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Dolores Del Giudice

Enrico Baj  (Milano 1924 - Vergiate/Varese 2003)

 

 

 

 

 

 

«In famiglia desideravano che facessi l’architetto. Loro così avrebbero progettato case e costruzioni, mentre alla primogenitura, cioè a me, sarebbe toccato andare vestito da architetto…».

 

           Proprio così, ma le scelte professionali di questo poliedrico artista furono ben altre. Nato a Milano il 31 ottobre 1924 in una famiglia di ingegneri, Enrico Baj scopre già all’età di dodici anni la sua vocazione artistica, merito della nonna materna che lo educa alla pittura. Terminati gli studi classici nel 1942 mette in disparte le sue velleità  artistiche e si iscrive a Medicina. Ma nel 1944, mentre si trova a Ginevra con la famiglia riprende a disegnare, frequenta musei, gallerie, e conosce Gianni Dova. L’anno successivo rientra a Milano, lascia la facoltà di Medicina, si iscrive a Legge, laureandosi in soli due anni, e contemporaneamente frequenta l’Accademia di Brera, tuttavia rifiuta di prendere il diploma perché «non si può venir diplomati pittori». Ironia e sarcasmo si riversano poi anche nel suo percorso pittorico, sempre diverso e imprevedibile. Terminata la guerra ha inizio un periodo di fervidi scambi tra artisti e intellettuali europei, Baj guarda con interesse al Surrealismo, all’Art brut, allo Spazialismo, e all’Action painting, e memore degli effetti nefasti provocati dall’atomo, nonché al corrente delle teorie atomiche ed einsteiniane, realizza a partire dal 1951 le prime Opere nucleari. Tramite un linguaggio informale affine al tachisme genera forme vorticose e spiraliformi allusive al fungo di Hiroshima e Nagasaki. “Flottage”, “Tachisme” e più tardi “l’acqua pesante” sono le tecniche usate da Baj durante il periodo nucleare. La prima mostra in cui si parla di Arte Nucleare ha luogo alla Galleria San Fedele a Milano nel novembre del 1951, ad esporre sono Baj e Dangelo, artefici anche del Manifesto della Pittura Nucleare presentato alla Galleria Apollo di Bruxelles nel febbraio del 1952. Al gruppo poi si uniranno Joe Colombo, Dova, Crippa, Tullier e Bertini. Nel 1953 l’incontro con il gruppo “Cobra” determina nuovi risvolti pittorici in Baj, che insoddisfatto  dei risultati casuali dettati dal gesto, si avvia verso una fase “prefigurativa”, dove forme antropomorfe si originano dal caos iniziale. L’anno successivo fonda con Asger Jorn il Mouvement international pour une Bauhaus imaginiste, che critica duramente la coeva razionalizzazione e geometrizzazione dell’arte. Connotati ludici e nuove sperimentazioni affiorano ora nell’arte di Baj, invero frequentando una tappezzeria di Porta Ticinese rimane affascinato dalle stoffe a fiori dei materassi, dalle ovatte per imbottire i cuscini, da cordoni e passamanerie, che presto userà per realizzare i suoi primi collage. Dalla combinazione di questi materiali con scaglie di vetro e colore prendono corpo nuove figurazioni in bilico tra l’umano e il fantastico: esseri bipedi dal corpo quadrato, con capelli di stoppa e occhi di vetro. Baj in questi anni frequenta Fontana, Max Ernst, Marcel Duchamp, e nel 1956 incontra a Milano Manzoni, Klein ed altri artisti, insieme ai quali sottoscrive l’anno dopo il Manifesto Contro lo stile, che segna anche l’imminente dissoluzione del movimento nucleare.

Da ora in poi il collage diventa il mezzo di espressione prediletto da Baj: dopo i già ricordati Personaggi simili a mostricciatoli, seguono la serie delle Montagne, profili dissestati su orizzonti tappezzati, la serie degli Specchi, un nuovo materiale che lui trasforma immettendo segni dipinti e pezzi di vetro colorato, oppure rompendolo secondo un disegno stabilito, e la serie delle Modificazioni, dove tele dipinte da artisti anonimi diventano i nuovi fondali dei suoi quadri, sui quali appiccica le sue grottesche creaturine.  Gli anni Sessanta pure si inaugurano sotto il segno del collage e della sperimentazione più ardita, ecco dunque comparire oggetti reali quali medaglie, decorazioni militari, cordoni e frange nella serie dei Generali e delle Dame, e di pomelli e maniglie in quella dei Mobili; Baj approda a queste nuovi risultati tramite la frequentazione degli artisti appartenenti al movimento del Nouveau Réalisme. Giunge quindi a creare lui stesso degli oggetti con la serie dei Meccani, le bizzarre figurine più volte presenti nei suoi quadri diventano ora sculture in lego e meccano, ed ancora un nuovo materiale fa la sua comparsa col ciclo delle Plastiche. Ma Baj non manca di stupirci quando alla fine del decennio decide di ritornare alla pittura con i d’Après, omaggi e insieme rifacimenti parodistici di Picasso, Seurat, Picabia ed altri. Negli anni Settanta la difficile situazione politica induce Baj a realizzare tre grandi opere ritornando alle tecniche e ai soggetti consueti: due collage politici, “I funerali dell’anarchico Pinelli” del ’72 e “Nixon Parade” del ’74, quest’ultimo ispirato dallo scandalo Watergate, e la composizione monumentale dell’Apocalisse del ’78, lunga sessanta metri, suddivisa per riquadri intercambiabili, testimonianza del decadimento della contemporaneità. Gli anni Ottanta lo vedono attivo nell’ambito teatrale partecipando a diverse realizzazioni, tra le quali ricordiamo le cinquanta marionette in meccano che realizzò per Ubu re di Alfred Jarry, messo in scena da Massimo Schuster nel 1984. Si è messo in luce come «dall’Apocalisse in avanti la critica della contemporaneità, dell’uso indiscriminato delle tecnologie, della robotizzazione dell’uomo nella società attuale, del prevalere della forma sulla sostanza […] è vieppiù presente nell’opera di Baj», ed è proprio da questo risentimento nei confronti del presente che nasce la serie dei Manichini, 1984-87, figure senza volto e personalità, dove accantona di nuovo il collage per una pittura ricca di reminiscenze metafisiche. Sempre dipinti sono le Metamorfosi e le Metafore, 1988, in cui sviluppa una figurazione dell’immaginario e del fantastico che prelude alle opere Kitsch realizzate in maiolica a Faenza nel 1991. Negli anni Novanta riutilizza il collage nel ciclo delle Maschere tribali, dei Feltri e dei Totem, ritorna alla satira politica con l’opera Berluskaiser, e inizia la serie dei ritratti ispirati ai Guermantes, da Proust. Nel 2001 ancora un nuovo ciclo, questa volta dedicato alle Storie di Gilgameš, e l’anno successivo l’utilizzo di materiali metallici quali tubi, rubinetti, sifoni nelle Opere idrauliche, testimonianza di come la natura ludica e giocosa insita nella sua persona si traduca in arte con sempre nuove forme espressive.

Baj muore a Variegate il 16 giugno 2003. Egli non si limitò al solo fare pittura, ma partecipò alla realizzazione di molti libri d’artista, tra i poeti del passato ha illustrato il De rerum natura di Lucrezio, il Paradiso perduto di John Milton ed altri ancora, ha partecipato alla redazione di numerose riviste d’avanguardia, quali il “Gesto”, “Direzioni”, “Phases”, “Documento Sud”, e ha pubblicato numerosi libri.

 

 

Dolores Del Giudice

 

 

 

Bibliografia:

 

Corgnati Martina, Enrico Baj: opere 1951-2003, Milano, Skira, 2003.

Ravasi Laura e Durante Lia, Enrico Baj: gli anni del collage, Milano, Mazzotta, 2000.

Caramel Luciano, Arte in Italia 1945-1960, Milano, Vita e pensiero, 1994.

Sega Serra Zanetti Paola, Arte astratta e informale in Italia (1946-1963), Bologna, Clueb, 1995.