Fausto Pirandello (Roma 1899 - 1975)

 

 

Figlio d’arte come pochi, Calogero Fausto Pirandello – nato a Roma il 17 giugno del 1899 -  è il terzogenito di Luigi Pirandello (la madre è Maria Antonietta Portulano, i fratelli Stefano e Lietta erano nati rispettivamente nel 1895 e nel 1897). Il futuro pittore trascorre un’infanzia inquieta per l’influsso dell’irreversibile crollo nervoso occorso alla madre dopo il fallimento della miniera di zolfo di proprietà del di lei padre (1903). Diciassettenne, è chiamato alle armi ma per motivi di salute viene alla fine dichiarato inidoneo al servizio militare: fino al 1918, dopo svariati ricoveri, rimane a Firenze. Nel 1919, dietro consiglio del padre che, constatate le sue attitudini artistiche, lo incoraggia alla scultura, s’iscrive ai corsi di disegno di Sigismondo Lipinsky, ma l’anno successivo Fausto si accosta alla pittura e frequenta l’Accademia del Nudo: scopre così le opere di van Gogh, Gauguin e Kokoschka. Nel 1921 incontra la futura moglie Pompilia; l’anno che segue vede il ritiro del padre dall’insegnamento: Luigi Pirandello decide di dedicarsi interamente al teatro. Il 1925 segna la prima partecipazione pubblica di Fausto, alla Terza Biennale Internazionale di Roma, con l’opera I bagnanti, mentre nel ’26 una sua Composizione è accettata alla Biennale di Venezia. Un anno più tardi si trasferisce con la moglie a Parigi, dove aggiorna straordinariamente il proprio bagaglio culturale: frequenta ‘les Italiens de Paris’ Tozzi, Severini, Campigli, de Chirico e Savinio, Capogrossi, ecc., studia le grandi opere dei musei e soprattutto quelle di Cézanne, Picasso e Braque, che rimarranno i capisaldi della sua formazione. Nel 1928, ravvivando un periodo di profondo scoramento, nasce il figlio Pierluigi; un anno dopo Fausto  allestisce una personale di dipinti e disegni presso la Galerie Vidrac, recensita – con qualche riserva – da Roger-Marx su Europe Nouvelle. Nel 1931 fa ritorno a Roma, dove propone una personale alla Galleria di Roma. Tre anni più tardi Luigi Pirandello riceve il Premio Nobel per la Letteratura. Il periodo tra il 1935 e il 1939 è caratterizzato dalla presenza di opere di Fausto nell’ambito di importanti rassegne anche oltre oceano (nel ’36 presso la XXXIII edizione della Carnegie International Exhibition of Art al Museo d’Arte di Toledo, Ohio, nel ’39 all’Esposizione Internazionale del Carnegie Institute di Pittsburg, Pennsylvania), nonché dalla morte del padre (1936) e dalla nascita del secondogenito Antonio (’37). I Pirandello rimangono a Roma fino al 1943, quando il precipitare degli eventi bellici li stimola a trasferirsi ad Anticoli Corrado, a ridosso degli Appennini, per maggior sicurezza, ma già l’anno successivo fanno ritorno nella capitale, ove soggiornano a Villa Medici grazie a un permesso speciale. Il difficile frangente non frena la creatività dell’artista, che anzi proprio a cavallo dell’ultimo anno di guerra intensifica ulteriormente gli impegni espositivi nella sua città; tra 1946 e 1947 riprendono invece le mostre nel resto d’Italia e all’estero, America compresa. Virgilio Guzzi pubblica nel 1950 la prima monografia sul nostro, Fausto Pirandello. Gli anni della piena maturità e della vecchiaia trascorrono quindi privi di considerevoli eventi esterni (segnaliamo il conferimento della Medaglia d’Oro per meriti culturali da parte del Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi nel 1956), ma ininterrottamente sotto il segno di un’intensissima attività espositiva in tutto il  mondo (compresa l’Australia, dove sempre nel ’56 è rappresentato nella mostra itinerante Italian Art of the 20th century) e di un costante fervore creativo. Fausto Pirandello muore a Roma il 30 novembre del 1975.

 

 

 

LO STILE

 

 

L’esordio pittorico di Fausto Pirandello avviene sotto il segno d’una saldezza formale già matura: peculiari sono i nudi femminili spavaldi di una resa anatomica che vive nell’evidenza d’una plasticità tormentata, dialettica, concepita si direbbe con un’ urgenza architettonica avvicinabile a certo espressionismo, eppure mitigata da una calda espansione volumetrica perfettamente accordata al gusto neoclassicheggiante allora in auge (la Composizione o il Nudo in prospettiva, ambedue 1923, in collezione privata romana). Ecco che poi in questa vena s’inserisce un giocoso rovello surrealista grazie al quale le figure vengono calate in situazioni compositive più libere e attonite, fingendo quasi come in un rebus avvicendamenti narrativi cifrati, dove i dati dell’aneddoto  ‘si fanno maggiorenni’ per cercare rapporti diversi da quelli familiari – ma senza, per questo, necessariamente instaurarne (Il remo e la pala del 1933, al CIMAC di Milano, o la sconcertante Scala dell’anno successivo, in raccolta privata, con la sua figura erratica in primo piano che pare ricomporsi gradatamente dopo l’attraversamento di un qualche passaggio dimensionale; opere come La siccità o La fienagione – entrambe del 1938, conservate rispettivamente alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma e in raccolta privata a Genova - , poi, s’impongono sì con risonante enfasi littoria, ma al contempo paiono irriderla dall’interno con la fissità allusiva di un atemporale assillo onirico). La gamma cromatica dal canto suo si fa più fusa, e la luce più uniforme e sabbiosa; il lavoro del pennello e degli impasti mima spessori da intonacatura murale, dove il gesto della mano può a volte sbrigliarsi in una ammaliante parvenza di oltraggio all’integrità formale (uno scompiglio che subito rassicura per l’assenza di conseguenze traumatiche, come nelle splendide Donne che si pettinano del 1937, Milano, collezione privata); nelle frequenti, magnifiche nature morte i corruschi tegumenti cromatici tendono la mano alla lontananza dell’astrazione, ferma restando la sensazione di una materialità ponderale, terrena, nel canto smorzato delle ocre, dei neri, degli azzurrini compromessi e ingrigiti, fatti fremere qua e là da bagliori d’avorio e oro antico (Metafisica di un santo, ca. 1935, nella torinese collezione Forchino). Il surrealismo per così dire ‘situazionale’ di cui sopra (Lautreamont esausto nella canicola del meriggio mediterraneo?) adesso si fa principio organico della materia pittorica, gestita e fatta lievitare in una pasta argillosa dalla quale nascono intrichi di nudi modellati nella pienezza di una polpa minutamente butterata, grappoli di carne bionda sciorinati su incandescenti arenili scoscesi. E il tratto interviene ad alludere la linfa molle ed elastica del pastello, della cera, dell’encausto. L’esasperazione anatomica delle figure – in tutto questo frattempo mai effettivamente venuta meno –  è ora interamente riassorbita nell’atmosfera magistrale d’un sogno arcaicizzante: esempio altissimo il Tavolato sul mare del 1941, in collezione privata milanese, dove tra l’altro l’infreddolito nudo in primo piano rinvia a un’affinità masaccesca ribadita in un capolavoro dell’anno seguente, i Bambini con il volano della Galleria d’Arte Moderna di Udine, in cui l’incantata sapienza tonale dell’insieme si arricchisce di flagranze pittoriche addirittura rembrandtiane nella resa delle vesti.

Sul finire degli anni ’40, l’originaria pulsione espressionista riemerge in un registro linguistico più asciutto e allarmato, senza tuttavia rinunciare alle finezze della sua indole sostanzialmente ludica.

I nudi si gonfiano e si torcono in uno spazio afono e tumultuoso, sotto una luce chiarissima, di astrattezza ambulatoriale (Nudo su fondo rosa, 1948, in raccolta privata di Varese), che però può anche sostanziarsi del capriccio d’un vigoroso quanto sarcastico trattamento tassellato (Nudo disteso del 1953, Milano, collezione privata); le nature morte rigiocano il bric-a-brac del cubismo con semiserio patimento planimetrico (Natura morta con bottiglia e zuccheriera d’argento, 1955, Roma, collezione privata), infiammandosi spesso d’un inedito blu elettrico come sovreccitato piano d’appoggio (le due nature morte ascrivibili al 1950, ancora in raccolta privata milanese).

Il percorso artistico del nostro prosegue coerente su questa impostazione bipolare - di soggetti e atteggiamento - fino al termine, rasentando con gentile e appassionata destrezza le frontiere dell’astrazione (Bagnanti in acqua del 1963, Milano, collezione privata) non senza l’occasionale insinuazione di un garbato rimpianto, o riepilogo, delle avanguardie d’inizio Novecento (il collage neo-cubista ovvero neo-dada ovvero neo-severiniano della Biblioteca, 1970, in collezione privata romana).

 

 

Paolo Marini