Giuseppe Pennasilico (Napoli, 1861 – Genova, 1940)

 

Flavio Bonardo


 

 

Giuseppe Pennasilico - Autoritratto. Genova, Museo Accademia Ligustica

 

 

 

 

Il grande e amatissimo pittore francese Claude Monet diceva: “Io dipingo come un uccello canta” e questo suo aforisma si adatta a meraviglia al nostro pittore che, con la sua facilità di esecuzione, il suo intenso colorismo, il suo meraviglioso pennello intinto nei colori veristici e mediterranei della sua Napoli e le impressioni colte nella magica Liguria, ne hanno fatto un maestro indiscusso. Giuseppe Pennasilico di Francesco e di Maria Carmela Di Blasi detto Peppino, nacque a Napoli il 19 marzo 1861. Il 23 gennaio 1870 all’età di appena nove anni non ancora compiuti, s’iscrisse all’Istituto Delle Belle Arti di Napoli sotto la guida di Gioacchino Toma per il disegno ma, soprattutto di Domenico Morelli insegnante di pittura (colui che aveva immortalato nella sua tela Torquato Tasso mentre alla Corte degli Estensi Signori di Ferrara legge il suo Poema a Eleonora d’Este; dipinto che oggi è conservato presso la GNAM di Roma) che gli fu prodigo di consigli e di ammaestramenti, dai quali, il giovane allievo ne trasse grande profitto. Due Maestri ligi e impegnati nel loro insegnamento: veri cardini della pittura napoletana del secondo Ottocento, alla scuola dei quali fiorirono ottimi artisti. Di carattere forte e voglioso di apprendere, Giuseppe ne fece una questione di grande importanza, convinto, di poter essere un giorno considerato pari loro.

 

 

Giuseppe Pennasilico - Mia moglie. Genova, collezione privata

 

Nel 1874 fece il suo esordio espositivo alla Promotrice Salvator Rosa, dove fu presente anche nei due anni successivi. In quegli anni, la sua crescita artistica lo vide impegnato a trarre sulla tela gli angoli più fascinosi della sua Napoli e di Capri, non disdegnando la figura nella quale raggiunse ben presto alti livelli di bravura, sono note le sue raffigurazioni di giovani acquaiole o di venditrici di frutta o prodotti dell’orto, sempre ritratte a piedi scalzi e con vesti lievi e variopinte. Come avvenne e quando il suo spostamento da Napoli a Genova è ancora ignoto, ma sappiamo che già nel 1884 (ventitreenne) era inserito nel -Gruppo di Albaro- che si componeva dei seguenti pittori: Giuseppe Sacheri, Plinio Nomellini, Federico Maragliano, Angelo Balbi, Angelo Costa, Angelo Vernazza, Sebastiano De Albertis, Andrea Figari, il nostro Peppino e negli anni si aggiunsero i più giovani, Eugenio Olivari, Antonio Schiaffino, Orlando Grosso, inoltre i letterati Ernesto Arbocò, Ceccardo di Roccatagliata Ceccardi e Anton Giulio Barrili. A testimoniare la sua presenza in quell’anno ci sono due dipinti titolati: -Sulle colline di Albaro- e –A San Nazaro- che recano appunto la data 1884. Un curioso ritratto del nostro artista, ce l’ho fornisce un cronista dell’epoca: “Piccolo di statua, un po’ tarchiato, barbuto e baffuto, l’eterna sigaretta in bocca, gli occhi vivacissimi, il gesto ugualmente vivace, a commento delle parole irrequiete come lui, appassionate come lui”. Nel 1887 fu presente all’Esposizione Nazionale Artistica di Venezia con due opere: -Un raggio benefico- e –In piccionaia-. A proposito di piccioni, (più volte dipinti) Orlando Grosso che di lui fu aiutante per quattro anni, raccontava: “…Tratteneva i piccioni che servivano da modelli tenendoli legati a una zampina che teneva buoni con qualche semino aggiunto a parole dolci e carezze”. Nel 1888 fu invitato all’Esposizione Nazionale di Belle Arti di Bologna, dove espose tre elaborati presenti a catalogo con i numeri 1, 22, 30 e titolati: -Una mano benefica-, -Ambiente vecchio vita nuova- e –In colombaia-. Nel 1890 la Società Promotrice genovese tenne la sua Esposizione presso il ridotto del Teatro Carlo Felice (spazio inadatto che portò a grandi lamentele da parte di molti artisti) e Pennasilico espose l’opera: -Notre Dame-.

 

 

 

Giuseppe Pennasilico - La fioraia di Campo d'Oro. Roma, già mercato antiquario

 

 

Giuseppe Pennasilico – Riposo. Già mercato antiquario

 

 

Nel 1891 a Milano si tenne la Prima Esposizione Triennale della Regia Accademia delle Belle Arti di Brera, invitato espose: -Un portico di fioraia a Genova- e –Colombi-; ritornerà a Brera per la Seconda Triennale nel 1894 con una grande opera, titolata: -Riposo- che fu riprodotta in incisione sulle pagine della rivista “Natura e Arte”.

 

 

Giuseppe Pennasilico – Colombi. Già mercato antiquario

 

 

Nel 1891 illustrò –Il Lettore della Principessa- romanzo dello scrittore e patriota genovese Anton Giulio Barrili. Nel 1892 a Genova si festeggiarono i 400 anni della scoperta dell’America e la grande Mostra d’Arte fu denominata: -Esposizione Italo-Americana IV Centenario Colombiano-. Presso il Palazzo Delle Belle Arti si riempirono sedici sale di dipinti e sculture. Da parte italiana ci fu una partecipazione totale delle più belle firme e Pennasilico espose cinque dipinti: -Capri-, -Pastore con pecore-, -Pascolo con vacche-, l’immancabile -Colombi- e -La giardiniera-, quest’ultimo eseguito a pastelli colorati, fu premiato con medaglia d’oro e acquistato dal Municipio di Genova.

 

 

Giuseppe Pennasilico - La giardiniera - Genova, collezione municipale

 

Un cronista del Mattino così lo descrisse: “Un pastello dalle tinte vigorose e assai largo di fattura, semplice nei mezzi, il pittore ha ottenuto degli effetti luminosi, gai e tranquilli piacevolissimi. E’ una figura di avvenente forosetta che scende le scale di una casa, carica di due vasi di gerani. Il dipinto è grande al vero”. In quegli anni di fine secolo, condusse all’altare Maria Pellegatta che gli fu fedele compagna per tutta la vita. Nel 1899 fu presente all’Internazionale di Berlino con l’opera: –Il nido nella gerla- che gli valse il diploma d’onore. Nel 1900 l’artista era ormai un pittore affermato e l’Istituto delle Belle Arti di Urbino, senza formalità di Concorso, lo chiamò a occupare il posto di -Professore di Figura- e Peppino accettò con entusiasmo, ma amante della libertà, dopo poco tempo disdisse l’incarico ufficiale, liberandosi da quel vincolo che rischiava di diventare opprimente. Il 14 aprile a Parigi s’inaugurò la Prima Esposizione Universale del 900, il suo elaborato titolato –Colombi- ottenne una medaglia d’argento. Il 1900 segnò un momento difficile per la città di Genova: i fermenti dei lavoratori in maggioranza portuali, vessati da orari insostenibili e da buste paga quasi da fame, scesero in sciopero che fu il primo a carattere generale nel nostro paese. Peppino, sensibile a questi avvenimenti si fece portavoce con lavori realistici a sfondo sociale e nacquero così opere come: -Lavori nel porto di Genova-, -Gli scaricatori del porto-, -Lavoratori all’argano- ecc. Nel 1901 fu la  Biennale di Venezia ad accettare due sue opere: il dipinto –Castagne- fu acquistato dal pittore genovese comm. Alfredo De Andrade (Cisco) ma fu venduta anche l’altra opera -Al delta del Toce-. Le esposizioni importanti si susseguivano veloci e nel 1901 espose –Un saluto- all’Internazionale del Principato di Monaco mentre, l’anno successivo fu presente alla Quadriennale di Torino con –Sera d’autunno sul fiume Adda- e –La fine di un sogno-, quest’ultima assieme a –Plenilunio sulle rive dell’Adda- e a –Bambina con uva- sarà riproposta nel 1903 all’Internazionale della Società Cultori Amatori di Roma e acquistata da un commerciante romano. Nel 1904 fu Londra a ospitare una -Mostra d’Arte Italiana- e il nostro Peppino presentò quattro opere: -La madre-, -Sera sull’Adda-, -Ritratto di una dama genovese- e –Colombi-. Il 19 maggio 1906 fu inaugurato il traforo del Sempione e per l’occasione, a Milano fu allestita una Mostra Nazionale d’Arte che vide in campo artisti da tutta l’Italia: Giuseppe Pennasilico  presentò –Triste alba-, opera che fu acquistata dal Ministero della Pubblica Istruzione per la GNAM di Roma. In Genova, teneva casa e studio in quella ripida salita detta della Madonnetta che conduce al Santuario Mariano di Nostra Signora Assunta. Il pittore e avvocato Orlando Grosso che gli fu aiutante e allievo, raccontava che sovente sfidava i commenti acidi dei vicini quando, dopo aver intrappolato un topolino nel suo studio, scendeva le scale dando raccomandazioni al malcapitato (che però non era tale) nel suo bel vernacolo napoletano il quale, dopo aver rosicchiato l’esca attendeva di essere liberato ciò che avveniva puntualmente. Di carattere estroverso e buontempone, qualche volta si esibiva in pubblico con una piccola scimmietta sulle spalle, tra l’ilarità e la curiosità della gente. Come un antico Maestro tenne scuola a tanti giovani desiderosi di emergere nell’Arte pittorica, tra questi si possono citare i più rappresentativi a iniziare da Orlando Grosso, Paolo Stamaty Rodocanachi, Mario Agrifoglio e Antonio Schiaffino che, come un fedele cagnolino lo seguiva attraverso i prati e le ville di Albaro mentre Peppino gli diceva: “Anto’ non guardare come pitto io, osserva intorno e pitta da te”. Sempre il Grosso raccontava che spesso scendeva con gli allievi alla Marinetta (che si affaccia sul mare nel centro di Genova sotto la chiesa di Boccadasse) a dipingere una fugace impressione che poi metteva accanto ai loro lavori con grande modestia. Dal confronto, qualcuno era tentato di buttare all’aria pennelli e colori ma Peppino s’inalberava, poi con affetto e toni forti, invitava a continuare nel lavoro con più accanimento. Oltre allo studio di Genova, ne teneva uno a Roma nella centrale via Margutta che apriva nei mesi invernali e se il tempo lo consentiva, si aggregava al gruppo dei Venticinque della Campagna Romana, ritraendo pastori con armenti, cascinali e acque stagnanti ritrovo di bufali. I critici genovesi dell’epoca, per gli stretti contatti con i maestri del realismo napoletano, soprattutto Domenico Morelli e Gioacchino Toma e per i suoi ripetuti soggiorni nella Capitale, lo ritenevano uno dei pittori più aggiornati sulla scena ligure di quel tempo e quindi in grande considerazione. Nel 1905 la Promotrice di Genova allestì l’annuale rassegna, negli angusti e infelicissimi locali dell’ex Caffé Concordia a Palazzo Bruno e molti si rifiutarono di partecipare, tra i più noti che si astennero furono: Nomellini, Maragliano, De Abate, De Servi, Pennasilico, Volpe, Mazzei, Bardinero, Bersani e Baroni. Nel 1908 fu invitato alla Seconda Quadriennale di Torino dove espose: -Campagna sulla sera- e –Le cucitrici-. Nel 1909 un gruppo di pittori genovesi che il Corriere Mercantile del 16 settembre di quell’anno, così elencava: Maragliano, Meineri, Sacheri, Dodero, Merello, Grosso, Cominetti, Quinzio, Bacicalupo, Calvi, Volpe, Berisso, Giglioli, Bassano, Baroni, Filippini Fantoni e Pennasilico, furono invitati al Salon d’Autumne di Parigi e Peppino vi espose tre opere -Beati i miti-, -L’aria l’acqua il fuoco- e –Il redattore artistico-.  Nel 1910  invitato alla Mostra Nazionale di Milano, presentò -Mare ligure- e -Pescheria di Genova- e sempre in quell’anno, le sue opere volarono a Santiago del Cile per festeggiare in una Mostra Internazionale i cento anni d’indipendenza di quel paese: si trattò di due grandi tele titolate -La Madre- e –Cristo sulle acque-. Nel 1911 Roma commemorò il Cinquantenario di Capitale d’Italia e per l’occasione fu allestita un’Esposizione Internazionale di Belle Arti, alla quale Pennasilico vi partecipò con due opere: -Mare ligure- e –L’inutile tempesta della vita-. Nel 1913 guerre intestine tra i soci della Promotrice di Genova minavano l’annuale Esposizione e per stimolare la partecipazione, il Ministero Della Pubblica Istruzione pose in palio una medaglia d’oro e tre d’argento: la prima fu assegnata a Federico Maragliano mentre le altre a Pennasilico, Guendalini e allo scultore Selva. In quegli anni che precedettero la Grande Guerra, le sue opere figurarono sempre ogni anno alla -Sociale Cultori e Amatori di Roma-. Con l’avvento del Novecento la sua pittura si fece più impressionista, specie per gli scorci marinari e paesistici. In merito, Giovanni Gentile ha scritto: “Liberatosi da tutte le influenze e raccogliendosi in attenta introspezione, si aggiornò negli scatti evolutivi del ‘900 pervenendo così a un ritmo più nuovo e più rapido di esecuzione. La sua pennellata acquistò sintesi e brio sfociando in un coraggioso gioco d’impressionismo”. Però per ritrarre le belle dame, la sua pittura conservava l’espressione verista più ridondante. Orlando Grosso in un suo manoscritto inedito e non datato scriveva: “La pittura fastosa di Pennasilico, esuberante colorista, memore del Morelli e la sua visione borghese, la piacevolezza del suo modo d’esprimersi, avevano conquistato la borghesia genovese in tal modo da crearne un ritrattista alla moda”. Ritrasse Papa Benedetto XV, Vittorio Emanuele III, Giuseppe Mazzini, Mario Maria Martini letterato e patriota, attivo a Genova nella prima metà del Novecento che, il 12 settembre 1919 aveva partecipato all’impresa di Fiume ma, soprattutto le belle donne di Genova e le dame dell’alta aristocrazia italiana e straniera. A proposito di queste ultime, Vitaliano Rocchiero ha scritto: “…Uno sciame di gentili figurette, un raduno di vivaci bellezze, un manipolo di dolci volti femminili compendiati dal fanciullesco candore della delicata bambina Straaten, dalla sprezzante bellezza dell’esuberante principessa Paola di Hosthein, dalla distensiva serenità della dignitosa nobildonna Maria Pennasilico Pellegatta”. Nel 1917 nonostante la guerra in corso, la Promotrice di Genova allestì la sua annuale rassegna e al nostro artista, furono riservate due sale. Il recensore della Mostra su Il Mattino di Genova scrisse: “L’immaginifico Pennasilico è presente con ben 142 opere”. Ma è ancora Orlando Grosso, acuto osservatore a raccontarci un raduno della -Famiglia Artistica Ligure- con un insieme di pittori e personaggi illustri e così descrisse l’eclettico artista: “Pennasilico piccoletto, vivacissimo e napoletanissimo conversava con il calmo Gennaro D’Amato mentre De Servi, espressione tipica della signorilità borghese, nel suo modo di ritrarre alla moda donne e gentiluomini, nerissimo di capelli, barba e baffi, dai lucidi riflessi metallici con grandi occhi a mandorla, ascoltava silenzioso”. I ruggenti anni venti del Novecento lo videro ancora impegnato a ritrarre a figura piena le nobildonne dell’high society che accorrevano a lui non solo da Genova. Si rilassava da quegli impegni caricandosi il cavalletto sulle spalle e scendendo alla marina dove traeva rapide impressioni sovente in compagnia di colleghi più giovani di lui, ai quali com’era uso dava spassionati consigli. La sua loquacità manifesto della sua napoletanità lo faceva simpatico a tutti, critici compresi. Il 1923 lo vide presente alla sessantanovesima mostra della Società Genovese per le Belle Arti chiusasi nel mese di agosto. Sulla rivista Emporium di quel mese, un cronista siglato U.N. ma facilmente identificabile in Ugo Nebbia, scrisse: “Genova ama e frequenta con fervore particolare, direi più che altrove, le mostre dei suoi artisti. Quel pubblico che qui poteva tornare a compiacersi anche, della fertile operosità di Giuseppe Sacheri sempre fra i più fedeli e fecondi o  magari delle composizioni di Giuseppe Pennasilico, il napoletano di Genova, che molti seguitano a sconfessare soltanto per non saperle fare; e molti semplicemente per il solo fatto che piacciono tanto al pubblico”. Intanto il suo ductus pittorico pur mantenendo una sorvegliata costruzione, si era fatto sempre più sintetico e questo (come ho già detto) si evidenziava specialmente nei paesaggi e negli scorci marini. Gli anni trenta, segnarono l’inizio del suo decadimento: a decretarlo fu l’immensa perdita della sua amata compagna Maria. Ritiratosi silenziosamente nella sua casa studio sita al n° 59 di Salita della Madonnetta, nonostante l’invito dei colleghi, non volle più partecipare a manifestazioni e concorsi, limitandosi a dipingere per se stesso, spinto in questo da giovani allievi, che con la scusa di avere impartita qualche lezioncina, tentavano di alleviare il suo dolore. Si spense (nella sua casa succitata) alle 9,30 del giorno 8 di aprile del 1940 all’età di settantanove anni, lasciando un vasto cordoglio in Genova, città che giovanissimo l’aveva adottato come un figlio. Poco dopo la sua morte, la Galleria Rotta di Genova organizzò una mostra postuma per ricordare le grandi qualità dell’artista. Purtroppo il suo ricordo fu attenuato dagli avvenimenti bellici che due mesi dopo, videro l’entrata in guerra dell’Italia con la dichiarazione consegnata agli ambasciatori di Inghilterra e Francia. Le sue opere sono conservate in Musei e Gallerie in Italia e all’estero e appaiono di rado sul mercato antiquario poiché, estimatori e collezionisti le conservano gelosamente.

 


Flavio Bonardo – sabrotu@yahoo.it -

 


Bibliografia:

E. Giannelli – Artisti Napoletani Viventi – Tipografia Melfi – Napoli 1916;

Ugo  Nebbia  – Cronache Genovesi – Emporium n° 344 agosto 1923;

S. Paglieri – Eugenio Olivari e il suo Tempo – Tolozzi Editore, Genova 1969;

V. Rocchiero – Scuole Gruppi Pittori dell’Ottocento Ligure – Edit. Sabatelli, Genova 1981; 

AA.VV. – I Pittori dell’Ottocento – Centro Grafico Linate – Milano 1986;

AA.VV. – Natura Realtà e Modernità Pittura in Liguria tra 800/900 – Gallerie Enrico, Genova Nov.2015