Francesco Hayez (Venezia 1791 - 
		Milano 1882)
      
		
		 
      
		
		 
		
		Francesco Hayez 
		nacque a Venezia il 10 febbraio 1791. Nel 1797 la famiglia, molto 
		povera, lo affidò alle cure di una zia materna, moglie di un 
		restauratore e commerciante d’arte genovese. Furono gli zii, dunque, ad 
		occuparsi, oltre che del mantenimento, anche della formazione del 
		giovane Hayez, il quale mostrava una naturale inclinazione per il 
		disegno. Desiderosi di farne un buon restauratore capace di continuare 
		un giorno l’attività di famiglia, gli zii lo mandarono a perfezionare 
		l’arte del disegno da un certo Zanotti (maestro citato dallo stesso 
		Hayez ne Le mie memorie ma del quale non sappiamo niente) che 
		però morì poco dopo; Hayez proseguì dunque la sua formazione artistica 
		presso il pittore Francesco Maggiotto, tardosettecentista veneziano, 
		presso il quale restò per tre anni. Fondamentali per la formazione di 
		Hayez furono gli studi di rilievo da lui compiuti sui gessi della 
		collezione Farsetti che riproducevano le sculture dei musei di Roma: fu 
		senza dubbio un primo approccio all’“antico” - anche se attraverso copie 
		- che gli fornì la giusta preparazione per poi studiare gli originali a 
		Roma, nel periodo del suo alunnato. 
		
		Nel 1803 seguì un 
		corso di nudo nella vecchia Accademia che gli fruttò un premio. Sotto la 
		guida del pittore Lattanzio Querena imparò a usare i colori; in quegli 
		anni venne poi costituita dal governo francese la Nuova Accademia di 
		Belle Arti e il conte Leopoldo Cicognara ne divenne il presidente. Hayez 
		vi entrò nel 1806 per seguire i corsi di Pittura Storica tenuti da 
		Teodoro Matteini, pittore toscano allievo di Pompeo Batoni. Nel 1809 
		Hayez vinse l’Alunnato di Roma, un concorso indetto 
		dall’Accademia e che offriva ai tre vincitori una pensione per studiare 
		a Roma per tre anni.
		
		Arrivato a Roma, 
		Hayez venne affidato ad Antonio Canova che divenne il suo principale 
		protettore; Hayez si dedicò in quegli anni allo studio delle opere 
		antiche copiando famose statue e i celebri affreschi di Raffaello nelle 
		stanze Vaticane, che lo colpirono in particolar modo per la sobrietà del 
		colore e per la perfezione del disegno. 
		
		Nel 1812, sotto la 
		spinta di Canova e del conte Cicognara, Hayez partecipò al concorso 
		indetto dall’Accademia di Milano presentando il Laocoonte e 
		ottenendo il suo primo premio importante che gli fruttò il consenso 
		dell’ambiente accademico. Nel 1814, a causa di una sua relazione con una 
		donna sposata, subì un’aggressione e per evitare ulteriori problemi i 
		suoi protettori lo allontanarono da Roma: Hayez si trasferì dunque a 
		Napoli dove ricevette commissioni da Gioacchino Murat. Tornato a Roma 
		conobbe Vincenza Scaccia che sposò nel 1817.
		
		Nel 1820 espose 
		a Milano il Pietro Rossi prigioniero degli Scaligeri, 
		opera che lo consacrò come il massimo esponente di un’arte finalmente 
		moderna in senso romantico. Il clamore suscitato dall’opera fu enorme: 
		l’artista aveva infatti scelto come soggetto un “moderno” argomento 
		medievale tratto dalla Storia delle Repubbliche Italiane del 
		Sismondi anziché trarre ispirazione dalla mitologia antica tanto cara ai 
		pittori accademici. Anche lo stile colpì per l'ombrosità evocativa dei 
		colori. Questa attenzione ai temi storici, in voga nella letteratura 
		dell’epoca, gli 
		permise di farsi conoscere dagli intellettuali e 
		aristocratici milanesi più direttamente impegnati sul piano politico 
		(molti di essi parteciparono in seguito ai moti carbonari del 1821)
		ricavandone numerose commissioni e vivendo quello che Hayez stesso 
		definì come “il più bel momento della mia carriera artistica”, vicino 
		agli intellettuali del “Conciliatore”. Nel 1821  espose a Milano 
		I Vespri Siciliani, opera letta dai contemporanei come una vera e 
		propria esaltazione della ribellione contro l’occupazione straniera; 
		l’anno successivo venne nominato supplente all’Accademia di Brera e fu 
		dunque costretto a trasferirsi con la famiglia da Venezia a Milano. Nel 
		1831 eseguì, ispirandosi a un poemetto di Berchet, I Profughi di 
		Parga, unico soggetto ispirato a un episodio di storia contemporanea 
		che commosse i liberali di tutta Europa. A partire da questo periodo 
		Hayez si dedicò ai grandi episodi di storia veneziana (Ultimi momenti 
		del doge Marin Faliero,1867) e ai ritratti (Alessandro Manzoni, 
		1841; Antonio Rosmini, 1853; Massimo D’Azeglio, 1864; 
		Cavour, 1864). Negli anni successivi non mancò di partecipare a 
		varie esposizioni accademiche. Si moltiplicarono così gli impegni del 
		pittore e le onorificenze da lui ricevute: basti ricordare la nomina a 
		socio corrispondente dell’Accademia delle Belle Arti di Napoli (1831), 
		l’elezione a membro dell’Accademia di Vienna (1836), nel 1850 la 
		cattedra di pittura di storia all’Accademia di Brera della quale divenne 
		poi presidente nel 1860. Eseguì opere enigmatiche come Malinconia 
		(1842) e Meditazione (1851) ma anche soggetti di stampo più 
		accademico (Ruth, 1835) ed esotici (La finestra dell’harem, 
		1881).  Nel 1869 morì la moglie Vincenza e nel 1873 donò alcune 
		delle sue opere all’Accademia di Brera. Morì il 21 dicembre del 1882.
		
		 
		 
		
		 
		
		 
		
		La “potenza 
		dell’esecuzione”, il “prestigio del colore”, la “grazia squisita della 
		linea”: così Rovani (1874) sintetizzò gli elementi fondamentali del 
		linguaggio pittorico di Francesco Hayez. 
		
		Da buon veneziano 
		Francesco Hayez si formò nel solco della scuola veneta dalla quale 
		riprese il tradizionale colorismo; a Roma ebbe poi  la possibilità 
		di “migliorare ed ingrandire lo stile ed il disegno” (Rovani), come 
		testimonia l’opera del suo debutto, il Laocoonte, nella quale la 
		critica non ha potuto fare a meno di intravedere “un'atmosfera 
		artificiale” (Arrivabene 1838) che fa sì che gli avvenimenti raffigurati 
		sembrino aver luogo in un teatro; a una visione più attenta, però, non 
		sfugge l’abilità drammatica di Hayez: “ma quando tu vieni innanzi a uno 
		di questi dipinti, e ti fermi, e lo guardi a lungo, il tuo occhio si 
		avvezza, dirò così, a quella atmosfera artificiata, e quei visi e quegli 
		atti parlano al tuo cuore, e quasi dimentichi di essere innanzi ad una 
		fredda tela, e credi a quel pianto o a quella letizia che il pittore ha 
		voluto esprimere. A ben pochi è dato mettere tanta vita ne’ volti come 
		sa fare l’Hayez” (Arrivabene 1838). Proprio questa capacità di 
		introspezione psicologica, evidente specialmente nei ritratti (vedi 
		quello celebre di Matilde Juva Branca o quello del Manzoni),
		costituisce l’elemento veramente moderno della pittura di Francesco 
		Hayez.
		
		Pur partendo da una 
		formazione accademica, dunque classicista, Hayez non si inserì in tutto 
		e per tutto nella temperie neoclassica che egli stesso vedeva come una 
		moda, uno “stile meschino arido e greto” e, pur sostenendo la necessità 
		dello studio dell’antico, non approvò mai del tutto quel “modo di 
		composizione che non è del tutto creazione” tipico dei pittori 
		accademici del suo tempo; con il passaggio da Roma a Milano, Hayez si 
		convinse del fatto che “quanto la pittura tanto la scultura richiedono 
		lo studio del vero giacchè è il maestro di tutti  e lo fu anche 
		degli antichi greci che noi tanto veneriamo”: è il momento in cui, come 
		recentemente ha sottolineato De Grada (1983), “l’accento passa dal 
		bello al vero”. La scelta per le sue opere di temi ispirati 
		alla letteratura e alla storia contemporanea lo avvicinò ai grandi 
		protagonisti del Risorgimento che ammiravano di Hayez la capacità di 
		sentire “il soffio de’ tempi” e di stampare sulla tela “le impressioni e 
		le idee che tenevano il campo nella letteratura e nella poesia” (Dall’Ongaro, 
		1873). Opere come il Carmagnola, la prima versione dei Vespri
		Siciliani, Pietro Rossi prigioniero degli Scaligeri e i 
		Profughi di Parga sembravano trascrivere in pittura quelle idee 
		patriottiche che infiammavano l’aristocrazia liberale e gli 
		intellettuali milanesi coinvolti nel processo risorgimentale. Mazzini 
		nel 1840 scrisse di Hayez: “è il capo della scuola di Pittura Storica, 
		che il pensiero Nazionale reclamava in Italia”. Iniziò così la fortuna 
		di Hayez come capostipite di “quell’altra scuola che, col più arbitrario 
		dei vocaboli, si chiamò romantica” (Rovani, 1874).
		 
		 
		
		
		Anna Soffici