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Mauro Moshe Tabor[*]

 

 

 

 

Arturo Rietti, la persecuzione dell'espressione e del pensiero.

 L'applicazione delle leggi razziali nelle arti

 

 

 

 

 

 

 

Abstract

 

     Arturo Rietti is an emancipated Jew who lives in a harbor city in which many languages and cultures coexist in a sort of multicultural puzzle. His father is a Jewish merchant with Greek citizenship while his comes from a wealthy  Jewish family of Trieste.

 

In 1863, the year Arturo was born, the city is expanding and rapidly changing. The Ghetto years are almost forgotten and the Jews are perfectly integrated.  After having obtained social and civil rights, some Triestino Jews start marrying out, gradually abandoning the  traditional  Jewish endogamy.

 

During this phase Trieste is an Austrian city with an Italian heart. Most of its inhabitants, among them many Jews, feel “unredeemed” and long to become Italians. Many Jews start abandoning the religion of their forefathers  for another “religion” the so called Irredentism.  Arturo Rietti is one of them.

 

He marries a gentile, Elena Riva. At that time Austrian laws forbid intermarriages unless one of the couple forsweared his/her own religion, becoming “KONFESSIONSLOS”. Arturo therefore decides to “officially” abandon Judaism while at the same time he remains well linked to his Jewish friends social life. In 1904 he portrays Edmondo Richetti, General Secretary of Generali Insurance company and President of the Jewish community of Trieste at the time of the inauguration of the monumental synagogue.

 

By erecting the  new synagogue the Jewish community wanted to prove that the Jews of Trieste, with their contribution to the development of the city and the harbor,  had gained the right to feel full  citizens of the city.

 

After WWI and at last part of Italy, the Jews witness the birth of Italian nationalism, i.e. Fascism. Rietti understands right away the danger that Fascism represents for many minorities. On July 13th 1920 Arturo witnesses the big fire set by some proto-fascists to the House of the Slavic culture. He doesn’t recognize anymore Trieste, the city in which he was born and he loved, it had changed profoundly. After the anticipated announcement  of the contents of the Racial Laws  in Trieste by Mussolini and the signature of the laws by the king of Italy, Rietti writes in his diary “I’m not an Italian citizen, since I fortunately maintained the Greek citizenship inherited by my father. I was born in Trieste, I lived mostly in Italy, I was fed with Italian culture  and ideals, until now I’ve always felt Italian. Which means until Facism took power

 

In 1940 all the paintings of Jewish painters, still alive or dead,  had to be removed from the Revoltella museum of Trieste according to an unanimous resolution of the representatives of the board of the museum.  

 

Our beloved painter died in 1943 without being able to see the end of the war and the defeat of Evil.

 

 

 

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     Ringrazio tutti gli oratori che mi hanno preceduto per aver delineato la figura di Arturo Rietti pittore e uomo di mondo. Con questo mio intervento desidero approfondire la figura di un Rietti ebreo emancipato in una Trieste in piena espansione demografica e già vittima di lotte interne etnico nazionali che verranno a scontrarsi duramente, anche sul piano linguistico, durante i due conflitti mondiali ai quali Rietti assiste.

 

 

 

 

 

 

 

     Arturo nasce in una Trieste in cui le lingue più disparate si mescolano quasi a creare un lessico comune variegato ed incredibilmente ricco. La famiglia Rietti appartiene alla media borghesia ebraica, il padre è un commerciante affermato di cittadinanza greca mentre la madre appartiene ad una agiata famiglia ebraica triestina.

 

     Nel 1863, anno della nascita di Arturo, Trieste è un cantiere a cielo aperto. L’imprenditoria ebraica vede il suo massimo splendore. Gli anni del ghetto e delle segregazioni sono lontani. Le poche famiglie che nel 1696, anno di creazione del Ghetto ebraico di Riborgo vi erano state segregate, sono aumentate notevolmente di numero e continuano ad aumentare quasi esponenzialmente grazie alla azzeccata politica mercantile di Carlo II, portata avanti ed ampliata da Maria Theresia e successivamente dal figlio Giuseppe II. Con la fine del monopolio della Serenissima si apre il sipario sul palcoscenico del golfo di Trieste, il Porto Franco diventa il catalizzatore degli interessi di numerosissime famiglie ebraiche europee che eleggono Trieste a loro dimora.

 

     L’ottocento è il secolo della grande metamorfosi di questa città, il piccolo borgo medievale triestino diventa durante il XVIII secolo ma in modo palese durante il XIX una città portuale di grossa importanza e dalle mille potenzialità. Dopo la brevissima dominazione francese, Trieste, nuovamente austriaca diventa il motore di una macchina con la testa a Vienna e le eliche nelle acque del nostro golfo.

 

     La Comunità ebraica triestina collabora per tutto il  XVIII e fino alla seconda metà  del XIX secolo alla costruzione e potenziamento dell’Emporio rimanendo però chiusa nella sua religiosità ed endogamia. La fine del XIX secolo vede invece un brusco cambiamento con un veloce allontanamento dalle tradizioni religiose di una grossa parte dei giovani ebrei triestini che, raggiunto un adeguato livello socioeconomico nonché culturale, sposano cause politiche che li portano automaticamente ad allontanarsi dalla fede dei padri. Gli ultimi decenni dell’ottocento vedono la nascita dirompente del movimento irredentista e nazionalista che diventa in molti casi il “nuovo credo” di una parte dell’intellighenzia ebraica triestina.

La trasformazione dell’identità ebraica tra otto e novecento è una delle cose più difficili da spiegare. L’ebreo triestino, ebreo austriaco all’anagrafe, sposando la causa nazionalista italiana smette l’aggettivo “ebreo” ed anche quello “austriaco” e veste con molta disinvoltura quello di “italiano” tout court. Fa propria  quindi un’identità culturale e linguistica quale denominazione della sua persona (nella maggior parte dei casi la lingua italiana era acquisita solamente da una o due generazioni). 

 

     Rietti, come moltissimi giovani della sua generazione è un fervente irredentista, e già nel 1882 annota su una pagina del suo diario “una delle cose che mi propongo: studiare la storia di Trieste e d’Italia, coscienziosamente, animato dallo spirito di patria, dalla speranza di giovare a Trieste in qualche modo”.

 

     Rietti contrae matrimonio misto con Elena Riva; all’epoca la legge austriaca permetteva il matrimonio civile tra due persone appartenenti a fedi diverse purché uno dei due abiurasse alla sua fede o si dichiarasse KONFESSIONSLOS davanti al magistrato civico: la stessa cosa avvenne nel caso del matrimonio di Arturo.

 

 

 

 

 

 

 

 

     La dichiarazione di Konfessionslos di per sé non comportava automaticamente un allontanamento dall’ebraismo o una minor percezione di sé in quanto ebrei ma solamente la cancellazione dagli elenchi degli appartenenti alla Comunità.

 

     Come sappiamo quasi tutti, Trieste, per chi ci è nato, rappresenta un irresistibile magnete. Anche Arturo, nonostante le sue prolungate permanenze in Germania, a Milano e prima in Toscana, non interrompe mai i legami con la città. Prova ne è che nel decennio della sua massima produzione, il primo decennio del nuovo secolo, Rietti ritrae una buona parte della borghesia ebraica triestina che continuava a frequentare assiduamente. Nel 1894 lo vediamo intento a ritrarre i tetti della sua città dal suo studio all’interno della cupola di palazzo Carciotti che, tra l’altro era stata la prima sede delle Assicurazioni Generali.

 

     Di questo periodo sono noti i ritratti importanti della famiglia Stock e di molte altre famiglie ebraiche triestine.

 

 

 

 

 

 

     Qui vedete un ritratto che a mio avviso è assolutamente il simbolo di quello “strano” ebraismo triestino dei primi decenni del ‘900. Nel 1904 Arturo ritrae Edmondo Richetti, segretario Generale delle Assicurazioni Generali, un Amministratore Delegato di allora, fervente irredentista nonché Presidente della Comunità ebraica cittadina  nel 1912, anno dell’inaugurazione del Tempio Maggiore.

 

     La sinagoga di via San Francesco viene eretta negli anni che precedono la prima guerra mondiale, il primo conflitto che vede soldati ebrei schierati in eserciti diversi e nemici ed in molti casi, specialmente a Trieste, membri della stessa famiglia vestire contrapposte divise.

 

 

 

 

 

 

     Il Tempio Israelitico nasce con la finalità di dimostrare alla città che la popolazione ebraica si è guadagnata con il sudore della fronte un posto di tutto rispetto nell’economia della fiorente città portuale e che quindi gode, dopo anni di limitazioni, di pieni diritti civili e sociali.

 

Tutto questo era destinato a venire disatteso nel corso dei trenta anni successivi.

 

Rietti ritrae in questo periodo anche molti volti di contadini della minoranza slovena; convinto che un volto possa raccontare verità segrete e profonde dell’animo della persona, trova in questi contadini segnati dalla dura vita dei campi un perfetto campione di lavoro per riportare quei sentimenti nelle sue opere.

 

     Gli ebrei triestini che avevano creduto e lottato per la Trieste italiana, all’indomani del trattato di Rapallo del 1920 si trovano “orfani” della loro causa. A questo punto credo di poter dire che prendono tre strade diverse, alcuni più legati alla loro identità ebraica nonché ben vigili testimoni del crescente antisemitismo che, partendo dai pogrom degli ultimi anni dell’ottocento si manifestava nell’est europeo, scelgono  la via sionista, ma non sono molti, anche se molto agguerriti.

 

Una seconda parte automaticamente commuta l’irredentismo in nazionalismo e quindi sposa la causa del fascismo che nei primissimi anni non aveva ancora palesato la sua vena antisemita.

 

La terza parte di ex irredentisti, la parte alla quale il nostro Rietti appartiene, si rende perfettamente conto del pericolo del fascismo e sposa la causa opposta, l’antifascismo. Rietti sicuramente assiste, direttamente o indirettamente all’incendio della casa di cultura slovena il 13 luglio del 1920. La virulenza degli squadristi funge da cartina di tornasole per gli irredentisti più illuminati.

 

 

 

 

 

 

 

Nel 1920 Rietti annota nel suo diario “la mia simpatia per i contadini sloveni (suggerita dal sentimento della bellezza) irrita i triestini, i “liberali” di 10 anni fa”.

 

Dal 1933 Arturo Rietti torna a vivere nell’amata Trieste che però sente sempre più ostile. Nonostante la fama ponesse Arturo tra i pittori più apprezzati, il Rietti non riconosce in Trieste la città che aveva in precedenza tanto amato.

 

 

 

 

1934 spianamento  della zona dell’ex ghetto. Al margine destro visibile la “scola Piccola” abbattuta nel  1937

 

 

Non sappiamo con certezza se Arturo abbia assistito di persona al comizio di Mussolini in Piazza Unità d’Italia il 18 settembre 1938, ma posso facilmente immaginare lo scoramento, la frustrazione, e sicuramente, visto il suo carattere, anche la rabbia da lui provata nel sentir anticipare i contenuti di quelle leggi razziste che di lì a due mesi il Re d’Italia avrebbe firmato a San Rossore.

 

 

 

 

 

 

     Arturo legge e commenta con dolore i vergognosi articoli de “La difesa della Razza”. Nel 1939 annota nei suoi appunti “sempre più solo, sempre più solo di mano in mano che mi vado accorgendo dell’immensa stupidità degli uomini e della loro viltà.” Nel suo diario commenta con stizza un articolo apparso su Il Piccolo nel quale si riportano i verdetti di due processi verso due ebrei rei di non essersi autodenunciati come “appartenenti alla razza ebraica”, entrambi vengono condannati a 15 giorni di reclusione e 1000 lire di multa. Rietti scrive “tale legge è un reato, un infame reato, non il disobbedire a tali leggi”.

 

L’onda d’urto della promulgazione delle leggi razziste colpisce il mondo dell’arte triestino di lì a due anni. La moglie di Rietti è mancata da poco ed il nostro pittore sconfortato si trasferisce nuovamente a Milano ma non prima di vedere i suoi quadri, assieme a quelli di tutti gli altri pittori viventi e non, di origine ebraica, tolti dalle pareti del Civico Museo Revoltella.

 

Nel settembre 1940 il curatore del Museo avverte il Podestà che nella seduta del 7 settembre 1940 il consiglio “intonandosi alle direttive ed allo spirito del Regime nonché agli alti principi che guidano il Governo del Comune, ha all’unanimità deliberato e deciso di rimuovere dalle sale pubbliche le opere d’arte di autori non ariani.” Vengono colpite le opere di Isidoro Gruenhut, Gino Parin, Arturo Nathan, Giorgio Settala, Vittorio Bolaffio ed ovviamente il nostro Rietti.

 

In Italia, a seguito delle leggi razziste furono vietate le rappresentazioni teatrali e musicali di autori ebrei, le esibizioni di cantanti ed attori, le pubblicazioni di libri….da notare che venne disposta anche la cancellazione delle indicazioni stradali di vie che portavano i nomi di famosi personaggi ebrei.

 

Il nostro Arturo, ex irredentista, fervente italiano è costretto, con il cuore in mano a scrivere in un suo appunto del 1940 “Io non sono suddito italiano poiché fortunatamente ho mantenuto la nazionalità greca di mio padre, ma nato a Trieste e vissuto quasi sempre in Italia, nutrito di idee italiane e di studi italiani, mi sono sentito italiano finora, ossia fino all’avvento del fascismo”.

 

Chiudo questo mio intervento con un Arturo Rietti anziano, greco, quindi nemico della patria in quanto greco; ebreo, quindi perseguitato, braccato e ricercato. Ripara da una famiglia amica, i Gallarati Scotti che lo proteggono nella loro dimora di Fontaniva dove morirà nel 1943 senza poter assistere alla vittoria del bene sul male.

 


 


[*] Assessore alla Cultura “Comunità ebraica di Trieste”, Consigliere UCEI (Unione delle Comunità Ebraiche Italiane).