Gianni Brumatti (Trieste 1901 - 1990)

 

 

 

Brumatti nacque a Trieste il 2 luglio 1901.

La madre, Antonia Brumat (poi Brumatti) era figlia di un proprietario terriero friulano, il padre, Luigi Hermet, portava un cognome illustre...; egli legittimò Gianni solo poco prima di morire quindi il pittore, che iniziò a dipingere giovanissimo, firmò sempre i suoi quadri con il cognome materno.

Egli trascorse l’infanzia e l’adolescenza in un ambiente artistico: la nonna Amelia era costumista teatrale e affittava camere a gente di teatro (tra gli altri ospitò Mascagni che più di una volta le fece visita), la mamma e la zia erano due brave cantanti liriche e il padre un discreto musicista (suonava il corno). Brumatti nutrì sempre un grande amore per la musica, ma scelse la pittura e incominciò a stendere i colori ad olio fin dal 1914 mentre frequentava il Ginnasio di Gorizia. Anch’egli, come Pellis, ‘pagò’ le conseguenze psicologiche (e non solo!) causate dallo scoppio della Prima Guerra: dovette abbandonare gli studi e lasciare la città isontina. Ritornò a Trieste presso la famiglia: furono anni difficili e dovette arrangiarsi; iniziò un duro apprendistato come assistente scenografo presso il Teatro Fenice e il Teatro Rossetti accanto a professionisti davvero formidabili e preparati come Rossi e Moscotto. Nel frattempo frequentò vari artisti (lo svizzero Koch e Wostry) finché decise di seguire lezioni di pittura presso lo studio di Giovanni Zangrando.  La personalità e la bravura di questo pittore (ma anche le belle donne che spesso venivano a trovarlo, lo circondavano e posavano nude per lui!) attirarono molti giovani lassù a Scorcola: nel suo studio mossero i primi passi anche Nathan, Levier, Marchig, Finazzer e Sambo.  Poco dopo il 1922 Brumatti incominciò ad esporre nelle mostre collettive del Circolo Artistico Triestino e nel 1923 da Umberto Michelazzi: mi raccontò che ‘gli sembrò di toccare il cielo con un dito’ quando Wostry, dopo aver ammirato un suo quadro, lo elogiò pubblicamente. Non a caso le sue prime opere piacquero anche a Barison, Parin e Grimani che lo notarono. Nel 1924 frequentò la Scuola per Capi d’Arte di Trieste; in quegli anni era impossibile vivere di sola pittura e per mantenersi egli eseguì vari lavori decorativi e pubblicitari che si procurò frequentando il Circolo Artistico Triestino. Dipinse con Cocever a Capodistria, a Isola d’Istria intervenne nei lavori di restauro di un affresco nel Duomo e a Trieste fu spesso accanto a Bidoli e Quaiatti. Si ammalò di tifo e trascorse un lungo periodo di convalescenza. E’ del 1929 la sua prima personale nel Salone Jerco; ottenne subito vari riconoscimenti e partecipò ad importanti mostre nazionali a Pola, Milano, Padova, Firenze e Roma. Strinse amicizia con Marcello Mascherini e altri esponenti della cultura locale. Nel ventennio seguente collaborò con l’Ufficio Stampa della Società Triestina di Navigazione Cosulich e realizzò affiches, disegni, oleografie, calcografie e sei copertine della rivista ‘Sul Mare’. Lavorò anche presso la libreria antiquaria d’Umberto Saba; conobbe bene il poeta e talvolta lo frequentò in case private. Spronato da Ugo Carà, eseguì per la Finmare alcune opere destinate al Conte Biancamano. Negli anni Trenta si recò diverse volte a Venezia dove ebbe modo di ammirare opere di Van Gogh e degli impressionisti francesi, ma anche quadri di Munch, di Kokoschka, di Picasso, di Chagall e degli italiani Semeghini, Rossi, Seibezzi, Rosai, De Pisis e Morandi...

Nel 1934 fu presente alla XIX Mostra Biennale Internazionale della città lagunare; l’anno seguente ottenne il Premio del Duce per la Pittura; pure nel 1936 e nel 1938 espose rispettivamente alla XX e alla XXI Biennale veneziana. Trascorse gli anni della Seconda Guerra Mondiale a Trieste città dalla quale si allontanò raramente e per brevissimi periodi continuando ad esporre da Umberto Michelazzi. Nel 1943 ottenne un premio acquisto del Ministero dell’Educazione Nazionale a mezzo della Regia Soprintendenza alle Gallerie di Venezia. Espose più volte in varie mostre nazionali d’arte Sacra all’Angelicum a Milano, a Novara al Palagio dell’Arengo, ad Assisi presso la Basilica di San Francesco, a Bologna, a Pallanza, a Vercelli, a Salerno ecc.  Nel 1949 vinse il premio P. Coscia con uno splendido quadro realizzato a San Giusto. Nel 1951 e nel 1955 presentò alcune opere alla Quadriennale Romana e tornò nella capitale nel 1959 con una personale all’YMCA.

In questo decennio frequentò più d’altri Levier, Torelli, Giordani, Noulian, Samuel e Rosignano; nel 1966 collaborò con altri artisti per illustrare il libro di Ketty Daneo Un ragazzo, cento strade.

Negli anni Settanta dipinse a Marano Lagunare e si dedicò anche all’incisione. Nel 1988 ricevette un importante riconoscimento dal Comune di Trieste.  Continuò a dipingere instancabilmente e ad esporre in Italia e all’estero quasi fino alla fine sopraggiunta all’età d’ottantanove anni nel gennaio del 1990.

 

 

 

Walter Abrami