Presentazione di Carlo Cherubini   - Guido Moro

Appunti e riflessioni su Carlo Cherubini - Michele Rovoletto

 

 

 

 

Carlo Cherubini (Ancona 1897 - Venezia 1978)

 

 

 

 

Una pittura sottratta al tempo


di Lorena Cava

 

 


Ripercorrere a distanza di anni la vicenda artistica di Carlo Cherubini significa, innanzitutto, risvegliare l'interesse nei confronti di un artista di cui esistono corpose testimonianze pittoriche disseminate in un arco temporale decisamente vasto. Lungi dal formulare un'analisi testuale rigorosamente filologica, ci attestiamo sul dato fondamentale che emerge dall'esame delle opere di Carlo Cherubini: l'indubbia qualità di un talento e di una pratica artistica conclamata negli anni.

 

 

Notturno. Olio su cartone, cm 19 x 13,3, 1911.

Portogruaro (Venezia), collezione privata Ivano Sesso.
 

 

Figlio di Giuseppe Cherubini, eccellente pittore morto nel 1960 e autore di indimenticabili acquarelli dedicati a Piazza San Marco, Carlo Cherubini si impone giovanissimo sulla scena veneziana, partecipando nel 1914, a soli 17 anni, all'ultima Biennale prima delle grande guerra, con un'opera, Bambino pensoso, che contiene in modo emblematico un istinto pittorico segnato da una pennellata decisa e vigorosa, segmentata in tratti cromatici densi, solidi, quasi a imbrigliare la profondità di visione del soggetto ritratto. Tale opera firmata "Car Cher" (Carlo Cherubini per un decennio dal 1911 al 1920 si firma Car Cher) insieme ad altre realizzate nello stesso periodo come l'esemplare Notturno del 1911 (p. 19) fanno emergere un carattere fondamentale dell'intuizione e della formazione artistica di Carlo Cherubini, e cioè il fascino verso una pittura che, pur rimanendo ancorata al dato oggettivo, introduce ad ambiti più estesi, a campi di sottile mistero come se l'immagine raffigurata funzionasse da agente di un articolato orizzonte di senso che l'opera volutamente tace.
Siamo a conoscenza, secondo la testimonianza di Giuseppe Mugnone, autore della prima importante monografia sull'artista, di una forte inclinazione del giovane Carlo Cherubini verso studi classici ma ancor più di ambito esoterico e frenologico, studi fortemente ostacolati dal padre profondamente religioso e fedele ad atteggiamenti culturali e formali di matrice tradizionalista. Indubbiamente nella Venezia dei primi decenni del Novecento, dove giungevano gli echi delle rivoluzioni artistiche europee di fine secolo, e dove Gino Rossi e Arturo Martini cominciavano a muovere i primi passi decisivi, era impensabile che il curioso, ribelle e testardo Carlo Cherubini non accettasse di confrontarsi con le coeve correnti simboliste ed espressioniste dentro un milieu culturale legato agli stilemi ottocenteschi ma aperto a nuovi e decisivi aggiornamenti (ricordiamo che l'istituzione dell'Esposizione Internazionale d'Arte, con cadenza biennale, risale al 1895).
Da autodidatta convinto, dopo la prima guerra mondiale che lo vede impegnato al fronte, Carlo Cherubini si presenta negli anni Venti con una serie di opere di assoluto riguardo: i viaggi effettuati all'estero, lo studio della maniera antica (non dimentichiamo l'attività paterna di restauratore di affreschi) accanto alle moderne correnti, lo portano a maturare un personalissimo ductus pittorico in cui emerge una linea audace, pura e coraggiosa, una straordinaria abilità di coniugare la luce e il colore della tradizione veneta, in primis settecentesca, con una sensibilità ricca di movenze e implicazioni estetiche nuove.
La partecipazione alle Biennali del 1920, 1922, 1924 e 1926 nonché la decorazione, purtroppo dispersa, di alcuni pannelli al Caffé Martini di Venezia eseguiti all'incirca nel 1926, confermano un talento sottile, una predilezione verso i soggetti legati alla figura, al ritratto e al nudo. Nel complesso programma iconografico del citato Caffé Martini, che vede al centro la varie fasi della "vita dell'uomo", Carlo Cherubini con grande maestria isola atteggiamenti e sentimenti profondamente umani – la "melanconia", "la follia" – su scenari classici, veste alcuni personaggi con abiti carnevaleschi: la maschera incontra raffigurazioni mitologiche in una rara commistione di passato e presente, in una composizione varia e movimentata di pose e atteggiamenti profondamente indagati. Emerge un'attenzione particolare all'universo femminile, all'interpretazione di stati emotivi ravvisabili nell'intensità degli sguardi e nel delicato equilibrio delle tensioni dinamiche come avviene per il bellissimo dipinto Donna in verde (p. 22) dove il taglio prospettico accentua il contrappunto cromatico e il gioco di luce-ombra, a ricordo della raffinata lezione veneta di Napoleone Nani, Giacomo Favretto e Pietro Selvatico.

 

 

Donna in verde. Olio su tela, cm 45 x 35, 1926. Venezia, collezione privata Paolo Biasini.


Il sorprendente ciclo del Caffé Martini apre a Carlo Cherubini la proficua stagione parigina con la grande decorazione del "Lido" degli Champs Elysées, il locale più lussuoso di Parigi, il ritrovo del tout Paris e di tutta la mondanità cosmopolita. Le cronache francesi dell'epoca, e siamo sul finire degli anni Venti, concordano nel salutare Carlo Cherubini come l'insigne depositario della maniera veneta, di Veronese e Tiepolo, e nello stesso tempo riconoscono la vivacità e il brio del giovane artista, la freschezza e la leggerezza di una composizione elegante, fragile e leggiadra come l'anima della città lagunare.
Un clima gioioso accompagna le sedute della folta compagnia di modelli che sfilano nello studio del Maestro di Rue Henri Rochefort, lasciato libero dall'allora notissima Josephine Baker. In un tempo brevissimo, soltanto otto mesi, Cherubini esegue trenta pannelli (dispersi come il precedente ciclo del Caffè Martini) che rievocano il Settecento veneziano: su uno sfondo oro di bizantina, klimtiana e zecchiniana memoria, viene celebrato l'incontro di Venezia con Parigi attraverso magnifiche donne in falpalà e tricorno. Un corteo di dame incipriate munite di bautta si concede al fascino del flauto magico e i ricchi costumi lasciano il posto a nudità esibite agli astanti cavalieri senza malizia, senza rancore in un gioco di sottile erotismo, complici le molte figure che portano facce di celebri attrici e attori dell'Olimpo parigino.
Cherubini mostra un senso quasi tattile del colore: la pasta vellutata, carnosa, intrisa di riflessi e trasparenze, allude a precedenti esperienze impressioniste ma non smarrisce la coscienza di un disegno sicuro, senza incertezze (lo sottolinea anche lo scrittore Pierre Valdagne in una pregevole nota critica), le pezzature cromatiche vibrano di note luminose, la macchia respira, si muove sotto la sferzata delle pennellate che, pur rimanendo fedeli alla tradizionale pittura "alla brava", appaiono rigorosamente non opache.
E' di questi anni, precisamente nel 1929, la prima personale dell'artista presso la celebre "Galerie de La Renaissance" sempre nella capitale francese. Nel testo di presentazione, il critico Paul Sentenac sottolinea la grande abilità di Cherubini di operare su grandi superfici, come nei pannelli del Lido, e su tele da cavalletto, evidenzia l'amore per i nudi femminili risolti con eccezionale spontaneità e bellezza, indagati con tagli prospettici e soluzioni spaziali decisamente emozionanti.
Nel chiuso di una stanza, sole o in compagnia, le donne di Cherubini verranno, anche in futuro, prevalentemente colte nell'atto di togliersi i costumi della danza o, più frequentemente, l'abito di Arlecchino, curiosa ossessione del Maestro che spesso riveste una gamba sola, originando un gioco di contrasti cromatici se pensiamo al rosa prorompente della gamba scoperta, al dorso seminudo, ai toni brunastri degli interni. Viste dall'alto o di lato queste donne, sedute al bordo di un letto o di una sedia, esibiscono movenze aggraziate e gentili, difficilmente mostrano uno sguardo frontale in quanto gli occhi scorrono sulla mano tesa a sciogliere i lacci delle scarpe da ballo e l'immagine finale è una sorta di posa fotografica dove nulla è lasciato al caso, dove al ritmo delle linee plastiche compositive segue l'eco di precise rispondenze coloristiche.

 

 

La danza della gitana.  Olio su tela, cm 35 x 24. Anni '30. Treviso collezione privata.


Fuori dagli ateliers, non è raro imbattersi in una donna che, dismessi gli abiti della Commedia dell'Arte, si muove sulle note del flamenco (ricordo vivo del viaggio in Spagna), in un ballo frenetico denso di allusioni gitane, di gonne ampie e vistose – La danza della gitana (p. 36) – di richiami popolareschi, di strumenti musicali suonati in cerchio attorno al fuoco, sullo sfondo di carrozzoni vagamente circensi. Le braccia delle danzatrici stupendamente rivolte verso l'alto, come i protagonisti del periodo rosa picassiano, enfatizzano l'esuberante rotondità del seno esposto e nel contempo proiettano un desiderio di libertà, di sogno, di evasione dalla scena abituale e rituale della vita.
Insignito della "Menzione d'Onore" nel 1930 e della "Medaglia d'Argento" all'esposizione del Salone degli Artisti di Parigi nel 1932, medaglia, questa, ottenuta con l'opera Si jeunesse s'avait che narra con invincibile realismo la morte per amore di una donna, raffigurata nuda, riversa sul pavimento e circondata da un coro di vecchie signore attonite e oranti dentro una sorta di pietà nordica, Carlo Cherubini negli anni Trenta, dopo il fallimento della società del Lido conseguente al crack finanziario del 1929, afferma il proprio talento oltre oceano, con significative presenze al Lido Club di Long Island di New York e a Pittsburg negli Stati Uniti.
Continua la produzione di tele che, oltre a maschere e nudi femminili, a donne colte in atteggiamenti pensosi di hayeziana memoria, contemplano paesaggi, marine,
vedute delle città di Parigi e di Venezia con le architetture e i ponti sull'acqua, col brulichio della gente al mercato che si accalca intorno ai banchi, guarda, spinge e perfino litiga. La passione per la corsa dei cavalli lo porta ad osservare da vicino il mondo degli ippodromi e dei fantini: assistere alla gara significa tradurne in immagini le fasi più significative comprese le pause e le attese. C'è un sapore aneddottico, quasi bozzettistico in questa maniera di dipingere fresca, riassuntiva dotata sempre di un impianto disegnativo solido e robusto. Cherubini cattura l'immediatezza della scena attraverso una materia colore che si sfalda sotto l'egida delle pennellate veloci capaci di restituire la verosimiglianza del luogo e delle emozioni.

Il ritorno definitivo a Venezia nel 1940, fatta eccezione la permanenza a Noventa Padovana negli anni del secondo conflitto mondiale, coincide con la realizzazione di un ciclo di tele (ben rappresentato in catalogo) destinate al ristorante "Al Colombo" della stessa città. Su di uno scenario fisso, si succedono in gruppo generalmente di tre, gli attori di una "commedia umana" dove vizi e virtù generano trame di relazioni complesse legate alla storia e al presente, dove, ad esempio, una moderna Santippe, moglie di Socrate, viene colta nell'atto di versare dell'acqua sopra la testa dell'inerme filosofo vestito da Arlecchino, a riprova della sua conclamata "pazienza" o dove capaci danzatrici, al ritmo di fisarmonica, invitano alla "lussuria" per quel loro modo di mostrare le nudità del seno e della schiena.

Carlo Cherubini sembra scegliere, per questi dipinti, il meglio di un repertorio iconografico ormai consolidato e pervaso da un lieve realismo magico, le figure sono descritte una per una e quasi ritagliate nella plastica solidità degli atteggiamenti paludati, degli sguardi bloccati nell'aureola di un tempo che ritorna e si ripete. I cesti traboccanti di frutta e verdura che contraddistinguono la tela intitolata L' operosità, raccontano di un altro tema caro a Carlo Cherubini: la natura morta.

Sono soprattutto vasi di fiori, nella fattispecie, rose, a interessare il Maestro, forse a ricordo di quel lungo periodo, in gioventù, trascorso in casa, quando per impratichirsi nel disegno dal vero copiò e ricopiò foglie e boccioli di rosa, nell'estenuante ricerca di una linea e di un segno efficaci.

 

Rose in vaso blu. Olio su tela, cm 70 x 45. Anni '60. Venezia, collezione privata

 

 

I petali del fiore sono resi con tocchi di colori saturi alternati a passaggi repentini di velature più sommesse, di variazioni di tono che lo specchio retrostante talvolta propaga sotto forma di eco sonora, di vibrazione cromatica, di palpabile affiato e tensione poetica come nel quadro Rose in vaso blu (p. 105). Gli anni '50, 60 e '70 vedono Carlo Cherubini attestarsi sulle figurazioni note, sulla decifrazione di forme e modelli compositivi abituali, in una posizione solitaria dentro il variegato e cosmopolita panorama artistico lagunare fatto di ambiti pittorici estremamente diversi, di individualità forti e catalizzatrici (pensiamo a Vedova, Pizzinato, Santomaso, Viani) capaci di rivoluzionare i tradizionali stilemi espressivi a favore di un linguaggio "nuovo ed europeo", aperto a soluzioni neocubiste e in seguito decisamente astratte. Carlo Cherubini lavora intensamente con onestà e determinazione, con passione e serietà, confermando le sue doti, ma il ruolo di isolato, di estraneo a qualsivoglia corrente o atteggiamento artistico conclamato, fatta eccezione per l'adesione al "Magnifico ordine della valigia", autentico momento di aggregazione e di confronto per molti pittori che, come Cherubini, esponevano alla Bevilacqua La Masa, causerà il disinteresse della critica ufficiale e impegnata nonché l'esclusione dai i battiti e circuiti culturali di rilievo.
Il Maestro Carlo Cherubini difende agli occhi dei contemporanei la sua fedeltà ad un credo estetico che coniuga segno e colore, tradizione ed emozione, virtuosismo tecnico e gioia compositiva, lontano da mode e tendenze effimere, da improvvisazioni sterili destinate a eclissarsi nel tempo.
Il poeta e critico veneziano Mario Stefani, nel testo di presentazione per l'importante retrospettiva del Maestro tenutasi nell'agosto del 1982 al Centro d'Arte San Vidal di Venezia, scrive: "...Cherubini entra da protagonista nella storia artistica del nostro Novecento veneziano, senza clamori, ma con passo sicuro. La sua tavolozza è ricca di segreti e di una struggente poesia, per cui il quadro suggerisce più che imporre, quasi fosse musica. Molte volte il quadro diviene espressione di uno stato d'animo, di una sottile malinconia, di uno spleen baudelairiano, di un abbandono, di un momento pensoso carico di tristezza. Questa dolcezza che ritroviamo nei suoi quadri dopo tanti anni, ci turba ancora e ci coinvolge, segno è che quella pennellata fu giusta e non fatta invano, fu vera arte e non caduca espressione del momento (...). Per questo Carlo Cherubini ha una sua fisionomia precisa ed è anche il cantore segreto del nostro stesso tempo".
Ci sono forse parole migliori per raccontare la potenza dell'universo immaginifico e creativo del genio pittorico di Carlo Cherubini? Oggi, quando ancora le cerchiamo, ancora siamo ammirati da questo artista d'eccezione e senza tempo.
 


Lorena Cava
 

 

Tratto da: Carlo Cherubini                       © Copyright Antiga Edizioni