CONSULENZE-STIME-EXPERTISE

 

 

 

Francesco Albotto (Venezia?  1721 – Venezia 1757) lo stile pittorico

 

 

 

“Spetta a Rodolfo Pallucchini [1960] il grande merito di avere per primo sollevato l’inquietante problema di Francesco Albotto, un oscuro discepolo di Marieschi, riportando il passo dell’Abecedario di Pierre Jean Mariette (ante 1774, ed. 1851-1860) che costituisce l’unica antica testimonianza in proposito. [...] «Il a eu un disciple qui, comme son maître, peint des veuës de Venise et des paysages ornés d’architectures qui ne sont pas mal touchés. Il se fit nommer il secondo Marieschi, et il en a épouse la veuve. Ce disciple est mort lui-même en 1758 le 13 janvier [in verità 1757, Mariette ritiene la data more veneto anziché Anno Domini]. Son véritable nom étoit François Albotto. Il n’étoit âgé que de trente-cinque ans». La figura di questo discepolo rimase avvolta nella nebbia più completa fino a che a New York, nella vendita del 17-18 maggio 1972, passò all’asta da Sotheby Parke-Bernet (n. 137) una veduta con il Palazzo Ducale visto da mare recante sul verso della tela l’iscrizione Francesco Albotto F. in Cale di ca Loredan S. Luca [...].  Segnalando quell’importante ritrovamento, Pallucchini (1972) osservava che «il dipinto, indubbiamente di buon livello, finalmente documenta il modo di dipingere di Francesco Albotto, evidentemente stretto seguace di Michele Marieschi [...]. È evidente che tale veduta può diventare l’opera-pilota per la ricostruzione dell’attività dell’Albotto, naturalmente ai danni (o a vantaggio) di quella del Marieschi»” (Succi 1989).
Successivamente, il confronto tra la pittura del maestro e quella dell’allievo, spinse lo stesso Pallucchini (1995) ad annotare: “Quel che subito salta all’occhio è il modo diverso di concepire la macchietta. A quelle corpose, di impasto pittorico frazionato (alla Guardi, per dirla con Morassi) del Marieschi, l’Albotto contrappone macchiette calme, spente, del tutto prive dell’im­pronta pittoresca del maestro. [...] Questo Albotto è un modesto pittore che ha continuato la produzione vedutistica del Marieschi con modi sempre più poveri, non mancando di tenere sott’occhio, magari nel­la traduzione incisoria del Visentini, gli im­pianti vedutistici del Canaletto. Evidentemente la richiesta di mercato delle vedute era molto forte: d’altra parte, dopo la morte del Marieschi, si rendeva necessario che un seguace ne continuasse la tradizione, tenu­to conto che nel 1746 il Canaletto, la cui produzione era impegnata soprattutto per il console Smith, partiva per Londra. Si comprende allora la fortuna che in tale campo poté avere un pittore così mediocre come l’Albotto. Per dirla all’antica, alla poesia del Marieschi succedeva la misera prosa del suo scolaro” (Pallucchini 1995).
“Al contrario di Marieschi, che era dotato di una fantasia prorompente e – nella fase estrema – di una pennellata rapida e disinvolta, il seguace non riuscì quasi mai a fare a meno di appropiarsi di modelli creati da altri, adattandosi anche ad utilizzare le stampe dell’album Urbis Venetiarum Prospectus celebriores [...], incise da Visentini dai prototipi canalettiani posseduti da Joseph Smith e pubblicate dall’editore Pasquali nel 1742 nella forma definitiva. [...] Dal punto di vista della tecnica, Albotto – con il passare degli anni – tese ad allontanarsi dal fare «impulsivo» di Michele per accostarsi alla maniera netta e traslucida di Canaletto: sospeso tra i due maestri, Francesco Albotto non riuscì a superare i limiti di una sconcertante abilità imitativa e solo raramente sviluppo' temi di sua invenzione (ciò avvenne quasi esclusivamente nell’ambito dei capricci). Il distacco si estese alla tavolozza cromatica che, calda e brillante nelle pitture di Marieschi, divenne alquanto fredda ed acidula nelle tele del seguace, portato a preferire le tonalità azzurrine e verdognole” (Succi 1989).

 

 

Daniele D'Anza

 

marzo 2005