"LA  BATTAGLIA  DI  CAPORETTO"
 

24 - 26 OTTOBRE 1917

 

 

 

Mario Troso

 

 



"La sensazione di non essere gettate al massacro, ma impiegate con senso di responsabilità, sarebbe stato il miglior tonico per le truppe che dovevano affrontare i successivi combattimenti."
1 (Mario Silvestri)

 

 


 

 

 

 

QUADRO GENERALE

 


L'esercito italiano, entrato in guerra il 24 maggio 1915, si è disteso con uno schieramento pressoché continuo lungo la linea di confine con l'Austria-Ungheria. Nell'ottobre 1917 è suddiviso in sei grandi unità:


1) III° C.d'A. dallo Stelvio al lago di Garda;
2) Ia Armata dalla sponda orientale del lago di Garda alla Valsugana;
3) IVa Armata dalla Valsugana al Monte Peralba;
4) XII° C.d'A. dal Monte Peralba al Monte Rombon (zona Carnia);
5) IIa Armata dal Monte Rombon al fiume Frigido;
6) IIIa Armata dal Frigido al Mare Adriatico.


"L'esercito italiano scese in guerra nel maggio del 1915 assolutamente impreparato: militarmente e moralmente... Entrammo in guerra con un armamento 'preistorico'... Nessuno s'era corretto in dieci mesi di guerra europea
2... Le bombe a mano erano sconosciute... Gli ufficiali parteciparono ai primi combattimenti con la sciabola e vestiti in modo da essere subito colpiti. L'aviazione non funzionava. Nessuno dei capi vi aveva creduto... Fra l'artiglieria e le fanterie nessun serio collegamento, nessun segnale: l'artiglieria nostra finiva per sparare sui nostri fanti. Si pretendeva tagliare i reticolati con le pinze a mano e con i tubi di gelatina. In questo impossibile compito furon sacrificati i migliori elementi della fanteria e del genio. I superiori... mandavano al macello, contro reticolati intatti, masse di uomini... L'eroismo del basso si mescolava all'imbecillità dell'alto e devon datare da quel tempo le cartoline austriache lanciate fra le nostre truppe, dove si vedevano i nostri soldati con la testa di leone guidati da generali con la testa d'asino... Si concepiva la guerra come nei vecchi manuali formati sulle esperienze del 1870... L'anno 1915 resterà, per chiunque sia stato allora al fronte, disastroso e deprimente. In esso l'esercito fu impoverito dei migliori elementi che si sacrificarono senza frutto, stancando e sfacendo il fiore delle truppe e il meglio degli ufficiali e dei volontari." 3
Mentre sul fronte russo la guerra ha conservato le caratteristiche di movimento, sul fronte francese e più ancora sui fronti italiani i combattimenti hanno assunto l'aspetto di guerra di posizione, vincolata quindi a trincee, fortilizi e lunghe e profonde barriere di filo spinato. L'esercito italiano ha condotto fin dall'inizio una guerra offensiva particolarmente impegnativa sulla Fronte Giulia dove erano schierate due armate (II e III) e dove ha combattuto ben undici battaglie in due anni. Nelle prime dieci gli Italiani, una volta varcato l'Isonzo, hanno continuato ad urtare contro il sistema difensivo austriaco imperniato sulla catena montuosa del Carso, compresa tra il mare e il Monte Santo, senza ottenere altro risultato territoriale che la conquista di Gorizia nel 1916.
La guerra condotta secondo le norme tattiche codificate dalla stessa persona che comandava l'esercito italiano, generale Luigi Cadorna, privilegiava l'utilizzo indiscriminato di uomini come massa d'urto ed escludeva la manovra come fattore risolutivo. Scriveva Caviglia: "Nell'ultima grande guerra nessun esercito ha portato le sue fanterie a dar di cozzo per anni contro le stesse posizioni, soffrendo gravissime perdite, senza il sorriso visibile della vittoria, come noi facemmo sulla fronte giulia... Credo che, fra gli altri eserciti belligeranti, solo le truppe inglesi nella spedizione dei Dardanelli si siano trovate per pochi mesi in condizioni simili a quelle delle nostre fanterie del Mrzli, dello Sleme e di Volzana."
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L'undicesima delle battaglie sulla Fronte Giulia, denominata della Bainsizza dall'altopiano dove si è svolta, ha portato le truppe italiane a penetrare profondamente oltre l'Isonzo nel dispositivo difensivo del nemico, che su questo fronte risulta ormai allo stremo della resistenza. Il Comando austriaco ritiene di non poter resistere ad un'altra offensiva italiana che potrebbe raggiungere, proseguendo oltre la Bainsizza, il Vallone di Chiapovano e provocare la caduta di tutto il fronte con la conseguente conquista di Trieste da parte degli Italiani. Perciò alla fine dell'agosto 1917, appena conclusasi la XIa battaglia dell'Isonzo, il Comando austriaco mette allo studio
5 un'offensiva da sferrare, con l'aiuto dell'alleato germanico, in un settore della Fronte Giulia che possa mettere in crisi lo schieramento italiano e prevenire così una nuova possibile offensiva. Il settore prescelto è quello dell'alto Isonzo dove sono schierati il centro e l'ala sinistra della II Armata italiana, comandata dal generale Luigi Capello e composta da due corpi d'armata su quattro divisioni ciascuno, per un totale di circa 45.000 combattenti: il IV° C.d'A. del generale Alberto Cavaciocchi e l'adiacente XXVII° C.d'A. del generale Pietro Badoglio. In questo settore gli Austriaci hanno conservato due teste di ponte oltre l'Isonzo: una nella conca di Plezzo e l'altra di fronte a Tolmino.

 


La difesa della nostra fronte è impostata su tre linee (Cartina 1). La prima, di difesa avanzata, quella sulla quale sono schierate le truppe, è casuale, rappresenta il limite massimo dell'occupazione italiana, ed è la sola guarnita di truppe in modo permanente.
La seconda, di resistenza ad oltranza, studiata, stabilita e descritta sul terreno e nelle mappe, è quella che dovrebbe essere guarnita ritirando le truppe dalla prima linea in caso di offensiva nemica. Questa seconda linea è molto più solida della prima, che in più punti, essendo troppo a ridosso dello schieramento avversario, presenta posizioni poco o punto difendibili in caso di una forte offensiva avversaria.

Esiste poi una terza linea, anch'essa studiata, stabilita e descritta sul terreno e nelle mappe: di difesa d'armata, dove attuare la resistenza in caso di ulteriore ripiegamento.

 

 


COMPOSIZIONE DI UNA DIVISIONE ITALIANA

 

 


Nella primavera del 1917 la forza di una compagnia era stata ridotta da 225 a 150 uomini (ML12). Secondo il generale Caviglia le compagnie nell'ottobre 1917 non avevano in linea più di 100 uomini (CE99).

 

 

 

 


PRELIMINARI ALLA BATTAGLIA

 

SETTEMBRE 1917: RILASSAMENTO

 



Il 29 agosto 1917 Cadorna ordina alla II Armata la sospensione delle operazioni: la vittoriosa offensiva italiana, che ha visto le truppe italiane dilagare sull'Altopiano della Bainsizza ma s'è poi interrotta per l'irrigidimento della resistenza austriaca, si deve ritenere conclusa. Al fronte e in Italia viene considerata un grande successo sia per il territorio conquistato, superiore a quello quasi insignificante delle precedenti dieci battaglie, sia per la caduta di alcuni capisaldi nemici come il Monte Santo, ma anche per la minaccia portata sul rovescio del fronte nemico. La ripresa offensiva, prevista dal Comando Supremo con l'intento di operare un grande sfondamento sul medio e basso Isonzo lungo la direttrice della valle del Vipacco, inizialmente è fissata per il 10 settembre, poi viene rimandata a fine mese e infine sospesa. Il 18 settembre Cadorna ordina infatti alla II e alla III Armata di assumere lo schieramento di difesa ad oltranza: per quest'anno non ci sarà più alcuna offensiva.
La vittoria della XI battaglia dell'Isonzo
6 era stata preceduta nel maggio dello stesso anno dalla X battaglia, che non aveva dato alcun frutto. Nell'insieme un grandioso sforzo costato all'Italia circa 92.000 morti, 200.000 feriti e 40.000 prigionieri. E' fisiologico che dopo ogni grande sforzo subentri un rilassamento. Ciò vale per il singolo o piccolo organismo come per un organismo grande o complesso, come può essere un esercito. Questo rilassamento più o meno automatico può essere contrastato, oppure sollecitato o addirittura favorito. Sulle nostre fronti è favorito dall'atteggiamento assunto dal Comando Supremo, convinto che sia subentrata ormai una stasi invernale durante la quale non si possono attuare operazioni di rilievo da parte di nessuno dei due eserciti in conflitto. Cadorna ritiene infatti che un'eventuale offensiva nemica potrà aver luogo soltanto nella primavera 1918.
Lo schieramento difensivo, in opposizione a quello offensivo appena abbandonato, viene quindi interpretato dalle armate italiane come un atteggiamento di riposo. Cadorna si allontana addirittura dal suo comando di Udine per recarsi il 26 settembre a Roma e il 4 ottobre a Villa Camerini, presso Vicenza, dove si trattiene fino al 19.
7 Evidentemente non è preoccupato per la situazione dei fronti, in particolare di quello orientale, e tanto meno del settore dov'è schierata la IIa Armata.
Un organismo complesso come un esercito è molto sensibile nel percepire subito sia le positività che le negatività del comando, come pure l'atteggiamento dominante nel comando stesso, che scende per li rami
8 attraverso la catena gerarchica. Tutti sono quindi tranquilli.

 

 

 

 

 

Questo atteggiamento assume un valore particolarmente negativo sul fronte del IV C.d'A. (Cartina 2), schierato all'estrema sinistra della II Armata, rimasto sempre al di fuori delle grandi offensive dell'Isonzo fin dal 1915 e cioè fin dal primo assestamento del fronte dopo la dichiarazione di guerra. Lo stato di riposo soprattutto sulla Fronte Giulia scende per li rami propiziato dal Comando Supremo e non trova correttori. E' infatti un atteggiamento imposto dal Cadorna che aveva costituito un Comando Supremo ad uso personale, senza teste che possano sollevare obbiezioni. Cadorna non ha quindi collaboratori, ma soltanto alcuni meri esecutori ed è perciò un isolato nello svolgimento della sua complessa attività.
"Cadorna non aveva voluto dei sottoposti troppo autorevoli, tali da menomare, di fatto, la sua piena autorità e da scalzarlo anche eventualmente: in questo modo però egli aveva finito per privarsi degli strumenti necessari all'esercizio del comando. Egli non era in grado, in ultima analisi, di controllare le armate, specialmente poi durante la battaglia; non disponeva di ufficiali di Stato Maggiore con i quali guidare la lotta."
9 Dobbiamo dunque constatare che non esiste uno Stato Maggiore come gruppo pensante e dirigente, ma soltanto un gruppo non pensante di esecutori di ordini.10 "Resta il fatto grave che Cadorna e con lui i sottocapi colonnelli Roberto Bencivenga prima e dal 1 settembre 1917 Melchiade Gabba, non sentivano il pericolo del loro isolamento. Erano schiacciati da un lavoro immane..."11
E proprio nel periodo in cui il nemico prepara la sua offensiva, l'efficienza del Comando italiano è ulteriormente compromessa dall'assenza o debilitazione di due comandanti senza validi sostituti: il comandante supremo, assente dal suo quartier generale di Udine, e il comandante della II Armata, di precaria salute per grave malattia.
 

 

 

 

LA CONTROFFENSIVA CHE NON C'ERA

 


Cadorna il 18 settembre inoltra ai comandanti delle due armate schierate sulla Fronte Giulia, la II comandata da Luigi Capello e la III comandata dal duca d'Aosta, l'ordine tassativo di sospendere ogni operazione offensiva e di predisporre, nello stesso tempo, tutti i preparativi necessari per la difesa ad oltranza. Mentre il duca d'Aosta si uniforma subito a tale direttiva, Capello non vi si attiene perché intende sostituire ad una stretta difensiva una possibile azione combinata difensiva-controffensiva. In altri termini, secondo lui lo schieramento oltre ad essere difensivo deve permettere la manovra controffensiva in modo da arginare prima il nemico e poi ributtarlo guadagnando terreno. Capello trasmette al Comando Supremo copia dell'ordine d'operazione con la quale prescrive ai suoi sottoposti che ad una validissima difesa debba seguire una fulminea controffensiva. Cadorna risponde dando consigli per la difensiva, ma approvando anche in linea di massima le direttive di Capello. Costui ritiene quindi di poter attuare, in caso di un'offensiva austriaca, il suo piano in base al quale, partendo dal saliente della Bainsizza appena conquistato, si deve sferrare un forte contrattacco sul fianco dei nemici, verso nord, settore di Tolmino, o verso sud, settore di Gorizia, secondo la direttrice d'attacco scelta dal nemico.
Gli studiosi del periodo parlano di equivoco e anche di dissidio
12 che si sarebbe dunque verificato tra Cadorna, fermo sulla difesa ad oltranza, e Capello, fautore di una manovra controffensiva. Non si era trattato però né di equivoco né di dissidio. O meglio se un equivoco c'è stato è solamente quello nel quale sono caduti sia Cadorna sia Capello circa l'eventuale offensiva nemica. Entrambi, convinti che le fronti siano ormai entrate in una stasi invernale, prevedono che l'eventuale grande offensiva nemica non si realizzerà prima della primavera del 1918. Cadorna non considera quindi urgenti le misure che ha richiesto per uno schieramento delle truppe di difesa ad oltranza. Inoltre riserva come sempre attenzioni particolari al Capello, che giudica il migliore tra i generali ai suoi ordini, dotato di quel manovriero spirito d'iniziativa che esula dal proprio carattere. Anche in questo caso pensa di non tarpargli le ali e di lasciargli coltivare l'ambizioso progetto, sogno di tutti i grandi capitani: cogliere il nemico di sorpresa sul fianco mentre sta marciando. Si vedrà in seguito come. Quindi tranquillità sul fronte e tranquillità nei rapporti tra Cadorna e Capello.
Mentre Cadorna è assente questa atmosfera rilassata comincia ad essere turbata da notizie che arrivano al Comando della II Armata circa i preparativi del nemico per un'offensiva molto prossima, proprio sulla Fronte Giulia. Già il 4 di ottobre i prigionieri austriaci parlano di un'offensiva imminente.
13 Capello, ammalato e impossibilitato a muoversi ma già allarmato, nel corso di una conferenza del 14 ottobre nel quartiere di Cormons espone ai suoi divisionari, "con chiara preveggenza"14, il suo timore di un attacco nemico che, sboccando dalla testa di ponte di Tolmino, sfonderebbe in fondo valle a Volzana la linea del XXVII° C.d'A. (Badoglio) e, rimontando la destra dell'Isonzo, aggirerebbe il IV° C.d'A. (Cavaciocchi) incuneandosi tra la nostra prima linea oltre l'Isonzo e la seconda al di qua del fiume, aprendosi la strada per Cividale e Udine.15 Egli sente quindi impellente la necessità di un colloquio col Cadorna. In sua assenza, il 15 ottobre riceve la visita del colonnello Cavallero della segreteria di Cadorna e ripropone16 la sua controffensiva che dovrebbe svilupparsi partendo dalla conca di Verco (Cartina 1), sulla Bainsizza, contro il fianco del nemico: 17 chiede vari rinforzi di truppe e d'artiglieria e un corpo d'armata su tre divisioni da collocare dietro la regione del Monte Jeza, per rafforzare questa posizione chiave di fronte alla testa di ponte austriaca di Tolmino.

Il quadro è allucinante perché Capello ha avuto sì della preveggenza, ma continua a parlare di controffensiva senza però dare concrete disposizioni per la sua realizzazione o per altre iniziative coerenti con l'intuizione. Tra il resto Capello non parla di Plezzo, ma solo della testa di ponte di Tolmino poiché ancora il 17 ottobre, come attesta Caviglia, egli si attende un attacco soltanto da Tolmino e non esteso fino alla conca di Plezzo.18 Comunque Capello in tale data si dimostra più disposto del suo capo a credere alle informazioni giunte.
Il 16 una relazione sul colloquio Capello-Cavallero del 15 viene trasmessa da Cavallero a Cadorna, che il 17 ottobre risponde per iscritto precisando che Capello, se attaccato, potrà costituire le progettate masse di manovra, contando però unicamente sulle forze di cui dispone al momento: 324 battaglioni, 2.500 pezzi d'artiglieria, 1.134 bombarde. Cadorna quindi prende in considerazione l'ipotesi che Capello possa manovrare, ma non indaga circa le caratteristiche e le probabilità di riuscita della controffensiva. Dice soltanto a Capello di arrangiarsi.
Siamo di fronte ad un sottile gioco delle parti: Cadorna vuole evitare di essere compartecipe in un'ipotetica azione controffensiva della quale non esiste ancora alcun piano d'operazioni e si cautela, in ritardo, ribadendo quelle istruzioni difensive delle quali non ha mai verificato l'attuazione. Capello che vorrebbe invece l'imprimatur, ma anche il conforto del Comando Supremo sul proprio piano con l'assegnazione di consistenti rinforzi, resta spiazzato e dimostra imprevidenza e leggerezza; della controffensiva infatti continua a parlare in astratto creandone i presupposti, ma lasciando nel frattempo inalterato per la sua armata lo schieramento offensivo di fine agosto, quando s'era conclusa la vittoriosa offensiva sulla Bainsizza. Fra il resto non ha neanche la certezza di ricevere i rinforzi ritenuti necessari e non dà alcun ordine per preparare nella realtà operativa la famosa controffensiva. Riepilogando il Capello non ha schierato le sue truppe per la difesa ad oltranza secondo gli ordini di Cadorna, ma non ha neppure dato alcuna istruzione per un'azione alternativa.
E' dunque chiaro che Cadorna il giorno 17 non percepisce la gravità della situazione, non ritenendo imminente l'offensiva nemica. D'altra parte anche il capo del suo Ufficio Situazione
19, che ha il compito di prospettare lo stato delle cose sui vari fronti, rimane fino all'ultimo scettico sulla probabilità e sull'ampiezza dell'offensiva nemica, fermo nel ritenere che comunque il nemico non attaccherebbe fra Plezzo e Tolmino, come risulta invece dalle informazioni che stanno arrivando. Siamo a 7 giorni dall'attacco nemico!
Ma le notizie di un'offensiva nemica si fanno sempre più consistenti tanto che il 19 ottobre Cadorna, appena rientrato nella sede del Comando Supremo a Udine, s'incontra con Capello e prende finalmente una posizione più netta nei confronti del suo subordinato escludendogli il criterio della manovra controffensiva e riaffermando il primitivo ordine di sola difesa ad oltranza. Non illustra però un piano del Comando Supremo da contrapporre a quello offensivo del nemico che si sta profilando: niente più manovra, ma solo difensiva pura e semplice sul posto. A questo punto per attuare le disposizioni del Cadorna e modificare l'assetto della II Armata da offensivo in difensivo ad oltranza restano soltanto 5 giorni!
Entrambi i comandanti Cadorna e Capello stanno quindi già subendo l'effetto della sorpresa nemica
20 che li ha completamente spiazzati, poiché in 5 giorni risulterà impossibile non soltanto impostare un piano adeguato alla manovra dell'avversario, ma anche prendere provvedimenti decisivi come rettifiche del fronte e spostamento di riserve. Mancherà soprattutto il tempo per preparare le truppe alla nuova critica situazione che si sta profilando.
 

 


L'OFFENSIVA CHE C'ERA

 


Mentre il comandante della II Armata si trastulla con l'ipotesi di un'eventuale controffensiva e il Comando Supremo ne tollera le disobbedienze e inadempienze, anche perché non crede all'imminenza del pericolo, il nemico sta facendo sul serio e ha preparato una grande offensiva nella valle dell'Isonzo estesa dalla conca di Plezzo fino a Tolmino, che dovrà scattare all'alba del 24 ottobre 1917 contro un settore della II Armata italiana, con l'obbiettivo limitato di respingere gli Italiani al di là della frontiera,
21 o magari oltre il Tagliamento.

 

 

 

 

 

 

In dettaglio gli Austriaci si prefiggono di (Cartina 3):
- attaccare nella conca di Plezzo e sfondare in direzione della stretta di Saga per raggiungere Tarcento e l'alto Tagliamento;
- uscire dalla testa di ponte di Tolmino e risalire l'Isonzo fino a Caporetto per impadronirsi della testa della Valle del Natisone e sfondare fino a raggiungere Cividale e Udine;
- conquistare le cime dei monti Jeza, Krad e Kolovrat e cioè la dorsale sulla destra dell'Isonzo tra Tolmino e Caporetto per aver accesso alla valle dello Judrio.
Si dovrà utilizzare la tattica di infiltrazione già sperimentata a Riga,
22 preceduta da un poderoso bombardamento d'artiglieria in due fasi: 4 ore di tiro su seconde linee, comandi e retrovie anche con proiettili a gas, e un'ora di tiro di distruzione breve e violento sulle prime linee, seguito dall'assalto delle fanterie. I reparti d'assalto si infiltreranno, lì dove la resistenza nemica cederà, senza preoccuparsi delle spalle e dei fianchi.
Così come concepita questa offensiva deve coinvolgere la sinistra
23 (destra per gli Austriaci) della II Armata italiana e cioè il IV C.d'A. (Cavaciocchi), divisioni 50a, 43a, 46a e parte del XXVII (Badoglio) con la 19a Divisione, su una fronte di circa 25 chilometri tra il Rombon e Tolmino (Cartina 2).

Sferreranno l'attacco 12 divisioni, 7 germaniche e 5 austriache (8 per il primo assalto e 4 di riserva) vedi Tabella 1:
- 4 divisioni (3 austriache e una germanica) tra il Rombon e il Monte Nero;
- 4 divisioni (3 germaniche e una austriaca) tra il Monte Nero e il Vodil;
- 2 divisioni germaniche di fronte allo Jeza;
- 2 divisioni (una austriaca e una germanica) di fronte al Krad. L'assalto combinato austro-germanico si svilupperà seguendo 5 punte o direttrici principali (Tabelle 1 e 2 per le forze e Cartina 3 per le direzioni di attacco):
• la punta (Krauss) nella conca di Plezzo contro la 50a Divisione (Arrighi) con obbiettivo la stretta di Saga e la Valle Uccea;
• 2a punta (Krauss) nel settore del Monte Nero contro la 43a Divisione (Farisoglio) con obbiettivo la conca di Drezenca;
• 3a punta (Stein) nel settore Sleme-Mrzli contro parte della 46a Divisione (Amadei) con obbiettivo la piana di Selisce;
• 4a punta (Stein) davanti a Tolmino contro il resto della 46a Divisione (Amadei) e parte della 19a Divisione (Villani) con obbiettivo le rotabili di fondo valle Isonzo, Caporetto e la Valle del Natisone;
• 5a punta (Stein, Scotti e Berrer) davanti a Tolmino contro il resto della 19a Divisione con obbiettivo la dorsale del Kolovrat tra i monti Jeza e Kuk (Cartine 3 e 4), che sovrasta sulla destra la Valle dell'Isonzo, la Valle dello Judrio, e Cividale.

 

 

 


L'attacco risolutivo austro-germanico deve urtare, con le otto divisioni di prima schiera rincalzate da altre quattro (Tabella 2), in un primo tempo contro quattro divisioni italiane, ossia la 19a del XXVII C.d'A. di fronte a Tolmino, la 50" in conca di Plezzo e le 43a e 46a del IV C.d'A. nel settore Sleme-Mrzli (Cartine 2 e 3). La manovra principale è affidata a truppe d'élite come il gruppo Stein composto dai Tedeschi della 12 Divisione Slesiana e da quelli dell'Alpenkorps bavarese (Punta 3) contro la 19a Divisione italiana. Successivamente gli Austro-Germanici dovrebbero incontrare altre tre divisioni italiane.
24

Il nemico si è assicurato una schiacciante superiorità su alcuni punti del fronte d'attacco, che combinerà ulteriormente a suo favore con la tattica d'infiltrazione soprattutto nel settore montuoso presidiato dalla nostra 19a Divisione. In dettaglio risulta che, al primo assalto, la 50a (16 battaglioni) è assalita da Krauss (28 battaglioni) e la 19a (26 battaglioni) da Stein, Berrer e Scotti (per un totale di 60 battaglioni).
Il comandante della XIVa Armata generale von Below ha fissato gli obbiettivi e le modalità delle azioni con i suoi generali: con Scotti il 22 settembre, con Stein e Berrer il 26 e con Krauss il 28, avvisandoli nel contempo che fino allo sbocco in pianura nei pressi di Cividale non sarebbero stati emanati altri ordini
25 Quindi ordini impartiti ben un mese prima dell'inizio delle operazioni.26  "Emanati gli ordini per l'azione, nel periodo che precede l'offensiva, Below continua a muoversi dall'una all'altra delle unità poste ai suoi ordini per verificare da vicino, con i propri occhi, che le direttrici dell'azione fossero state capite e l'esecuzione delle azioni corrispondenti avvenisse nei tempi e nei modi richiesti.27 Quindi ordini impartiti con precisione assoluta.
Ben diverso il comportamento del CS italiano. Alle ore 19 del 24 ottobre nella sede del Comando Supremo di Udine il colonnello Angelo Gatti è convocato dal Cadorna e fra le altre cose, discorrendo, constata che "... urgeva in modo assoluto avvisare le nostre truppe che di fronte avevamo altre (diverse) truppe che le austriache: e quindi un nuovo modo di combattere."
28 Cadorna e il colonnello Melchiade Gabba ascoltano il Gatti29 e poi entrambi convengono che è bene emanare una circolare che segnali alle truppe il nuovo metodo di combattimento utilizzato dalle truppe tedesche. Quindi al Comando Supremo il 24 sera, mentre ormai i Germanici sono già oltre Caporetto, si pensa ad una circolare che non ci sarà il tempo né di scrivere né di distribuire!

 

 

 


 

 

 

 


RIGA NON DOCET

 

 


Fin dal colloquio del 14 ottobre con Cavallero, Capello ha dimostrato di preoccuparsi per l'offensiva nemica, ma ne sottovaluta la forza alla stregua di Cadorna e nutre quindi eccessiva fiducia nella possibilità di contenerla. Soltanto il 20 ottobre, già compromesso dalla malattia che riduce la sua attività organizzativa, egli si persuade dell'imminenza dell'attacco nemico, esteso dalla testa di ponte di Tolmino fino a quella di Plezzo. Purtroppo lo schieramento delle sue truppe non è il più idoneo a contrastarlo perché è ancora rivolto all'offensiva e si trova così sbilanciato di fronte alla necessità di assumere all'improvviso una tattica difensiva.
30 Soltanto il 19 ottobre Cadorna ha chiarito che la IIa Armata deve assumere esclusivamente la difesa ad oltranza: è quindi mancato il tempo per apportare le necessarie modifiche nello schieramento. Le tre divisioni del XXVII C.d'A. schierate oltre l'Isonzo sulla Bainsizza (Cartina 2), con il loro enorme addensamento di fanteria e artiglieria, se non possono essere più utilizzare per l'azione controffensiva, non sono adeguate neppure per quella difensiva, poiché dislocate in posizione troppo eccentrica rispetto al previsto asse di attacco nemico.
Sempre il 20 ottobre Capello lascia il comando ed è trasportato a Padova per essere curato.
31 Intanto un ufficiale czeco disertore ha precisato che un forte contingente germanico è in procinto di attaccare il fronte italiano davanti a Tolmino, ma l'Ufficio Situazione del Comando Supremo italiano ha ancora delle riserve!32 Soltanto dopo che nella notte del 21 ottobre due disertori romeni portano copia dell'ordine di operazioni del loro reggimento circa l'imminente offensiva sul Mrzli e nei settori limitrofi, incomincia presso gli alti comandi italiani la preparazione disorganica ed affrettata della difesa sulla sinistra della II Armata.
Il 22 ottobre Cadorna si reca ad ispezionare le linee tenute dal IV° C.d'A., cioè quelle tra Plezzo e Tolmino, e ne ricava una pessima impressione sul suo comandante, generale Cavaciocchi. Mancano due giorni all'attacco nemico. Il 23 pomeriggio, solo poche ore prima dell'assalto austriaco, Cadorna riunisce a Carraia nei pressi di Cividale Capello, rientrato da Padova alle 2.30 di notte, con i comandanti di C.d'A. della IIa Armata: Badoglio, Bongiovanni
33 e Caviglia,34 assenti Cavaciocchi e Albricci.35 Egli rimprovera i presenti di non aver pienamente attuato i suoi ordini, mantenendo il dispositivo troppo sbilanciato in avanti.36 Quindi, nell'imminenza dello scontro, tardivi e inutili rimproveri per il passato, ma nessuna discussione per il presente in stretto riferimento con il piano d'attacco nemico che ormai è ben definito. Capello comprende con chiarezza lo stato delle cose e probabilmente si sta rendendo conto che l'offensiva nemica, data la sua forza, difficilmente potrà essere contenuta adottando una stretta difensiva sul posto: afferma dunque che la situazione può essere risolta soltanto con la manovra, ma Cadorna lo zittisce. Il rimprovero di Cadorna, nella riunione del 23, tocca particolarmente Badoglio, comandante del XXVII° C.d'A., ma è un rimprovero alla nuora perché la suocera intenda: Badoglio, che è un pupillo di Capello, ha senz'altro assecondato il piano del suo capo e, per favorire la famosa controffensiva, d'accordo con Capello ha lasciato sulla Bainsizza oltre Isonzo 3 delle 4 divisioni del suo C.d'A. (XXVII) nonostante l'ordine del Comando Supremo avesse contemplato di concentrare al di qua dell'Isonzo la massa delle truppe di quel corpo d'armata, per la difesa ad oltranza. Così sulla Bainsizza, sopra una fronte di 21 km, stanno in prima linea nove divisioni (3 del XXVII°, 3 del XXIV° e 3 del II° C.d'A.) che occupano mediamente 2,5 km di fronte ciascuna e in riserva nel fondo valle ci sono altre due divisioni. Invece alla testa di ponte di Tolmino sulla destra dell'Isonzo,37 ossia nel punto più pericoloso, sopra una fronte di 13 chilometri c'è la sola 19a Divisione, seppur rinforzata.38 Lo stesso giorno 23 Capello, rientrato da Carraia al suo quartier generale di Cividale, riprende il discorso del 14 e raccomanda di nuovo, con una conferenza ai suoi divisionari, d'avere la massima attenzione per lo sbocco di Tolmino e cioè per la piana di Volzana, e di predisporre l'intervento automatico delle artiglierie per un'ora o un momento da stabilire. Raccomanda, ma non controlla, benché abbia la certezza che quelle posizioni rappresentino dei punti critici.
 

 

 

 

L'IMPROVVISAZIONE REGNA SOVRANA
E I PUNTI DEBOLI RESTANO

 

 


Il 21 ottobre, a conoscenza del piano dettagliato d'attacco alle nostre linee portato dai disertori romeni, sia Cadorna che Capello cercano di correre ai ripari,
39 ma la sorpresa sta paralizzando i comandi e la mancanza di tempo crea panico. A causa degli avvertimenti palesi non percepiti dal Comando italiano e di quelli occulti non sufficientemente indagati in tempo utile dal nostro servizio informazioni, l'attacco nemico sorprende in toto le nostre truppe.
"La sorpresa fa trovare il Comando supremo italiano impreparato ad affrontare l'urto nemico; ne paralizza la volontà, rendendolo incapace di prendere quelle misure che avrebbero potuto contenere in modesti limiti le conseguenze della rottura del fronte."
40 Così "... tutte le disposizioni date dopo il 21 furono tardive, per questo alcuni reparti e le batterie non giunsero in tempo ai posti loro assegnati, oppure non ebbero agio di orientarsi, di inquadrare i tiri e di fornirsi di munizioni.41
Presa coscienza della direttrice dell'offensiva nemica, Capello raccomanda ancora a Badoglio di controllare adeguatamente la sortita dalla testa di ponte di Tolmino, rafforzando il fondo valle in modo da sbarrarne il transito, e a questo scopo gli mette a disposizione la Brigata Napoli. Ma sia per la mancanza di tempo sia per errate valutazioni tattiche, non si riesce a creare una difesa consistente in questo ben noto punto critico e neppure nella conca di Plezzo.
42  Inoltre i comandi, per evitare la confusione dell'ultimo momento, decidono di non procedere neppure con quelle rettifiche che comporterebbero il ritiro delle truppe dalla prima linea per economizzare le forze e dare più consistenza alla difesa. Così i soldati italiani rimangono anche sulle indifendibili posizioni di prima linea delle trincee sotto lo Sleme e il Mrzli e nella pianura di Plezzo.43
Le tardive decisioni dei comandi per raddrizzare la grave situazione oltre a non produrre interventi determinanti per parare l'attacco, provocano danni irrimediabili ancor prima che si scateni l'offensiva nemica: alcune truppe sono assegnate ai corpi e poi tolte, poi di nuovo assegnate per essere ancora una volta tolte, denotando il nervosismo e l'incertezza del comandante della IIa Armata nel tentativo di parare quell'assalto che tutte le truppe percepiscono ormai come imminente. Queste misure affrettate finiscono per provocare disorientamento, stanchezza e sfiducia nei comandi dipendenti e nelle truppe perché si sente che chi comanda non ha in pugno la situazione.
44  In questa confusione soldati e comandanti sono presi dall'insicurezza, perché si rendono conto della posizione falsa e fragile in cui vengono a trovarsi, tra un nemico del quale si conosce l'audacia combattiva rafforzata dalla temibile partecipazione germanica, e il vuoto costituito alle loro spalle da un Comando Superiore tentennante, se non assente. 45
Insomma le truppe capiscono di essere abbandonate a se stesse. Ciononostante si battono, e se si arrenderanno sarà per la mancata predisposizione di adeguate posizioni difensive, di ordini precisi e per la sorpresa: non sono state assolutamente preparate all'effetto aggirante della tattica tedesca d'infiltrazione rapida. Ricordiamo che solo pochi giorni prima, nelle due conferenze del 17 e 18 ottobre, ai comandanti di corpo d'armata Capello aveva ancora parlato di controffensiva, da predisporsi partendo dalla conca di Verco sulla Bainsizza (Cartina 1) e non aveva certo preparato i suoi divisionari alla situazione del momento, cioè alla difensiva che richiedeva una tecnica ben diversa. "Alla sera del 23 ottobre lo schieramento delle nostre forze tradiva la sorpresa strategica nella quale era caduto il nostro Comando Supremo. Lo schieramento, infatti, non rispondeva a nessun disegno da parte nostra, né puramente difensivo né controffensivo. "
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L'assioma espresso da Badoglio nella conferenza del 10 ottobre (l'arte del comando sta per nove decimi nella costanza del controllo) cade quindi nel vuoto perchè nessuno controlla mentre gli ordini si accavallano e cambiano continuamente, non essendoci alcun piano da parte del CS italiano!
Fin dall'inizio dell'anno i Germanici avevano messo a punto la difesa elastica per parare un attacco del nemico, nonché l'assalto per infiltrazione per svolgere un'azione offensiva. I nostri comandi continuarono invece nel "... tentativo d'annientamento del nemico mediante la forza piuttosto che con la manovra."
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Così, nell'impegno di parare l'offensiva imminente, invece di studiare provvedimenti adeguati si continuano ad ammassare uomini aderendo alle richieste dei vari divisionari che, non avendo appunto alcun'idea pratica per contrastare la nuova tattica avversaria di infiltrazione, cercano di cautelarsi alla vecchia maniera: ammassando uomini destinati però ad impinguare il bottino nemico di prigionieri!
In assenza dunque di provvedimenti tattici 'di qualità', che tengano conto della tattica germanica, ecco invece i più importanti provvedimenti 'di quantità' presi dal nostro CS per parare l'emergenza.

 

 

 

ASSEGNAZIONE DELLE RISERVE TATTICHE

 

 


• Assegnazione al Comando del IV° C.d'A. (Cavaciocchi) della 34a Divisione (Basso). Questa divisione improvvisata dovrebbe comprendere la Brigata Foggia, su tre reggimenti (5.400 uomini), e due reggimenti bersaglieri (3.600 uomini) con l'ordine di stabilirsi a Sigida presso Caporetto. Ma il suo comandante generale Basso, che non aveva mai visto queste truppe, il 23 ottobre scopre che i due reggimenti bersaglieri e uno dei reggimenti della Foggia sono già stati inviati verso la prima linea con compiti speciali. A Caporetto è rimasto dunque un solo reggimento della Foggia, il 282°, mentre il 281° dovrebbe giungervi da Luico. Quindi dei cinque reggimenti previsti (9.000 uomini) uno solo (1.800 uomini) è sicuramente presente e uno, forse, in arrivo!
• Assegnazione al Comando della II Armata (Capello):
- del VII° C.d'A. (Bongiovanni),
48 come riserva generale d'Armata, che il mattino del 24 ottobre è composto da due divisioni: la 3a con tre brigate e la 62a con due brigate, circa 18.000 uomini (Cartine 2 e 7). Il generale Capello ha prescritto che prenda posizione sul Kolovrat come rinforzo della destra del IV° C.d'A. (Cavaciocchi), della sinistra del XXVII C.d'A. (Badoglio) e della linea di difesa ad oltranza dallo Jeza al Matajur, ma anche per una controffensiva. In realtà a mezzogiorno del 24 ottobre, giorno dell'attacco nemico, il VII C.d'A. non è in condizioni di essere schierato "... sulle posizioni affidategli neppure per la difensiva."49

- della Brigata Puglie, 3.600 uomini da collocare, come riserva speciale d'Armata alle spalle della 19a Divisione, sulla testata di Valle Judrio.
• Assegnazione al XXVII C.d'A. (Badoglio) della Brigata Napoli, 3.600 uomini per la difesa della linea Plezia-Foni (Cartina 6) e per il controllo del fondo valle Isonzo all'altezza di Foni.

 

 

 

 

I PUNTI DEBOLI


 


In sostanza i punti deboli dello schieramento della IIa Armata nel settore dell'offensiva nemica rimangono critici nonostante le divinazioni del Capello. Anzi si indeboliscono ulteriormente dopo gli affrettati e confusi interventi dell'ultima ora. Ecco quali sono questi critici punti deboli:
• Testa di ponte austriaca in conca di Plezzo. La linea difesa dalla 50a Divisione italiana è ben appoggiata alle ali, ma nella pianura dove schiera 3 battaglioni su tre chilometri è debolissima, perché battuta di fianco e sul rovescio dal fuoco delle linee austriache dominanti. Il 22 ottobre Cadorna, con Montuori e Cavaciocchi, prende in considerazione l'eventualità di sgombrare la conca di Plezzo, ma infine 'sconsiglia' l'operazione poiché l'imminente attacco nemico potrebbe cogliere gli Italiani non ancora consolidati sulle nuove posizioni.
• Linea di difesa avanzata sotto lo Sleme e il Mrzli. Già nel marzo 1917 il comando del IV° C.d'A. aveva consigliato al CS di abbandonare le trincee sotto lo Sleme e il Mrzli, e la pianura di Selisce, ritirando la difesa dalla linea avanzata su quella ad oltranza, ma nulla è stato fatto.
• Fondo valle Isonzo di fronte alla testa di ponte austriaca di Tolmino. Lo sbocco dalla testa di ponte austriaca nella pianura di Volzana è controllato dalla 19a Divisione (Villani) del XXVII C.d'A. Ma la difesa del contiguo fondo valle dell'Isonzo è di pertinenza del IV° C.d'A. e Cavaciocchi ne ha affidato la difesa a due reggimenti bersaglieri, che devono sbarrarlo guarnendo la linea Plezia-Foni-fondovalle (Cartina 6). Il 22 ottobre la difesa di questa linea passa al XXVII C.d'A. (Badoglio). Di conseguenza il IV° C.d'A. ritira i due reggimenti bersaglieri che dovranno essere sostituiti dalla Brigata Napoli, assegnata al XXVII° C.d'A., con il preciso compito di difendere appunto il fondo valle. Badoglio rassicura in tal senso Cavaciocchi al momento del ritiro dei due reggimenti bersaglieri, ma invece di utilizzare la Brigata Napoli, 3.600 uomini in fondo valle in corrispondenza della stretta di Foni (Cartina 3), secondo le disposizioni del CS in modo da ostacolare la manovra nemica ampiamente illustrata da Capello, la schiera più indietro e in alto sul Monte Piatto e al Passo di Zagradan (Cartina 6), convinto, alla vecchia maniera, che quello sarà il cardine della difesa
50 e ne lascia in fondo valle alla stretta di Foni solo una compagnia, 150 uomini.
A peggiorare ulteriormente la situazione, nella notte tra il 21 e il 22 il Comando della 19a (Villani) ordina il ritiro dei due battaglioni della Brigata Taro dalla linea di difesa avanzata, che corre nella pianura di Volzana tra Ciginj e Gabrje, perché considerata indifendibile (Cartina 3). Su di essa rimane solo la copertura di due compagnie su un fronte di circa 7 chilometri! Così, nonostante la preveggenza e le ripetute ammonizioni di Capello circa il pericolo d'infiltrazione nemica lungo il fondo valle verso Caporetto, le due strade che corrono lungo il fiume rimangano presidiate in modo insufficiente. In particolare quella sulla destra. Le Tabelle 3A e 3B mostrano i presidi italiani che cercano di opporsi al nemico nel fatale mattino del 24 ottobre 1917 sulle due strade correnti lungo il fiume da Tolmino verso Caporetto (Cartine 3 e 4). Il fondo valle Isonzo è difeso da truppe dipendenti dal IV° C.d'A. ad eccezione della stretta di Foni che dipende dal XXVII° C.d'A. Risulta che mentre sulla strada di sinistra sono schierati circa 3.300 uomini, su quella di destra ce ne sono soltanto 750 circa, ripartiti e distanziati in tre gruppi. Ed è proprio sulla destra che la penetrazione nemica, condotta da 4 battaglioni germanici con circa 2.800 uomini, sarà rapidissima. Anche le ben più consistenti forze schierate sulla sinistra risulteranno insufficienti per l'eccessiva diluizione in profondità: ai 3.500 soldati nemici avanzanti (5 battaglioni) opporranno successivi nuclei di circa 600 uomini al massimo, e soprattutto non coordinati in un più vasto piano difensivo.
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DESCRIZIONE  DELLA BATTAGLIA  DI  CAPORETTO
 

 

 

Truppe impegnate complessivamente nel settore della battaglia (Tabella 2): per gli Italiani 116 battaglioni pari a circa 70.000 uomini con 1.200 bocche da fuoco e qualche centinaio di bombarde, per gli Austro-Germanici 115 battaglioni pari a circa 75.000 uomini con 1.800 bocche da fuoco e 300 bombarde. La notte precedente l'inizio dell'offensiva gli Austriaci sono riusciti ad avvicinarsi alle nostre linee ed a concentrare un gran numero di truppe nei punti di irruzione, senza farsi scoprire. Erwin Rommel 52 scrive: "Nella notte del 22-23 ottobre il battaglione si schiera per l'attacco. Potenti stazioni fotoelettriche appostate nelle posizioni italiane sulle alture del Kolovrat e dello Jeza illuminano a giorno la via di accesso.53 Spesso veniamo investiti da nutrite salve d'artiglieria... Tutti abbiamo durante l'avanzata l'impressione di essere entrati nel campo d'azione di un avversario straordinariamente attivo e ben armato e equipaggiato.''54
Il battaglione Rommel è schierato sul pendio nord del Monte Buzenika, quota 510 (Cartina 1), situato a un chilometro e mezzo a sud di Tolmino. Dopo aver raggiunto la posizione "Le poche ore di buio che rimangono devono essere utilizzate fino all'ultimo minuto per scavare e mimetizzare le posizioni... Quando comincia a far chiaro, il pendio sembra deserto. Rannicchiati nelle buche, coperti da rami e ramoscelli, i fucilieri recuperano le ore di sonno perdute."
55 Lì dovranno restare per circa 30 ore in attesa dell'attacco.
La battaglia di Caporetto dura 3 giorni, il 24, 25 e 26 ottobre. Durante il primo giorno gli Austro-Germanici operano lo sfondamento delle difese italiane e penetrano per 27 chilometri oltre la linea del fronte. Nei due giorni successivi sfruttano questo successo e costringono il Comando Supremo italiano ad ordinare la ritirata. Alle 2.30 del quarto giorno, 27 ottobre, il generale Cadorna ordina la ritirata al Tagliamento di tutte le truppe della Fronte Giulia, e cioè della IIa e IIIa Armata, e della zona Carnia. Nello stesso giorno gli Austriaci occupano Cividale e sboccano in pianura. Il 28 è occupata Udine. Ma vediamo nel dettaglio il succedersi degli eventi.

 

 


24 OTTOBRE, PRIMA GIORNATA GLI AUSTRO-GERMANICI OPERANO LO SFONDAMENTO DEL FRONTE

 

 


La notte è cupa e tenebrosa. Al mattino c'è pioggia in basso e nevischio in alto. In fondo valle grava una fitta nebbia. Gli Austro-Germanici hanno predisposto una combinazione di tre mezzi da impiegare preventivamente all'inizio dell'assalto delle fanterie: il massiccio bombardamento di artiglieria con tutti i calibri e con le bombarde, un utilizzo indiscriminato di gas sia per mezzo dei proiettili di cannoni sia con l'emissione diretta attraverso speciali tubi di lancio, e infine lo scoppio di mine sotto determinate posizioni della prima linea italiana. Il bombardamento di artiglieria dura complessivamente quattro ore con l'intesità maggiore diretta sulle seconde linee, le retrovie, gli osservatori ed altri punti vitali. Iniziato alle ore 2.00 e interrotto alle 4.30, riprende alle 6.30 con un fuoco di distruzione che termina tra le 7.30 e le 8.00. Nel primo periodo, tra le 2.00 e le 4.30, sono sparati anche i proiettili a gas. Le mine scoppiano poco prima dell'assalto delle fanterie, che scattano tra le 7.00 e le 9.00. Il bombardamento a gas non provoca molti danni. Il fondo valle si cosparge dei fuochi accesi dagli Italiani per favorire la dispersione del gas. Ma nella conca di Plezzo il bombardamento agisce in modo micidiale per l'utilizzo di un gas particolare: 1.000 tubi alimentati da 2.000 bombole immettono verso le posizioni italiane acido cianidrico ad alta concentrazione
contro il quale nulla possono le maschere a gas in dotazione. L'87° Reggimento della Brigata Friuli, 1.800 uomini schierati in ricoveri e caverne, sono sterminati: superstiti 12 ufficiali e 200 soldati. L'88° Reggimento della stessa brigata, schierato più a sud, resta immune.
Le truppe d'assalto austro-germaniche abbandonano le trincee e si portano a ridosso delle posizioni italiane sotto l'arco di tiro delle proprie artiglierie in modo da partire all'assalto appena cessato il fuoco dei cannoni. Tale movimento non è percepito dagli Italiani. La reazione dell'artiglieria italiana è oltremodo scarsa. "Il fuoco italiano contro il nostro avvicinamento e le posizioni di partenza mancò quasi del tutto" dice il Dellmensingen.
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L'assalto delle fanterie nemiche non ha un inizio contemporaneo su tutto il fronte. Il primo attacco è sullo Sleme tra le 6.30 e le 7, negli altri settori si sviluppa fra le 7 e le 9.
Come abbiamo visto nella Tabella 2 e nella Cartina 3, gli attaccanti agiscono con 5 punte.
• Punta 1 (Krauss) nella conca di Plezzo contro la 50a Divisione (Arrighi) con obbiettivo la stretta di Saga e Valle Uccea.
• Punta 2 (Krauss) nel settore del Monte Nero contro la 43a Divisione (Farisoglio) con obbiettivo la conca di Drezenca.
• Punta 3 (Stein) nel settore Sleme-Mrzli contro parte della 46a Divisione (Amadei) con obbiettivo la piana di Selisce.
• Punta 4 (Stein) davanti a Tolmino contro parte della 46a Divisione (Amadei) e parte della 19a Divisione (Villani) con obbiettivo le rotabili di fondo Valle Isonzo, Caporetto e la valle del Natisone.
• Punta 5 (Stein, Scotti e Berrer) davanti a Tolmino contro il resto della 19a Divisione con obbiettivo la dorsale che sovrasta sulla destra la valle dell'Isonzo, la valle dello Judrio, e Cividale. Constatiamo che le posizioni dove gli Austriaci hanno concentrato le maggiori forze sono: Punta 1 nella conca di Plezzo, con 28 battaglioni, e Punta 5 nella testa di ponte di Tolmino, con ben 60 battaglioni. La Punta 5 e la Punta 1 sono quindi da considerare quelle corrispondenti agli attacchi principali. Tuttavia è la Punta 4 quella dove il nemico otterrà il massimo risultato immediato col minimo impegno di forza!
 



SITUAZIONE ATTORNO ALLE 15.00 DEL 24 OTTOBRE



Attorno alle 15.00 la situazione nei vari settori coinvolti dall'attacco nemico è la seguente, riassumendo da nord verso sud.
• Punta 1. Nel settore della 50a Divisione italiana in conca di Plezzo, il corpo Krauss forte di 28 battaglioni ha rotto la linea di difesa avanzata solo nel fondo valle ed è penetrato per 6 km. Arriverà verso le 18.00 davanti a Pod Celom, difesa avanzata della stretta di Saga, senza però intaccare in alcun punto la linea di difesa ad oltranza.
• Punta 2. Nel settore della 43a Divisione italiana l'attacco dei rimanenti 11 battaglioni austriaci del gruppo Krauss ha comportato in alto la conquista del Monte Rosso e successivamente in basso un'avanzata che si è arrestata davanti a Krn. La linea di difesa ad oltranza è rimasta dunque intatta anche qui.
• Punta 3. Nel settore della 46a Divisione italiana, travolte le trincee sotto lo Sleme e il Mrzli e distrutte da mine quelle sul Monte Rosso, gli Austriaci della 50a Divisione sono scesi verso la conca di Drezenca e hanno raggiunto in piano Selisce, dove si sono affiancati ai Tedeschi della 12a Slesiana. Sul Monte Nero gli Italiani hanno continuato a resistere.
• Punta 4. L'azione realizzata dai Germanici della 12a Divisione Slesiana del gruppo Stein ha ottenuto i risultati più disastrosi per gli Italiani, non soltanto dal punto di vista tattico immediato, ma anche da quello psicologico e si deve ritenere determinante per la catastrofe. Questi Germanici, usciti alle 8.00 dalla testa di ponte di Tolmino, hanno imboccato la valle dell'Isonzo e, percorrendo sia la strada sulla sinistra sia quella sulla destra del fiume (Cartine 3 e 4), hanno marciato rapidamente verso nord avendo come obiettivo Caporetto.

 

 

 

 


Come abbiamo visto la difesa del fondo valle dell'Isonzo e quindi delle due strade è affidata a due corpi d'armata! Il XXVII° è competente per la destra mentre il IV° lo è per la sinistra, ma in pratica né il Comando Supremo né il Comando della IIa Armata sono riusciti a far comprendere la necessità di chiudere con la massima determinazione quel passaggio. Infatti i provvedimenti presi sono nettamente insufficienti perché non proporzionati all'entità dello sforzo nemico. Così i Germanici, dopo aver superato in fondo valle la resistenza da parte delle truppe italiane disposte a costituire successivi piccoli presidi, occupano Volzana, Ciginj, Foni, e dopo aver marciato velocemente sulla destra del fiume alle 15.30 entrano in Caporetto. La loro avanzata sia sulla destra sia sulla sinistra del fiume convalida a distanza di secoli il motivo della vittoria degli Orazi sui Curiazi.
58 Nello stesso tempo la 50a Divisione austriaca supera la linea italiana sullo Sleme e scende verso Drezenca, puntando anch'essa su Caporetto.

Ma i Germanici della 12a Divisione Slesiana non si fermano; secondo i piani, da Caporetto girano subito alla loro sinistra e muovono per impadronirsi della testata della Val Natisone, che conduce a Cividale e a Udine. Alle 18.00 arrivano a Staro Selo e alle 22.30 a Robic, dopo una marcia di 27 chilometri. Questa penetrazione nemica fino a Caporetto e oltre causa il definitivo scollamento tra il XXVII° e il IV° C.d'A. (Cartina 2), che avrebbe dovuto essere evitato con l'intervento del VII° Corpo (Bongiovanni). Lo scollamento ha effetti catastrofici: il dispositivo nemico si è infatti incuneato nello schieramento italiano, frapponendosi tra le truppe che guarniscono le posizioni al di qua dell'Isonzo e quelle collocate al di là. Queste (50a, 43a, e 46a Divisione), praticamente aggirate, vedono tagliata dal nemico la loro linea di rifornimento in caso di resistenza e di ritirata in caso di ripiegamento.
Ed è questa penetrazione tedesca l'essenza della così detta battaglia di Caporetto, la madre della grande catastrofe che coinvolge la IIa Armata e di conseguenza le restanti truppe italiane schierate sul fronte orientale, assieme a gran parte delle popolazioni del Veneto!
• Punta 5. Dalla testa di ponte di Tolmino irrompono il resto del gruppo Stein, il gruppo Berrer e il gruppo Scotti che, superata nella piana di Volzana la prima linea italiana, si spiegano a ventaglio sulle alture contro la seconda linea italiana
59 (Cartine 3 e 4). Berrer mira allo Jeza, Scotti "... si arrampica verso i costoni montagnosi che separano e dominano Val di Judrio e Val d'Isonzo, da Selo in giù..."60 verso posizioni difese dalla 19a Divisione, schierata di fronte alla testa di ponte di Tolmino dall'Isonzo al Krad. Alle 9.30 cade Cemponi, alle 10.10 lo Jeseniak, alle 10.15 lo Zible, alle 11.15 il Falso Jeza (Albero Bello) e, tra le 12.00 e le 13.00, il Varda. Un battaglione di montagna del Corpo Berrer guidato da Rommel conquista alle 12.00 Monte Plezia (Cartina 6), per poi arrestarsi verso Monte Piatto, mentre l'Alpenkorps, superata Costa Raunza, occuperà soltanto verso sera il Podklabuc. Resiste il Monte Jeza, ma la dorsale tra il Varda e Marluz viene superata tra le 12.00 e le 13.00 con penetrazione in Valle Varda (Cartina 6), e quindi con sfondamento della linea di difesa ad oltranza. Il Krad e il Cukli resistono all'assalto del Corpo Scotti: cadono proprio attorno alle 15.00.
Attorno a quest'ora la situazione più critica è quella del IV° C.d'A. dove già in mattinata, alla vista dei Tedeschi marcianti in fondo valle verso Caporetto, gli addetti ai servizi delle truppe schierate oltre Isonzo sono presi dal panico: prima che i comandi impartiscano qualsiasi ordine di ritirata, una massa di fuggiaschi comincia ad intasare le strade verso le retrovie, con effetto psicologicamente deleterio per i rincalzi che stanno raggiungendo le posizioni da difendere o le postazioni di contrattacco.
"... alle 15.00 la linea di difesa <a oltranza> nel settore del IV° corpo era stata sfondata soltanto sulla sinistra dell'Isonzo, tra il fiume e Vrsno (Cartina 3). Su tutto il rimanente del settore era intatta, presidiata da truppe che non avevano ancora combattuto tranne la brigata Genova, fra il Krasij e il Vrsic, la quale aveva però respinto tutti gli attacchi."
61 Ed è proprio nel settore del IV° C.d'A. che tra le 15.00 e le 16.00 la difesa crolla, come conseguenza della penetrazione germanica che ha raggiunto Caporetto, ma soprattutto per le avventate e sconsiderate decisioni prese da alcuni dei comandanti di divisione che, aggirati, sentono il pericolo di essere catturati. "I generali Arrighi (50a) e Farisoglio (43a) senza intesa fra loro, per iniziativa personale, ad insaputa del comando del IV° corpo d'armata, diedero alle rispettive divisioni l'ordine di ritirata che ebbe come immediata conseguenza l'abbandono di quella linea di difesa <a oltranza>, che non era stata intaccata e in grandissima parte nemmeno attaccata."62

 

 


Alle 15.30 tutte le truppe della 50a Divisione italiana, sulla sinistra dell'Isonzo, ricevono dal generale Arrighi l'ordine di ritirarsi oltre il fiume e di attestarsi sul Monte Stol (Cartina 7); poi alle 18.00 Arrighi ordina anche il ripiegamento delle sue truppe che guarniscono la stretta di Saga, aprendo così al nemico l'ingresso alla Valle Uccea, che porta a Tarcento.
63 Come conseguenza di questa ritirata le truppe italiane che stanno resistendo sul Monte Nero e sul Rombon restano chiuse in una sacca. Il comandante della 43a Farisoglio, con base a Drezenca, ha ricevuto alle 15.00 dal comando di C.d'A. l'ordine di contrattaccare dall'alto le colonne tedesche che avanzano in fondo valle. Dovrebbe farlo subito con i battaglioni di riserva che ha sottomano; invece ordina che tutta la divisione abbandoni le posizioni e si ritiri nella conca di Drezenca. Poi al colmo della confusione si sposta a Caporetto da dove vuole mettersi in contatto telefonico col comando di corpo d'armata per avere chiarimenti, ma viene catturato dai Tedeschi. "... primo dei generali e primo della sua divisione" dice il Faldella64 con un certo sarcasmo.
In seguito agli ordini sconsiderati dei generali Arrighi e Farisoglio si verifica lo sbando totale di tutte le truppe sulla sinistra dell'Isonzo perché anche i resti della 46a (Amadei), rimasti isolati, devono ripiegare, ma ormai incapsulati nell'avanzata del nemico cadono in gran parte prigionieri: ben 6 reggimenti e 3 battaglioni alpini, quasi 13.000 uomini.
Quindi in Valle Isonzo e sulla sinistra del fiume avviene nel primo pomeriggio del 24 il collasso della difesa, ma nel frattempo che cosa accade in alto sulla destra del fiume dove si sta sviluppando l'azione della Punta 4 contro la 19a Divisione (Cartina 3)?
La caduta di Caporetto in mano al nemico e il collasso dei compagni del IV° C.d'A. non può certo contribuire a galvanizzare la resistenza, compromessa anche da due altri fattori: la mancanza di un'adeguata azione di comando e l'efficacia della tattica d'infiltrazione delle truppe nemiche, pronte a penetrare nei varchi tra i capisaldi delle linee italiane, che sono così rapidamente e inaspettatamente aggirati.
65 Così attorno alle 15.00 cade il Cukli, circa alle 16.00 il Krad, verso le 17.00 il Bukova, il Podklabuc attorno alle 18.00. Lo Jeza cade soltanto alle 21.00.
La Punta 2 (Krauss), conquistata Krn, raggiunge il fondo valle e Caporetto congiungendosi con la Punta 4 (Stein).
Alla sera del 24 ottobre 1917 anche la dorsale costituente la linea di difesa ad oltranza, che sovrasta la destra dell'Isonzo dal Krad fino al Passo Zagradan, cade in mano avversaria; mentre si combatte attorno ai capisaldi, il nemico supera in un punto anche questa dorsale, per affacciarsi attorno alle 22.00 in valle Doblar (Cartina 6) e quindi già a tergo del dispositivo principale di difesa italiano.
A questo punto il VII° C.d'A. italiano (Bongiovanni), invece di essere utilizzato a spizzichi e a bocconi, dovrebbe produrre un'azione controffensiva valida contro i Germanici avanzanti in Valle Isonzo per impedire lo scollamento tra il XXVII° e il IV° C.d'A. È il CS, che valutando la situazione dovrebbe prendere i provvedimenti del caso e cioè sviluppare subito questa controffensiva per cercare di ristabilire la situazione in fondo valle impedendo che la sconfitta da tattica diventi strategica, oppure, se ciò non fosse possibile per mancanza di adeguate riserve, ordinare la ritirata e lasciare terreno vuoto tra le truppe italiane e il nemico avanzante. Ma il CS non è assolutamente al corrente di quello che sta succedendo: fino alle 19.00 Cadorna è ancora incerto sulla direzione dell'offensiva nemica
66 e soltanto a tarda sera del 24 il CS italiano ha la percezione del disastro. La sua reazione, come quella di Capello, è di ordinare una risoluta difesa a compartimenti stagni. Quindi né controffensiva né ritirata; come osserva il comando tedesco, entrambi i generali italiani Cadorna e Capello tendono a reagire col vecchio metodo di gettare testardamente nuove vittime nelle falle, metodo troppo rigido per una situazione dinamica come quella impressa alle operazioni dal nemico.67 Così "... si consumarono come cera al fuoco tentando l'impossibile, compagnia per compagnia, battaglione per battaglione, batteria per batteria. Furono travolti da un tipo di attacco al quale nessuno li aveva addestrati, semplicemente perchè nessuno lo riteneva possibile..."68
Si deve dunque constatare come alla sera del 24, dopo la prima giornata di combattimenti, lo sfondamento della fronte italiana sia da considerare riuscito, con cinque divisioni italiane quasi distrutte: 50a (Arrighi), 43a (Farisoglio), 46a (Amadei), 19a (Villani) e 34a (Basso). Gli Austro-Germanici hanno occupato la stretta di Saga, conquistato lo Jeza e il Podklabuc e sottratto agli Italiani gran parte del fondo valle tra Plezzo e Tolmino (Cartina 8).
D'altra parte per togliere completamente al nemico l'iniziativa sarebbe occorsa non una controffensiva limitata localmente, ma una controffensiva strategica che avrebbe dovuto partire da lontano per evitare un coinvolgimento prematuro delle truppe e per dare ampio spazio alla manovra destinata a colpire, sul fianco o sui fianchi, il nemico in movimento. In pratica, poiché mancavano sia un piano sia le truppe
69 per una simile controffensiva, non restava altra alternativa se non una rapida ritirata che disimpegnasse le truppe schierate sul fronte ormai compromesso.

 

 

 


25 OTTOBRE, SECONDA GIORNATA
GLI AUSTRO-GERMANICI SFRUTTANO IL SUCCESSO OTTENUTO

 


Le operazioni, quasi completamente interrotte nella notte tra il 24 e il 25, riprendono all'alba del 25 ottobre. Sulla dorsale, perduta la linea di difesa ad oltranza dal Krad fino al Passo Zagradan, resta ancora in mano italiana la parte che dal Passo Zagradan volge a occidente e controlla la valle del Natisone con gli importanti caposaldi dei Monti Stol (m 1667), Mia (m 1223), Matajur (m 1643) (Cartina 3) e Montemaggiore (m 1615) (Cartina 2).

 

 


"Il giorno 25 è quello in cui matura la crisi dalla quale sarebbe stato possibile uscire con un'energica e coraggiosa decisione."
70 Determinante in questa giornata è il cedimento delle divisioni 62a e 3a, costituenti il VII C.d'A. (Cartina 2), quello che avrebbe dovuto impedire proprio lo scollamento tra il IV e il XXVII C.d'A." I Germanici al comando di Rommel si insinuano nello schieramento italiano sull'alto Kolovrat, poi procedono a tergo della Brigata Arno, appartenente alla 62a Divisione del VII° C.d'A. e provocano una falla nella terza linea di difesa, scendendo poi a valle alle spalle dei bersaglieri che tengono Golobi (Cartine 1 e 7). Alle 8.15 cade Costa Duole, alle 9.00 il Napriciar e Volarie, alle 11.00 il Globocak; il Kuk cade fra le 14.00 e le 15.00. Più a sud nel tardo pomeriggio cede il Cicer e attorno alle 18.00 il Monte La Cima. In giornata vengono occupate Golobi, Luico, Perati, Ravne, Pusno e Avsa come pure il Prvi Hum, il Rombon, la vetta del Monte Nero e poco prima di mezzanotte lo Stol è abbandonato per ordine del generale Arrighi (ancora lui!), con i resti della 50a Divisione che ripiegano su Bergogna.
Alle 18.00 circa Capello cede definitivamente il Comando della IIa Armata al Montuori e parte nuovamente per Padova per essere ricoverato in ospedale. Alle 23.30 Cavaciocchi, mentre si sta ritirando da Bergogna a Nimis, è raggiunto dal generale Gandolfi che gli comunica la sua destituzione e rileva il comando.
Nelle prime ore del pomeriggio del 25 Capello s'è incontrato con Cadorna per suggerire la ritirata come unica mossa ineluttabile. Ma Cadorna, dopo aver interpellato i comandi in sottordine che lo hanno illuso circa la possibilità di tenere una nuova linea di resistenza, forse anche perché preoccupato di compromettere la ritirata della IIIa Armata, ordina il ripiegamento solo alle tre divisioni del XXVII° Corpo che si trovavano ancora oltre Isonzo sulla Bainsizza (66a, 22a, 64a). Il risultato della seconda giornata di battaglia è dunque per gli Austriaci il sicuro possesso di tutte le catene montuose che dominano la Valle Isonzo e l'imbocco delle valli Natisone e Uccea.

 

 

 


26 OTTOBRE, TERZA GIORNATA
CADE IL MONTEMAGGIORE

 



Cinque minuti dopo la mezzanotte del 25 Cadorna emette un nuovo proclama per incitare le truppe a resistere su una nuova linea, imperniata sul Montemaggiore ed estesa fino al Korada e a Salcano nei pressi di Gorizia. Tentativo destinato al fallimento, considerata l'improvvisazione con la quale si cercò di coprire con truppe questa linea, lo stato d'animo delle truppe impegnate e l'estrema vicinanza del nemico incalzante. Gli Austro-Germanici delle punte 4 e 5 una volta raggiunta la testata delle valli che fanno capo a Cividale, iniziano la marcia per raggiungere la pianura friulana (Cartina 3). Nella valle del Natisone avanzano la 12a Divisione Slesiana e una parte della 26a Württemberg della riserva. L'Alpenkorps segue la valle del Rieca, la 200a Divisione e l'altra parte della 26a Württemberg le valli della Cosizza e dell'Erbezzo. L'altra divisione di riserva, la 5a Brandenburg, assieme alla 1a Divisione Austriaca scende per la valle dello Judrio. Gli Austriaci delle punte 1, 2 e 3 avanzano nelle valli Uccea e Resia verso Tolmezzo, l'alta valle del Tagliamento e la Carnia. Seguono la valle del Cornappo per raggiungere Tarcento e San Daniele.
Alle 11.40 cade il Matajur e alle 18.30 anche il Montemaggiore, considerato dal CS perno fondamentale della linea di estrema resistenza.
 

 

 

 

 


27 OTTOBRE, QUARTA GIORNATA
LA RITIRATA



Col 27 ottobre ha termine la battaglia difensiva di Caporetto. Cadorna, appresa la caduta del Montemaggiore, ritiene impossibile ogni ulteriore resistenza e tra le 2.30 e le 3.30 del 27 ordina la ritirata di tutte le truppe schierate sul fronte orientale cioè IIa, IIIa Armata e Gruppo Carnia: un milione e mezzo di Italiani tallonati da un milione di Austro-Ungarici si dirigono verso il Tagliamento, ma la ritirata si concluderà soltanto dietro il Piave (Cartina 9). Verso mezzogiorno truppe del generale Berrer entrano in Cividale e nel pomeriggio il CS italiano lascia Udine per Padova. Nella notte non c'è più al di là dell'Isonzo nessun reparto della IIa Armata. La IIIa Armata, che ha iniziato il ripiegamento dal Carso in serata, al mattino del 28 alle 10.30 sarà tutta sulla destra dell'Isonzo, mentre i Germanici occupano Udine.

 

 

 

CONCLUSIONE
 



Il 24 ottobre presso la località di Caporetto doveva trovarsi la 34a Divisione. Non c'era. La stretta di Foni e il fondo valle sulla destra dell'Isonzo dovevano essere sbarrati dalla Brigata Napoli con due reggimenti (pari a 24 compagnie). C'era una sola compagnia. Il generale Farisoglio alle 15.00 doveva contrattaccare dall'alto i Germanici avanzanti in fondo valle verso Caporetto, ma non effettuò alcun contrattacco. Il VII° C.d'A. doveva sostenere l'ala destra del IV° C.d'A. e la sinistra del XXVII° C.d'A. e doveva contrattaccare. Non sostenne né contrattaccò. La Brigata Puglia rimase inattiva per tutta la mattina del 24 e invece di contrattaccare fu schierata sulla linea d'armata quando i Germanici già se ne stavano impossessando. La poderosa artiglieria in dotazione al XXVII° C.d'A., oltre 700 cannoni, doveva in un primo tempo colpire i nemici e i loro mezzi ammassati e pronti per l'assalto, e successivamente le loro fanterie avanzanti. Quei cannoni non spararono.
L'offensiva austro-tedesca ruppe la Fronte Giulia dell'esercito italiano il 24 ottobre 1917 in un settore compreso tra Tolmino e Plezzo difeso dalla IIa Armata. Questa rottura, a cui fu assegnato il nome del villaggio di Caporetto, fu il risultato di una sconfitta militare vera e propria, e non di 'tradimento' o di 'sciopero militare' come cercarono di far credere i responsabili del disastro: il comandante supremo Luigi Cadorna e i comandanti Luigi Capello della IIa Armata, Pietro Badoglio del XXVII° C.d'A., Alberto Cavaciocchi del IV° C.d'A. e Luigi Bongiovanni del VII° C.d'A.
Il CS italiano affrontò la battaglia dell'ottobre 1917 senza un proprio piano.
72 Non possiamo certo definire come 'piano' l'ordine puro e semplice di resistere sul posto, che fece da corollario ai limitati provvedimenti del Comando Supremo elencati nella pagina 290. Mancò da parte italiana la mente direttiva della battaglia. "Parve che tutti, a tutti i livelli di comando, pur nell'affannosa ricerca di porre riparo in qualche modo alla situazione, restassero imbrigliati nel non sapere che cosa si dovesse fare e si potesse fare. E non si può non rilevare... almeno la stranezza del fatto che, a malgrado anche delle comunicazioni intercorse con il comando d'armata, il XXVII° corpo ignorasse del tutto che già alle 10.30 del mattino il nemico aveva risalito -passando proprio entro i limiti del suo settore- l'Isonzo, giungendo a Idersko, alle spalle dello schieramento del IV° corpo."73 Così "... il nemico ottenuto un primo successo, rimase libero di impiegare le proprie forze perché nessuna azione da parte nostra (italiana) valse, non diciamo ad arrestarlo, ma neppure a renderlo guardingo nelle mosse! Da parte italiana la linea di condotta fu caratterizzata dalla passività, dalla subordinazione completa al giuoco del nemico"74 Al momento dell'offensiva nemica nessuno dei nostri comandanti aveva in mano la situazione. Non Cadorna, che privo di un piano subì l'iniziativa avversaria, non Capello ammalato e più assente che presente, non Badoglio, che vagò tutto il giorno senza sapere che cosa stesse avvenendo della sua 19a Divisione, non Cavaciocchi,75 che non riuscì a trasmettere alcun ordine in tempo utile né ai tre divisionari del suo IV° C.d'A. né al VII° C.d'A. in collaborazione con Bongiovanni. Quest'ultimo al mattino del 24 non era al suo posto di comando a Praponizza, ma lontano, a Carraia nei pressi di Cividale.
Emblematico il caso di Badoglio, comandante del XXVII° C.d'A. schierato nel settore del fronte dove avvenne lo sfondamento nemico determinante per la sconfitta e dove 700 cannoni tacquero con sorpresa amara degli Italiani e insperata dei nemici.
Il Comando del XXVII° C.d'A. aveva sede sull'Ostrj Kras, ma la sera del 23 Badoglio non c'era perché si era spostato più indietro in pianura, a Cosi. Essendo troppo lontano, Badoglio rimase 'cieco' per tutto il 24. Attorno alle 10 di mattina, privo di notizie, da Cosi cercò di raggiungere l'Ostrj Kras, ma non andò oltre Pusno, dove arrivò attorno alle 13. Tornato a Cosi per portarsi a Kambresco, a mezzanotte giunse a Liga.
76 Per questo continuo peregrinare nessuno riusciva a contattarlo.77 La Brigata Puglie, riserva del Corpo d'Armata, restò quindi senza ordini fino alle 14 quando l'attacco nemico era in corso ormai da sei ore e i Germanici erano a Idersko, a pochi chilometri da Caporetto.78 Alle 16 da Kambresco Badoglio inviò il primo messaggio al Comando della IIa Armata: "Mi risulta che il nemico ha sfondato in direzione conca di Gance (Cartina 6)... Non ho nessuna notizia né della 19a divisione né delle divisioni sulla sinistra... Io mi trovo a... Kambresco. Non ho la possibilità di comunicare con nessuno.
Comunque l'assenza di Badoglio dal posto di comando a Ostrj Kras aveva già prodotto il catastrofico silenzio di tutta l'artiglieria del C.d'A. Se Badoglio voleva impartire personalmente l'ordine di aprire il fuoco, come attesta il colonnello Cannoniere comandante le artiglierie della 19a Divisione, doveva evitare di portarsi fuori mano poiché l'intenso fuoco dell'artiglieria nemica avrebbe potuto interrompere le comunicazioni, isolandolo dal suo C.d'A.
Stupisce il comportamento del generale Capello che, pur avendo l'offensiva nel sangue e la controffensiva sempre in testa, non produsse alcunché. E dire che l'occasione gli era stata offerta proprio dai Germanici marcianti in fondo valle: un comandante pronto proprio lì avrebbe dovuto scaricare un poderoso contrattacco, per bloccare a tutti i costi la marcia di quelle truppe su Caporetto ed evitare la crisi del IV° C.d'A. per l'aggiramento delle sue 43a e 46a Divisione. D'accordo, era assente, ma lui che aveva presagito la manovra nemica nel fondo valle avrebbe potuto lasciare ordini precisi per il contrattacco da sviluppare ad hoc. Il pomeriggio del 28 ottobre 1917 il Comando Supremo emise un bollettino che esordiva: "La mancata resistenza di reparti della IIa armata vilmente ritiratisi senza combattere, o ignominiosamente arresisi al nemico, ha permesso alle forze austro-germaniche di rompere la nostra ala sinistra sulla Fronte Giulia. Gli sforzi valorosi delle altre truppe non sono riusciti ad impedire all'avversario di penetrare nel sacro suolo della patria."
80 Ebbene se il bollettino avesse voluto rispettare la realtà degli avvenimenti avrebbe dovuto invece iniziare così: "In seguito a gravi deficienze del Comando Supremo, che ha sottovalutato il nemico e non ha preso in tempo utile i necessari provvedimenti, un'offensiva condotta da reparti austriaci e germanici ha rotto la nostra fronte sul settore di Fronte Giulia tenuto dalla IIa Armata ed è penetrato in profondità dietro le nostre linee..." Dunque sia Cadorna che Capello o non avevano preparato l'esercito o l'avevano preparato male lì dove venne a cadere l'offensiva austro-germanica. Ma il comandante in capo Cadorna non ebbe il coraggio di riconoscere le proprie colpe, che furono determinanti per la sconfitta, e cercò di uscire 'in bellezza' incolpandone le truppe. Aveva già avuto nel 1866 un nobile precursore in La Marmora.81 Ovviamente ci furono anche responsabilità di altri: quelle del generale Capello,82 del generale Badoglio83 e di altri divisionari84 in quell'armata, ma chi era responsabile della condotta delle operazioni era Cadorna, che come supremo comandante militare doveva risponderne.85 Invece egli cercò di sottrarsi a questa sua responsabilità come se la resistenza di quelle truppe, che secondo lui non avevano combattuto, avesse potuto evitare la sconfitta che invece fu dovuta esclusivamente a motivi militari: da un lato la validità del piano d'attacco del nemico e l'abilità con la quale fu realizzato, dall'altro l'incapacità del CS italiano e del Comando della IIa Armata di attuare predisposizioni difensive per parare e controbattere efficacemente l'iniziativa avversaria.86
In conclusione risulta chiaro che se la battaglia offensiva è stata guidata dai comandi austro-germanici, quella difensiva non è stata guidata da alcuno dei generali italiani.
"Ancora una volta, bisogna ripetere che, nei combattimenti svoltisi il 24 ottobre, i nostri soldati fecero tutto il loro dovere, si batterono, cioè, con tenacia e valore. Gli errori e le colpe furono soltanto di alcuni dei più alti comandi dell'esercito."
87 Invece dopo anni di duri combattimenti e di tremenda usura patita, furono incolpate della sconfitta proprio le truppe, mal comandate e abbandonate ad un tragico ed immeritato destino. Non meritavano che nascesse la leggenda di Caporetto "... che si è diffusa nel mondo: la leggenda che l'indolenza, intesa come sinonimo di vigliaccheria, del soldato italiano sia la nota distintiva di questo evento... Alla sua origine si trovano gli italiani stessi. Prima di tutto un comunicato di guerra che accusava di diserzione alcune unità... Poi l'esagerazione dei fatti, della quale si avvalse l'opposizione per attaccare i propri avversari... Gli italiani non praticano la 'carità di patria' cioè il rispetto per il proprio paese, inutilmente raccomandato da poche persone sagge. Preferiscono dilaniarsi tra di loro e nella lotta divengono ciecamente feroci, giungendo a dare penosissimo spettacolo di sé... Recitino il loro mea culpa taluni italiani, se l'ingiusta leggenda che li degrada corre per il mondo."88

 

 


LA COMMISSIONE D'INCHIESTA
 

 

 

Il 12 gennaio 1918 il Governo presieduto dall'onorevole Orlando deliberava la costituzione di una Commissione d'inchiesta su Caporetto. La Commissione, presieduta dal generale dell'esercito Caneva, concluse i lavori il 25 giugno 1919, tenne in complesso 241 sedute, raccolse 1.012 deposizioni verbali, 130 volumi di documenti e pubblicò le risultanze in 3 volumi.89 II primo narra gli avvenimenti senza commentarli, il secondo esprime gli apprezzamenti e le conclusioni, il terzo contiene carte e schizzi.
La Commissione mostra di comportarsi con molta parzialità quando, riferendosi al comportamento di Badoglio e del suo XXVIIa C.d'A., afferma "... che occorreva avere il dono della divinazione per potere prevedere la manovra nemica." Poiché è fuori dubbio che il Capello ebbe questo 'dono' e nella conferenza del 14 ottobre 1917, tenuta al suo quartier generale di Cormons, aveva esposto ai Comandanti del IV° e XXVII° C.d'A. l'eventualità di una manovra nemica che sboccasse dalla testa di ponte di Tolmino, con le caratteristiche che poi si verificarono nella realtà, è evidente il desiderio o necessità della Commissione di proteggere Badoglio sollevandolo da responsabilità nel disastro. Queste responsabilità c'erano e la Commissione cercò di attenuarle, senza però cancellarle. La cancellazione avvenne più tardi per l'intervento 'politico' che fece asportare ben 13 pagine dalle Risultanze della Commissione d'indagine su Caporetto.
90 Secondo Fadini le pagine fatte sparire per l'intervento dei deputati Orlando, Paratore e Raimondo, che coinvolgevano il XXVII° C.d'A. (Badoglio), "... riguardavano più lo sbarramento dell'Isonzo che l'artiglieria."91 Badoglio non prese nessun provvedimento verso i Germanici che risalivano l'Isonzo nel settore al suo comando. I nemici, per la mancata difesa del fondo valle, alle 10.30 del 24 ottobre erano già alle spalle di due terzi del IV° C.d'A.: 46a Divisione (Amadei) e 43a Divisione (Farisoglio). Insomma l'inizio dello sfondamento del fronte si verificò per l'inazione di Badoglio. Possiamo quindi dire che la colpa assegnata da Cadorna alle truppe salvò in un primo tempo Badoglio. Poi ci pensò la politica manovrata dalla Corona e dalla Massoneria a trarlo definitivamente dai guai.
Il giudizio complessivo della Commissione è così formulato: "Gli avvenimenti dell'ottobre 1917, che condussero l'Esercito italiano a ripiegare da oltre Isonzo fin dietro il Piave, presentarono i caratteri di una sconfitta militare; e le cause determinanti di natura militare, sia tecnica che morale, predominarono sicuramente su quegli altri fattori estranei alla milizia, dalla cui influenza, che la presente Relazione dimostrò esagerata, taluno aveva voluto dedurre che gli avvenimenti fossero da attribuirsi prevalentemente a cagioni politiche.
92
10.000 morti, 30.000 feriti, 293.000 prigionieri e 350.000 sbandati,
93 successivamente recuperati nella maggior parte, fanno ascendere a circa 700.000 uomini la diminuzione di effettivi subita dall'esercito italiano dal 20 ottobre al 20 novembre. Andarono perduti inoltre 3.152 pezzi d'artiglieria, 1.732 bombarde, 3.000 mitragliatrici, 73.000 quadrupedi, 1.600 autocarri, 115 ospedali da campo.94

 

 

 


COMMENTO SULLA BATTAGLIA
 

 

 

Sia il Comando Supremo sia i Comandi delle unità dipendenti persero subito il controllo degli eventi e "... tutta la battaglia fu una sequela di lotte ineguali da parte di reparti mal collocati e mal collegati o sorpresi in marcia, o appena giunti sulle posizioni, stanchi, non orientati, senza collegamenti, molto spesso senza appoggio d'artiglieria."95
"In molti casi il nemico potè avanzare perché gli ordini, contrordini e disordini di parecchi generali italiani, privi di una buona preparazione professionale, di spirito d'iniziativa e in qualche caso anche di elementare buon senso, lasciarono aperte delle strade che avrebbero dovuto essere e rimanere sbarrate."
96
• Cadorna si ripete. Il comportamento di Cadorna nell'ottobre 1917 fu la ripetizione di quello da lui tenuto poco più di un anno prima in occasione della grande offensiva nemica Strafexpedition (spedizione punitiva) contro la nostra Fronte Trentina. In quel frangente la Ia Armata (generale Brusati), schierata sulla fronte trentina, fin dall'inizio della guerra aveva avuto dal Comando Supremo come direttive compiti prevalentemente difensivi, ma "... la difesa doveva essere attiva, nutrita cioè di offensive parziali... mirando anzitutto al possesso dei colli."
97 Quindi direttive ambigue che Brusati aveva interpretato svolgendo continue azioni offensive tollerate da Cadorna, come nell'autunno del 1917 sul fronte della IIa Armata tollerò le inadempienze di Capello. Anzi il 24 novembre 1915 aveva scritto a Brusati che "Con parziali azioni offensive l'armata deve proporsi, infine, di sgretolare qui e là le linee di difesa nemiche e di migliorare le nostre, in particolare in Valsugana."98 Sintomatico dell'ambiguità voluta è la ripetizione del termine parziali.
Cadorna aveva continuato a dirigere la Ia Armata per lettera senza effettuare sopralluoghi validi per avere un sicuro polso della situazione. Il 30 novembre Brusati, che aveva continuato con le puntate offensive, aveva incontrato Cadorna a Udine e non aveva ricevuto alcun rimbrotto. Il 16 febbraio 1916 riceveva addirittura degli elogi! A marzo Brusati si era preoccupato per l'insistenza di notizie su una prossima offensiva nemica contro la fronte tenuta dalla sua armata e ne aveva informato Cadorna, ma costui non ritenendo possibile che gli Austriaci, premuti dai Russi, potessero impegnarsi con una grossa offensiva nel Trentino, aveva influenzato col proprio scetticismo l'Ufficio Situazione.
99 Quell'ufficio il 3 aprile aveva escluso operazioni offensive in grande stile da parte del Comando austro-ungarico.
Lo scetticismo del Comando Supremo permase anche dopo che un disertore austriaco si era presentato il 31 marzo alle nostre linee con una ricca documentazione relativa ai preparativi nemici. Brusati aveva chiesto rinforzi, preoccupato sia per l'offensiva in preparazione sia per lo scetticismo del suo capo, che certo non gli fu di sostegno in quelle giornate critiche.
Il 26 aprile un prigioniero aveva confermato i concentramenti e l'imminenza dell'offensiva. Cadorna finalmente il 29 e il 30 aprile era andato ad ispezionare la Fronte Trentina, ma non volle incontrare il Brusati, gli avrebbe scritto più tardi! E, tornato a Udine, gli scrisse biasimandolo perché "... aveva tradito la sua fiducia e violato i suoi ordini."
100 Brusati rispose citando, a propria difesa, le lettere di Cadorna contenenti conferme per la procedura adottata. Ma Cadorna lo destituì; così c'era pronto un colpevole, se le cose fossero andate male.
Il 15 maggio 1916 scattò l'offensiva austro-ungarica. Cadorna in 15 giorni costituì una nuova armata come riserva del CS, la Va, togliendo anche truppe dalla Fronte Giulia e riunendo tra Vicenza, Cittadella e Padova 179.000 uomini e 35.000 quadrupedi.
101 L'offensiva fu contenuta e il 25 giugno il nemico iniziò a ritirarsi. Cadorna era riuscito a respingere la poderosa offensiva quando stava già per sfociare in pianura.
"Nell'ottobre 1917 s'erano ripetuti, e in forma sempre più grave, gli errori del maggio 1916. In entrambi i casi il Cadorna credé poco alla minaccia nemica e soprattutto alla sua gravità, e d'altra parte il difettoso Servizio Informazioni del Comando supremo serve l'una e l'altra volta non a illuminarlo, ma a tenerlo nell'inganno; il Cadorna permette il persistere del contegno aggressivo del Brusati come di quello del Capello; ed essi a loro volta trovano rispettivamente nei comandanti del V° e del XXVII° Corpo d'Armata dei discepoli anche più zelanti dei loro maestri; tutte e due le volte l'esercito si trova proiettato troppo in avanti, colle riserve mal collocate o inviate a furia, stanche, non orientate, con cattivi o nulli collegamenti; tutte e due le volte l'artiglieria è male schierata... Manca anche ora, come l'anno prima, un Comando di gruppo di armate che controlli l'azione delle due armate e le operazioni dell'Isonzo...
102
Nel 1917 c'è di nuovo la stessa ambiguità,
103 la stessa incredulità ed un colpevole di turno, Capello, ma questa volta l'offensiva nemica riesce e porta gli Austriaci in pianura. La catastrofe è immane, occorre allargare le responsabilità e Cadorna, tentando di salvare la propria reputazione, rovina quella dei suoi soldati. Metodi antiquati versus aria nuova. Come abbiamo visto, fin dall'inizio dell'anno i Germanici avevano messo a punto la difesa elastica e l'attacco per infiltrazione. Secondo Dellmensingen gli ufficiali italiani prigionieri esprimevano ammirazione verso gli attaccanti: "I tedeschi hanno un metodo d'attacco contro il quale riesce difficile difendersi: non si notano da nessuna parte ed appaiono all'improvviso, simultaneamente, davanti, dietro e da tutti i lati.104 I nostri comandi continuarono invece nel "... tentativo d'annientamento del nemico mediante la forza piuttosto che con la manovra."105 Mentre i Germanici si affidavano al movimento, gli Italiani si abbarbicavano al terreno e consideravano ancora i reticolati la difesa migliore, puntando su una difesa rigida. Così, nel tentativo di parare l'offensiva imminente, invece di studiare provvedimenti adeguati alla nuova tattica d'infiltrazione avversaria106 si continuava ad ammassare soldati aderendo alle richieste dei vari divisionari che, non avendo alcun'idea pratica per contrastare la nuova strategia, pensavano di cautelarsi incrementando il numero di uomini. Uomini destinati ad impinguare il bottino nemico di prigionieri! "... Il Capello chiedeva un altro Corpo d'Armata su 3 divisioni per lo Jeza; il Cavaciocchi, che aveva 4 divisioni, ne voleva un'altra a Bergogna e così via.107 - Non avevano capito niente, e avevano riempito di uomini il settore, quando invece mancava anche ai soldati già in linea un adeguato addestramento contro la tattica utilizzata dai Germanici. Già nell'estate 1917, durante la battaglia della Bainsizza, l'eccessiva quantità di truppe impiegate nelle singole azioni era apparsa a tutti evidente. "E poiché si trattava ormai di truppe abbondantemente equipaggiate di armi e munizioni, ne venivano esasperati i problemi logistici."108
Elemento importantissimo e generalmente trascurato, che influì sul cedimento delle truppe in seconda linea, fu la superiorità del nemico nell'impiego di piccoli reparti tattici. "Mentre le fanterie italiane erano abituate alla guerra di trincea, al contatto di gomiti, all'azione svolta sotto il diretto comando dei superiori, le fanterie nemiche, e specialmente quelle tedesche, erano esperte nella guerra di movimento, nell'azione di piccoli reparti operanti isolati, sotto il comando di graduati di eccezionale capacità. Piccoli gruppi di uomini, abilissimi nel penetrare attraverso le linee, aprendo il fuoco alle spalle dei difensori, causavano sorprese alle quali la fanteria italiana non era abituata a reagire. Si palesò con la massima evidenza l'importanza di un addestramento approfondito fino nei particolari, che nell'Esercito italiano fu sempre trascurato."
109 Nel 1917 i gruppi di Arditi che il CS italiano cominciò a preparare erano "... reparti speciali, che non prestavano servizio in trincea, addestrati per l'attacco e l'offensiva. Una soluzione molto diversa da quella tedesca, che trasformava quasi tutti i soldati, a rotazione, in truppe d'assalto, operando una selezione... inquadrando i meno abili in divisioni di 'seconda qualità'...110
• I provvedimenti non presi. Esaminiamo ora che cosa avrebbero dovuto fare i comandanti dei corpi costituenti la IIa Armata, in particolare Cavaciocchi e Badoglio che stavano per essere coinvolti dall'imminente offensiva nemica, al fine di essere in regola nel rispetto delle direttive di Cadorna del 18 settembre. Secondo le disposizioni del CS le truppe che presidiavano la linea di difesa avanzata, o almeno quelle occupanti posizioni giudicate molto precarie dai comandi di Corpo d'Armata, dovevano ritirare sulla seconda linea di difesa ad oltranza. In realtà la nostra linea di difesa avanzata era indifendibile in molti tratti in caso di offensiva nemica. L'autorizzazione al ripiegamento fu richiesta in ritardo dai comandi interessati al CS che, nell'imminenza dell'attacco nemico, preferì non attuare un'operazione che avrebbe potuto diventare pericolosa se condotta all'ultimo momento. Così quei settori continuarono ad essere presidiati e, come previsto, andarono subito perduti al momento dell'attacco nemico! Secondo Caviglia la semplice disposizione di ritiro delle truppe dalla prima linea per guarnire la seconda linea, se attuata, avrebbe con tutta probabilità cambiato le sorti della battaglia.
111
Ma oltre al ripiegamento preventivo, sarebbe anche stato "... necessario lo sgombero di tutte le posizioni che non avessero un ufficio essenziale nella grande battaglia difensiva; raccorciare le fronti, diminuire le truppe di prima linea a vantaggio delle riserve."
112 Secondo il generale Dellmensingen, Cadorna avrebbe dovuto ritirare la difesa dietro l'Isonzo.113
"E sarebbero stati necessari anche altri provvedimenti ad opera del Comando Supremo. Anzitutto Cadorna avrebbe dovuto ordinare lo sgombero completo della Bainsizza, grave decisione, ma il grande condottiero si vede proprio quando la condotta della guerra e la salvezza del paese richiedono anche mosse impopolari dove l'unica misura è la propria coscienza."
114 Cadorna non volle, anche perché condizionato dalle enormi perdite che c'era costato il poco terreno conquistato, e così restarono al di là dell'Isonzo sulla Bainsizza sei divisioni oltre alle tre del XXVII° C.d'A. Inoltre, nell'assumere la difensiva strategica, si sarebbe dovuto allontanare dal fronte tutto ciò che non era indispensabile arretrandolo di una o due tappe, per evitare situazioni di confusione e favorire le operazioni di guerra. "... addossato all'esercito combattente, v'era un altro esercito non combattente, ausiliario, ugualmente numeroso, composto di elementi isolati o scarsamente inquadrati, eterogenei ed autonomi o quasi, perché distaccati dalle autorità superiori e sovente dimenticati, non organizzati difensivamente, in massima parte disarmati e senza impiego in un'eventuale battaglia difensiva.115 Ad esempio il IV° C.d'A. nella primavera 1917 aveva 114.000 effettivi dei quali 68.000 combattenti e 46.000 non combattenti, e in massima parte disarmati. Inoltre fra i combattenti un buon terzo non era in linea, ma costituiva i servizi dei corpi. Difatti il 24 ottobre le tre divisioni del IV° C.d'A. (50a, 46a, 43a) schieravano 39 battaglioni e cioè soltanto circa 35.000 uomini. Purtroppo non si realizzò alcun arretramento.
• Mancanza di informazioni e di sorveglianza. Mentre Cadorna si rilassava e con lui il CS italiano, il comando nemico metteva bene a punto e affinava il piano d'assalto. Con quanta efficacia Cadorna si sarebbe potuto organizzare se avesse dedicato quel periodo di circa venti giorni allo studio delle contromisure e alla preparazione di un piano da contrapporre a quello avversario! Invece di fronte al piano del nemico il CS finì per cercare di adattare, ad uno schieramento in sostanza ancora offensivo, una serie di provvedimenti tampone e non un vero piano tattico e strategico. Ma, si dirà, Cadorna non sapeva che sarebbe stato attaccato. Certo, e questa è la sua colpa. Il Comando Supremo doveva sapere. Il servizio informazioni è fondamentale per l'organizzazione di qualunque comando. Cadorna doveva sapere. Ma per sapere occorre, oltre ad un efficiente servizio d'informazioni, un'attitudine alla ricerca, al dubbio, al sospetto. Ecco, occorre sospettare sempre, in ogni momento. Non illudersi e addormentarsi. Cadorna invece non sospettò!
Appena rientrato a Udine il 19 ottobre Cadorna era riposato e tranquillo.
116 Purtroppo era tranquillo. Lui non lo sapeva, ma era a cinque giorni dall'attacco nemico. D'altra parte non c'è peggior sordo di chi non vuoi sentire e, parafrasando, non c'è peggiore incredulo di chi non vuol credere. Cadorna era tranquillo perché non credeva ad un'offensiva del nemico, ma quando non poté più ignorarla la sottovalutò fino al punto di giudicarla 'innocua' contro il complesso delle nostre difese che riteneva molto efficiente. La sua incredulità fu sostenuta dalla criminosa incompetenza dei piaggiatori del suo Ufficio Situazione, che pur di compiacere lo scetticismo del capo ammisero che sì, con gli Austriaci c'erano anche dei Germanici, ma tutto sommato non si pensava avrebbero attaccato! In realtà "... gli Italiani ebbero le giuste informazioni, al momento giusto; solo che non le seppero interpretare."117
Insomma sottovalutazione del nemico. Un classico motivo di sconfitte codificato da innumerevoli esempi nella storia militare attraverso i secoli.
In conseguenza dello scetticismo e dell'incredulità del CS rimasero soltanto i tre giorni dal 21 al 23 per informare dell'imminente offensiva nemica la struttura della IIa Armata che stava per essere coinvolta, raggiungendo tutti i reparti. Informazione ormai irrealizzabile. "... i Comandi minori (coinvolti dall'assalto nemico), nella maggioranza dei casi, non ebbero ordine alcuno."
118
Sintomatica un'affermazione che Capello scrive nel suo libro di memorie. Rievocando le sue impressioni di quei momenti, pensando alla mancata azione delle artiglierie, al contegno di molte truppe, alla passività di tanti comandi, al disorientamento generale, si domanda se l'attacco nemico non sia stato per molti una sorpresa. Noi rispondiamo senz'altro di sì, meravigliati che Capello si sia posto questa domanda. Forse era convinto che, avendo tenuto diverse conferenze ad alcuni divisionari, tutti fossero a conoscenza della situazione; queste conferenze di informazione agli alti gradi, concentrate nelle poche ore rimaste, diminuivano ulteriormente lo scarso tempo a disposizione, che avrebbe dovuto essere impiegato per informare adeguatamente tutti i quadri dipendenti, nonché per valutare al meglio i provvedimenti da prendere.
Spesso chi occupa posizioni di vertice si illude che basti esprimere una sola volta un concetto per vederlo interpretare esattamente dai subordinati, quando è invece necessario introdurre, riprendere, ripetere, fare interpretare quel concetto e controllare infine che sia stato recepito nella maniera giusta. Per attuare questa procedura ottimale occorre molto tempo.
"Le dimensioni della IIa Armata erano enormi"
119 per cui il suo comando non poteva seguire tutti i particolari; Capello era ammalato e non era in grado di arrivare ovunque; gli ordini scritti, soprattutto se lui era assente, perché in ospedale a Padova oppure a letto con la nefrite, erano spesso redatti male;..."120 A differenza degli avversari, gli ufficiali della IIa Armata italiana non avevano le idee assolutamente chiare su quello che sarebbe successo e su tutti i particolari di quello che avrebbero dovuto fare. Si può dunque capire come i generali di Capello non potessero trasfondere nei loro sottoposti quello che loro stessi non avevano ancora perfettamente assimilato. Cadorna e Capello avevano messo in guardia contro il metodo tedesco, ma all'ultimo momento e in modo astratto, senza alcuna possibilità di verificare quindi la validità pratica dei metodi predisposti dai sottordini.121
Silvestri riporta un episodio che testimonia inequivocabilmente l'impreparazione degli interessati all'evento che stava per colpirli: "Né fa stupore che ad un ufficiale di SM inviato il 17 ottobre da Cormons, tutti incredibilmente, Boccacci, il generale Fadini comandante dell'artiglieria e il tenente colonnello Fettarappa, Capo di SM della 43a Divisione dichiarassero che <non ritenevano probabile una offensiva nemica in grande stile sulla fronte di quel Corpo d'Armata>.
122
Il generale Bongiovanni, che comandava il VII° C.d'A., era così lontano dallo spirito della battaglia che il 24 mattina invece di essere al posto di comando a Praponizza si trovava distante anche fisicamente, a Carraia vicino a Cividale, dove rimase fino alle 12, ignaro che l'attacco nemico avesse avuto inizio. Teniamo presente che le sue truppe erano schierate a pochi km da Caporetto e avrebbero potuto avere un ruolo determinante se utilizzate per tempo con determinazione. "Badoglio non lo stimava e lo definiva <un addormentato>. Quando seppe di averlo vicino col VII° corpo, andò su tutte le furie: <Quel brav'uomo è stato due anni addetto all'esercito tedesco, ha visto gente, non ha capito niente e non val niente.>"
123
Lo sbandamento dei comandi italiani fu conseguenza anche dell'imprecisione e approssimazione con la quale avvenne la trasmissione degli ordini.
124 "Fra le predisposizioni assume la massima importanza quella sulle comunicazioni. La difensiva è un'azione di riflesso; occorre che le notizie giungano per reagire. Se al ritardo fatale dipendente dal fatto che il nemico ha l'iniziativa delle operazioni si aggiunge quello dipendente dalla mancanza d'organizzazione delle comunicazioni non si arginano le falle e non si contrattacca."125
"Negli ordini del Comando Supremo il momento in cui l'artiglieria doveva cominciare a sparare era fissato in maniera molto contraddittoria: <subito in risposta ai tiri nemici>, <al primo assalto delle fanterie nemiche>, <durante le fasi di tiro a gas del nemico>, e così via in un succedersi di disposizioni che variavano ogni giorno."
126

Il 22 ottobre il generale Montuori che stava sostituendo Capello inviò ai comandi dipendenti un'altra precisazione dove si affermava che, appena il nemico avrebbe iniziato il bombardamento contro le trincee italiane di prima linea, i medi calibri e le bombarde dovevano aprire il fuoco sulle linee nemiche; ma non precisava se la disposizione era riferita alla prima o alla seconda delle fasi nelle quali, era ormai certo, si sarebbe realizzato il fuoco nemico.
Come abbiamo visto, il Comando Supremo il 24 sera, mentre ormai i Tedeschi erano già oltre Caporetto, pensava ad una circolare! Ma ci voleva ben altro! L'argomento era così importante che sarebbe stato necessario almeno un dimostratore per ogni battaglione per trasmettere le informazioni direttamente ai reparti in trincea, spiegando a viva voce le istruzioni sui modi migliori di reagire. Inoltre, non all'ultimo momento ma almeno un mese prima per avere il tempo di verificare, si sarebbe dovuto ottenere assicurazione che le istruzioni erano divenute una vera e propria forma mentis. Il nostro Comando invece, caduto in letargo perché convinto che la stagione delle grandi operazioni sulle nostre fronti fosse ormai passata, fino all'ultimo momento trascurò di indagare la reale situazione, e fece in tempo solo a decidere di predisporre una circolare, ma non a distribuirla!
Certamente mancò nell'esercito italiano un'adeguata azione d'ispezione da parte degli alti ed altissimi comandi.
128 Il confronto con il comportamento degli avversari è stridente: mentre nel periodo che precede l'offensiva "... Below continua a muoversi dall'una all'altra delle unità poste ai suoi ordini per verificare da vicino, con i propri occhi, che le direttrici dell'azione fossero state capite e l'esecuzione delle azioni corrispondenti avvenisse nei tempi e nei modi richiesti", 129 Capello, pur avendo individuato nel fondo valle dell'Isonzo di fronte alla testa di ponte di Tolmino la posizione critica del suo schieramento, non si mosse per assicurarsi che fossero stati presi provvedimenti adeguati.
Cadorna soltanto il 22 ottobre, due giorni prima dell'attacco nemico, effettuò un'ispezione presso il IV° C.d'A. riportandone una cattiva impressione del comandante Cavaciocchi, ma non ritenne opportuno sostituirlo nell'imminenza dell'attacco nemico. Lo sostituì però quattro giorni dopo per l'incapacità dimostrata nel corso delle giornate del 24 e 25 ottobre mentre il generale stava marciando in ritirata verso Nimis e il suo corpo d'armata era ormai a pezzi. Perché Cadorna non è andato a visitare il IV° C.d'A. invece di andare a Vicenza? Perché ha aspettato l'ultimo momento?
130
Il diverso comportamento per l'istruzione e l'informazione usato dagli alti comandi austro-germanici, rispetto a quello degli Italiani, spiega già i motivi del successo dell'offensiva nemica.
Sull'andamento delle operazioni del giorno 24 Cadorna ricevette le prime notizie solo nel tardo pomeriggio: monche, contraddittorie, esagerate. Mise il XXX° Corpo (16a e 21a Divisione) a disposizione di Capello, provvide ad inviare la 60a Divisione a Bergogna, e a chiamare dal Trentino altre due divisioni della Ia Armata. Alle 18.00 al Comando Supremo si brancolava ancora nel buio per mancanza di informazioni. "... il generale Cadorna ha il pensiero diviso fra queste due possibilità: che il nemico faccia un bluff davanti a Tolmino, e attacchi in un altro punto, per esempio nel Carso, e che il nemico faccia sul serio davanti a Tolmino."
131
"Noi siamo convinti che se Cadorna avesse potuto avere, alla sera del 24 (in realtà lo ebbe molto più tardi) l'immagine esatta e veritiera della situazione, si sarebbe reso subito conto dell'inutilità di ulteriori tentativi per galvanizzare lo spirito delle truppe e per designare successive linee di difesa che non davano nessun affidamento di poter essere tenute."
132 E in effetti non furono tenute. Le sedi dei comandi italiani risultavano collocate a troppa distanza dalle zone di combattimento sia nel momento dell'offensiva austro-germanica sia durante la ritirata. Così che gli ordini che emanavano erano quasi sempre superati dal succedersi degli eventi!


Questa la dislocazione dei comandi alla vigilia dell'offensiva nemica e nelle ore successive:
− Comando Supremo (Cadorna) a Udine e poi a Treviso.
− Comando IIa Armata (Capello) a Cormons e poi a Cividale.
− Comando IV° C.d'A. (Cavaciocchi) a Creda, poi a Bergogna.
− Comando XXVII° C.d'A. (Badoglio) a Cosi (tattico o effettivo a Ostrj Kras), poi a Kambresco e infine a Cividale.
− Comando 19a Divisione (Villani) a Clabuzzaro (tattico o effettivo ad Albero Bello, o Falso Jeza, a est di M. Jeza).
− Comando 46a Divisione (Amadei) a Smast, poi a Ladra e quindi a Caporetto.
− Comando 43a Divisione (Farisoglio) a Drezenca.
− Comando 34a Divisione di riserva (Basso) a Suzid fino alla notte sul 24, poi a Caporetto.
Abbiamo già annotato come Badoglio, lontano dal suo posto di comando a Ostrj Kras, rimase all'oscuro della situazione per tutto il 24.
Sul fronte della 19a Divisione "... le notizie pervengono al Villani con inevitabili ritardi, spesso superiori alle due ore, mentre fulminee decisioni nello spazio di pochi minuti sarebbero necessarie per attuare efficaci contromanovre."
133
"Non prima delle ore 18.05... il Comando della IIa Armata spedì al Comando del VII° Corpo d'Armata l'ordine di attaccare il nemico sul fondovalle isontino per arrestarlo prima che giungesse a Caporetto!"
134 A quell'ora i Germanici avevano occupato questa cittadina da almeno 2 ore e mezza e avevano raggiunto Robic.
Fino alle 12.00 del 24 Capello sapeva soltanto che il nemico stava avanzando in conca di Plezzo, e fra le 12.00 e le 13.00 che avanzava sulla sinistra dell'Isonzo nel settore della 46a Divisione. Solo poco prima delle 18.00 Capello seppe della colonna nemica marciante verso Caporetto, e poi verso le 19.00 che la fronte della 19a Divisione era stata sfondata. Fino a quel momento tutti erano convinti che soltanto il IV° C.d'A. avesse ceduto e per di più che avesse ceduto male! Lo stesso Cadorna dimostrava di avere un quadro confuso della situazione. Il 25 ottobre scriveva in una seconda lettera al figlio: "Carissimo, che brutto S. Raffaele mi è toccato passare! Ieri disastro completo al IV° Corpo. Il nemico da Tolmino è arrivato a Caporetto ed oltre superando due linee di difesa dove evidentemente le truppe hanno mollato... Tutto questo dovuto all'azione di comando del generale Cavaciocchi."
135 Il 25 Cadorna ignorava ancora che il IV° C.d'A. era stato messo in crisi dalla penetrazione germanica sul fronte tenuto dal XXVII° C.d'A. (Badoglio) e dalla distruzione della 19a Divisione (Villani). Sempre a causa di comunicazioni inesistenti o difettose si verificò quella "... insufficiente collaborazione fra i due Capi delle grandi unità di prima linea (Cavaciocchi e Badoglio) nella preparazione della difesa..." che ne ha confermato "limitatezza di vedute strategiche e interesse particolare al proprio campo tattico."136
• Immobilismo abitudinario e psicosi d'aggiramento. L'azione nemica ebbe le più gravi conseguenze proprio lì dove erano stati individuati i punti deboli: il settore delle nostre linee avanzate Sleme-Mrzli e il fondo valle Isonzo di fronte alla testa di ponte di Tolmino. Punti deboli conosciuti dal nostro Comando Supremo, e ciononostante 'criminosamente' trascurati.
Il fronte Plezzo-Tolmino dormiva dal 1915. In alto, sulle montagne della destra dell'Isonzo, gli Italiani avevano costruito una specie di linea Maginot ante litteram con posizioni fortificate, rifugi per uomini e artiglierie in caverne e trincee protette da strutture in cemento armato, dotate di postazioni di artiglieria e mitragliatrici, collegate tra loro e protette da reticolati fissi di gran profondità. Era la linea di difesa ad oltranza. Gli Italiani in queste posizioni dominanti rispetto al fondo valle si sentivano sicuri di poter resistere e di poter controllare gli eventuali tentativi di penetrazione nemica provenienti dal basso. Questa 'sicurezza da Maginot' creò qui, come creerà 23 anni dopo in Francia con la vera linea Maginot, la certezza che restando immobili in attesa si sarebbe potuto controbattere qualsiasi assalto nemico. Insomma la difesa era delegata all'automatismo dell'intervento, che sarebbe scattato secondo un metodo convenzionale già collaudato in precedenti esperienze. Ma non si tenne conto della tattica d'infiltrazione tedesca che, sfruttando piccoli varchi della linea e giocando spesso di audacia, fece invece cadere le posizioni italiane per aggiramento e per sorpresa.
Nei giorni della battaglia di Caporetto la minaccia di aggiramento fu l'incubo di tutti i nostri comandanti.
137  Bandini mette giustamente in evidenza il divario esistente tra le truppe tedesche, che utilizzavano l'effetto sorpresa unito ad una fama che ne ingigantiva qualità ed azioni, e le nostre: "Quanto quelle erano pronte ai movimenti ed abituate a mantenere velocità alla battaglia, tanto erano tarde e artritiche le nostre, allevate quasi esclusivamente nel culto del terreno."138
L'incapacità dei nostri comandi a fronteggiare rapidamente le situazioni assumendo responsabilità e correndo rischi professionali gravi
139  era particolarmente sentita in questo settore 'appisolato', soprattutto nella parte difesa dal IV° C.d'A. comandato dal generale Cavaciocchi che, come abbiamo visto, sarà silurato da Cadorna per manifesta incapacità soltanto il 26 ottobre in piena ritirata.
Contemporaneamente all'azione sulla sinistra dell'Isonzo e in fondo valle, l'offensiva austro-tedesca, condotta soprattutto da formazioni d'elite di montagna (Alpenkorps Bavarese, 200a e 26a Divisione Württemberg) si riversò su questa Maginot ante litteram basata su posizioni fortificate dominanti la destra del fiume (Cartine 1 e 5). Il generale Dellmensingen affermò che "... sul successo finale non influirono tanto i singoli errori di questo o quel Comandante, quanto l'insufficiente abilità tecnica di tutta quanta la nostra alta gerarchia militare, in un dato momento, rispetto a quella tedesca. In lingua povera i Comandi tedeschi sapevano veramente far la guerra; gli Italiani, non ancora abbastanza; e si lasciarono sorprendere da tutta una serie di procedimenti tattici, ad essi non abbastanza famigliari."
140

Lo stesso Rommel riferendosi ad un'azione da lui condotta sul Kolovrat il 25 ottobre annota: "Al reparto italiano venne a mancare un'azione di comando energica e conscia dei propri obiettivi."
141
La teoria dell'attacco frontale, imposta dal nostro CS, aveva ormai condizionato non solo la conduzione dell'esercito italiano, ma altresì e soprattutto la mentalità dei 'conducenti'. "Le undici battaglie dell'Isonzo della IIa e della IIIa Armata sono, come concezione, talmente povere di fosforo e di buon senso, così scarse di risultati, che alla letteratura resta solo lo spiraglio della retorica che esalta il valore individuale... Non ci vuole molta abilità a far distruggere dei reggimenti. Qualsiasi pazzo è capace di farlo. Ci vuole abilità a conoscere gli ostacoli ed i pericoli, onde superarli od aggirarli con le minori perdite possibili. Lo scopo in genere non è di morire, ma di vivere e ciò vale per un corpo di truppe organizzate come per un individuo."
142
In due anni di guerra i comandi in sottordine e le truppe avevano maturato un'esperienza che tendeva a sostituire nuove tattiche a quella ormai codificata dell'attacco frontale, enormemente dispendioso in mezzi e uomini. Truppe e comandi periferici, "... finalmente liberati dall'incubo dell'attacco frontale a ondate",
143 avevano dimostrato l'efficacia e il successo di tattiche alternative già nel corso della XIa battaglia dell'Isonzo. Sulla Bainsizza il comandante del 127° Reggimento della Brigata Firenze aveva ricevuto l'ordine di conquistare quota 800 impiegando l'intero reggimento. "Organizzò invece un gruppo costituito da un plotone di arditi, una compagnia mitragliatrici e una sezione mitragliatrici-pistole, al comando di un ufficiale intelligente e risoluto. La posizione fu aggirata e presa in qualche ora presumibilmente il 24 agosto 1917. Trecento uomini invece di tremila!144
Il 9 settembre 1917 sullo stesso fronte la Brigata Sassari ricevette l'ordine di conquistare la quota 985 sotto il Volnik (Bainsizza), ma i due comandanti delle compagnie d'assalto rifiutarono di svolgere l'azione come voleva il Comando di brigata e attuarono anche qui un'azione d'aggiramento basata sull'approfondita conoscenza del terreno e sulla sorpresa che ridusse ad un brevissimo tempo la preparazione d'artiglieria. In poche ore l'azione fu conclusa con la conquista anche della quota 862 e la cattura di 420 prigionieri.
Ma il CS ed i comandi superiori si rivelarono incapaci di accogliere ed utilizzare quell'esperienza acquisita sul campo e in alcuni casi brillantemente applicata. Così s'erano perse anche belle occasioni: vedi Carzano, vedi la battaglia della Bainsizza. In quest'ultima Capello, predicatore della manovra, non percepì le grandi possibilità offerte dallo sfondamento operato dal XXIV° C.d'A. (Caviglia). Se il 22 agosto invece di disperdere inutilmente gli sforzi per dare di testa contro forti posizioni laterali Capello avesse lanciato una penetrazione centrale lungo il letto del torrente Avcek avrebbe trovato il vuoto e la possibilità di raggiungere il Vallone di Chiapovano, e avrebbe messo in crisi l'intero schieramento nemico togliendo ad esso ogni possibilità di ricostituirsi. Ma "Anziché dedicare la giornata del 23 allo sfruttamento del successo, la dedicava <lui che era un motore sempre su di giri> al riposo e alla manutenzione."
146 E Cadorna in visita a Caviglia disse: "Bei tempi quelli della manovra! dimostrando la sua inguaribile e superata propensione all'attacco frontale.
Cadorna e Capello tendevano a reagire, come osservò subito il Comando germanico, col vecchio metodo di gettare testardamente nuove vittime nelle falle.
148 "Se Cadorna avesse avuto un'altra percezione, si sarebbe pervenuti a una dottrina di combattimento diversa e migliore già nella primavera del 1917. La sensazione di non essere gettate al massacro, ma impiegate con senso di responsabilità sarebbe stato il miglior tonico per le truppe che dovevano affrontare i successivi combattimenti."149
Per un Comando italiano abile, pronto e deciso l'offensiva nemica, culminata con la conquista austriaca di Caporetto, sarebbe potuta essere l'occasione per uscire dalla guerra di trincea e passare a una guerra manovrata. Ma sarebbe occorso un comando 'giovane', aggiornato, svincolato dalla routine che l'aveva reso ormai superato del tutto nella tattica operativa. Il Comando italiano, chiuso ad ogni comunicazione con le truppe, non aveva più niente da dire. Soltanto dopo il disastro di Caporetto ci sarà un grande rinnovamento sia nel rapporto tra il Comando e le truppe, sia nel loro addestramento. Così che Silvestri potrà affermare: "Il prodigio si chiamò 'Caporetto'. Mandato dal destino, esso diede agli Italiani la sensazione di combattere anziché di essere massacrati."
150
• Il silenzio dell'artiglieria. L'intervento dell'artiglieria comprendeva: il tiro di contropreparazione da effettuare prima dell'inizio dell'attacco nemico e il tiro di sbarramento che doveva coincidere con l'inizio dell'attacco delle fanterie avversarie.
Secondo gli ordini di Cadorna del 10 ottobre alla IIa Armata, il tiro di contropreparazione doveva iniziare durante il bombardamento d'artiglieria avversario e cioè, in questo caso, dopo le 2.00 del 24: era compito del Comando d'Artiglieria d'Armata, con artiglierie di grosso e medio calibro rivolte contro le linee nemiche dove erano ammassate le fanterie per l'attacco. Ma per l'organizzazione di questo bombardamento, che doveva comprendere anche tiri a gas, i documenti di tiro giunsero alle batterie soltanto nella notte sul 24
151 e quindi mancarono i tiri di aggiustamento. L'ordine di Cadorna del 10 ottobre non era chiaro con quel suo durante. Montuori l'11 ottobre nel ritrasmettere l'ordine ai dipendenti precisò 'fin dall'inizio', ma non fu chiaro neanche lui perché il nemico ebbe due inizi: uno alle 2.00 e l'altro alle 6.30 come risultava anche dai documenti intercettati.
Sul fronte del IV° C.d'A. Cavaciocchi non ebbe dubbi, eseguì gli ordini e le artiglierie spararono a partire dalle 2.00. Non così sul fronte del XXVII° C.d'A., dove "... la maggior parte dei cannoni di Badoglio caddero in mano al nemico senza aver preso parte alla battaglia e, con il loro silenzio, diedero motivo al sorgere di quello che fu ritenuto uno dei grandi misteri di Caporetto, quello che la stessa Relazione Ufficiale chiama il punto chiave della vicenda di Caporetto, ma che in realtà non ha nulla di misterioso, perché dietro non c'è che la disobbedienza, la presunzione, e l'imprevidenza di un generale."
152 Badoglio invece di effettuare il tiro di contropreparazione secondo gli ordini, voleva effettuare soltanto il tiro di sbarramento e si era riservato la facoltà di dare lui direttamente l'ordine di aprire il fuoco al comandante dell'artiglieria del suo C.d'A. Nella notte del 24 il colonnello Cannoniere chiese a Badoglio l'autorizzazione per aprire il fuoco alle 2.00 e Badoglio rifiutò trattenendosi a Cosi, a tre chilometri dal Comando di Artiglieria.153 Ma nel momento in cui pensava si stesse sviluppando l'attacco delle fanterie, a Badoglio non riuscì di impartire l'ordine poiché tutte le comunicazioni con quel comando erano state interrotte dal precedente bombardamento nemico dalle 2.00 alle 6.00.
"Pare che il Capello credesse soltanto nel fuoco di sbarramento: poco tiro di contropreparazione e violentissimo fuoco di sbarramento diretto sulle masse attaccanti."
154 E Badoglio lo seguì come suo allievo adottando questa tattica! "Il Capello stesso nel suo libro Per la verità ammette che circa <i provvedimenti per l'esecuzione del tiro di contropreparazione, gli ordini furono da me dati in linea generale.>"155 confermando quindi che non diede l'ordine per il fuoco di contropreparazione: infatti la sua espressione in linea generale non aveva alcun valore pratico ed era in netto contrasto con l'ordine tassativo di aprire il fuoco alle 2.00.
Per il tiro di contropreparazione il Comando Supremo aveva distribuito i compiti "... fra i gruppi e le batterie che avrebbero dovuto iniziare il fuoco su questo o su quell'obbiettivo a seconda delle richieste delle grandi unità o delle designazioni del comando d'artiglieria. Forse l'errore è in questa disposizione. Rotti ed annullati tutti i collegamenti (telefoni, eliografi, radio, piccioni viaggiatori), le richieste non vennero, e le batterie non fecero fuoco."
156
In seguito alla mancanza del tiro di contropreparazione furono così risparmiati i luoghi di concentramento delle truppe nemiche,
157, i depositi vicini e lontani, le strade di marcia, gli osservatori dell'artiglieria nemica, tutti obbiettivi in gran parte noti ai due corpi d'armata (IV° e XXVII°) che fronteggiavano l'armata di von Below. "La cosa sfiora l'incredibile se si pensa che, nella sola testa di ponte di Tolmino, in uno spazio, seppure montuoso, di dieci chilometri in linea d'aria per tre, nella notte dal 23 al 24 ottobre dovevano esserci siepi di cannoni e quasi centomila uomini."158 E pensare che sul fronte della IIa Armata lo schieramento dell'artiglieria era rimasto offensivo, e cioè con i pezzi schierati in posizione avanzata e quindi più esposta in caso di offensiva nemica; questo schieramento era favorevole per quel tiro di contropreparazione che però non fu effettuato.
Quanto al tiro di sbarramento, l'artiglieria italiana non s'era mai trovata a dover far fuoco contro truppe mobili in marcia, era abituata cioè a sparare contro obbiettivi fissi, così che gli Austriaci ebbero istruzioni di avvicinarsi alle nostre prime linee marciando sotto l'arco delle traiettorie nemiche. Ma non furono ostacolati da alcun fuoco sul fronte del XXVII° C.d'A. Il tiro di sbarramento da effettuare con i calibri minori doveva iniziare automaticamente, appena il nemico avesse accennato a muoversi e, dopo gli ordini tassativi impartiti in proposito, non sarebbe dovuto assolutamente mancare. L'automatismo risultava indispensabile proprio per ovviare al caso in cui le comunicazioni fossero interrotte dal bombardamento avversario. Badoglio con la sua assurda riserva annullò questo automatismo e le fanterie nemiche avanzarono senza danno. Quella "... artiglieria che sul Carso e sulla Bainsizza aveva tempestato sulle forze nemiche sino a farne crollare il morale era adesso praticamente silenziosa."
159
"Tenevamo quelle posizioni da trenta mesi contro un nemico che, almeno per la metà (soldati germanici) non le aveva mai viste. Nessuna giustificazione, a nostro avviso, può pertanto scusare questa imperdonabile deficienza, che fu indubbiamente una delle maggiori cause contingenti della sconfitta.
160
• Cattivo impiego delle riserve. Una poderosa azione offensiva ha sempre buone probabilità di creare qualche rottura nello schieramento difensivo avversario ed è quindi buona norma preparare adeguate riserve per contrastare lo sfondamento, fermarlo e poi annullarlo. Le riserve possono essere strategiche o tattiche. Le riserve strategiche sono costituite a distanza
161 dal fronte di combattimento così da poter essere utilizzate in modo concentrato con un effetto di manovra che, in genere, colpisce il fianco o i fianchi del nemico avanzante. Le riserve tattiche sono costituite subito dietro la linea del fronte o nelle sue immediate vicinanze per rinforzare alcune posizioni e soprattutto per effettuare contrattacchi locali.

 

 


RISERVE STRATEGICHE.

 

 

L'esperienza "... portava a ritenere che fosse fallace speranza il ripromettersi di resistere su linee soggette a violenti bombardamenti nemici e che, a meno d'insufficienza di mezzi o cattivo impiego dei medesimi, l'attaccante riusciva quasi sempre a penetrare nel sistema difensivo dell'avversario per una profondità che poteva raggiungere anche i dieci chilometri nelle 24 ore."162 In questo caso assumeva importanza capitale la disponibilità di un'adeguata riserva strategica. Se con le riserve tattiche si poteva cercare di contenere e ritardare il nemico, era soltanto con quelle strategiche che si sarebbe riusciti a fermarlo definitivamente. Infatti a salvare la situazione nel 1916 era stata la riserva strategica raccolta nella pianura veneta che ammontava a ben cinque corpi d'armata, più di 130 battaglioni corrispondenti a circa 90.000 uomini!
Nel 1917 in alcuni tratti del fronte attaccato dagli Austro-Germanici tra Tolmino e la conca di Plezzo l'esistenza delle tre linee difensive quasi sovrapposte l'una all'altra "... faceva sì che il problema della difesa, da tattico, diventasse subito strategico quando l'irruzione nemica, com'era prevedibile, fosse felicemente riuscita." 163
Perciò nell'ottobre 1917, in previsione di una offensiva nemica, sarebbe stato necessario disporre di una riserva strategica molto forte e per conseguenza effettuare una radicale rettifica della fronte occupata dalla IIa e IIIa Armata.
Invece non vi fu la disponibilità di alcuna riserva strategica proprio per la mancanza di un piano complessivo di difesa, che l'incredulo CS italiano, sorpreso dagli eventi, non poté preparare.
In realtà una riserva strategica esisteva, ma era collocata in posizione eccentrica rispetto all'asse della penetrazione nemica e Cadorna non si curò di spostarla, ma la mantenne tra Cividale e Palmanova, cioè troppo in basso e troppo a ridosso rispetto all'offensiva nemica. Per rivelarsi efficace la riserva strategica sarebbe dovuta collocarsi in posizione "centrale sul medio Tagliamento."
165 La riserva strategica non fu spostata dapprima per la scarsa valutazione dello sforzo nemico da parte del CS, che in seguito rimase incerto circa l'effettiva direzione dell'attacco degli Austro-Germanici.
"Quando il Comando supremo si convinse delle intenzioni del nemico era troppo tardi per una radicale modifica del fronte... Ma sarebbe stato tuttavia possibile spostare le riserve, specie quelle del Comando supremo."
166 Non si comprende perché il CS non le abbia portate più a nord, specie quelle che erano attorno a Palmanova. Probabilmente perché Cadorna riteneva l'offensiva nel settore di Tolmino una finta, mentre il vero attacco sarebbe avvenuto sul Carso.''167 Infatti "Il Comando Supremo alle 12,15 (del 24 ottobre) prometteva ancora alla IIIa Armata un nucleo di batterie da sottrarsi alla IIa nel caso che l'attacco nemico si pronunciasse essenzialmente sul fronte della IIIa Armata."168 "Solo nel pomeriggio del 24 il Comando Supremo comprese chiaramente la direzione principale dell'attacco avversario, senza tuttavia avere subito chiara la visione della situazione."169 Se Cadorna avesse 'sospettato', dato il giusto peso alla presenza delle truppe germaniche e quindi valutato in tempo consistenza e direzione dell'attacco nemico, avrebbe probabilmente preso qualche provvedimento mirato, come la costituzione di una forte riserva generale a Udine e/o il ritiro delle truppe dalle prime linee per rinforzare le seconde. Quindi ancora difetto d'informazioni a vantaggio della piena riuscita della sorpresa austriaca! Il Martini nel suo diario riporta il giudizio di un ragguardevole numero di ufficiali, da generali a sottotenenti: "Non è giusta, secondo loro la, sia pur decorativa unicamente, promozione170 di Cadorna, il quale se non tutte quelle che gli si imputano, ha anch'egli colpe non lievi. Come, con più di tre milioni di uomini, non seppe o non volle mai comporre un'Armata di riserva?"171 E ancora, in data 1 dicembre 1917: "Dei molti ufficiali veduti ieri, non uno solo che si erigesse a difensore di Cadorna. Alcuni ne parlavano con deferenza e con rispetto; ma neppure essi lo scusavano del non aver provveduto a un'Armata di riserva."172

 

 


RISERVE TATTICHE.

 

 

 

Mentre le riserve strategiche dovevano essere a disposizione del CS, le riserve tattiche furono assegnate sia al Comando della IIa Armata sia al Comando di Corpi d'Armata, vedi p. 290. Nel complesso furono assegnati 60 battaglioni: 42 al Comando della IIa Armata (Capello), 12 al Comando del IV° C.d'A. (Cavaciocchi) e 6 al Comando del XXVII° C.d'A. (Badoglio).
La mancanza di un piano difensivo che combinasse l'intervento di riserve strategiche e tattiche con l'impiego della manovra, condizionò come abbiamo visto l'azione della difesa sul fronte Plezzo-Tolmino. Essa fu basata collocando in extremis le riserve tattiche della IIa Armata in alcuni punti a ridosso della linea del fronte; ma l'assenza di pianificazione fece sì che tutte queste assegnazioni straordinarie di truppe invece di essere utilizzate in modo unitario e concentrato verso un obiettivo ben preciso con dei contrattacchi, fossero impiegate a spizzico e bocconi e distratte verso emergenze difensive locali di secondaria importanza. Così la 34a Divisione assegnata a Cavaciocchi (IV° C.d'A.) non fu utilizzata per un deciso contrattacco nella zona di Caporetto, ma smembrata verso quattro interventi diversi. La Brigata Napoli assegnata a Badoglio (XXVII° C.d'A.) non fu utilizzata per sbarrare il fondo valle dell'Isonzo all'altezza della stretta di Foni, non difese il Passo Zagradan né la testata dello Judrio, e non fu neppure utilizzata per una vigorosa azione controffensiva, ma vide i suoi due reggimenti separati e consumati inutilmente per guarnire in modo statico la linea di difesa d'armata ormai compromessa. La Brigata Puglie restò inattiva senza ordini per tutto il mattino del 24 e quindi nel momento critico, quando un suo intervento controffensivo avrebbe potuto assumere grande importanza. Anche l'intervento del VII° C.d'A., assegnato a Capello come riserva d'Armata e forte di 30 battaglioni, si dissolse senza assolvere ad alcuno dei suoi compiti, per inadeguatezza del Comando (Bongiovanni).
In conclusione, le riserve strategiche del CS non intervennero nella battaglia dell'ottobre 1917. Quelle tattiche, assegnate al Comando della IIa Armata (Capello), al IV° e al XXVII° Corpo d'Armata (Cavaciocchi e Badoglio), erano insufficienti per numero e qualità
173 e, "... data la loro vicinanza alle linee, furono subito contagiate nel morale dai fuggiaschi e dagli sbandati." 174 Così non furono utilizzate da sole o in combinazione con le truppe di linea per un contrattacco in nessuna posizione del fronte intaccato il 24 ottobre e, soprattutto, nel fondo valle contro i Germanici avanzanti verso Caporetto. Queste riserve rimasero in alto e lì furono sconfitte!

 

 

 


APPENDICE 1: CARZANO SETTEMBRE 1917
 

 

 

Carzano, la più grande occasione che ebbe il Comando Supremo per effettuare una brillante operazione di Blitzkrieg, uscire dalla stasi della atroce, sanguinosa guerra di trincea e ottenere un successo strategico di vaste proporzioni. Carzano è una borgata della Valsugana situata sulla sinistra del Brenta e sulla destra del torrente Maso a 2 km dalla confluenza dei due corsi (Cartina 9). Nel maggio 1917 vi passava la linea del fronte austriaco difesa da una sola divisione, la 18a su due brigate, che aveva di fronte il XVIII° C.d'A. italiano (generale Etna) su due divisioni: la 51a (generale Di Giorgio) e la 15a (generale De Bono).
La posizione austriaca di Carzano era tenuta da un battaglione della CLXXXIa Brigata austriaca composta da soldati bosniaci. Un gruppo di questi, per ostilità al dominio austriaco sulla loro terra, si coalizzò per offrire agli Italiani la possibilità di penetrare di sorpresa entro le linee austriache. Si mise quindi in contatto il 15 luglio con le truppe italiane che aveva di fronte offrendo copia delle carte topografiche austriache, con il dettaglio dello schieramento delle truppe e di ogni postazione sia di mitragliatrici sia di artiglierie che dovevano essere annientate durante un assalto notturno.
Inizialmente gli Italiani dovevano penetrare fino a Carzano e subito dopo a Telve per conquistarvi le batterie impedendo reazioni di fuoco. Successivamente la breccia doveva essere allargata in modo da permettere alle truppe italiane di usufruire della strada del fondo Valsugana per completare in campo strategico la sorpresa tattica arrivando a Trento.
La proposta fu portata all'attenzione di Cadorna che l'accettò. Il CS italiano predispose un piano d'azione che prevedeva uno sfondamento operato da una divisione, al comando del generale Zincone, suddivisa in 12 colonne pari a circa 10.000 uomini. Lo sfruttamento di questo successo tattico doveva essere realizzato da parte di una poderosa colonna composta da ben due divisioni al completo. "Oltre a queste truppe, Cadorna aveva concentrato più a tergo, fuori da ogni occhio indiscreto, battaglioni di bersaglieri ciclisti, colonne di autobatterie, di automitragliatrici, di camion per il trasporto truppe, il tutto sparso nella Conca di Tesino e in quelle di Arsiè e Seren.
174
Il CS aveva quindi preso molto seriamente l'opportunità che gli veniva offerta di trasformare un successo tattico locale in una manovra strategica ad ampio raggio, che avrebbe potuto far crollare il fronte austriaco del Trentino nel suo complesso e con tutta probabilità compromettere quella offensiva austriaca sulla Fronte Giulia che comportò per gli Italiani, di lì a circa un mese, la sconfitta di Caporetto.
L'azione scattò nella notte tra il 17 e il 18 settembre. Carzano e Telve furono subito occupate e il presidio fu catturato; tutto si svolse regolarmente fino all'intervento della sesta colonna, poi il disastro! Le truppe delle sei colonne successive dovevano percorrere circa 12 km proveniendo da Strigno, ma un assurdo, inspiegabile ordine invece di inoltrarle lungo la strada carrozzabile Strigno-Spera-Carzano, larga 3 metri, le mise in marcia lungo un camminamento largo 80 cm dove si intasavano provocando un enorme ritardo rispetto ai tempi previsti per l'azione. Nel frattempo i soldati austriaci fuggiti da Telve verso Borgo (Valsugana) avevano dato l'allarme e all'alba si manifestò la reazione nemica. Così il Comando italiano alle prime cannonate austriache ordinò la ritirata.
In realtà il CS italiano aveva preparato un piano basato sulla quantità, ma aveva trascurato la qualità delle truppe, che non erano addestrate per un'azione di sorpresa notturna, e aveva prescritto ordini di operazione che avrebbero limitato la libertà di movimento e quindi quella velocità d'azione delle varie colonne che era nelle premesse del piano.
Inoltre aveva assegnato il comando dell'operazione ai generali Etna e Zincone,
175 con esperienza consolidata nella guerra di trincea, trascurando ufficiali di grado inferiore che, provenendo da truppe ben addestrate alla sorpresa e al movimento come gli Arditi, sarebbero stati più adatti a realizzare il piano molto complesso che richiedeva agilità mentale e prontezza di decisione in corso d'opera. Come dimostrarono poi le truppe austro-germaniche che sfondarono le linee italiane a Caporetto circa un mese dopo.
Il generale Cesare Pettorelli Lalatta, che aveva tenuto i contatti con i Bosniaci e preparato il terreno per l'intervento italiano contro Carzano, racconta così la sua disperazione alla notizia dell'ordine di ritirata: "Caddi affranto su una sedia e piansi. Tutto lo sforzo di quegli ultimi mesi, tutte le fatiche, tutte le notti perdute si abbatterono come di schianto sulla mia tenace volontà: la partita era perduta, il sogno svanito. Appena rimessomi raggiunsi la piazzetta; giungeva in quel momento, portato da altri due intercettatori, un mio guardafili: il soldato Corso. Esangue disteso sulla barella con la morte già negli occhi, egli mi sorrise: <peccato, mormorò, ero così felice d'essere venuto>. E gli occhi gli si chiusero per sempre."
177
"Nel combattimento le perdite furono di 13 ufficiali e 896 uomini. La relazione austriaca asserisce che furono sepolte 4 salme di ufficiali e 350 bersaglieri; furono inoltre catturati 5 ufficiali e 132 bersaglieri ciclisti. Gli austriaci perdettero 10 ufficiali e 306 uomini."
178
Per stabilire le cause dell'insuccesso fu insediata, more italico ben consolidato, una commissione di inchiesta che riconobbe le colpe dei comandanti Etna e Zincone, che furono esonerati. Quindi ancora un gravissimo caso di truppe malcomandate e qualche colpevole d'occasione, ma la vera colpa, quella del CS, ovviamente non fu rilevata. Il Comando Supremo non era riuscito a trasfondere nei comandanti prescelti lo spirito necessario all'ottimale realizzazione dell'impresa e non aveva verificato se le predisposizioni e gli ordini esecutivi fossero o meno all'altezza degli obbiettivi da raggiungere. Ripetiamo qui, a confronto, come si comportò von Below per attuare l'offensiva nel successivo ottobre sulla fronte isontina: "Emanati gli ordini per l'azione, nel periodo che precede l'offensiva, Below continua a muoversi dall'una all'altra delle unità poste ai suoi ordini per verificare da vicino, con i propri occhi, che le direttrici dell'azione fossero state capite e l'esecuzione delle azioni corrispondenti avvenisse nei tempi e nei modi richiesti."
179 Niente di tutto questo da parte del nostro CS per Carzano, e purtroppo, neanche per Caporetto poco tempo dopo!
 


 

Mario Troso
 

 

 

 

Note:

1 (SMC110)
2 'Nessuno' è riferito al nostro Stato Maggiore dall'agosto 1914 al maggio 1915.

3 (PG11-14)

4 (CE39/41) Settore della Fronte Giulia sull'alto Isonzo tenuto dal IV C.d'A. (Cavaciocchi) appartenente alla II Armata (Capello).

5 Il piano del generale Franz Conrad von Hoetzendorf, capo di Stato Maggiore dell'esercito austriaco, fu sottoposto ai generali Paul Ludwig von Beneckendorf e von Hindenburg, capo di Stato Maggiore dell'esercito tedesco e Erich Ludendorff, primo quartiermastro generale dell'esercito tedesco; il piano fu ritoccato dal tenente generale Konrad Krafft von Dellmensingen, capo di Stato Maggiore della XIV Armata austro-tedesca al comando del generale Otto von Below.

6 19-28 agosto 1917, costata 40.000 morti, 10.800 feriti e 18.000 dispersi.

7 "Adesso sto una quindicina di giorni a Vicenza, verso il 20 tornerò." (GA250) Così si esprime Cadorna il 4 ottobre prima di lasciare Udine: questa pianificazione dimostra la sua assoluta tranquillità nel decidere di assentarsi per un lungo periodo.

8 Parodiando Dante Alighieri, Divina Commedia, Purgatorio, VII, 121!

9  (PP137)

10 D'altra parte "Cadorna aveva concezioni strategiche semplici e chiare... Ma non aveva sensibilità per la guerra minuta... Altri avrebbero potuto metterlo sull'avviso, ma intorno a lui c'era il vuoto intellettuale." (SMC109)

11 (SMC110)
12 E il dissidio restava piuttosto nel piano strategico. Così ad esempio mentre Cadorna aveva in mente che l'attacco dalla Bainsizza doveva mirare all'altopiano di Ternova per prendere al rovescio le colline dell'anfiteatro goriziano, Capello invece mirava a Tolmino per eliminare la testa di ponte austriaca. Comunque i rapporti tra Cadorna e Capello si erano via via deteriorati a partire dal tempo della presa di Gorizia quando Capello aveva ingiustamente accusato il Cadorna di non avergli dato i mezzi per sfruttare il successo. Ora le conseguenze gravissime di questa situazione furono due: 1) Cadorna lasciò al suo subordinato già per temperamento portato ad abusarne una sempre maggiore libertà d'azione; 2) i contatti personali divennero sempre più rari. (PP-RG235)
13 (GA251)

14 "Il generale Capello avrà i suoi torti anche lui. Nessuno è perfetto. Trattava male i soldati, è vero: ma i documenti che ora sono nelle mani della Commissione d'inchiesta provano il valore suo, la sua preveggenza. Quando tutti dicevano che la manovra austriaca di grande stile non sarebbe avvenuta, egli (e, ripeto, ciò risulta dai documenti) il 9 ottobre dichiarò essere persuaso che il nemico avrebbe attaccato entro dieci giorni..." (MF1164) Così scrive il Martini nel suo Diario in data 30 aprile 1919, ma sbaglia nel giudizio! A chi ha la responsabilità operativa di centinaia di migliaia di uomini non basta la preveggenza, ma occorre anche la concretezza e l'efficacia dei provvedimenti che in questo caso mancarono.

15 (CE76)

16 Mancano nove giorni all'attacco nemico! Il Capello sta ancora parlando di un'ipotetica controffensiva di là da venire senza rendersi conto che mancherebbe comunque il tempo per prepararla.

17 Verso il Veliki Celo a nord oppure verso Ravnica a sud.

18 (CE82)

19 Le notizie erano raccolte dall'Ufficio Informazioni a Roma che le passava all'Ufficio Informazioni presso il Comando Supremo. Questo le interpretava e le passava all'Ufficio Situazione che, effettuata una diagnosi, la passava all'Ufficio Operazioni d'Armata per le decisioni da prendere: piani e contropiani di battaglia. Secondo il Silvestri l'Ufficio Informazioni del Comando Supremo non era mai d'accordo con gli altri due! (SMI308)

20 Sorpresa aggravata dal fatto che Cadorna, pur rendendosi conto sebbene in ritardo dell'offensiva nemica, non volle mai credere che fosse di forte intensità.

21  Era quella stabilita alla conclusione della guerra del 1866 che aveva costretto l'Austria a cedere all'Italia il Veneto.

22 "II primo settembre 1917, dopo un uragano di fuoco durato soltanto cinque ore, le truppe tedesche (otto divisioni di fanteria e due di cavalleria) agli ordini del generale von Hutier (ottava armata) attaccarono una testa di ponte russa a Riga, sulla Drina... Le difese russe, paralizzate dall'improvviso bombardamento a saturazione, crollavano mentre le divisioni di Hutier  s'infiltravano e fluivano verso l'interno in piccoli distaccamenti." (BC391)

23 Sinistra e destra guardando verso il fronte di combattimento quindi verso il nemico.

24 Quelle che il Comando Supremo italiano inserirà all'ultimo momento come rinforzi, le tre divisioni del VII C.d'A.: 62a e 43a sul Kolovrat e la 34a a Caporetto.

25 (FF206)
26 Questo sì che era un sistema adeguato per preparare, verificare, controllare e per dare fiducia alle truppe che sentivano il polso di una competente, sicura guida!
27 (FF211)
28 (GA258/259/260)
29 Il Gatti e il Gabba facevano parte dello Stato Maggiore.

30 Lo schieramento offensivo comporta dislocazione più avanzata per uomini, artiglierie e servizi rispetto a uno schieramento difensivo.

31 Il comando della IIa Armata passa al generale Montuori.

32 Però in data 20 ottobre Gatti annota: "... le voci di un'azione nemica vanno prendendo sempre più piede." (GA253)

33 Al generale Luigi Bongiovanni è appena stato assegnato il comando del VII C.d'A. che dovrà costituire una riserva da collocare sul Kolovrat, subito dietro il Monte Jeza.

34 Il generale Enrico Caviglia comanda il XXIV C.d'A. schierato alla destra del XXVII (Badoglio).

35 Il generale Alberico Albricci comanda il XII C.d'A., zona Carnia.

36 (MA94)

37 Ma non in fondo valle!

38 (CE52)

39 "La situazione nostra, risultante da un lungo concatenamento di eventi e di pensieri, non poteva essere mutata da una rivelazione casuale dellultimo giorno." (VG79)

40 (BR128)

41 (BR80)

42 Gli attaccanti godettero di due circostanze eccezionali: "... il silenzio dell'artiglieria italiana non dovuto ai gas asfissianti, ma a precisi ordini dei nostri comandi; e il cervellotico schieramento delle nostre truppe, che mancavano proprio lungo le direttrici d'attacco scelte dal nemico e da noi perfettamente conosciute." (SM296)

43 "La divisione Amadei, ha il comando a Smast ed una linea veramente miserabile da difendere: astrusa, illogica, discontinua, pericolosissima. Tutta dominata dal nemico: la vita vi si svolge, come si può, solamente di notte." (CA130)

44 "La sensibilità delle truppe, in simili condizioni, è assai forte. Esse s'accorgono del pericolo imminente dal nervosismo dei comandanti, e sentono nell'aria approssimarsi il vento della sconfitta." (CE107)

45 Capello ammalato di nefrite era a letto dal 4 ottobre. Il 19 da Cormons si trascinò a Udine per incontrarvi il Cadorna; il 20 ottobre lasciò il comando per ricoverarsi a Padova e fu sostituito dal Montuori. Riprese il comando a Cividale alle 2.30 della notte del 23 per lasciarlo definitivamente nel tardo pomeriggio del 25 partendo da Udine per Verona.

46 (MRS 5)

47 (SMC98)

48 "Il corpo d'armata più raffazzonato era però il VII° corpo, costituito appena il 18 ottobre." (SMC143) Fu messo a disposizione della IIa Armata in tale data. Ad esso erano stati assegnati troppi compiti e con poca chiarezza. Mancò inoltre ogni collaborazione tra il VII° C.d'A. e i due C.d'A. in prima linea: IV° e XXVII°.

49 (CE85)

50 Noi cercavamo di chiudere tutte le finestre e lasciavamo le porte spalancate: difendevano i sentieri alpestri e trascuravamo le vie maestre." (CE116) Del resto questo era il pensiero dominante. Capello affermava: "E ripeto ancora una volta: truppe nelle mani per la manovra... Le riserve collocate in alto sono le più efficaci e ciò è intuitivo perché la discesa è più facile dell'ascesa." (SM355)

51  Adriano Alberti rileva giustamente come lo schieramento di queste truppe non sia "... uno scaglionamento, ma un frazionamento in profondità." (AA137)

52 Il tenente Erwin Rommel, lo stesso che come generale nostro alleato comanderà nel 1941 in Libia l'Afrika Korps germanico contro i Britannici, faceva parte del battaglione da montagna del Wuerttemberg, inserito nell'Alpenkorps germanico comprendente anche la Brigata Jager bavarese. Il battaglione da montagna era composto da 6 compagnie e 3 compagnie di mitragliatrici pesanti. Rommel era al comando di un distaccamento composto da 3 compagnie e una compagnia mitragliatrici.
53 Quindi incuria totale! Anche gli addetti non sospettano.
54 (RE234)
55 (RE235)
56 Dellmensingen parla di Treubruchgas, il gas dei fedifraghi con allusione all'abbandono della Triplice Alleanza da parte dell'Italia nel 1915 per passare dalla parte della Triplice Intesa (Francia-Inghilterra-Russia).

57(PP-RG320) Il tenente generale Krafft von Dellmensingen era il CSM della XIV Armata austro-germanica.

58 Orazi, nome di tre fratelli che sotto il regno di Tullio Ostilio combatterono contro tre cittadini di Alba, detti Curiazi per decidere una guerra tra i Romani e gli Albani. Due degli Orazi furono uccisi. II terzo finse allora di fuggire e i Curiazi lo inseguirono; ma essendo essi tutti diversamente feriti, non correvano del pari: quindi Orazio si voltò e combattendoli uno per volta li uccise tutti e tre rimanendo così vincitore." (PF218)

59 (VG96)

60 (VG97)

61 (FE46 )
62 (FE52/53) Se i generali Arrighi e Farisoglio fossero stati dotati di un po' d'istinto militare e di spirito di iniziativa avrebbero dovuto ordinare non la ritirata delle loro divisioni, bensì il loro organizzarsi per un attacco sul fianco delle truppe nemiche marcianti in fondo valle. Ma Cadorna non aveva mai cercato di suscitare nei suoi subordinati lo spirito di iniziativa!

63 "Con giubilo gli Austriaci si accorgono che Saga, questa Termopili dell'alto Isonzo, è evacuata senza lotta dall'italo discendente di Leonida, il generale Arrighi!" (SMC168)

64 (FE55)
65 L'avanzata effettuata il 24 ottobre dalle truppe austro-germaniche "... fu dovuta allo slancio, all'iniziativa dei comandi di minori reparti, fino al battaglione; pochi comandanti di reggimento poterono influire sullo sviluppo dell'azione, e nessun comando di divisione: lo ammette il Krafft von Dellmensingen. I comandi superiori si limitarono a spingere innanzi i reggimenti di seconda linea e le divisioni di riserva." (FE68/69)
66 (SMC196)
67 (BF111)
68 (BF106)
69 La gravità della situazione dipendeva dal fatto che dietro al fronte sfondato non erano disponibili forze adeguate a contrattaccare l'avversario. (MOA115)
70 (BR95)
71 "... l'intero VII corpo d'armata (Bongiovanni), che aveva assistito inerte, male informato e peggio manovrato, alla tragedia che si era svolta sul proscenio." (SMC176) "... il comando del VII corpo, nonché organizzare la punta su Idersko, nulla seppe fare e subì l'iniziativa nemica, dalla quale fu travolto e inghiottito." (Ivi)

72 Come nel 1848, nel 1859 e nel 1866!

73 L'esercito italiano nella grande guerra (1915-1918), vol. IV t. 3 pp. 307/308. Roma 1939-1954. In (SMC165)
74 (BR129)
75 Secondo lo scrittore Carlo Emilio Gadda, che lo aveva avuto suo comandante sul fronte trentino, "Un perfetto asino... Non ha mai fatto una visita di quartiere; non s'è mai curato di girare fra gli alloggiamenti dei soldati." (In SMC97)
76 Alla sera del 24 Badoglio non aveva più alcun Comando: la 19' Divisione era distrutta e le tre divisioni sulla Bainsizza, senza ordini, erano state assegnate dal CS al XXIV C.d'A. (Caviglia).
77 Similmente a quanto accaduto sia nel 1859 nella battaglia di San Martino, con Vittorio Emanuele II in continuo peregrinare e dunque irrintracciabile, sia nel 1866 nella battaglia di Custoza con La Marmora e il suo insensato andare e venire che aveva lasciato l'esercito senza ordini!
78 A quell'ora, per iniziativa del maggiore Cantatore la Brigata Puglie ricevette l'ordine di occupare la linea d'armata che però tra Pusno e Srednie era ormai in mano ai Germanici.
79 (PP-RG357)

80 Il bollettino era stato stilato su misura del pensiero di Cadorna che già il 25 ottobre aveva scritto al figlio: "Carissimo, gli avvenimenti precipitano. Le truppe non si battono. Così stando le cose è evidente l'imminente disastro." (CL230)
81 Vedi il primo telegramma inviato da La Marmora a Cialdini il 25 giugno 1866 a conclusione della battaglia di Custoza. Vedi pp. 246-247.
82 "Capello, che tutti riconoscevano come ottimo generale di divisione e buon comandante di corpo d'armata, rivelava in quei giorni i suoi limiti come comandante della nostra più grande armata: quasi 700.000 uomini." (SMC122/123) Insomma anche lui, secondo il Principio di Peter, era salito fino al livello della sua incompetenza!
83 "...ma Badoglio era l'espressione di una società militare tipica dell'epoca, erede della testardaggine delle scuole piemontesi, cresciuta in un ambiente di chiuso provincialismo, senza contatti e confronti internazionali, di cultura umanistica scarsissima e limitata, priva di immaginazione e di estro." (BS14)
84 "A Caporetto, se vi fu colpa, fu colpa di comandanti, non di soldati. Lo sbandamento dei reparti fu conseguente all'apertura della falla... Mio padre più d'una volta rivivendo quelle giornate, mi raccontò episodi impressionanti di soldati che fuggivano piangendo e di reparti che sembrava avessero perso ogni freno disciplinare, ma che tornavano ad ubbidire al primo comandante disposto a basare la propria azione di comando sull'esempio." Così scrive il figlio del maresciallo Cavallero che all'epoca faceva parte della segreteria del Cadorna e visse in prima persona quegli eventi. (CC22)

85 Il re Vittorio Emanuele III nel Convegno di Peschiera dà la colpa del disastro a fattori tecnici e ammette la responsabilità del Comando Supremo.
86 Il 27 ottobre 1917 Martini scriveva nel suo Diario: "Si ha l'impressione di un disastro prodotto da imprevidenze pari a quelle dell'anno scorso sulla fronte trentina." (MF, 1022) Martini
..fu più di un ministro delle colonie nel primo ministero Salandra, fu il politico più impegnato e deciso in seno al governo nel sostenere le ragioni dell'intervento." (MFXX)
87 (CS46)
88 (RP114 e 117)

89 Commisione d'Inchiesta, Relazione: Dall'Isonzo al Piave. Roma 1919
90 (FF202)
91 (FF202)
92 (CA366)
93 Dati della Commissione d'inchiesta: "... per più della metà, elementi organicamente disarmati, salmerie, attendenti, sanità, sussistenza, trasporti, ecc. e per circa 50.000 disertori all'interno." (CA366)
94 Dati della Commissione d'inchiesta (SMC229/230). Secondo Silvestri i prigionieri italiani tra il 24 ottobre e il 4 novembre 1917 si ripartiscono così: 11.650 IV Armata (5,1%), 19.600 Zona Carnia (21,5%), 27.650 III Armata (9,1%), 202.000 II Armata (30,3%), per un totale di 260.900 uomini. Le percentuali sono riferite alla forza iniziale dei corpi. (SMC230) Come abbiamo visto i soldati italiani combattenti impegnati sul fronte dell'offensiva nemica erano circa 70.000. I 10.000 uccisi e i 30.000 feriti sarebbero da ascrivere per la maggior parte a questi combattenti.
95 (PP149)

96 (FF198)
97 (RGC124/125)
98 (RGC128)
99 Come farà l'anno successivo, nell'autunno 1917!
100 (RGC134)
101 Questa armata avrebbe dovuto intervenire nel caso il nemico fosse sboccato in pianura.
102 (PP160/161)
103 Tanto che Capello nel suo Memoriale poteva scrivere: "E' noto come fino al 18 ottobre il pensiero del Comando si fosse decisamente rivolto all'offensiva. II giorno 20 mi veniva ordinato di rinunciare al concetto della controffensiva strategica" (SM225)
104 (DK157)
105 (SMC98)
106 Cadorna avrebbe dovuto dedicarsi a questa preparazione invece che andare a Vicenza. ''Purtroppo soltanto nell'ottobre 1918 la truppa avrebbe costatato per la prima volta che l'addestramento era coerente con l'esperienza di guerra." (SM311)
107 (CA96)

108 (SMC109)

109 (FE78)
110 (SMC107)

111 (CE121)
112 (BR71)
113 (SMC128)
114 (BR56)
1115 (BR41)

116 (GA252)

117 (SM297)

118 (BF110)

119 Dalla II Armata dipendevano sei c.d'a. in linea (IV, XXVII, XXIV, II, VI, VIII) e tre c.d'a. in riserva (XIV, XVIII e VII). (Cartina 2)
120 (FF210)
121 (SM294)
122 (SM359)
123 (SMC137)
124 (SMC148/149)
125 (BR46)
126 (DG57)
127 Silvestri commenta: "... Montuori... era certamente un pasticcione. e come tale si comporti in quelle ore decisive." (SM369)
128 "Certo una cosa è palese: la mancanza d'assiduità di questi comandi alla fronte, l'inefficace o nulla sorveglianza esercitata dai comandi in sottordine." (GC124)
129 (FF211)
130 Silvestri nel suo libro Caporetto una battaglia e un enigma fa risalire ai fatti di Caporetto l'esistenza di un'Italia 'caporetta', quella dell'ultimo momento e della mancanza di organizzazione, che si perpetua nel tempo! (SMC272)
131 (GA258)
132 (CA152)
133 (SM416)
134 (PL50)
135 (CL227)
136 (MOA189)
137 "Sul Leische Vrh il 207° fanteria offre tenace resistenza alla marcia della Guardia Bavarese, 10.30 del 24 ottobre, ma la minaccia di aggiramento fa però ripiegare i difensori." (CA138) "Il gruppo centrale (200' Divisione tedesca) urta il 24 ottobre contro la ridotta dello Jeseniak, dove il 126° della Spezia resiste fino alle 14,30, ripiegando soltanto sotto seria minaccia di avvolgimento dalla destra." (CA140). Ma a Caporetto "... la resistenza non può durare: un battaglione nemico aggira al largo l'abitato da ovest, verso Svina e Suzid, ed i difensori ripiegano su Staro Selo." (CA135)

138 (BF113)
139 I provvedimenti tumultuari, ostacolati dall'urgenza e dalla preoccupazione> si sommarono alla riluttanza degli ufficiali italiani assai spesso coraggiosi e persino temerari quando fischiavano le pallottole, ad assumere responsabilità ed agire di propria iniziativa." (FF206). Nell'esercito guidato da Cadorna chi prendeva iniziative era piuttosto punito che premiato. Quindi i comandanti preferivano agire in base a ordini precisi e senza interpretazioni. Sempre meglio avere una pezza d'appoggio sulla quale scaricare le responsabilità non prese, piuttosto che correre dei rischi assumendole!
140 (CA377)
141 (RE284)

142 (CE in DK32)
143 (SMC106)

144 (SMC107)
145 Vedi p. 340 Appendice.
146 (SM236)
147 (Ivi) 235) e (RP104)
148 (BF110)
149 (SMC110)

150 (SM111)
151 (PP-RG324)
152 (DO153)

153 (SM355)

154 (CA120)
155 (CA121)
156 (CA119/120)
157 (RE234)

158 (FF172/173) In realtà si trattava di circa 50.000 uomini.
159 (SR178)
160 (CA121)
161 "Le riserve generali (strategiche) debbono essere tanto più lontane dalla linea scelta per la difesa ad oltranza quanto maggiori sono le forze impegnate e le estensioni delle fronti." (BR72)
162 (BR38)
163 (BR38)

164 Colloquio tra Cadorna e Capello e successiva lettera del 20 ottobre 1917: "Da questa lettera appare evidente che il Cadorna, ancora il 20 ottobre, non giudicava di essere alla vigilia di un attacco nemico in grande stile, e non contrapponeva al disegno avversario, ormai chiaro (attacco sulla fronte Plezzo-Tolmino), nessun disegno proprio..." (BR52) "Lo schieramento della II armata era, in sostanza quello con il quale era stata sviluppata l'offensiva d'agosto e l'averlo conservato tradiva l'incredulità del coniando supremo a un attacco in grande stile da parte dei nostri avversari." (BR56)
165 (PP148)
166 (BR71)
167 (SM292)
168 (MOA246, n96)
169 (MOA112)

170 Il 10 novembre 1917 Cadorna era stato sostituito nella carica di Capo di Stato Maggiore, assegnata al generale Armando Diaz, e nominato rappresentante italiano al Consiglio Militare Interalleato di Parigi.
171 (MF1060)
172 (MF1061)
173 "Non si esagera affermando che la gravità dell'insuccesso che ci ridusse malconci al Piave dipese tutto dall'insufficienza delle riserve, dalla loro errata dislocazione iniziale e dall'impiego che se ne fece." (BR69)
174 (CA95)
175 (LC132)

176 "Purtroppo, sia il generale Etna, che il suo Capo di Stato Maggiore Fenoglio non riuscirono a immedesimarsi nello spirito dell'iniziativa, non compresero fino in fondo lo scopo cui tendeva, manifestando scetticismo e freddezza, concependo l'operazione solo come un 'colpo di mano' e non come un'azione dalle più vaste finalità strategiche." (RA61)
177 (LC157) Cadorna aveva ricevuto Lalatta soltanto il 4 settembre!
178 (RA66) 1") (FF211)

 

 


BIBLIOGRAFIA DELLE CITAZIONI RELATIVE A:

BATTAGLIA DI CAPORETTO DEL 24-26 OTTOBRE 1917

 


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