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Lorella Klun
Lorella Klun vive a Trieste e si occupa di Progettazione grafica e Prestampa (programmi di videoimpaginazione digitale, fotoritocco ed elaborazione fotografica). Dopo gli studi artistici, dal 1981 ha maturato una serie di esperienze in svariati settori artistici, dalla pittura al design.
Dal 1995 ha iniziato a presentare le sue fotografie, ricercando nuovi linguaggi espressivi e sperimentando svariate tecniche, dalla tradizionale stampa in bianco e nero alla stampa su carta di riso, dal Polaroid Transfer fino all’elaborazione digitale.
Ha esposto le sue opere in numerose rassegne in Italia, Slovenia, Croazia, Austria, Francia, Portogallo, Australia e Cina. Ha pubblicato per la rivista FOTOIT e collabora con numerose associazioni culturali (Graphiti, Transmedia Arti Visive, VirtualGart, Skupina 75) presentando una serie di scritti ed articoli sulla storia della fotografia e sui nuovi linguaggi fotografici. Si occupa attivamente di critica d’arte e di lettura dell’immagine fotografica, in particolare del portfolio, tramite pedane di lettura, incontri, seminari e work-shop. Nel 2008 è stata inserita nel progetto “Oberon”, sistema di catalogazione multimediale (nato dalla stretta collaborazione tra “Prospero”, azienda insediata nell’Area Science Park di Trieste e il “Centro Regionale di catalogazione e restauro dei beni culturali” di Villa Manin) degli artisti del Friuli Venezia Giulia che operano con il digitale.
Testo di Cristina Paglionico per la serie PANDORA
Questo mondo io lo conosco: è l’acquaio pieno di piatti, e dentro c’è la pentola degli Dei. Da quando il vaso fu scoperchiato e tutti i mali afflissero l’umanità, da allora Pandora è chiusa dentro lo scrigno delle sue colpe. Essa abita una casa in cui sono visibili i segni di un cuore sofferente: blocchi, catene, confini, maschere consunte dal sopravvivere, trappole che prendono alla gola, sistoli di una circolazione interrotta che cercano di buttare fuori dalle pareti della prigione le ferite del sentimento. Lorella Coloni trasfigura il suo sguardo sugli elementi inanimati della quotidianità. Stoviglie ed elettrodomestici, muti compagni della prigionia domestica, svelano un’anima cannibalesca, occupano il campo e lo governano con l’impudenza del sopruso. Pandora fluttua nell’universo ristretto delle cose: oggetto essa stessa pur nella molteplicità delle sue funzioni. Ora è un turbine d’aria nella sua collana di bossoli, ora è il pasto di Eros, perpetuamente insoddisfatto e inquieto, poi guadagna la morbida consistenza felina, ma un attimo dopo il suo corpo è pergamena di tracce lasciate dallo scorrere del tempo. La dicotomia del suo sentire prende la forma del dittico. La prima immagine segna l’ordine delle cose: un allineato esercito di trasparenze di vetro, un convegno di posate, la muta sinfonia delle mollette da bucato sul pentagramma dello stenditoio. L’altra immagine apre alla profondità dell’inconscio, raccoglie i segnali di allarme del mondo fisico abitato, lo sconvolge di cordoni ombelicali elettrici, di teste fluttuanti e di corpi che si fluidificano. Ma ancora niente è risolto e definitivo. Il concetto si apre e si allarga come i tentacoli della psiche. La separazione delle immagini che compongono i dittici non è altro che l’invisibile linea di demarcazione tra la dolorosa fisicità di Pandora e la sua acuta percezione del mondo. Si è attivato un inquietante e profondo processo di conoscenza che va dai simboli dell’immaginario collettivo alle personali e sofferte elaborazioni: la memoria del candido velo di pizzo è centrifugata da un movimento ribelle e il bianco igienico della sposa-frigorifero diventa solamente un irrinunciabile bene di conforto. Pandora ha aperto il vaso all’origine dei mali del mondo. Per questa colpa paga, intrappolata nella stessa ampolla. Con lei sono tute le Eva, le Lilith, le Cassandra e le donne disubbidienti di tutti i tempi, strette nel dolore della rinuncia, consapevoli degli inganni, in perenne ricerca di un nuovo germoglio. Io credo che non siano sole. La leggenda racconta che in quel vaso delle meraviglie, ancora e per sempre, sia rimasta intrappolata anche la speranza.
Cristina Paglionico
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