Antonio Ciseri (Ronco 1821 – Firenze 1891)

 

 

Nato il 25 ottobre 1821 a Ronco, nel Canton Ticino, dal matrimonio tra Gianfrancesco (decoratore di stanze, ornatista e paesaggista) e Caterina Materni, Antonio Ciseri si trasferisce con il padre a Firenze (ove questi già lavorava da diversi anni) all’età di undici anni. Nel capoluogo toscano, il padre e lo zio, notata l’attitudine del giovane alla pittura, lo spingono ad entrare negli studi di Ernesto Bonaiuti e di Giuseppe Bezzuoli, fino a che, due anni dopo il trasferimento, si iscrive all’Accademia di Belle Arti, diventando allievo di Pietro Benvenuti.

Dopo aver vinto diversi concorsi (giovanissimo, nel 1845, si aggiudica il concorso triennale con San Giovanni che rimprovera Erode ed Erodiade) e aver ricevuto molteplici riconoscimenti (come la richiesta di eseguire una pala d’altare per la chiesa di Santa Felicita a Firenze: questa “impresa” lo tiene occupato dal 1852 al 1863, e darà vita al Martirio dei Maccabei), l’artista ticinese convoglia a nozze con una giovane fiorentina (Cesira Bianchini, sposata il 22 aprile 1855) all’eta di 35 anni, dalla quale avrà un figlio maschio e tre figlie femmine. Nel frattempo (1852) è proclamato professore ad honorem dal Collegio degli studiosi fiorentini (i quali conferiscono questo titolo agli artisti che si sono distinti tra tutti per la loro opera), ed inizia la carriera di insegnante prima, e quella di direttore dell’Accademia di Belle Arti poi (tra il 1874 e il 1875). Col trascorrere degli anni la fama del Ciseri cresce sempre di piú, tanto che i suoi allievi giungono fin dall’Argentina e dal Brasile; tra i tanti, il ticinese annovera come allievo anche Silvestro Lega, nella scuola del Ciseri tra il 1849 e il 1854.

Nonostante viva costantemente a Firenze, l’artista non dimentica la sua terra natía (esegue Il trasporto di Gesú al sepolcro (1868) per la chiesa di Santa Maria del Sasso a Locarno, nonché alcune opere nella chiesa di San Francesco, sempre a Locarno, e nella chiesa di San Martino a Ronco; data intorno al 1851 la Pietà di Magadino, che dovrebbe essere la prima commissione ticinese ricevuta dall’artista), alla quale ritorna almeno una volta all’anno per passare dei periodi in compagnia della madre e del fratello Vincenzo; inoltre, è chiamato diverse volte dal Governo ticinese a presiedere la Commissione esaminatrice delle Scuole di disegno.

L’ultimo periodo di attività è contrassegnato da sempre piú importanti incarichi ufficiali, quale l’esecuzione dell’Ecce Homo, commissionatogli dal Governo italiano nel 1870 e terminato poco prima di morire. Deceduto nella sua villa il 6 marzo 1891 per cause naturali, viene sepolto in una cella nella Necropoli di San Miniato sopra Firenze.

 

 

LO STILE

 

 

Appresi i rudimenti della pittura dallo zio Giuseppe Ciseri, gli esordi di Antonio si inseriscono nella cultura realistica propria del Bezzuoli, dal quale è influenzato in particolar modo per il cromatismo, mentre nel disegno predilige gli insegnamenti del Benvenuti (il giovane Ciseri si sofferma per diversi anni sullo studio del disegno, comprendendo l’importanza dello studio del nudo). Proprio il “primato del disegno” gli permette di superare l’iniziale formazione bezzuoliana, orientandosi cosí il Ciseri verso un’arte di stampo accademico influenzata dalla meditazione sullo stile di Ingres e di Luigi Mussini. Il ticinese comprende presto che il disegno è la base principale d’ogni arte, e ciò cerca di inculcare anche ai suoi scolari: «Un ritratto ben disegnato somiglierà il suo tipo anche senza colori: un ritratto ben colorito, e mal disegnato, sarà per lo meno un indovinello. Questa fu la sua massima costante […]» (Broggini). D’altra parte, c’è da sottolineare una differenza esecutiva tra le opere a carattere storico-religioso e le vedute, quest’ultime maggiormente soggette al cromatismo realista.

Tra i suoi soggetti si possono annoverare numerosissimi ritratti di persone facoltose (tra le 300 e le 350 opere realizzate durante la sua carriera artistica), come ad esempio quelli di Giovanni Dupré, di Giovanni Bianchi e di diversi illustri argentini, ed episodi religiosi come il già citato Ecce Homo, oppure il Date a Cesare (1861) e il Giuseppe venduto dai suoi fratelli (1867); infine, non vanno trascurate le molteplici vedute della sua terra natía, molte delle quali realizzate a matita su di un taccuino durante un viaggio intrapreso intorno agli anni Settanta.

 

Mirko Moizi