Romolo Bernardi
		(Barge 1876 - Torino 
		1956)
		
		 
		
		 
		
		 
		
		
		
		R. Bernardi, 
		Autoritratto, 1938. Collezione privata
		
		 
		
		 
		
		Nei racconti di 
		Canterbury, ideati da Geoffrey Chaucer nel 1387 c'è quello dello 
		studente di Oxford, che inizia così: "...Proprio sul fianco 
		occidentale dell'Italia, giù alle radici del freddo Monviso, c'è  una  
		pianura  lussureggiante  ricca  di  messi,  dove si vedono molte torri e 
		città, fondate in tempi antichissimi dai nostri padri e paesaggi 
		bellissimi: questa nobile regione si chiama Saluzzo". In quella che 
		nel racconto è descritta come: "nobile regione" sorge Barge, una ridente 
		cittadina alle falde del monte Bracco, nota anche per aver dato i natali 
		a Romolo Bernardi; un'artista che con le sue opere ha dato lustro alla 
		pittura piemontese a cavallo tra i due secoli. I genitori di Romolo, 
		gestori di una modesta trattoria, videro in quel figlio maschio, il 
		naturale prosecutore della loro attività. Ma egli, raggiunti i banchi 
		delle pubbliche elementari, scoprì il fascino del disegno e dando libero 
		sfogo alla sua fantasia, riempì i quaderni di scuola dei suoi elaborati 
		che, traevano anche spunto da quando vedeva fare ai dipintori d'insegne 
		pubblicitarie (pittori girovaghi) a quell'epoca di moda. Quando il 
		padre, scoprì l'inclinazione del ragazzo, capì che i suoi piani 
		sarebbero stati sconvolti ed allora lo avversò in mille modi, ma il 
		naturale istinto artistico di Romolo, ebbe il sopravvento in ciò aiutato 
		dalla madre, tanto buona e comprensiva nei suoi confronti quanto 
		persuasiva in quelli del genitore che accettò così di mandare il figlio 
		a Torino per perfezionarsi negli studi. Scrisse Antonio Oberti: "...I 
		modesti mezzi della famiglia, tuttavia non consentivano ch'egli 
		frequentasse regolarmente i corsi all'Accademia Albertina. Fu così che 
		si pensò di collocarlo presso una piccola litografia della città per 
		imparare un mestiere pratico e consono al suo temperamento sempre 
		incline al disegno ed ai colori...". Tre anni dopo, nel 1890 venne 
		assunto allo stabilimento litografico Doyen e sempre nello stesso anno, 
		s'iscrisse ai corsi serali dell'Albertina. Scrisse ancora l'Oberti: "...Imponendosi 
		duri sacrifici, di buon mattino studiava: storia dell'arte, 
		architettura, trattati di anatomia e tutte quelle norme tecniche a quel 
		tempo assolutamente indispensabili per la matura e rigorosa preparazione 
		di un giovane desideroso di raggiungere la completezza del proprio 
		ideale". 
		
		Dipingeva senza 
		soste la natura e le figure, con spiccata sensibilità coloristica. 
		Giacomo Grosso che il critico d'arte Emilio Zanzi, aveva definito: "Il 
		despota della pittura" lo prese nel suo studio ed egli, lasciò la 
		litografia consolidandosi nei suoi studi all'Accademia sino ad ottenere 
		la laurea in architettura. Il suo esordio, avvenne nel 1898 all'Expo 
		Internazionale di Torino, dove presentò il "Ritratto del Padre" 
		un grande olio su tela che, gli valse il "Premio degli Artisti". Due 
		anni dopo, nel 1900 alla Biennale di Venezia, presentò un trittico 
		titolato "Castigo" che destò stupore ed interesse e venne subito 
		venduto. 
		 
		
		
		
		R. Bernardi, 
		L'Asceta, 1903. Collezione privata
		 
		 
		
		La grande abilità 
		ritrattistica, appresa nello studio di Giacomo Grosso, s'impose al 
		Salone d'Arte di Parigi nel 1913 al quale partecipò con un 
		Autoritratto del 1911 e col Ritratto della moglie (ripresa 
		seduta ed intenta al ricamo) del 1913. Nel 1914, si trasferì con la 
		famiglia a Roma, qui ammaliato dalle bellezze della capitale il suo 
		linguaggio pittorico si sensibilizzò ulteriormente in paesaggi permeati 
		di luminosità atmosferica. Di quel tempo, Mario Rizzoli sul "Corriere 
		Mercantile" scrisse: "...Nei suoi dipinti, l'impressionismo si apre 
		la strada con disinvolta violenza e prelude alla maniera moderna". A 
		Roma, aprì una scuola in via Ludovisi dove confluirono tantissimi 
		allievi ed allieve, italiani ed esteri. La scuola era vietata solamente 
		alla giovane figlia Tina che secondo il desiderio paterno doveva 
		dedicarsi esclusivamente alla musica, ma il fascino della pittura 
		l'aveva contagiata e grazie all'intercessione degli allievi anziani 
		ottenne dal padre una deroga che, le consentiva di partecipare alle 
		lezioni due volte alla settimana. A Roma, entrò a far parte del gruppo 
		denominato: "I Venticinque della Campagna Romana" tra i quali 
		figuravano: Enrico Coleman, Alessandro Battaglia, Onorato Carlandi, 
		Lorenzo Cecconi,  Achille Grassi, Giulio Aristide Sartorio, Alessandro 
		Morani, Alfredo Ricci, Dante Ricci, Filiberto Petiti, il saluzzese Carlo 
		Montani e Romolo Bernardi, ecc.  Poichè era regola del gruppo che ognuno 
		avesse un soprannome; Romolo, a cagione della sua barba rossiccia venne 
		chiamato "Triglia". Nella capitale, la sua abilità di ritrattista fu 
		subito apprezzata e tra i tanti personaggi che si posero davanti al suo 
		cavalletto, ricordiamo: il ministro Barzilai, il senatore Molmenti, il 
		baritono Titta Ruffo, il maestro Masante di Buenos Ayres, miss Pearl 
		Wright di New York, l'ingegnere Costa di Genova. L'amore che egli portò 
		verso il ritratto, fu pari a quello espresso per il paesaggio. A 
		proposito, nel 1938 il critico d'arte Ugo Pavia, scrisse: "...I suoi 
		ritratti, sono di una potenza tale che, ci ricordano la grande scuola di 
		Tiziano e del Tintoretto".  Nel 1921, fu attratto dalla scultura 
		(fusioni bronzee e sculture marmoree) alla quale per circa otto anni 
		dedicò  tutte le sue energie. Il suo primo lavoro, fu una stele 
		(altorilievo) dedicata ai caduti di Barge, seguì il monumento bronzeo 
		per i caduti di Olevano Romano e quelli  per i caduti di Porto 
		Empedocle, di Paesana e tanti altri.  
		 
		 
		
		
		
		R. Bernardi, 
		Fiori autunnali, 1941-45. Collezione privata
		 
		 
		
		Nel 1942, 
		ricordando quel periodo ebbe a dichiarare: "...La plastica e la 
		materia scultorea m'avevano soggiogato totalmente".  Per dieci anni, 
		fu vice presidente della società "Amatori e Cultori di Belle Arti" di 
		Roma. Esperto d'arte di Casa Savoia ed in particolare: consigliere 
		artistico della Regina Margherita. Sempre nel periodo romano, ebbe 
		compiti direttivi ai lavori di restauro di Palazzo Venezia, poiché fra 
		le sue specializzazioni, figurava pure la decorazione murale sia a 
		fresco che a cera. Ne sono testimonianza, la sala del trono del castello 
		di Mazzè ed alcuni lavori nel castello di Alba (oggi Ospedale Civile). 
		Nel 1929, abbandonò la scultura e tornò a dipingere con nuova vigoria, 
		figure femminili e paesaggi, pieno di una commossa creatività e di 
		emotività cromatica. Nel 1938, fece ritorno a Torino, accolto con grande 
		rispetto dai colleghi. L'antico maestro: Giacomo Grosso, lo propose 
		quale suo successore alla cattedra di figura all'Albertina, ma sottili 
		giochi di potere, sotterfugi ed intrighi, gli impedirono di coronare 
		degnamente una carriera prestigiosa. A Torino, andò ad abitare in 
		Valsalice, in una villetta che aveva provveduto a far restaurare, 
		denominata: "La Torricella", immersa nel verde e nel silenzio 
		della collina, dove il suo spirito tormentato ritrovò quella calma 
		interiore che gli consentì nuovamente di esprimersi nel modo che più gli 
		era congeniale. Dal suo pennello, presero vita paesaggi raffinati e 
		figure muliebri, mentre le sue mani modellarono la creta. L'estate la 
		trascorreva a Barge, dove dipingeva i luoghi della sua infanzia, le 
		montagne del saluzzese ed il bel giardino della sua casa. La critica 
		ufficiale tornò ad occuparsi dei suoi lavori e Marziano Bernardi nel 
		1941 scrisse: "...Là dove l'artista più segue il suo temperamento di 
		sagace annotatore di una realtà obiettiva, là il risultato è più sicuro 
		e pronto, la persuasione è più rapida e completa". Romolo, fu dedito 
		all'arte in forma totale e ne fa riscontro un suo scritto del 1942, vero 
		atto di fede: "...Seguo e condivido con piacere ed interesse le 
		ricerche affannose dei giovani ed amo le loro fatiche. Io stesso, 
		sentendo il mio spirito sempre fresco e giovane mi affanno in nuovi 
		problemi ed in nuove sensazioni lieto e pago se anche il mio apporto ai 
		nuovi ideali, aggiunge qualcosa all'arte. E perciò cerco e ricerco 
		continuamente. Nella mia lunga e laboriosa carriera ebbi soddisfazioni e 
		dolori. Conseguii molte vittorie, ebbi qualche sconfitta. Molti 
		disinganni, molte pene; ma molta, moltissima fermezza e soprattutto 
		molta fede. Fede che mi guida e mi sorregge nel mio tanto caro ed amato 
		lavoro". Dopo la seconda guerra mondiale, la sua salute cominciò a 
		declinare, il suo fisico un tempo robusto, venne minato dal diabete che 
		gli provocò grandi sofferenze. Nel 1955, sentendo approssimarsi la fine, 
		si preparò una stele scolpita nel travertino, (bassorilievo raffigurante 
		la deposizione di Cristo) sulla quale si legge:   "OPUS ROMULUS 
		BERNARDI BARGENSIS SCULPTOR PICTOR FECIT AD MCMLV" che, venne posta 
		sulla tomba nel cimitero di Saluzzo. Romolo Bernardi, l'artista che, 
		aveva dedicato tutta la sua vita all'arte, che aveva esposto le sue 
		opere nelle più grandi città italiane ed estere (Torino, Genova, Roma, 
		Londra, Parigi, Boston, Liverpool, ecc.) si spense a Torino il 17 aprile 
		1956. Rileggiamo ancora quanto scrisse l'Oberti, ricordandone la figura: 
		"...Rimane a testimoniare del sole e delle nubi, degli alberi e degli 
		agnelli a lui tanto cari e dei volti degli Eroi, il ricordo della sua 
		parola facile e convincente, la forza con la quale affrontava le 
		correnti artistiche, l'attenzione vigile ai rinnovamenti ed alle 
		polemiche del momento".
		
		   
		
		 
		 
		
		
		Flavio Bonardo
		 
		 
		 
		
		BIBLIOGRAFIA:
		 
		
		U. Pavia – “Romolo Bernardi” 
		in - La Stampa – Torino 8 giu. 1938
		
		E. Zanzi – “Pitture di Romolo 
		Bernardi” in - La Stampa – Torino 8 nov. 1941
		
		E. Zanzi – “Romolo Bernardi” 
		in – La Quercia - Torino 1942   
		
		Anonimo – Mostre: “Romolo Bernardi” 
		in – La Stampa 21 feb. 1949
		
		A. Oberti – “Arte Italiana Per Il 
		Mondo” Edit. Celit Torino
		
		R. Mammuccari – “I 
		XXV Della Campagna Romana” II Ediz. Gen. 2005 – LER Editrice – 
		Marigliano - Napoli