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Giambattista Piazzetta (Venezia 1683 – 1754) - lo stile pittorico

 

 

Cresciuto a contatto con i migliori esponenti della corrente naturalistica veneziana del tardo Seicento, quali Antonio Molinari e Antonio Zanchi, l’artista studiò altresì la pittura bolognese di Giuseppe Maria Crespi, la cui densa sostanza chiaroscurale e il caldo luminismo gli permisero, al suo ritorno a Venezia verso il 1710, di raggiungere un nuovo gusto cromatico pervaso da forti accenti drammatici.   
Come ricorda acutamente Wittkower (1958), “opposto di Sebastiano Ricci, e artista di pari o maggior talento, fu Giovanni Battista Piazzetta la cui formazione, la cui esistenza, le cui idee d’artista furono in tutto e per tutto l’antitesi di quelle del suo collega: non gran viaggiatore, ma di abitudini sedentarie, non un brillante virtuoso ma un lento e paziente lavoratore; nessuna superficialità decorativa ma una nuova profondità e intensità di espressione; non una tavolozza leggera e vibrante, ma un ritorno al chiaroscuro e alla forma plastica; infine, negli ultimi anni, non nuove conquiste, ma un lento declino delle forze creative”.
Nel San Jacopo trascinato al martirio della chiesa di San Stae, eseguito nel 1722, “richiamandosi al locale naturalismo seicentesco, e riformandolo secondo attuali esigenze di immediatezza visiva, il Piazzetta restituisce alla tematica sacra un’intensità di accenti drammatici che puntano al diretto coinvolgimento emotivo dell’osservatore. L’evento è fissato all’attimo di massima tensione, come un meccanismo che si blocchi per il contrasto delle forze in gioco: ancora nessuno dei due personaggi sopravanza sull’altro. Il vecchio apostolo, scarmigliato e scalzo, stretto al libro di molle pergamena, oppone una straordinaria quanto imprevedibile resistenza, tanto da sbilanciare il muscoloso manigoldo. A contrasto con le figure plebee dei protagonisti, emerge nello sfondo un giovane, luminoso cavaliere: un’apparizione di enigmatica eleganza, che si ricollega ai disegni con Teste di adolescenti in cui il Piazzetta si sarebbe specializzato” (Mariuz 1982).      
“Da composizioni a carattere religioso il Piazzetta passa presto a figure sganciate da ogni azione narrativa, cioè a scene di genere colte con una palpitante naturalezza, come gli insegnava il gusto del Crespi. Nella Contadinella che si spulcia e nel Contadino con la cesta di rape del Museo di Boston, il Piazzetta fissa due istanti di vita nella loro immediata schiettezza, mediante una pittura fortemente chiaroscurata, ricca di gradazioni e di valori pittorici. La forma si modella compatta in funzione dei risalti di ombra e di luce: fermenta e leggermente si sbava nelle carni dei due giovani contadini. V’è una aggressività naturalistica che non rimane sco­perta: ma che si spiega, in quello stesso ritmo falcato di curve, ad una piena coerenza stilistica. Il movimento compositivo che caratterizzava il San Jacopo sembra placarsi, nei due Contadini di Boston, in una più quieta articolazione di risalti formali, determinanti più intimi e sottili rapporti di chiaroscuro cromatico” (Pallucchini 1960). Probabilmente queste scene di genere, di chiara ascendenza crespiana furono realizzate non molto dopo il ritorno da Bologna (Ruggeri 1979).
Abolito ogni riferimento ambientale, l’artista ne L’angelo custode con i santi Antonio da Padova e Luigi Gonzaga della chiesa veneziana di San Vitale, “presenta i sacri personaggi contro uno sfondo di nubi rossastre, modellandoli in una sostanza cuprea e preziosa, che sembra vetrificarsi a contatto con la luce. Si afferma in questo dipinto il gusto per un’intensa caratterizzazione fisionomica e psicologica, risolta in una rigorosa cifra stilistica. Nel San Luigi, con gli occhi al cielo, si definisce un’espressione di trasporto devoto che diventerà consueta nella produzione successiva; l’essenza soprannaturale dell’angelo, autentico protagonista, si visualizza in una bellezza quasi proterva (che interesserà particolarmente Giambattista Tiepolo) e nell’impeto con cui si accampa e si ostenta nello spazio. Le sue vesti oro e lilla sono toccate da luminescenze opaline” (Mariuz 1982).
Verso la metà del terzo decennio, dopo una prima fase di chiaroscuro più drammatico, la sua tavolozza va schiarendosi, evidentemente incalzato dall’esempio di Sebastiano Ricci. “La pala dei Gesuati con i Santi Vincenzo, Giacinto e Lorenzo Bertrando appartiene a questo momento: i bruni i grigi i bianchi delle cocolle dei frati intonano in tanto solare chiarità una soave armonia d’argenti, che esaltano il ritmo compositivo già sperimentato nella paletta di San Vitale. Il Piazzetta ha scoperto il «lume solivo»: una luce che invade tutta la scena, penetra la materia cromatica, costringe alla scelta di soggetti meno drammatici e più liberi” (Cionini Visani 1965).
“Il sapore rococò della sua arte estremamente personale trovò espressione nello schiarirsi della tavolozza, ma soprattutto nel trattamento dei soggetti. Malgrado ciò, Piazzetta rimase un artista fondamentalmente barocco: dopo la breve incursione nel Rococò, fece gradualmente ritorno alla sua antica ombrosa gravità. [...] Per temperamento, sembra, era contemplativo, riflessivo, amante della solitudine, anche un po’ malinconico. Divenne noto per la lentezza e la laboriosità nell’elaborare composizioni e, probabilmente, fu solo altrettanto lento nell’accettare il cambiamento. Rimase per tutta la vita legato al naturalismo e, con drastiche variazioni di intensità, a un chiaroscuro secentesco. [...] La lunga gestazione che sappiamo precedeva l’esecuzione di ogni dipinto di Piazzetta non era forse dovuta unicamente a nevrotica incertezza o alla coazione a rilavorare, come lasciano così spesso intendere i suoi committenti e biografi. Albrizzi prese le difese del pittore adducendo a sua giustificazione – a ragione, si direbbe – una costante ricerca di perfezione artistica. Piazzetta era un uomo colto, e da uomo colto componeva le sue immagini. Un attento studio della sua opera rivela che assimilò a fondo, specie attraverso le fonti letterarie a lui disponibili, ogni storia che dovette narrare in pittura” (Binion 1995).

 


Daniele D'Anza

            

maggio 2005