a Milano nel 1856 con la famiglia; qui il padre trova lavoro in una tipografia, mentre Luigi viene iscritto nel 1864 all'Accademia di Brera, divenendo allievo di Giuseppe Bertini prima, di Leonardo Bazzaro e Cesare Tallone poi. Frequentatore dell'ambiente artistico meneghino, Rossi entra precocemente in contatto con artisti come Francesco Valaperta, Luigi Riccardi ed Eugenio Gignous (con quest'ultimo Rossi coltiva una profonda amicizia), che lo condizioneranno nelle sue scelte artistiche. Agli inizi degli anni Settanta, dopo gli esordi artistici del giovane (nel 1871 presenta a Brera Questua infruttuosa, mentre l'anno successivo è presente con In assenza dei padroni), la famiglia di Rossi si trasferisce ad Asti: l'artista si avvicina così agli artisti piemontesi (duratura sarà la sua amicizia con Bistolfi e Calderini), soggiornando comunque a più riprese nelle valli ticinesi e in Brianza; terre, queste, che vengono immortalate nelle sue tele (con Ritorno al paese natio, del 1878, Rossi arriva vicino a vincere il premio Principe Umberto alla Rassegna nazionale di Brera).

Data 1885 il suo spostamento a Parigi, dove si trasferisce con la moglie Adele Calanchini, sposata l'anno precedente, dalla quale avrà due figli verso la metà degli anni Novanta. Nella capitale francese si distingue come illustratore di libri per i romanzi di Alphonse Daudet (Tartarin sur les Alpes, 1885; Sapho, 1887) e di Pierre Loti (Madame Chrysantìe, 1887), continuando questa attività anche dopo il 1889, lasciata ormai Parigi: infatti, in quell'anno Rossi pone mano alle illustrazioni di una ristampa di Notre-Dame de Paris di Victor Hugo, mentre nel 1892 si occupa della parte grafica dei testi di Chateaubriand. Nel 1895 gli vengono affidate le illustrazioni per i libri di Keller e Rambert, due scrittori svizzeri, e nel 1901 realizza le vignette del romanzo Les demi-vierges di Marcel Proust.

Tornato a Milano rientra nel giro degli esponenti della scuola lombarda (quali Previati, Segantini, Troubezkoy ed altri), prima di effettuare un breve viaggio a Posillipo (1890), dove entra in contatto con l'ambiente della scuola napoletana del Morelli; l'anno successivo intraprende un viaggio in Sicilia, per poi ritornare nuovamente a Milano. Qui l'artista continua con successo la sua attività di pittore, tanto che nel 1895 è tra i sessanta artisti europei invitati alla prima Biennale di Venezia, esponendo Scuola del dolore, mentre nel 1896 è presente a Ginevra con Roues de Jeunesse (completata due anni prima), e nel 1898 a Torino con Il mosto.

Nel 1897, dopo aver rinunciato ad una cattedra a Brera, è delegato scolastico nel Canton Ticino dove, con l'architetto Augusto Guidini, elabora un progetto di riordinamento delle scuole di disegno. Nell'ambito dell'insegnamento Rossi intraprende alcune collaborazioni con l'Università popolare milanese (1901), per poi rimanere una decina d'anni (1902-1912) alle scuole dell'Umanitaria, occupato a far conoscere la concezione di Ruskin e Morris della diffusione delle arti intese come stimolo di elevazione spirituale. Nonostante gli impegni scolastici, i successi in campo artistico sono ribaditi dalle partecipazioni a diverse esposizioni internazionali, quali la mostra del Cinquantenario a Roma (1911), la Biennale di Venezia (1912), dove espone Cerere, la Rassegna dell'incisione italiana a Londra (1916), e le personali nella natia Lugano (1918) e a Milano (1921).

L'artista muore per insufficienza cardiaca il 6 agosto 1923.

  

 

LO STILE

 

 

Indubbiamente lo stile di Luigi Rossi riflette quello che è l'andamento artistico dell'Italia nella seconda metà dell'Ottocento. Il ticinese esordisce infatti con quadri che si possono definire "di genere", come i già citati Questua infruttuosa e In assenza dei padroni, perpetuando una predilezione per scene di vita contadina anche fin verso la metà degli anni Ottanta (La preghiera del mattino, 1883). In queste opere chiara è l'influenza del suo amico Gignous nella compenetrazione tra cielo e paesaggio (non a caso hanno avuto lo stesso maestro paesaggista, Luigi Riccardi), mentre la scena in se è restituita con un maggior spirito di osservazione, molto probabilmente derivante dal verismo pittoresco in auge in quel periodo. Non è ben chiaro se Rossi abbia conosciuto Tranquillo Cremona o se ne sia stato influenzato indirettamente (magari mediato da Gignous, molto amico anche di Cremona), ma di certo i ritratti eseguiti dalla fine degli anni Settanta palesano degli elementi comuni a questo artista, come l'indefinitezza dello sfondo e l'analisi psicologica dei personaggi (Ritratto di signora, 1880-1885).

Ad ogni modo, la resa dal vero è la peculiarità principale della pittura di Rossi: La raccolta delle ostriche (1888), Posillipo (1890) e La Sicilia (1891) dimostrano quanto la lezione impressionista (Rossi è plausibilmente entrato in contatto con gli artisti parigini durante il suo soggiorno nella capitale francese, assimilandone alcune caratteristiche, così come è stato influenzato da Filippo Carcano) sia stata importante per lo sviluppo del suo stile, così come Temporale in montagna (1892) rappresenta il superamento della fase verista-realista a favore di una produzione spiccatamente più simbolista. Di questo nuovo periodo fa certamente parte Rues de Jeunesse, dipinto che "segna un momento alto e isolato all'interno della produzione dell'artista e nel contesto della scuola lombarda" (Bossaglia-Bianchi), e di cui l'artista propone più varianti, tutte suggestionate dai componimenti lirici del suo amico Gian Pietro Lucini.

Un'altra "fase" di Rossi è costituita da un gruppo di opere, sempre di carattere simbolista, che dimostrano però l'avvicinamento del ticinese ai precetti dell'arte di Segantini e Previati: tra queste, Primi raggi (diverse varianti, 1900-1905), L'aiuola (1904) e Genzianella (1908), in cui al tema dell'infanzia, molto caro a Rossi, si unisce l'etica segantiniana del rapporto simbolico con la natura. Rapporto, questo, che è base comune anche per i dipinti successivi, come ad esempio Cerere (1910-1915), con cui Rossi mira ad elevare spiritualmente la vita contadina; Il canto dell'Aurora (1910-1912), che rappresenta la piena maturità di questa sua nuova fase; Dolce cinguettio (1915), nel quale lo spiritualismo derivato dalle opere dei divisionisti sopracitati si fonde con alcuni propaggini dello Jugendstil.

Dalla metà del secondo decennio del Novecento, Rossi ritorna al suo primo "amore", ovvero la pittura di paesaggio, mai trascurata completamente, abbandonando lo stile divisionista a favore di una pennellata più larga, libera e materica (Veduta da Biolda, 1915-1920).

 

 

 

Mirko Moizi