Condividi su Facebook

 

 

 

 

 

 

Susanna Gregorat

 

 

Arturo Rietti nelle raccolte del Museo Revoltella

 

 

 

 

Abstract

 

The Modern Art Gallery Museo Revoltella owns the most important public collection of the Trieste painter Arturo Rietti, established at the beginning of  the XIX century and developed until 1994.

During this period the Museum collected twenty two artworks donated by the artist and his family, private collectors and direct acquisitions. The art  collection consists of one pencil, fifteen crayon drawing, and six oil paintings. 

A small fraction of these artworks is dedicated to swordplay, a well known fondness of Rietti, who was himself a fencer, and loved to observe and describe this refined and exclusive world. The Story of this collection will be presented and described in detail.

 

 

 

___________________

 

 

 

 

Premessa


La più grande collezione pubblica di opere di Arturo Rietti si trova al Museo Revoltella di Trieste. In occasione del Convegno Arturo Rietti e il suo tempo. Convegno di studi a centocinquant’anni dalla sua morte, tenutosi a Trieste presso la sede della Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici di Piazza della Libertà nei giorni 17-18 ottobre 2013, il Museo Revoltella ha collaborato alle celebrazioni con l’esposizione al pubblico di tutti i dipinti dell’artista triestino, in una piccola sezione allestita al terzo piano della Galleria d'arte moderna.

 

 

___________________

 

 

 

     Arturo Rietti ha continuato a mantenere, nel corso della sua vita e dei suoi innumerevoli spostamenti, un profondo legame affettivo con la sua città d’origine. Prende parte alla vita artistica cittadina e frequenta il Circolo Artistico, partecipando alle mostre biannuali da questo organizzate come pure alle diverse iniziative goliardiche promosse dagli instancabili animatori del Circolo.

Il riflesso di questa consuetudine con Trieste, da Rietti poi mantenuta nel corso degli anni, si riscontra ripetutamente nelle collezioni private e pubbliche triestine, dove l’artista è spesso presente con un ritratto almeno, che illustra un componente di famiglia o un personaggio noto in città. Come buona parte degli artisti suoi concittadini, Rietti espone frequentemente, a cavallo dei due secoli, presso il negozio dell'antiquario Giuseppe Schollian il quale, dopo aver lasciato l'attività condivisa con il fratello Wendelino (1866), aveva aperto un negozio proprio al Ponterosso, una vetrina imprescindibile, fino ai primissimi anni del novecento, per ogni artista esordiente o in via di affermazione desideroso di promuovere la propria produzione artistica e di farsi conoscere. «Ieri dallo Schollian al Ponte rosso abbiamo veduto esposto il ritratto somigliantissimo del compianto Leone Segrè, eseguito in pastello dal giovane artista Rieti [sic], una forte promessa per l’arte, un robusto ed originale ingegno che conosciamo per altri suoi lavori, fra i quali alcuni esposti a Milano che ebbero il plauso sincero di quella critica spassionata e severa.[…]» [1]

Al Museo Revoltella l’opera di questo artista è ben rappresentata. Dall’inizio del novecento e fino alla metà degli anni novanta del secolo scorso la più importante istituzione museale cittadina ha accolto, infatti, attraverso donazioni dell’artista e della sua famiglia, lasciti di collezionisti e acquisti del museo, ventidue opere, tra le quali un disegno a matita, quindici pastelli e sei dipinti ad olio. Sono per lo più ritratti maschili, alcuni dei quali documentano la passione del pittore per la disciplina della scherma e del suo bel mondo.

Il Ritratto del professore P, un acquisto del Museo del 1906, è il primo dipinto di Rietti ad entrare nelle collezioni museali, a cui fanno seguito i tre ritratti della donazione di Salomone Torsch, effettuata da Vienna tra il 1916 e il 1923. Uno dei tre autoritratti della raccolta viene donato nel 1927 da Rodolfo Brunner e, tra il 1933 e il 1934, pervengono in successione: Il Diploma per società di scherma, il Ritratto di Luigi Barbasetti, il Ritratto del maestro Eugenio Pini, donati dal conte Sordina, il Ritratto del senatore Attilio Hortis, dal barone Leo Economo e il Ritratto della madre, donato dall'artista.

Francesco Sordina nel 1941 completa la sua precedente donazione con il Ritratto di Onorina Sordina, mentre nel 1956 entrano nelle raccolte museali il Ritratto dell'ingegner Luzzatto (legato Erminia Luzzato) e il Ritratto maschile, un acquisto del museo. Tra il 1957 e il 1959 altre cinque opere faranno poi il loro ingresso al Museo Revoltella, ovvero, il Ritratto del conte Giovanni Battista Sordina, dono della contessa Maria de Helmereichen, il Ritratto del professore Giuseppe Furlani, dono dello stesso Furlani, l'Autoritratto a matita donato da Roberto Hausbrandt e le uniche due vedute presenti nella raccolta, Trieste – Dalla terrazza di Palazzo Carciotti e la Veduta di Barcola, donate entrambe dalla figlia del pittore Anatolia Rietti. Nel 1966 il Museo decide di acquistare due Ritratti di Francesco Basilio, realizzati dal pittore a pochi anni di distanza l'uno dall'altro e qualche anno più tardi, nel 1972, Antonio Fonda Savio assieme ad un certo numero di ritratti importanti, dona il terzo ed ultimo Autoritratto di Rietti, un'opera tarda del 1935. Più recentemente, grazie al generoso lascito di Giulio Kurländer, che ha fatto dono al Museo Revoltella di una cospicua somma per acquisizioni di artisti regionali di rilievo, nel 1994 viene acquistato il Ritratto del maestro di scherma De Palma, per ora l'ultimo dipinto di Rietti entrato nelle collezioni pittoriche del Museo.

 

 

 

Arturo Rietti, Ritratto della madre, 1883, olio su tela, 36 x 28 cm, inv. 2261

 

 

Il ritratto della madre e i ritratti Thorsch

L'unico dipinto donato dall'artista è il Ritratto della madre, un ritratto giovanile eseguito nel 1883, realistico, fortemente condizionato dalle sue esperienze in terra toscana e del tutto alternativo rispetto agli sviluppi successivi del suo linguaggio artistico. Scrive Annie-Paule Quinsac a questo proposito: «Il profilo senza intimità di una madre, alla quale era peraltro molto affezionato, colpisce per il  «documentarismo»; soffre di una fedeltà al reale costruita a partire dal disegno che, nell’artista ventenne, ancora non assoggettato al tirocinio accademico, rispecchia un influsso toscano, quasi alla Fattori.»[2]

 

 

 

  

Arturo Rietti, Ritratto femminile, 1897, pastello su cartone, 65 x 48 cm, inv. 464

 

 

 

Arturo Rietti, Ritratto femminile, 1897, pastello su cartone, 65 x 55 cm, inv. 465

 

 

 

Frutto di un’interessante donazione avvenuta tra il 1916 e il 1923, sono due ritratti femminili datati 1897 che raffigurano la consorte di Salomone Thorsch,  commerciante originario di Praga, comproprietario della ditta Thorsch e C.o (Thorsch e Kornfeld) nel settore del caffè a Trieste, che li donò al Museo Revoltella, assieme al suo personale ritratto “acuto ed espressivo” come lo definì Campitelli, eseguito nel 1902.[3] La donna, còlta di tre quarti e poi frontalmente, si chiamava Agnese Schwarz, nata a Greiz nel 1858 e deceduta a Trieste nel 1905.

 

 

 

Arturo Rietti, Ritratto di Salomone Thorsch, 1902, pastello su cartone, 68 x 60 cm, inv. 463

 

 

 

La variazione di colore dello sfondo, verde smeraldo nella versione “frontale”, dona alla figura maggior leggerezza e ariosità, rispetto all’altra immagine, incentrata sul marcato contrasto dei toni chiarissimi del volto e le cromie scure dei capelli, dell’abito e della campitura di fondo.

 

 

 

Arturo Rietti, Ritratto della baronessa Onorina Sordina, 1907, pastello su cartone, 104 x 69 cm, inv. 2786

 

 

 

I ritratti Sordina

Tra i più noti ritratti di Rietti di proprietà del Museo Revoltella e, senz'altro, tra i più affascinanti è il ritratto della contessa Onorina Sordina, realizzato nel 1907, e donato nel 1941 dal figlio conte Francesco Sordina. Quest'ultimo era stato membro del Curatorio del museo dal 1910 al 1922, al tempo in cui il conservatore era Alfredo Tominz, il presidente della commissione era l'avvocato Giulio Artistide Costellos e quando si alternavano personaggi illustri quali gli architetti Enrico Nordio, Ruggero e Arduino Berlam, i pittori Eugenio Scomparini, Antonio Lonza, Piero Lucano, Edgardo Sambo ed ancora, Rodolfo Allodi, Filippo Artelli, Riccardo Pitteri, Giovanni Mayer.

Brillante per l’estrema modernità della pennellata, celere e scomposta specialmente nella realizzazione della gonna, e per la naturalezza espressiva della donna, il ritratto della contessa Sordina, come nella maggior parte dei pastelli di Rietti, non trascura però la consistenza volumetrica del bellissimo volto e l’assemblaggio delicato e armonioso delle cromie. Innumerevoli sono i dipinti dedicati al mondo femminile, da Rietti sempre raffigurato con estrema eleganza e destrezza: «Al Corso di Trieste, quand’egli vedeva passare le donzelle, anche le sartine, si voltava di scatto le squadrava con molta attenzione, però non da satiro, ma da puro esteta, da intenditore. […]»[4]

 

 

 

Arturo Rietti, Ritratto del conte Giovanni Battista Sordina, 1903, pastello su cartone, 64 x 51 cm, inv. 3483

 

 

 

Al precedente ritratto è legato quello di uno dei figli della contessa Sordina, il conte Giovanni Battista Sordina, di qualche anno precedente, essendo stato realizzato nel 1903. La lettera di donazione del dipinto, pone in luce il forte legame che si era stabilito tra la famiglia Sordina e il Museo Revoltella, in nome del consolidato rapporto intercorso tra il barone Giovanni Battista Scrinzi di Montecroce[5], padre di Onorina Sordina, e il barone Pasquale Revoltella. «Egregio sindaco – scrive nel 1957 Maria de Helmreichen, donatrice del ritratto in esame - ora che siamo ritornate nel nostro caro Paese natale, nella casa di mia nonna e di nuovo definitivamente triestine, siamo infinitamente felici, mia figlia ed io, di poter mantenere la nostra promessa e di rimetterLe il ritratto del mio padrigno, il conte Giovanni Battista Sordina, che nutriva sempre il desiderio, che il suo ritratto fosse collocato nel Museo Revoltella, accanto a quello di sua madre[6]

Come Giovanni Battista e come la madre Onorina, anche il fratello Francesco, nato a Corfù nel 1863 e deceduto a Trieste nel 1934, venne ritratto da Rietti. Questo ritratto (di ubicazione ignota) minuziosamente descritto in un articolo comparso su “Il Piccolo” del 5 maggio 1896, fu esposto nel negozio Schollian assieme ad altri due pastelli dell’artista, riscontrando un caldo consenso di critica (“splendido fra i tre quadri”, scrive l’anonimo giornalista). Il ritratto dello “schermidore” Francesco fu in seguito rivisto da Cesare Sofianopulo negli anni Cinquanta, in casa Economo.

Da Francesco, Giovanni Battista Sordina ricevette in eredità, per disposizione testamentaria e fino alla sua morte, il ritratto della madre Onorina e il gruppo equestre dello scultore Giovanni Marin, che il conte Francesco aveva ricevuto in premio dalla Società di scherma in occasione del torneo internazionale del 1906.

Il ritratto della contessa Sordina e il gruppo scultoreo furono in seguito donati al Museo Revoltella, nel rispetto delle ultime volontà dello stesso Francesco Sordina.

 

 

 

La scherma nelle opere di Rietti

Il conte Francesco Sordina rappresenta quindi, nel nostro caso, l’anello di congiunzione tra Rietti e il mondo della scherma, disciplina sportiva, come già accennato, particolarmente amata e praticata dal pittore triestino, e di cui tratta Maurizio Lorber nella monografia dedicata a Rietti.[7]

Questa passione sportiva del nostro pittore è documentata, nella raccolta di opere appartenenti al Museo Revoltella, da una piccola ma interessante sezione legata alla scherma.

Nel testamento del conte Francesco Sordina, datato 1 giugno 1929 (cinque anni innanzi al suo decesso), veniva espresso il desiderio di lasciare, infatti, al Museo Revoltella, oltre alle due suddette opere, anche i ritratti dei maestri Pini e Barbasetti e del Diploma della Società di scherma di Trieste.

 

 

 
Arturo Rietti, Diploma per società di scherma, pastello su cartone, 98 x 62 cm, inv. 2238
 

 

 

Scrive Campitelli nel 1946[8] che Rietti, schermitore egli stesso, veniva frequentemente invitato ai grandi tornei di scherma di Vienna e di Budapest dove per norma aveva l’incarico di eseguire il diploma “come corollario”. «[…] in tali lavori - riporta il critico - si può ammirare sempre uno schermitore di deciso aspetto in posizione di attacco», mentre in posizione di “attesa” è lo schermitore ritratto nel diploma del Museo Revoltella.

Il conte Sordina destinò le opere citate al museo Revoltella «coll’obbligo però che sieno conservate nel Museo stesso e non trasferite altrove essendo [suo] scopo precipuo – continuava il documento – di onorare la memoria del [suo] avo materno barone Giov. Battista Scrinzi de Montecroce primo curatore del Civico Museo Revoltella e colui alla cui ispirazione è dovuta l’esistenza del detto Museo avendo egli concepito e fatto accogliere dal Barone Pasquale Revoltella l’idea della sua istituzione[9]

 

 

 

Arturo Rietti, Ritratto del maestro Luigi Barbasetti, 1896, pastello su cartone, 51 x 42 cm, inv. 2246

 

 

 

Tra i ritratti di schermidori, quello dedicato da Rietti al maestro Luigi Barbasetti, nel 1896, risulta davvero il più incisivo e originale, per intensità espressiva e per una scelta cromatica sobria e inusuale, fondata sulle varianti del bianco e del nero. Questo ritratto, assieme a quello del maestro De Palma e al ritratto del maestro livornese Pini, costituisce la piccola galleria di maestri schermitori del Museo Revoltella.

 

 

 

Arturo Rietti, Il maestro di scherma Carlo De Palma, 1908, olio su tela, 86 x 70 cm, inv. 4780

 

 

Arturo Rietti, Il maestro di scherma Eugenio Pini, 1903 circa, pastello su cartone, 71 x 53, inv. 2247

 

 

 

Il dipinto raffigura il famoso maestro d’arme, nato a Cividale del Friuli nel 1859 e ritratto da Rietti all’età di 37 anni.  Attivo a Vienna, dove nei primi anni del nuovo secolo fonda un' importante accademia di scherma, lo schermidore friulano si trasferirà in seguito a Parigi e a Verona, città dove morì nel 1948.

Con il ritratto di Barbasetti, come anticipato, nel 1934 pervenne al Museo Revoltella anche il ritratto del 1903 del maestro di scherma livornese Eugenio Pini, considerato tra gli schermitori di maggiore fama nazionale ed internazionale.

Grazie al Lascito Kurländer, nel 1994 entra nelle collezioni museali  il terzo ed ultimo ritratto di schermidore, da Rietti realizzato ad olio nel 1908 e dedicato al grande Carlo De Palma. Il pittore affida questa volta ai colori ad olio e alla marcata contrapposizione dei chiaroscuri il risalto fisico e psicologico-introspettivo del soggetto. Allievo del già citato Agesilao Greco, De Palma fu a Trieste l’ultimo  rappresentante della classica scuola napoletana, basata sull’eleganza, sul portamento del ferro, sulla fantasia. Insegnò alla Ginnastica Triestina assieme ad Agostino Arista negli anni 1906-1907 e poi, dopo un lungo intervallo di magistero in Ungheria, vi ritornò a fianco del maestro veneziano Guido Gianese, tra il 1927 e il 1931.

 

 

 

Arturo Rietti, Il prof. P (Domenico Garratoni), 1906, pastello su cartone, 69 x 49 cm, inv. 234

 

 

 


Arturo Rietti, Ritratto maschile (Nikolaos Gysis), pastello su cartone, 57 x 48 cm, inv. 3473
 

 

 

 

I ritratti maschili

Risalgono al principio e alla fine della prima metà del novecento, invece, due acquisti importanti del Museo Revoltella, che si arricchì rispettivamente del Ritratto del Professor P., eseguito a pastello ed acquisito nel 1906 e da Lorber identificato con il 'seminarista', ovvero don Domenico Garattoni, “sacerdote dai molteplici interessi culturali che aderì con entusiasmo al fascismo”[10] e il Ritratto maschiledel 1895, acquistato nel più tardo 1956.

Nel verbale del Curatorio datato 8 marzo 1906[11], si dà notizia della volontà di Rietti di “offrire in vendita” uno o due suoi dipinti (ritratti). “Fra questi uno fu medagliato a Bruseles” (si citano i prezzi: 1500/2000 fiorini). Viene incaricato il conservatore “di procurare che detti quadri sieno spediti al Museo per prenderne ispezione.”  Il Ritratto del Professor P.  è senz’altro un’opera tra le più interessanti della raccolta del Museo Revoltella, per la suggestiva resa luministica ed espressiva del soggetto ritratto, definito “bellissimo” e “dolorosamente spirituale”[12]. «Chi ha avuto la fortuna di  vedere il suo gruppo di tele all’Esposizione di Milano del 1906, - scrive Campitelli nel 1946 riferendosi ai ritratti del pittore triestino – ricorderà certo la potenza anche di quegli abbaglianti ritratti […]»[13]

Esattamente mezzo secolo più tardi, nel 1956, viene acquistato dal Museo Revoltella per 200.000 lire il Ritratto maschile realizzato da Rietti nel 1895. Il personaggio ritratto, in cui Lorber ha riconosciuto con una certa sicurezza il pittore Nikolaos Gysis, maestro di pittura di Rietti all’Accademia di Monaco[14], è più che mai frutto delle esperienze maturate ai tempi della frequentazione dell’Accademia bavarese, al cospetto della ritrattistica tedesca, densa di drammatici contrasti chiaroscurali.

«Alla tradizione di Monaco – scrive Maria Grazia Rutteri nel 1957 – si riconnette il “ritratto d’ignoto” del Museo Revoltella. La tecnica rapida e plastica di colpi di pennello succosi isola fortemente l’immagine dallo sfondo per farla vivere tra noi con un sorriso appena triste. E l’incarnato caldo, bronzeo, e i capelli trattati nelle loro onde e i contorni sicuri del basco azzurro ricordano le figure del Leibl[15]

 

 

 

 

Arturo Rietti, Il professore Giuseppe Furlani, 1935, pastello su cartone, 50 x 40 cm, inv. 3498

 

 

L’anno successivo, nel 1957, per volontà testamentaria del professor Giuseppe Furlani, “pittore accademico” e professore all’Istituto Magistrale Carducci di Trieste, viene acquisito il ritratto che Rietti gli dedicò nel 1935. Un pastello dalle tinte squillanti e radiose, ben lontane dai toni brumosi dei ritratti eseguiti a cavallo dei due secoli. Assieme al suo ritratto Furlani cedette al museo altri due suoi dipinti intitolati Paesaggio boschivo e Casolari carsici.

Realizzato nello stesso anno dell’autoritratto più famoso di Arturo Rietti, su cui tra breve ci soffermeremo, il ritratto di Furlani incoraggia, come quello, il rapporto immediato con l’osservatore, favorito dalla direzione dello sguardo e dall’espressione, quanto mai attenta e coinvolgente. Da rimarcare inoltre l’intensa intonazione azzurra dello sfondo, non molto ricorrente nei ritratti dell’artista triestino.

Giuseppe Furlani nacque a Trieste nel 1888 e morì l'anno stesso della donazione, nel 1957. «Ingegno versatile e vivace – scrisse di lui Molesi - fu poeta, arguto scrittore, fotografo d’arte, inventore e progettista d’architettura».[16] Dopo un esordio “impressionistico”, intorno agli anni trenta si orientò verso un linguaggio di maggiore consistenza volumetrica, al passo con i tempi.

Quanto al rapporto di amicizia tra Rietti e Furlani, racconta Cesare Sofianopulo che nel suo eterno girovagare Rietti lavorò per un periodo nello studio dell’amico professore ubicato in via Dante[17], il quale all’errabondo amico e al suo lavoro doveva tenere molto se sul retro del ritratto in esame Furlani si preoccupò di specificare: «Ritratto del sottoscrittoper puro miracolo fu salvato dalla guerraGiuseppe Furlani 1945». E più sotto: «Il Rietti considerava uno dei suoi fra i migliori». Seguono poi le raccomandazioni, degne di un esperto restauratore: «Attenzione – non pestare – non sbattere – non metter chiodi – non appenderlo su pareti scosse da porte – Il pastello non è fissato – Attenzione

 

 

 

Arturo Rietti, Ritratto di Attilio Hortis, 1914, pastello su cartone, 56 x 50 cm, inv. 2236

 

 

Il Ritratto di Attilio Hortis, realizzato da Rietti nel 1914, fu donato nel 1933 dal barone Leo Economo.[18]

Una volta di più, Rietti, abituato a raffigurare personaggi culturalmente e socialmente importanti (ma non dimentichiamo che ritrasse pure portinaie e cameriere), raffigura qui una personalità di spicco, personaggio-chiave dell’irredentismo triestino: Attilio Hortis, eccellente letterato ed erudito, oltre che convinto patriota. Direttore della Biblioteca Civica di Trieste dal 1873 al 1922, fu inoltre deputato italiano al Parlamento viennese dal 1897 al 1906.

Realizzato un anno prima della partenza di Hortis per Roma, il ritratto esaminato non può che confermare la geniale capacità dell’artista nel cogliere con grande incisività l’aspetto più recondito di un soggetto: quello interiore. «Non è la fisionomia presa lì nella sua rigida delineazione – scrive Costellos della ritrattistica di Rietti– non sono le risorse tecniche, le botte urtate di colori, che ingannevolmente mascherano il difetto di sentire, ma è la psiche del soggetto, che intensa, e  sincera, si estrinseca nell’opera sua, il suo pensiero che domina serio ed appassionato[19]

Il ritratto del senatore Hortis esposto a Trieste nel 1926 (anno della sua morte), alla V Esposizione Biannuale d’Arte assieme al Ritratto di Gabriele D’Annunzio, a due studi di figura e ad un Paesaggio, partecipò l’anno successivo all’80.a Mostra Nazionale di Palazzo Pitti a Firenze (1927), assieme a diverse altre opere tra cui il Ritratto di Giacomo Puccini. Nel 1935 venne infine esposto a Venezia, in occasione della Mostra dei Quarant’anni della Biennale.

 

 

 

Arturo Rietti, Ritratto di Francesco Basilio, 1892, pastello su cartone, 60 x 49 cm, inv. 4073

 

 

 


Arturo Rietti, Ritratto di Francesco Basilio, 1897, pastello su cartone, 68 x 49 cm, inv. 4074
 

 

Acquistato dal Museo nel 1966 dalla vedova Irene Verbich, vedova di Oreste Basilio, il Ritratto del noto collezionista triestino Francesco Basilio del 1892, è il primo ad essere stato eseguito in ordine di tempo dall’amico Rietti. Molto diverso per impostazione e scelta cromatica rispetto alla versione più tarda del 1897, decisamente più brumosa nei toni, quest’immagine di Francesco Basilio è, invece, molto simile nell’espressione seria e attenta, a quella molto più tarda, tratteggiata dal Wostry nella sua Storia del Circolo Artistico di Trieste (1934).

Francesco Basilio, padre di Oreste Francesco Basilio, membro e presidente del Curatorio del Museo Revoltella dal 1946 fino al principio al del 1965 (anno della sua morte), fu un noto collezionista, nonché segretario di una compagnia assicurativa.

Realizzato cinque anni più tardi rispetto al primo ritratto del collezionista triestino, anche la seconda versione venne acquistata dalla vedova del figlio Oreste, signora Irene Verbich Basilio. Qui Basilio porge il suo profilo e il marcato contrasto dei toni chiari del volto sullo sfondo scuro rende psicologicamente più significativo il soggetto, rispetto al primo ritratto.

Esposta nel negozio di Giuseppe Schollian al Ponterosso nel 1897 assieme ad un ritratto di vecchia, l’opera reca l’affettuosa dedica dell’artista che testimonia il rapporto di amicizia tra i due personaggi. Particolarmente interessante per la già evidenziata impostazione della figura, il ritratto venne così descritto sulle pagine de “Il Piccolo”: «Un altro pastello del Rietti [dopo la testa di vecchia] esposto dallo Schollian, ritratto del sig. Basilio, non manca di vigore, ed è somigliantissimo, ma vicino al primo, pare freddo e poco espressivo. Considerato, invece, per se stesso apparisce interpretato con spirito d’arte e col solito slancio individuale del Rietti[20]

 

 

 

Arturo Rietti, Ritratto di Ettore Luzzatto, 1908, pastello su cartone, 64 x 58 cm, inv. 4003

 

 

Giunto al Museo Revoltella assieme ad altri tre dipinti (Saccaggi, Ballarini, Grimani), grazie al legato disposto dalla signora Alba Erminia, il Ritratto di Ettore Luzzatto raffigura il nonno della defunta, Iacob Vita Luzzatto, detto Ettore.

Nato a Gorizia nel 1852, Ettore Luzzatto, di professione ingegnere, venne perciò ritratto da Rietti all’età di 56 anni. Sposatosi con la triestina Nina Benvenuta Gentilomo (nata nel 1856) ebbe da questa, nel 1884, una figlia Paola che, dopo essersi coniugata con un altro Ettore Luzzatto (nato a Trieste nel 1873), nel 1906 diverrà madre della donatrice Alba Erminia, che morirà nubile a Trieste nel 1956, anno del lascito al Museo Revoltella.

 

 

 

Gli autoritratti e i ritratti dell'artista

Decisamente pittore di figura, se pure l’artista non avesse disdegnato anche altri soggetti nel corso della sua attività, Rietti rivela come insopprimibile la necessità di ritrarsi frequentemente, come testimoniano i numerosi autoritratti esistenti o di cui si ha soltanto notizia, e che indubbiamente fanno riflettere sulla complessa personalità dell'artista triestino. «Poi uscì pian piano, […] – ricorda Salvatore Sibilia in occasione dell’intervista al pittore - un uomo robusto, dal torace ampio, dalle spalle grandi, in maniche di camicia, […] Arturo Rietti. Il viso mi parve subito buono anche fra l’aspetto burbero e l’incorniciamento di una barba quasi biancastra, un poco, forse, ispida.»[21]

 

 

 

 

Arturo Rietti, Autoritratto, 1927 circa, olio su tela, 81 x 60 cm, inv. 548

 

 

 

Dei tre Autoritratti conservati nelle raccolte del museo, quello donato nel 1927 dal commendatore Rodolfo Brunner, viene accolto con “vivo compiacimento” dal Curatorio del Museo, riunito il 12 marzo di quello stesso anno.

Rietti vi si ritrae con la tavolozza e il grembiule da lavoro, poco più che sessantenne. Il linguaggio pittorico, come nei pastelli sfaldato e indefinito ai margini, non perde affatto in solidità formale nella fattura della testa e del busto, che appaiono in tal modo ben inseriti in un ambiente con una determinata spazialità. L'intonazione cromatica è dominata dai bruni e dalle tinte terrose di un interno piuttosto oscuro, per essere il suo atelier.

 

 

 

Paolo Troubetzkoy, Ritratto del pittore Arturo Rietti, 1911, bronzo, 61 cm, inv. 807

 

 

 

Frutto invece di una donazione precedente dello stesso Brunner, effettuata dal commendatore nel 1914, è il Ritratto del pittore Arturo Rietti, una vibrante e incisiva raffigurazione scultorea dell'artista triestino realizzata da Paolo Troubetzkoy nel 1911.

«Mi pregio di comunicare – scrive il podestà Alfonso Valerio al Curatorio del Museo nel febbraio del 1914 – che il signor Rodolfo Brunner, nell’intento di arricchire le collezioni di belle arti della città, ha acquistato recentemente un busto in bronzo dell’illustre scultore Paolo Troubetzkoi, rappresentante uno dei maggiori artisti concittadini, e lo ha donato al Comune, destinandolo al civico Museo Revoltella.»[22] Analogamente a Rietti, Paolo Troubetzkoy (Intra 1866 – Suna 1938), figlio di un principe russo e di una cantante americana, trascorse ripetuti e lunghi soggiorni a Milano, dove frequentò lo studio di Giuseppe Grandi, Emilio Gola, Ernesto Bazzaro e Donato Barcaglia, spinto in ciò dall’amico pittore Daniele Ranzoni, che reputava importante per lo scultore la frequentazione dell’ambiente della Scapigliatura. Non diversamente Rietti si accostò con entusiasmo alle sperimentazioni rivoluzionarie degli “scapigliati”, certamente affini alla propria indole e al proprio linguaggio artistico, antiaccademico e sensibile agli effetti cromatico-luministici della superficie pittorica.

Antitradizionalista fin dai suoi primi lavori noti a Trieste, Troubetzkoy “scandalizzava” la critica locale per il linguaggio profondamente innovativo da lui adottato. Il medesimo fare trascurato, rilevato da un giornalista anonimo su “L'Adria” a proposito di una sua scultura esposta presso il negozio Schollian nel 1893, connota anche il vivissimo ritratto bronzeo di Arturo Rietti, dalla superficie mossa e sfaccettata, ricca di vibrazioni luminose e palpitante di vitalità. «C’è un grande ospite nel mezzo della sala - scrive un cronista ignoto su “Il Piccolo” del febbraio 1914, nel recensire la mostra alla Permanente – un’opera di scultura, un bronzo di quel geniale maestro dell’arte moderna che è Paolo Troubezkoi, un bronzo che ha superbe linee di movimento, che ha una vigorosa, salda struttura plastica, un’animazione di schietta e immediata naturalezza. È il ritratto del pittore Rietti, […]. L’opera, come tutte quelle uscite dalla scuola verista ed impressionistica, ritiene alcunché di quella caratteristica che si designa con l’aggettivo “fotografico” […] La fattura a tratti sommaria, quasi a rapidi nervosi colpi di pollice o di paletta, con disordinata plasmatura della materia, dà di primo acchito un’immagine scomposta, una sensazione di agitato che sembra impedire una serena contemplazione dell’opera d’arte. Ma quando si guardi il busto attentamente, quando si cerchi d’aggiungere agli effetti di plastica quelli di chiaroscuro voluti dall’autore, quando si veda la robusta solidissima modellazione di alcune parti, l’equilibrio delle masse, l’ordine dei piani, si scorge che in quel bronzo al di là delle particolarità stilistiche che si possono giudicare secondo il gusto, ci sono virtù magistrali di vera e propria scultura[23]

 

 

 

Arturo Rietti, Autoritratto, 1920-1925, matita su carta, 24 x 16,3 cm, inv. 3615

 

 

L'Autoritratto a matita, connotato da una profonda valenza psicologica, è giunto al Museo Revoltella grazie alla donazione Hausbrandt, che tra la fine degli anni cinquanta e l’inizio degli anni sessanta fece confluire nelle collezioni del museo circa una sessantina di autoritratti di artisti triestini[24]

Vi si ritrova l'espressione ricorrente e consueta agli autoritratti di Rietti, altera, seria, decisamente concentrata, resa tale dal marcato corrugamento delle sopracciglia imbiancate del pittore, all'età di sessant'anni circa.

Un dato interessante contraddistingue questo autoritratto, un’attestazione di "autenticità" del pittore triestino Piero Lucano, che così dichiara alla base del disegno: “Confermo essere questo suo autoritratto di Arturo Rietti di Trieste 1863 – 1943 e che la firma non è dell'autore. Piero Lucano”.

 

 

 

Arturo Rietti, Autoritratto, 1935, olio su tela, 63 x 52 cm, inv. 4539

 

 

Il terzo Autoritratto, certamente il più conosciuto dei tre, è quello pervenuto nel 1972 con l'importante donazione di Antonio Fonda Savio, che comprendeva dodici dipinti di artisti locali (autoritratti e ritratti di artisti), intenzionalmente effettuata da Fonda Savio per integrare la già cospicua raccolta di autoritratti e ritratti conservata al Museo Revoltella.

La figura di Rietti si stacca dal fondo indefinito grazie ai toni bianchi e smaglianti, corroborati dall'incidenza della luce che giunge alle spalle del soggetto, qui raffigurato all'età di settantadue anni.

«Gli autoritratti nel nostro meraviglioso pittore, – scrive Campitelli nel 1946 – rivelano uno spirito scrutinatore invero sottile, e nello stesso tempo sereno, ed esigente nel mirabile getto e nell’impasto sagace […]»[25]

 

 

 

Le vedute

Nel verbale del Curatorio datato 22 gennaio 1959 il presidente Gian Luigi Coletti riferiva della sua visita fatta alla figlia del pittore Anatolia Rietti, a Roma, per concordare uno scambio di opere del padre. La signora avrebbe infatti consegnato al Museo Revoltella un paesaggio, scelto dal presidente, in cambio del ritratto che il padre le aveva dedicato e che apparteneva al Museo fin dal 1906, quando vi entrò mediante il lascito della Fondazione Cochini (Ritratto della mia bambina, esposto a Milano nel 1906 assieme al ritratto del Professor P.).

 

 

 

 

Arturo Rietti, Veduta di Barcola, 1890-1894, olio su cartone, 60 x 46 cm, inv. 233

 

 

 Arturo Rietti, Trieste - Dalla terrazza di Palazzo Carciotti, 1894, olio su tela, 26 x 19 cm, inv. 3651

 

 

Fra tre quadri di soggetto paesaggistico, il professor Coletti optava per questa Veduta di Barcola, a cui Anatolia Rietti affiancò un’ulteriore piccola opera, anch’essa una veduta, intitolata Dalla terrazza del Palazzo Carciotti.

Supponendo che queste immagini, liriche evocazioni del mare e della città triestina, siano state realizzate dallo stesso suggestivo punto di visione, la cupola del palazzo Carciotti dove, negli anni novanta, l’artista aveva il proprio atelier, è possibile datare agli stessi anni anche la Veduta di Barcola, priva di indicazione cronologica.

 

 

 

 

 


Note

 


[1]  Un ritratto, in  “L’Indipendente”, 4 giugno1888.

[2]  A.-P. Quinsac, Scapigliatura. Un pandemonio per cambiare l'arte, catalogo della mostra a cura di A.-P. Quinsac (Milano, Palazzo Reale), Marsilio, Venezia 2009, p. 234.

[3]  G. M. Campitelli, Profili di artisti. Arturo Rietti, in “Il Giornale alleato”, 3 febbraio 1946.

[4]  C. Sofianopulo, Originalità di un pittore. L’orso dei salotti dipingeva belle donne, in “Messaggero Veneto”, 15 febbraio 1950, p. 3.

[5]  L’annuncio di morte  pubblicato sull“Alabarda Triestina” il 2 febbraio 1885 riportava queste parole sul barone de Scrinzi: « Comm. dell’Ordine di Francesco Giuseppe, cav. della corona ferrea ed altri Ordini, emerito avvocato e consigliere della città, membro a vita della Camera dei Signori, Presidente che fu pure a vita dei Curatorii del Civico Museo Revoltella e del Corso superiore d’insegnamento commerciale fondazione Revoltella […]».

[6]  Fondo Amministrativo del Civico Museo Revoltella, Trieste, 1 febbraio 1957, n. 4628.

[7]  M. Lorber, Arturo Rietti, Fondazione CRTrieste, 2008, pp. 25-26. Il volume è introdotto da G. Pavanello con un intervento intitolato Uno schermidore della pittura, pp. 7-8.

[8]  G. M. Campitelli, Profili di artisti. Arturo Rietti, in “Giornale Alleato”, 3 febbraio 1946.

[9]  Fondo Amministrativo del Civico Museo Revoltella., Trieste, 22 settembre 1934, n. 3548.

[10]  M. Lorber 2008, p. 161, cat. n. 46.

[11]  Nel 1906 il Museo Revoltella era diretto dal pittore Alfredo Tominz, che mantenne la carica di direttore fino al 1926, con un'interruzione di due anni tra il 1916 e il 1918, quando fu internato a Göllersdorf per la sua appartenenza al movimento irredentista. Il Curatorio era formato dal presidente avvocato Felice Venezian, dagli architetti Enrico Nordio e Ruggero Berlam, da Riccardo Pitteri, Rodolfo Allodi, Giuseppe Caprin e l'avvocato Aristide Costellos.

[12]  M. G. Rutteri, Arturo Rietti nella pittura triestina, in “Pagine istriane”, Anno VIII, ser. III , nn. 30-31, Trieste 1957.

[13]  G. M. Campitelli 1946.

[14]  M. Lorber 2008, p. 157, cat. n. 15.

[15]  M. G. Rutteri, Ivi, p. 36.

[16]  F. Firmiani e S. Molesi (a cura di), Catalogo della Galleria d’Arte Moderna del Civico Museo Revoltella, Trieste 1970, pp. 123-124.

[17]  C. Sofianopulo, L’orso dei salotti dipingeva belle donne, , in “Messaggero Veneto”, 15 febbraio 1950, p. 3.

[18]  Di Attilio Hortis i Civici Musei di Storia ed Arte conservano uno splendido ritratto eseguito nel 1910 da Carlo Wostry, che del senatore realizzò anche altre raffigurazioni.

[19]  Cs [Aristide Costellos], in “Il Piccolo”, 26 luglio 1900.

[20]  “Il Piccolo”, 30 dicembre 1897.

[21]  S. Sibilia, Pittori e scultori di Trieste, Milano, L’Eroica, 1922, pp. 275-280

[22]  Fondo Amministrativo del Civico Museo Revoltella, Trieste, 21 febbraio 1914, n. 2571.

[23]  “Il Piccolo”, 7 febbraio 1914.

[24]  Per un approfondimento sulla donazione e sull’Autoritratto si confronti il catalogo Autoritratti triestini. La donazione Hausbrandt, Museo Revoltella, Trieste 2011, pp. 94, 138, con bibliografia aggiornata.

[25]  G. M. Campitelli 1946.