Il viaggiatore illuminato

 

Marina Bressan

 

 

 

 

«La descrizione della terra ci porta alla conoscenza di Dio, il Creatore di ogni essere: quindi per la sua importanza merita una propria trattazione. è basilare e utile conoscere il mondo in cui viviamo. è spiacevole infatti e in alcuni casi vergognoso, quando si leggono giornali o libri di storia, o quando si apprende ciò che succede nella nostra quotidianità in merito a guerre, esplorazioni per terra e per mare, non sapere dove si trovano quei luoghi e di quali ricchezze sono dotati…

La geografia è necessaria a tutti, per molti indispensabile. Un regnante deve necessariamente conoscere il suo territorio, quelli vicini e quelli lontani. Nessuno può essere valido uomo di stato senza conoscere la geografia. Come può aver cognizione dei punti di forza e di debolezza dei paesi del suo sovrano e dei regnanti con cui entra in contatto, se non ha letto alcun libro geografico-politico? … Come può il teologo comprendere e spiegare correttamente le Sacre Scritture, riconoscere l’opera divina attraverso il creato e rendere edotti gli altri, se non ha nozioni di geografia? Anche per il naturalista è indispensabile; il commerciante, i cui traffici coinvolgono paesi vicini e lontani, non può farne a meno. Al viaggiatore la geografia insegna le curiosità di un particolare Paese e luogo e gli suggerisce dove deve focalizzare la sua attenzione. A tutti gli altri uomini procura utile diletto.»

Con queste affermazioni Anton Friedrich Büsching, docente all’Università di Gottinga, evidenziava il rapporto della geografia con il suo tempo. Lo «Zweckgedanke», il pensiero utilitaristico, soddisfaceva le esigenze della società del secolo XVIII, di un secolo caratterizzato dalla autotrasformazione del sistema politico, dalla dinamica e dal mutamento dei gruppi sociali, in cui prevalente era l’interesse per lo studio dei fenomeni del costume, del sapere collettivo.

Il radicato ottimismo nel progresso, nella ragione, nell’utilità che trovava l’esplicita definizione nelle esplorazioni, nella conquista di terre ancora sconosciute, nello sfruttamento di possedimenti coloniali, era supportato dalla cartografia e dall’astronomia, ma non irrilevante era l’apporto della letteratura odeporica che accanto alla descrizione dei caratteri morfologici e culturali di popoli e territori affiancava la necessità di interpretare i paesaggi e spiegare la diversità umana sulla base di conoscenze esatte applicate ad un metodo scientifico ipotetico deduttivo. Progressivamente si stava radicando nella coscienza europea l’importanza delle scienze naturali, accanto alle discipline storico-filologiche, presupposto necessario per realizzare innovazioni utili al progredire sociale ed economico, che trovavano la loro divulgazione nei nuovi strumenti rappresentati da periodici e giornali.

Lo stesso imporsi e moltiplicarsi dei viaggi, esplicazione di una nuova psicologia basata sul movimento, sull’«irrequietezza» di una nuova volontà di scoprire e di confrontare, che comportava necessariamente una presa di posizione critica, una riflessione che poneva in discussione i concetti di autorità tradizionalmente indiscussi, una rappresentazione del travaglio della società nobiliare nel trapasso da una struttura di caste chiuse ad una fondata su più liberi rapporti umani. L’apertura geo-antropologica verso l’altro, l’attenzione a civiltà diverse che avrebbe stimolato la nascita dell’antropologia e dell’etnologia, la scoperta della terra, sollecitata dall’esplorazione del globo, l’apprezzamento «dei suoi tesori e delle sue dovizie a disposizione dell’uomo, la scoperta della connessione con l’ambiente naturale e del condizionamento sul sociale, di «una sorta di struttura o dimensione complessa di natura non geofisica ma socio-politico-culturale» , si riscontrano in diversi viaggiatori più sensibili degli altri alle nuove istanze del tempo, ma ne è prova anche la rinnovata edizione in diverse lingue di dizionari geografici portatili come quello di Eachard (1749) di grande opere geografiche come quella di Büsching, prontamente tradotte in italiano e pubblicate per lo più a Venezia.

Proprio in quest’ultima città giovani editori come Giambattista Albrizzi prima e Vincenzo Formaleoni poi erano attenti all’attualità e alle curiosità geografiche. Qui, verso la metà del secolo il bisogno di un rinnovamento intellettuale, la necessità di attuare in loco innovazioni utili all’avanzamento sociale ed economico, svecchiando le rigide strutture, erano diventati insistenti, trovando in Gaspare Gozzi e Carlo Goldoni i primi sostenitori, ma invece della tanto sospirata «riforma dal basso» era prevalsa la tenace resistenza della parte più conservatrice dell’oligarchia veneziana.

«Le utopie illuministiche trovavano però terreno fertile in una schiera di fecondi intellettuali di comune provenienza piccolo nobiliare e borghese, che attraverso l’opera pubblicistica, accomunati negli intenti a colleghi italiani e stranieri, si proponevano di affiancare i rispettivi regnanti nell’arduo compito di realizzare la pubblica mitica felicità.» In questa linea si inserisce l’opera di Alberto Fortis iniziata con il Saggio d’osservazioni sopra l’isola di Cherso ed Osero (1771) e continuata con il Viaggio in Dalmazia (1774); se nel Saggio l’autore mantiene fede nell’esporre enciclopedicamente i quesiti di indagine storica e delle scienze naturali e di non affidare alcuna informazione per iscritto «prima di aver visitato ciascun paese, per verificare tutto ciò che riguarda la fisica costituzione della terra, dell’acqua, dei viventi», nel Viaggio, esempio illuminante del riformismo veneziano e del viaggiare scientifico settecentesco, Fortis si adopera a far convergere sulla Dalmazia l’attenzione della classe politica perché si attenga ai doveri di buon governo. Per raggiungere l’obiettivo si avvale di un procedere basato su proposte concrete sostenute da un’ opinione pubblica edotta sul problema, favorevole alle soluzioni presentate. L’interesse per i domini di terraferma non si acquieta: nel 1781 Vincenzo Formaleoni, attento alle nuove scoperte geografiche, al ruolo e alla peculiarità della letteratura da viaggio che riesce a penetrare fra un più largo pubblico, quale fonte di informazioni, esce con il Compendio della storia generale de’ viaggi d’Europa (1786), cui segue la Topografia veneta nello stesso anno.

Editore-autore e traduttore dal francese diffonde l’opera di Jean François de La Harpe, i cui testi in lingua originale esistevano già nelle biblioteche di buon rispetto.

Editore-viaggiatore come il veneziano Giambattista Albrizzi che conosce personalmente l’Austria. Formazioni diverse ma accomunate dallo spirito illuministico: più «francese» quella del primo, più legata al Beamtentum, alla mentalità del burocrate austriaco, alle sue qualità di fedeltà e di etica quella del secondo, tanto che dedicherà la splendida Gerusalemme liberata all’imperatrice Maria Teresa. Per entrambi l’attività professionale futura sarà collegata agli insegnamenti e al principio di utilità pubblica con «l’impiego de’ lumi acquistati» nei viaggi e nelle esperienze all’estero, obbedienti al precipuo obiettivo di apprendere la «diversità.»

È quest’ultimo arricchimento di se stessi e contributo sostanziale alla nuova esperienza di modernità che la nazione sta compiendo. Politik und Bildung: il cittadino al servizio dello Stato, nell’era di una cultura saldamente ancorata ai parametri della ragione ottimistica, cosmopolita e soprattutto itinerante.

Dotati di competenze e motivazioni diverse i viaggiatori del Settecento sono accomunati dall’interesse per l’ambiente umano e civile, storico e antropologico. Sicuramente a motivazioni specifiche si correlano libri di carattere specialistico, a competenze multiple, libri più generici.

I naturalisti sono osservatori disincantati con l’ambizione di completezza sia nella rappresentazione della realtà sia nell’attenzione delle fonti e dei riferimenti storiografici dei luoghi.

Sono Beamte, funzionari, come Lichtenfels, che esprimono il loro stato sociale con Berichte, relazioni, oppure con lettere-saggio caratteristiche soprattutto della prosa di viaggio del pieno illuminismo, come in Niccolò Ghezzi o in Gruber. Possono essere anche solitari Wanderer, viaggiatori, come Balthasar Hacquet, il cui Lustreise (Viaggio di piacere) del 1784 si impone per il metodo di indagine fondato sull’osservazione dei luoghi, della vegetazione e del mondo minerale, nel tentativo di cogliere i caratteri specifici e le invarianti tra i numerosi e diversi contesti.

Il Terglou, Tricorno, per Hacquet rappresenta una meraviglia da contemplare ma anche un interessante laboratorio per lo studio delle stratificazioni geologiche; così l’irregolarità degli elementi naturali presso il lago di Cerknica sembra integrarsi perfettamente con le costruzioni artificiali proposte da Steinberg, in ragione di un ordine di cui si inizia a esplorare le leggi attraverso l’esperienza diretta.

Il disegno diventa strumento indispensabile per la descrizione esteriore dei luoghi e in un paesaggio montuoso per cogliere l’insieme delle forme. Si commisura all’oggetto da rappresentare attraverso un esame attento delle forme e degli effetti che si intendono raggiungere. È il caso anche dell’opera di Francesco Antonio Zaccaria Excurs Letterari per Italiam (1754) e il seguente Excursus Litterarium (1762), in cui le figure non sono ornamentali ma aiutano alla comprensione testuale.

Supporto indispensabile sono le tavole nelle opere di Flaminio Corner, Notizie storiche delle Chiese e Monasteri di Venezia (1758) e di Pietro Antonio Pacifico Cronaca veneta o profana del 1793. Protagonista è la città di Venezia in una rappresentazione in cui testo e immagine si correlano perfettamente per fornire non solo al «forestiero» , ma anche all’abitante un valido supporto per conoscere meglio lo spazio urbano. Sono opere sulle curiosités o essais historiques. In questa linea si inseriscono le Notizie di Gemona di Giangiuseppe Liruti (1771) che si aprono con una veduta panoramica della località e corredate da incisioni degli edifici più importanti la cui «interpretazione» dipende dal «modo di vedere aristocratico» dell’autore.

Ben diverso è l’intendimento di Marco Sebastiano Giampiccoli che si premura di scrivere un’opera sebbene più modesta sulla stessa cittadina, quale parte della collana di Storia Veneta Topografica, da vendersi al largo pubblico. Lo stile è immediato, l’utilità civile e culturale sottende all’opera, quella stessa utilità che aveva motivato Formaleoni a pubblicare la Topografia Veneta, esempio di un filone editoriale, documentario, storico, geografico di interesse per i viaggiatori e per gli appassionati di cultura locale.

Ad «integrazione» del volume XX dello Stato presente di tutti i paesi e i popoli del mondo naturale, politico e morale di Thomas Salmon, il conte Francesco Beretta usciva con un’opera dedicata alla Patria del Friuli (1753), poiché riteneva opportuno approfondire la descrizione lasciata dallo scrittore scozzese. Era corredata dalle stesse tavole usate nell’opera ponderosa che si inseriva in un filone editoriale iniziato nel primo quarto del Settecento con il dizionario geografico del francese Tommaso Corneille (1708) e l’Universus terrarum orbis scriptorum calamo delineatus dell’italiano Savonarola, che lo pubblicò nel 1713 sotto il nome anagrammato di Alfonso Lasor a Varea. A questi erano seguite un manuale di geografia del sassone Johann Hübner, una cui antologia di episodi biblici doveva avere più di cento edizioni; Il mondo antico, moderno e novissimo di Antonio Chiusole, pubblicato a Venezia nel 1722 e altre volte in seguito; la Géographie universelle di Claude Buffier (Parigi, 1722), più volte edita in Francia e ripetutamente in Italia, dove per tutto il XVIII secolo si annoverarono tredici edizioni; infine il corposo Dictionnaire géographique historique et critique di Bruzen de La-Martiniere, vera opera di concezione enciclopedica, la più estesa di quante fin allora ne fossero state compilate, che, edita all’Aja e ad Amsterdam in dieci volumi in folio nel 1726, fu seguita dalle edizioni di Digione del 1739 e di Parigi del 1768, da una edizione in Germania in quella lingua e da molte altre ancora, fra cui quella di Venezia pure in dieci volumi in folio.

Verso la metà del secolo, entrambe nel 1747, apparvero, rispettivamente a Parigi e all’Aja, due opere cui arrise un enorme successo: Le géographie manuel dell’abate d’Expilly, del quale nel mezzo secolo che seguì si contarono ben quattordici edizioni, e il Dictionnaire géographique portatif dell’abate J. B. Ladvocat, che l’autore dichiarò condotto sulla tredicesima edizione inglese del dizionario dell’Echard, ma che in effetti in gran parte se ne discosta, rettificandone gli errori e modificandone la disposizione delle voci e per altro rifacendosi ripetutamente all’opera del La-Martiniere.

L’opera del Salmon, che si avvalse naturalmente di fonti storiche e geografiche, diventò la fonte più disinvoltamente investigata per la stesura di quelle «scritte a tavolino», che pur attente essenzialmente alle curiosità, alle rarità, a una minuzia di fatti singolari e bizzarri, dovevano eccitare l’interesse di un uditorio certamente ben disposto a una «lettura» in chiave mitica e oleografica del mondo.

Era l’Accademia il luogo eletto di un dilettevole intrattenimento, frequentata da una società alla quale si addicevano le frivolezze letterarie, la stupefazione della periegesi straordinaria per terre e per mari, l’insieme di gustose curiosità, stravaganze, di raffazzonata aneddotica geografica, sapide però di una esposizione rapida, fresca, esuberante e certamente insolita, sintesi delle conoscenze geografiche del tempo.

Diversamente, per i «reali viaggiatori» Lo Stato presente di tutti i paesi era un’opera propositiva, frutto dell’esperienza di Thomas Salmon che negli anni 1739-40 aveva accompagnato George Anson in un viaggio intorno al mondo; l’opera era un invito a vedere le cose con i propri occhi, a verificare, controllare di persona, secondo i principi espressi da de Jaucourt, l’autore della voce Voyage dell’Encyclopédie, secondo cui l’intensificazione dei viaggio avrebbe dato all’Europa una nuova fisionomia culturale, elevando lo spirito delle persone con sollecitazioni culturali, «guarendolo dai pregiudizi nazionali». Ancora una volta «il grande libro del mondo», realmente conosciuto, avrebbe costituito un fondamentale arricchimento per lo spirito, educandolo alla «diversità.»

Il racconto di viaggio, caratterizzato da scrittura di tipo privato – diario, lettere odeporiche, memorie – oppure di tipo enciclopedico-scientifico, diventa dunque il genere che permea gran parte della narrativa del secolo XVIII. Lo si pubblica in collane di letteratura da viaggio fortemente volute da cartografi-editori-librai come il viennese Franz Anton Schrämbl il cui Magazin der neuesten Reisebeschreibungen («Rivista delle nuove descrizioni di viaggio») poteva contare nel 1799 (così come si legge nel «Wiener Zeitung» del 23 marzo 1799) ventitre volumi, oppure da stessi geografi come Anton Friedrich Büsching, promotore del Magazin für die neue Historie und Geographie («Rivista per la nuova storia e geografia») e delle Wöchentliche Nachrichten von neuen Landkarten, geographischen, statistischen und historischen Büchern und Sachen («Notizie settimanali di nuove carte geografiche, di libri e fatti di geografia, statistica e storia») che vennero pubblicate rispettivamente fra il 1767 e il 1788 e il 1773 e il 1787. 

Il racconto da viaggio rappresenta il mezzo per rendersi utili ai propri concittadini «coll’impiego dei lumi acquistati durante il viaggio» 3, lo strumento per far partecipi gli altri delle proprie esperienze.

L’attenzione al paesaggio, inteso come insieme formato da elementi spontanei e artificiali, da forze oscure e incontrollabili e da trasformazioni provocate dall’uomo, si esplicita in un giudizio che si basa su parametri estetici utilizzati nell’analisi delle opere d’arte e in una nuova sensibilità linguistica che avvicina i viaggiatori alla cultura del Nord; in altre opere l’interpretazione storica ha un ruolo decisivo nella struttura che articola il viaggio, pur lasciando agli eventi e ai fattori percettivi di aggiungervi i dati «personali» dell’esperienza.

Il viaggio in Europa appare dominante; le capitali immaginate come luoghi di concentrazione di caratteri e di rappresentazioni tipiche per l’intero paese. Londra, Vienna, Parigi …Diversa è la situazione in Italia, costituita da un puzzle di realtà locali, di microgeografie su cui emerge Roma, dominante nella fantasia dei viaggiatori germanici, essendo il cuore della Chiesa e dell’Impero, centro e metafora del mondo.

Diverso è il caso di Venezia ritratta in un’immagine dall’alto in tutta la sua estensione in una veduta attribuita a Jacopo de’ Barbari intorno al 1500. Da due secoli la lunga superficie panoramica con la città nel suo contesto ambientale, protesa nel territorio sul quale esercitava il suo potere politico e amministrativo poteva dare un’immagine immediata a uso dei viaggiatori, mercanti e pellegrini. La visione suggeriva che Venezia è una città da ammirare per intero, nell’unità delle parti, all’interno della costellazione delle sue isole Thomas Coryat suggeriva già nelle sue Crudities, pubblicate a Londra nel 1611, di salire sul campanile di San Marco, perché solo da lassù si poteva vedere «tutto il disegno e la forma della città sub uno intuito». La veduta dall’alto assicurava straordinaria chiarezza di dettagli; ancora Goethe in Dichtung und Wahrheit (Poesia e verità), ribadiva che il punto elevato di osservazione consentiva «ungeahnte Aussichten und ganz neue Möglichkeiten der Erkenntnis«(insospettate prospettive e nuove possibilità di conoscenza). E non è un caso che la più diffusa guida settecentesca di Venezia si apra con una splendida veduta a volo di uccello della città e che nel primo giorno di visita sia inserita la salita sul campanile. Si tratta della guida Il Forestiero illuminato scritta dall’editore Giambattista Albrizzi nel 1737. Ristampata più volte venne ampliata nella seconda edizione del 1772 e corredata da vedute che rappresentavano i luoghi più importanti. Furono proprio alcuni editori – e sicuramente i più colti e più aperti al confronto – a sentire la necessità di pubblicare delle guide, dal momento che questo genere andò assumendo dall’inizio del 1700 un’importanza sempre più rilevante nella rappresentazione culturale della città e dei suoi monumenti.

Ben diversa dalle curiosités specificatamente artistiche o dalle raccolte sulle «cose notabili della città» – come l’opera dedicata a Venezia e attribuita a Francesco Sansovino (1587), i cui soggetti trattati sono ben illustrati dai titoletti che si trovano sul frontespizio: usanze antiche, abiti e vestiti, vittorie illustri, Principi e vita loro, uomini letterati, chiese e monasterij, fabbriche e palazzi, pittori e pitture, avvocati e medici eccellenti, musici di più sorte.., la guida del secolo dei lumi, aveva una particolare funzione: stimolare non solo nei viaggiatori – nei «forestieri» – ma anche in coloro che si sentivano «stranieri» nella loro città – come sottolinea l’editore viennese Kurzböck nella prefazione –  nuovi comportamenti e nuovi modi di vedere e di fruire dello spazio urbano.

Strumento di riferimento geografico e informativo, la guida suggeriva delle linee di condotta nei «forestieri» che avevano un tempo limitato per visitare la città, offrendosi nel contempo quale «succinta Raccolta di quanto di più vago e dilettevole si potesse trarre». Era questo il compito precipuo di Giambattista Albrizzi che, viaggiatore esperto «per le Parti più colte d’Europa», si era avvalso «per esaminare ed ammirare le cose più singolari» di «Libri stampati per uso dei Forestieri.» Consultando la guida il viaggiatore, una volta ritornato in Patria, poteva «ravvivar la memoria di cose cotanto singolari e dare un esatto ragguaglio di quanto avea visto personalmente»; il manualetto poteva sostituire in alcuni casi il dotto accompagnatore essendo fonte informativa di «Memorie», da poter consultare facilmente in ogni circostanza.

Procedendo nel tempo una stessa guida poteva presentarsi arricchita da elementi che in una prima edizione sarebbero sembrati fuori luogo.

È il caso della guida Nouveau Guide par Vienne nell’edizione francese modificata dall’autore-editore Kurzböck nel 1792. Se la Vienna teresiana è un insieme di grandi monumenti il cui significato simbolico contribuisce alla formazione di una immagine collettiva della città, ma il tutto si risolve entro la cerchia di mura, nell’era giuseppina lo sviluppo dei sobborghi, le abitazioni della nascente borghesia sul modello di quelle nobili, le misure igieniche finalizzate a ridurre la mortalità conferiscono a darne una nuova immagine. L’illuminazione, i bagni pubblici, i fiaker e gli omnibus a cavallo, i mercati, le passeggiate, le case di tolleranza, il carattere dei viennesi, sono solo alcuni nuovi capitoletti che presentano una città moderna, dove non mancano «donne pubbliche» di curato aspetto che passeggiano nei luoghi centrali o sostano nei caffè aspettando «i merlotti» italiani. Ma proprio dai capitoli che riguardano il processo di formazione di una periferia abitata ci si rende conto che anche Vienna si avvia a diventare una metropoli.

Diversamente da Vienna, Venezia non si offre come simbolo di totalità, ma come organismo urbano particolare e irripetibile: è una città fortemente individuata dall’intreccio di caratteri etnici, paesistici ed estetici, ricca di stimoli per un soggetto disposto ad apprezzare la molteplicità del reale, ma anche quinta di teatro in cui gli abitanti si offrono attori-spettatori della involontaria commedia della propria vita inscenata nei campielli e nelle piazze. Venezia vive del suo mito, coltivato dagli stessi veneziani nel mutare delle epoche storiche e politiche e penetrato fin nel paesaggio cittadino: un mito che esalta Venezia nella sua perfetta fusione tra vita sociale ed elementi fisici del luogo, ma che si contrappone alla realtà. I viaggiatori pur cogliendo un’immagine contraddittoria della città, in cui la tradizionale sobrietà contrasta con lo splendore del paesaggio e lo sfarzo, dove «la religiosità personale convive con il pubblico laicismo, la lotta in difesa della libertà con il neutralismo e il pacifismo», il regime aristocratico con un’ampia partecipazione della vita politica, l’ordine della vita pubblica con una libertà individuale che sconfina nella licenza, ne rimangono tuttavia affascinati perché ne colgono «una evidente dimostrazione delle verità fondamentali della vita sociale». E se il ciclone rivoluzionario del 1789 infierisce sull’agonizzante Venezia, sconvolgendo la labile fiducia nella stabilità della sua esistenza, la Venezia del dopo Campoformido rinascendo nel suo mito diventa simbolo di quella decadenza che tanto affascinerà il gusto e la sensibilità dei romantici.

 

 

 

Marina Bressan

 

 

 

P.S.: Nel testo corrente sono state omesse, per questioni di spazio, le immagini e le note dell'autore.

 

 

 

 

Gorizia e il Friuli tra Venezia e Vienna - Libri illustrati del Settecento             © Edizioni della Laguna