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    I Fratelli Alinari: una famiglia di fotografi

     1852- 1920 Monica Maffioli

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                                                                                         

 

 

 

 

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          La necessità di mettere a fuoco e sistematizzare attraverso i documenti la storia di uno dei più noti atelier fotografici, quello degli Alinari, nasce non solo come un doveroso omaggio in occasione della celebrazione dei loro 150 anni di attività, ma come riflessione e constatazione che, al di là di una conoscenza generalizzata, a volte superficiale e stereotipata, del loro lungo impegno nel campo della fotografia, spesso basata su "immaginose" interpretazioni non documentate e tuttavia consolidate anche nelle più aggiornate ricerche e pubblicazioni, ad oggi, la storia di questi celebri fotografi e della loro società è in gran parte ancora da scoprire e scrivere, in particolare per quanto riguarda le origini e la nascita della grande 'fortuna' artistica e commerciale dello Stabilimento.
È infatti interessante sottolineare che, benché la pubblicistica di riferimento dedicata in questi ultimi venticinque anni agli Alinari sia ampia, soprattutto se messa a confronto con gli sporadici studi realizzati sino ad oggi nel nostro paese sulla storia della fotografia italiana dell'Ottocento, pochi sono i testi che si basano su documenti 'certi', sul recupero di fonti archivistiche o bibliografiche, sull'analisi ravvicinata della loro produzione fotografica, siano le più antiche lastre o i 'vintage prints', a loro volta opere e documenti che molto possono contribuire a delineare i reali contorni della storia ed in particolare delle origini dell'attività di questi fotografi.
A partire dalla prima pubblicazione storiografica dedicata agli Alinari, il famoso catalogo realizzato in occasione della mostra allestita a Firenze nel 1977 presso il Forte Belvedere e dal titolo Gli Alinari fotografi a Firenze, 1852-1920, dove alcuni importanti saggi di storici e storici dell'arte contribuiscono per la prima volta ad una lettura critica del lavoro svolto dagli Alinari, benchè il volume non nasconda il carattere celebrativo, negli anni successivi vengono editi dei nuovi lavori di riferimento: in particolare ricordo quelli di Marina Miraglia, con le sue Note per una storia della fotografia italiana, del 1981, di Emnanuela Sesti, nel catalogo della mostra Alle origini della fotografia: un itinerario toscano, 1839-1880, del 1989, ed il saggio di Susanna Weber e Ferruccio Malandrini dedicato alla Fratelli Alinari sulla rivista "History of Photography" del 1996, che a sua volta riporta importanti riferimenti bibliografici. Nonostante ciò, tuttavia, l'attività degli Alinari, in particolare dei primi decenni dell'atelier fotografico, è ancor'oggi poco delineata e solo attraverso la letteratura dell'epoca o fortunosi recuperi di recenti e frammentari documenti possiamo ora forse tentare di mettere a fuoco il percorso compiuto nei primi anni della loro produzione.
 

Secondogenito di una famiglia popolare del quartiere fiorentino di S. Frediano, Leopoldo Alinari (1832-1865), acquisisce le sue prime nozioni d'arte durante il suo apprendistato in giovane età presso l'allora notissimo negozio del calcografo fiorentino Luigi Bardi, dove fin dai primi anni `50, su incentivo di Giuseppe Bardi, egli si avvicina alla fotografia, impiantando poco dopo, nel 1852, con l'aiuto finanziario del calcografo, "un piccolo laboratorio in via Cornina, prossimo al suo negozio [Bardi n.d.r.], che allora era situato sull'angolo di via de Serpi, in Piazza San Gaetano, dove ora si trova quello di Janetti, come ricorda il biografo Diego Martelli.
Difficile è stabilire come avvenne la formazione fotografica di Leopoldo, ma è probabile che si sia realizzata in parte nell'ambiente fiorentino, attento alle sperimentazioni tecniche e linguistiche di coloro che già in quegli anni operavano nella capitale del Granducato, personalità come Bernoud, Semplicini, Veraci, Philpot, ma anche in seguito ad alcuni viaggi compiuti a Venezia e Roma, dove lavoravano artisti già di fama come Domenico Bresolin e James Anderson, che a loro volta avevano avuto modo di far conoscere a Firenze le loro opere.
È comunque da rivedere l'ipotesi fino ad oggi accreditata dalla storiografia, che Leopoldo Alinari abbia fornito delle sue fotografie al francese Piot per la sua grandiosa opera, mai portata a termine, L'Italie Monumentale, presentata a Parigi nel 1851 con il primo portfolio contenente 5 stampe fotografiche con soggetti toscani. Fu lo stesso Piot, infatti a realizzare queste immagini, come molte altre da lui eseguite in occasione dei suoi viaggi in Italia, così come conferma un documento del 1850, che attesta la sua presenza a Firenze in quell'anno allorchè redige personalmente domanda presso l'Accademia di Belle Arti del "permesso di ritrarre i principali lavori artistici" tra cui "le porte del tempio di S. Giovanni". Nella stessa pubblicazione "La Lumière", più volte impropriamente citata a tale proposito, non vi è traccia del riferimento ad Alinari per quanto riguarda eventuali rapporti con Piot, ma anzi, nel numero del 17 agosto del `51, viene pubblicata una lunga descrizione delle fotografie realizzate dal fotografo francese.
Dell'attività svolta tra il 1852 e il 1854, anno di fondazione della società che prende il nome Fratelli Alinari, e nella quale entrano a lavorare anche i due fratelli di Leopoldo, Giuseppe (1836-1890), con mansioni fotografiche, e Romualdo (1830-1890) con compiti amministrativi, in mancanza ad oggi di qualsiasi fonte archivistica o bibliografica che possa testimoniare di quell'arco di tempo in cui si suppone sia avvenuta la loro 'sperimentazione' e formazione professionale, solo una serie di stampe fotografiche originali d'epoca ci consentono di formulare alcune ipotesi. Potrebbero infatti essere tra le prime prove fotografiche realizzate da Leopoldo Alinari quelle stampe montate su cartonatura originale che riportano il timbro a secco a forma ottagonale con la dicitura "Luigi Bardi", senza menzione del fotografo, che solo più tardi, forse a partire dal 1854, comparirà accompagnato al nome del negoziante con il timbro "Fratelli Alinari/ Firenze/ presso Luigi Bardi". A supporto di tale ipotesi osserviamo che queste prime stampe non riportano il numero di negativo inciso sulla lastra, corrispondente ad una successiva classificazione e indicizzazione numerica del repertorio in commercio, negli anni costantemente aggiornata e mantenuta come inscindibile riferimento di tipo archivistico.
In particolare queste stampe fotografiche, di cui ricordiamo una serie conservata presso il Museo di Storia della Fotografia Fratelli Alinari di Firenze e quattro nella collezione Becchetti presso l'Istituto Centrale del Catalogo di Roma, sembrano testimoniare la graduale offerta in commercio della fotografia in sostituzione alla tradizionale veduta ad incisione. Esse vengono proposte in vendita dal Bardi montate su tavole cartonate con la stessa veste grafica tipica delle stampe dei primi decenni dell'Ottocento, in particolare per ciò che riguarda il carattere della didascalia di riferimento del soggetto rappresentato, ma soprattutto per la presenza in alcuni casi della coloritura ad acquerello della stessa stampa fotografica, probabilmente motivata dalla ricerca di una maggiore adesione al gusto della committenza del Grand Tour che fino ad allora aveva trovato nelle incisioni settecentesche e ancora nelle acquetinte tratte da dagherrotipi, come quelle edite da Artaria e Lerebours nei primi anni `40 del XIX secolo, il principale riferimento visivo ed estetico per il proprio 'souvenir d'Italie' ..
 

Che ci sia stato un periodo di 'sperimentazione' sembra confermato dalla considerazione che il loro primo repertorio di soggetti in vendita presso il negozio Bardi risulta alla fine di marzo del 1855 composto complessivamente di soli 47 soggetti tra "statue e fabbriche così di Firenze come di Pisa", come ricorda in quella data Luigi Delàtre sulla rivista "Monitore Toscano", descrivendo anche alcune di queste fotografie, mentre a distanza di poco più di un mese un'altra recensione dedicata agli Alinari ricorda "più di sessanta sono a quest'ora le loro riproduzioni fotografiche messe in mostra e vendibili".
Tra le stampe fotografiche che allora maggiormente attrassero l'attenzione per la qualità e la precisione nella ripresa del dettaglio e per l'effetto di "monumentalità" dato al soggetto grazie alla scelta del taglio dell'inquadratura, è la veduta della porta settentrionale di S. Maria del Fiore; la ripresa colpisce Delàtre per "il dettaglio del vano occupato da un tavolato di assi rotte imitate con tal finezza che ogni venatura, ogni nodo e per così dire ogni filo del legno si distingue chiaramente non solo con la lente ma ancora coll'occhio nudo.......... ma tutto ciò sarebbe nulla se a questa microscopica esattezza non si accompagnasse l'aria di grandiosità che campeggia in quella egregia costruzione, il che è stato ottenuto con un esito tanto felice che più non poteva essere".
Per le difficoltà di ripresa legate alla quantità della luce e per i forti contrasti che possono richiedere le fotografie eseguite in alcuni ambienti, o di alcune architetture, le capacità tecniche di questi 'pionieri' della fotografia fiorentina vengono particolarmente elogiate a proposito delle vedute del cimitero del Camposanto di Pisa e della Chiesa della Spina dove "vigoria di ombre, precisione di linee, gagliarda spiccatura di tutti i membri architettonici" danno a queste stampe "quel contrasto e quel rilievo che spesso ricercano i pittori e che il fotografista conseguisce". L'unica critica che viene mossa alle immagini è la poca ricerca di luce per creare degli 'effetti' e la mancanza dell'inserimento della figura umana per il proporzionamento in scala del monumento.
Il tema dell'utilizzazione della luce, che il fotografo d'architettura deve sapientemente dosare e calibrare a seconda delle differenti tipologie e caratteristiche stilistiche del monumento, era già stato codificato da Blanquart-Evrard nel `51, come uno dei parametri di valutazione delle capacità interpretative e tecniche connotanti il lavoro di ciascun fotografo. La cultura del 'pittoresco e del romantico' che così spesso caratterizza la produzione delle immagini realizzate dai fotografi fino agli anni Settanta dell'Ottocento, sembra apparentemente non influenzare le scelte formali degli Alinari, tuttavia proprio nelle loro prime opere fotografiche si possono intravedere delle 'citazioni' poetiche di grande effetto artistico e compositivo, che devono far riflettere sulle molteplici definizioni stereotipate usate dalla storiografia che li ha giudicati solo per il loro più noto lavoro di carattere documentario e relativo ad una fase già consolidata e matura della loro produzione fotografica.
È evidente che la radice culturale più schiettamente ancorata ai principi rinascimentali della prospettiva centrale e corrispondente al tipo di visione stabilita dalla tradizione grafica del disegno architettonico a partire dalla fine del XVIII secolo è fin dagli esordi il primo riferimento nella lettura delle loro fotografie: le regole della rappresentazione degli edifici, generalmente in alzati, in una visione bidimensionale e strettamente frontale, oppure in prospettive, per una moderata ricerca della tridimensionalità, in cui le indicazioni del contesto dell'edificio sono assenti in favore di un totale isolamento, si traducono nel rigore compositivo di gran parte della fotografia d'architettura e d'arte degli Alinari, tanto da essere citate come un vero e proprio 'stilÈ; ma a tutto ciò nella produzione fotografica degli anni `50 si affianca la ricerca di spunti narrativi e pittorici di grande rilievo, già sottolineati dalla critica dell'epoca. "La veduta di Firenze presa dal Ponte degli orefici è commendevole per la digradazione della luce e la profondità della prospettiva; (...) il Ponte Santa Trinità colla torre di Palazzo Vecchio e quelle case che si specchiano nell'Arno e il cui riflesso nell'acqua ha una sfumatezza che il pennello appena potrebbe uguagliare, non mancheranno di riscuotere dai conoscitori un debito tributo di lode". E ancora vogliamo ricordare la ricercata, metafisica presenza dello scaleo da giardiniere collocato alle spalle della scultura del Nettuno nella fontana del giardino di Boboli, o la carrozza 'fantasma' davanti alla scalinata del Battistero di Siena, e le magnifiche e di poco più tarde vedute naturali della Chiusa delle Chiane e delle cascate delle Marmore.
Scorrendo la pubblicistica dell'epoca, ma soprattutto grazie alla testimonianza di alcune preziose lettere autografe di Leopoldo Alinari, oggi conservate presso la Biblioteca Comunale Forteguerriana di Pistoia, possiamo dire che il 1855 fu l'anno della vera e propria affermazione degli Alinari come fotografi di fama internazionale, acclamati in occasione della loro prima presentazione ufficiale all' Esposizione di Parigi di quello stesso anno.
La documentazione epistolare intercorsa tra l'agosto del 1855 e il 30 dicembre del 1856 tra i fratelli Alinari e Giuseppe Mazzoni, ex triumviro del Governo provvisorio toscano del `49, esule a Parigi, loro amico e 'corrispondente
' nella capitale francese, è l 'unica testimonianza diretta fino ad oggi rintracciata relativa ai primi anni della loro attività, una straordinaria 'cronaca' riportata in prima persona da Leopoldo e Giuseppe Alinari dei rapporti commerciali e fotografici stabiliti a Parigi, che ci offre allo stesso tempo un inedito e quanto mai realistico 'spaccato' di vita familiare e della società fiorentina.
La prima lettera viene scritta da Leopoldo nell'estate del 1855 dall'Isola di Wight, durante un soggiorno in Inghilterra, dove egli stabilisce contatti con l'ambiente fotografico e artistico londinese, rimanendo comunque apparentemente lontano da qualsiasi tipo di compiacimento estetico verso la contemporanea produzione fotografica inglese, interessandosi solo alla ricerca di nuove formule tecniche, come le stampe brevettate da Thomas Sutton e Blanquard-Evrard, che dichiara di aver appreso dal "De Becker", poi sperimentate con grande entusiasmo a Firenze per oltre due mesi''.
I toni troppo scuri delle prove realizzate con questo metodo, tuttavia, inducono Leopoldo ad abbandonare la tecnica di Sutton per proseguire nella personale sperimentazione che più volte annuncia nelle pagine de "La Lumière" , dando prova degli sviluppi delle proprie ricerche per il perfezionamento di alcuni procedimenti tecnici, in particolare per l'inalterazione delle stampe: "(...) prima un grande lavaggio con l'acqua ordinaria, che noi cambiamo tre o quattro volte; poi bagno d'oro d'Anderson; poi iposolfito concentrato e quasi nuovo; poi lavaggio con l'acqua; poi ancora bagno d'iposolfito e oro; poi nuovo lavaggio con l'acqua con un pennello; poi soluzione d'oro Gelis et Fordos; lavaggio con l'acqua calda (non bollente) e, infine, immersione per più ore in un bagno d'acqua che si cambia di tempo in tempo. I positivi che noi otteniamo dopo qualche tempo con questo mezzo sono molto superiori a tutto ciò che di meglio abbiamo fatto fin'ora. È vero che c'è doppio lavoro e una spesa maggiore; ma è con gran cuore che noi lavoriamo; e se, dopo queste stampe minuziose, noi ci troviamo spossati dalla fatica, abbiamo per contro la grande soddisfazione di vedere che abbiamo fatto un buon passo verso quel perfezionamento che raggiungeremo un giorno: l'inalterabilità completa delle stampe....".
È nella stampa, infatti, che anche Leopoldo Alinari sembra mettere a fuoco il secondo momento essenziale dell'atto creativo, dove maggiore è la libertà espressiva delegata all'autore e la sua abilità nel trattare la stampa diviene un elemento qualificante la stessa artisticità dell'opera: quei toni leggermente violetti, bronzei, le sfumature dei bruni e dei bianchi, di ciascuna stampa positiva, mai uguali, che rendono oggi il 'vintage
' , opera unica, liberando la fotografia dal pregiudizio della sua 'meccanicità' .
A Parigi, grazie anche alla collaborazione di Mazzoni, fin dal 1855 gli Alinari insieme a Giuseppe Bardi stabiliscono rapporti con altri fotografi per la vendita delle loro opere, commercializzate dai Fratelli Bisson, da Daziario e da Goupil, costantemente riforniti ed aggiornati delle loro nuove riproduzioni di vedute ed opere d'arte allo scopo di verificare l'interesse del mercato francese relativamente ai soggetti di maggior richiesta: "Abbiamo fatto in quattro giorni la Venere di Canova e il Bassorilievo di Michelangiolo nella Galleria degli Uffizi. La prima non c'è male ma poteva essere venuta anche meglio; il secondo poi è un capo d'opera e credo ne venderemo molti e piacerà anche ai Parigini" scriveva Leopoldo il 10 ottobre del 1855 e pochi giorni dopo ne inviava un quantitativo di stampe a Parigi, facendone avere una copia all'amico Ernest Lacan che regolarmente ne lodava le qualità sulle pagine de "La Lumière".
Dopo essersi concentrati sul perfezionamento degli aspetti tecnici del lavoro, gli Alinari iniziano a incrementare il proprio repertorio fotografico a ritmi sostenuti, pubblicando a distanza di pochi mesi i loro primi cataloghi in un foglio: nel luglio del 1855 i soggetti in commercio sono diventati 84, "sono di Firenze trentanove - di Pisa venticinque - di Siena dodici - ed altre otto di varie altre parti del nostro Granducato". Nei due cataloghi pubblicati nel 1856, uno in aprile e uno in settembre, entrambi in lingua francese a riprova della committenza cui si rivolgono, gli Alinari propongono soggetti nei formati 35 x 27 e "extra", 41 x 31, rappresentanti una scelta delle più importanti architetture e opere d'arte delle città del Granducato e dello Stato Romano, Perugia, Assisi, Todi, Viterbo.
È interessante notare che a questa data non risultano nel loro repertorio immagini di Roma, facendo ipotizzare un iniziale interesse da parte dei fotografi a delimitare il loro ambito territoriale di documentazione per evitare reciproche e dannose concorrenze; tale supposizione viene ulteriormente rafforzata se si considera che Leopoldo Alinari soggiornò per un periodo di oltre due mesi a Venezia, nell'estate del 1858, per realizzare le riproduzioni dei disegni di Raffaello su incarico del principe Alberto, ma non eseguì in quel frangente nessuna fotografia relativa alla città o ai suoi principali monumenti.
In occasione dell'Esposizione fotografica di Bruxelles del `56, accanto alle opere italiane di Lorent, Perini, Sacchi si possono ammirare 18 stampe fotografiche dell'atelier fiorentino e tra queste viene particolarmente elogiata la veduta dell'interno della chiesa degli Angeli ad Assisi con l'affresco di Overbeck. Nella veduta d'interno, poco illuminata, non un solo dettaglio d'architettura e dell'affresco dell'artista contemporaneo tedesco si è perso, dando prova di capacità tecniche di alto livello e conquistandosi il diritto di essere citati non solo come abili fotografi ma anche tra coloro che hanno meglio compreso la missione della nuova arte, ricorda il critico Ernest Lacan ne "La Lumière", che prosegue: "Gli Alinari non si accontentano di far conoscere i monumenti del loro paese; essi si sono dedicati a 'conservare la memoria per il futuro dei capolavori dei grandi maestri e che il tempo distrugge poco a poco".
È significativo che fin dalle loro prime campagne, venga attribuita agli Alinari la loro piena adesione a quell'ideale ruskiniano di fotografia come strumento di documentazione scientifica e di salvaguardia della storia del manufatto architettonico e artistico attraverso la sua conoscenza oggettiva, conservando ai posteri la sua identità; e lo stesso Ruskin portava ad esempio nei suoi discorsi sull'educazione artistica le fotografie degli Alinari come supporti essenziali nella formazione accademica dei giovani.
"Conoscere per conservare" sarebbe stata da li a pochi anni la parola d'ordine dettata dalle Commissioni Conservatrici di Antichità e belle Arti nate dopo l'Unità d'Italia, e a questo programma di politica culturale contribuiranno in modo essenziale le ampie documentazioni fotografiche che realizzeranno i grandi stabilimenti fotografici italiani, tra i quali quello Alinari.
Al lavoro di documentazione d'arte si affiancano contemporaneamente le commissioni particolari dei privati, riproduzioni delle opere realizzate dai pittori e dagli scultori fiorentini, come ad esempio i quadri del Mussini, l'interno dell'atelier del Bartolini e le richieste degli stranieri che desiderano portare con se il ricordo dei paesaggi e delle abitazioni dove hanno soggiornato. Così come sono chiamati a testimoniare l'intervento degli architetti nel loro lavoro di restauro degli edifici storici, come nel caso dell'incarico conferitogli da Alessandro Manetti nel 1857 per documentare la prima fase di intervento per il puntellamento e restauro della facciata degli Uffizi sull'angolo con via della Ninna. Di questo intervento rimane oggi traccia in un'inusuale immagine Alinari dove gli operai del cantiere sono colti al lavoro, con una vivacità 'istantanea' scevra da regole formali, bensì attenta a cogliere la cronaca dell'evento.
Nell'ottobre 1857 e nell'aprile 1858 i loro cataloghi sono in due fogli e ospitano numerosi nuovi soggetti, tra i quali ricordiamo la poco nota "Chiusa delle Chiane" vicino Arezzo, "ove sono meravigliose la prospettiva aerea, la trasparenza dell'acqua e la riproduzione degli alberi, che sono un'altra disperazione dei fotografi, perché col dare un tuono troppo oscuro scordano dal resto e per la prima volta soggetti di Livorno con una particolare veduta della Piazza Grande vista dall'alto. Inoltre, troviamo aggiunto a questi due cataloghi, un foglio con l'elenco dei soggetti dell' "Album dei 50 disegni scelti dalla Collezione della Galleria degli Uffizi", sancendo la definitiva specializzazione della ditta nella riproduzione di opere d'arte. Riconoscimento che permise loro di ottenere, nel 1858, la commissione da parte del principe Alberto d'Inghilterra; di una campagna fotografica dedicata ai disegni di Raffaello presso la galleria dell'Accademia di Venezia e presso la collezione privata dell'arciduca Carlo d'Asburgo a Vienna, che portò alla pubblicazione nel 1859 della raccolta intitolata "Disegni di Raffaello e d'altri maestri esistenti nelle gallerie di Firenze Venezia e Vienna riprodotti in fotografia dai Fratelli Alinari e pubblicati da L. Bardi in Firenze". Di quest'opera monumentale, per impiego di risorse e per capacità tecnica, composta complessivamente da 310 fotografie e venduta all'epoca al prezzo di Lire italiane 1000, si conoscono, presso l'Accademia Albertina di Vienna, un esemplare della prima serie dei 50 disegni degli Uffizi, alla Bibliothèque Nationale di Parigi una serie completa di tre album con i disegni di Firenze, Venezia e Vienna, mentre negli archivi Alinari si conservano tre negativi su lastra all'albumina relativi alla campagna fotografica svolta nella capitale austriaca e tra i più antichi della loro attività conservatisi sino ad oggi.
L'opera, realizzata da Leopoldo Alinari, risulta di grande rilievo se si considerano le difficoltà burocratiche e tecniche che all'epoca dovevano essere affrontate per eseguire la riproduzione fotografica di opere appartenenti alle collezioni granducali. In due lettere di Leopoldo, relative ai preparativi per svolgere l'incarico avuto dal principe Alberto, egli si lamenta di questi ostacoli e richiede l'intervento dello stesso principe per ottenere le autorizzazioni necessarie.
Anche nella pubblicistica dell'epoca viene costantemente fatto riferimento al superamento da parte dei fotografi dei problemi tecnici nella riproduzione delle opere d'arte all'interno di gallerie e chiese, diventando uno degli elementi principali per la valutazione del loro operare, in una sorta di gara per il raggiungimento di risultati sempre più 'fedeli' all'opera riprodotta, alla traduzione delle sue policromie nei toni monocromi della stampa fotografica; si deve tuttavia constatare che ancora nel dicembre del 1857 nessun risultato era stato ottenuto in tal senso, tanto che fino a quel momento le "Gallerie Reali" fiorentine negavano i permessi per la riproduzione dei loro quadri, così come dichiara in una lettera il direttore Luca Bourbon Del Monte: "I permessi per copiare in Fotografia sono stati dati fino ad ora a persone, la cui abilità in tal sorta di lavori fosse stata constatata da opere precedentemente eseguite. Le domande dei dilettanti, degli apprendisti vengono rigettate. La Galleria di Firenze ha fino ad ora permesso di fare tale operazione dai monumenti di piccola mole, e da quelli ancora di gran mole, come sarebbero statue, purchè fossero in posizione, sì per la distanza che per la luce, da potersi fare dal posto dove sono. Il trasporto di queste in altro sito non è stato mai concesso. I risultati sono stati gli appresso: le sculture sì in bassorilievo che in tondo, tanto in avorio che in bronzo dorato e del suo colore, in legno, cesellature, come pure disegni, tutti questi oggetti hanno ben riuscito. Le statue non sono mai riuscite bene e quelle fotografate che si vedono di originali che esistono nella Galleria di Firenze, sono tutte levate dai gessi che il fotografo si è procurato fuori dallo stabilimento, e che ha collocato nella luce aperta a suo bell'agio per servire a tutte quelle esigenze che tali operazioni richiedono.
Per gli oggetti di piccola mole e di facile trasporto, il Direttore della Galleria ha permesso a qualche distinto fotografo di prendere copia, e siccome era necessità di trasportare i medesimi ad una luce adattata, il monumento veniva rimosso e mai abbandonato da un impiegato del Dipartimento, finche non fosse ricollocato al posto. Essendosi poi veduto fino al presente giorno, per quanti esperimenti siano stati fatti, che i quadri in colore a Olio non riescono, niun permesso si è dato fin qui per copiare i quadri delle Gallerie Reali. Fu eseguito dai Fratelli Alinari un piccolo esperimento sui Fra Angelico dell'Accademia, ma il risultato fu infelice, poiché i colori rossi, gialli e bleu non si riprodussero. Si tenta adesso sull'affresco del Cenacolo di Fuligno dal Fotografo Inglese Filpot, ma per ben due volte non ha riuscito (...)".
Nel 1860 gli Alinari fanno domanda alle Gallerie degli Uffizi e di palazzo Pitti per poter riprodurre in fotografia i principali quadri, e poiché gli esperimenti iniziali sono riusciti "abbastanza soddisfacenti, e tali da poter stare al paragone di quel che in questo genere attualmente si fa in Francia e Inghilterra, (...)", viene concesso loro il permesso per la durata di un anno, "con queste condizioni: ch'essi lasciano alla Galleria una copia di ciascun quadro che riprodurranno, che usino nell'opera loro tutte quelle cautele che il Direttore delle Gallerie crederà di stabilire per tutelare la conservazione dei quadri, che non arrechino ingombro co' loro arnesi nella sala delle Gallerie dove stanno i copiatori a lavorare; e che finalmente siano a loro carico le spese che occorreranno per togliere dal loro posto e rimettere i quadri".
Dalla lettura della numerosa corrispondenza esistente tra i fotografi dell'epoca e le Direzioni delle Gallerie e dei Musei d'Italia si fa evidente la grande preoccupazione che necessariamente scaturiva in occasione della riproduzione fotografica delle opere d'arte, quadri, sculture o altri oggetti, vista la complessità che il lavoro richiedeva, sottoponendo i capolavori al rischio di gravi danni sia diretti che indiretti, come nel caso dell'esposizione al sole dei dipinti per lunghi tempi di posa, o ancora rispetto alle molte spese di staccare e rimettere, quadri incomodi per il loro peso e grandezza, i quali spesso saranno causa di levarne altri all'intorno per porre le scale o qualche carrucola; (...). Ancora nel 1864, per timore che la luce elettrica e la polvere di magnesio, che gli Alinari avrebbero usato per illuminare e riprodurre "le storie dipinte a fresco nella Cappella del Palazzo Pretorio", potessero arrecare eventuali danni all'affresco, prima di concedere loro il permesso viene richiesto un parere al laboratorio di chimica del Reale Istituto tecnico di Firenze. La risposta del chimico Prof. Bechi non è rassicurante e consiglia: "Che qualora voglia illuminarsi la cappella con la luce elettrica, gli apparecchi destinati a svolgere la elettricità (pile) debbano essere posti in una stanza separata dalla cappella, dove non siano pitture di pregio ed oggetti da guastarsi, e questa stanza sia chiusa in modo che non vi sia pericolo che i vapori di acido nitroso che [esalano n.d.a] dalle pile possono penetrare nella cappella medesima. Che nella cappella siano introdotti soltanto i due fili conduttori dell'elettricità, e i carboni destinati per la luce elettrica. Che in quanto alla luce prodotta dalla combustione del magnesio, non crede il sottoscritto che via sia pericolo alcuno, non sviluppandosi in questa combustione sostanze che possono verificarsi dannose ai colori degli affreschi, di cui è decorata la cappella".
Un insieme di difficoltà e precauzioni che rendevano la riproduzione delle opere d'arte ancora per diverso tempo uno dei campi di prova e verifica delle capacità professionali di molti fotografi del primo decennio della seconda metà dell'Ottocento.
Privilegiando evidentemente la ricerca di una forte specializzazione sul piano della produzione, l'attività ritrattistica degli Alinari rimane per i primi anni marginale.

Giuseppe si era dedicato a questo genere fotografico già nella sala di posa allestita in via Cornina, ma solo all'Esposizione Italiana di Firenze del 1861 vengono presentati al pubblico per la prima volta dei lavori di ritrattistica, tra cui "alcune teste dÈ Principi reali", oltre ad un grande Panorama di Firenze in tre parti, che venne elogiato per la maestria tecnica. Ed è nel catalogo commerciale del 1863 che si trova per la prima volta il prezziario dei ritratti che possono essere eseguiti in "carta da visita, in grandezza normale, a mezzo busto" e "degli Artisti distintissimi sono addetti allo Stabilimento per chi bramasse dei Ritratti colorati all'olio o all'acquerello"
È nel quinquennio di Firenze capitale che la sala di posa Alinari, nel nuovo Stabilimento di Via Nazionale 8, diviene il luogo elitario dove con la loro firma si eseguono i ritratti dei più noti personaggi della società italiana e internazionale dell'epoca, un susseguirsi di personalità e rappresentanti della società nobile e borghese, di cui rimane tutt'oggi documentazione in alcune centinaia di negativi su lastra, sia al collodio che al bromuro, conservati negli archivi Alinari e nelle molte stampe, per lo più in formato "Carte de visite" e "Gabinetto", che con grande diffusione venivano all'epoca commercializzate per comporre album di famiglia o delle glorie patrie. Repertori fotografici in piccolo formato delle maggiori personalità della politica e della cultura risorgimentale che rappresentavano l'unico modo per far conoscere sia in Italia che nel resto del mondo il volto di coloro che avevano fatto la storia d'Italia, la governavano e la rappresentavano economicamente e culturalmente: una sorta di enciclopedia figurativa degli 'uomini illustri, che solo la fotografia e la sua massiccia commercializzazione ha consentito di trasformare in un 'pantheon' alla portata di tutti.
Grazie al successo conseguito nel primo decennio di attività, nel 1863, gli Alinari infatti avevano potuto trasferire la loro Società dal piccolo laboratorio di via Cornina, al grande palazzo progettato dagli Alinari come loro abitazione e Stabilimento fotografico, edificato nel nuovo quartiere detto di "Barbano", in via Nazionale 8, oggi largo Alinari 15, dove ancora opera l'azienda. La testimonianza più diretta per visualizzare le forme originarie del nuovo edificio è riportata nei cartoncini dei piccoli formati fotografici prodotti dagli Alinari, dove, oltre al nome dell'atelier e agli indirizzi dei propri punti di vendita, è riprodotto il disegno del prospetto di facciata dello Stabilimento: esso si presentava originariamente articolato in un edificio principale su due piani, delimitato ai lati da due corpi di fabbrica più alti, in cui si trovavano i luoghi di 'rappresentanza' della ditta, la sala d'attesa e la "galleria delle esposizioni" che conduceva alla sala di posa illuminata da un grande lucernario dal quale, grazie al dosaggio dei velari, si diffondeva la luce necessaria al lavoro fotografico. Da questo ambiente ci si poteva affacciare sulla via principale da un terrazzo fatto costruire nel 1868, unico elemento architettonico che 'nobilitava'  l'austera e neorinascimentale facciata dell'edificio che verso il fronte interno si apriva su un cortile e un giardino dove si trovavano gli ambienti di lavoro, i magazzini, gli archivi, i laboratori per lo sviluppo, le terrazze usate per la stampa alla luce del sole, tutti quei luoghi ove ferveva l'attività quotidiana dello stabilimento, così come è ancora documentato da una straordinaria serie di fotografie pubblicate per la prima volta nel 1899.
Alla fine degli anni Sessanta il loro Stabilimento è considerato "tra i più eleganti d' Italia e dell'estero, oltre a ciò esso è di una notevole importanza industriale per la produzione annua di più che 60,000 fotografie di varie grandezze, dalle quali si ottiene un retratto di oltre L. 70,000. In questo stabilimento vengono adoprate le macchine di Dallmeyer, Woighlander (sic), Du Boscq, ecc. ed i processi degli Alinari stessi, ed i loro prodotti si sono già aperti anche una via di smercio in America, in Francia e altrove. Lo stabilimento Alinari conta 17 uomini occupati nelle varie preparazioni necessarie all'arte fotografica.
Un incremento di produzione costante al quale corrispondeva necessariamente anche un sempre più serrato programma di ampliamento del loro repertorio fotografico, come documentano i loro numerosi cataloghi pubblicati con frequenza regolare a partire dal primo Catalogo Generale delle Fotografie del 1863, edito subito dopo il trasferimento dell'atelier nella nuova sede. Rispetto ai fogli pubblicati nel 1856 vengono offerti in commercio diversi formati di stampa, oltre a quelli già presenti, e in particolare l'introduzione di nuove serie di soggetti in grandezze 25 x 18, "carte da visita" e stereoscopiche; con quest'ultimo formato, gli Alinari si adeguano al dilagare di una moda che vede l'immagine stereoscopica conquistare larga popolarità per le sue caratteristiche di tridimensionalità, considerata specchio 'veritiero' per la sua piena capacità di persuasione della 'realtà' in quanto resa percepibile anche nella dimensione dello spazio e del rilievo dei volumi, strumento di studio utile sia nell'insegnamento delle arti che delle scienze, ma soprattutto 'divertissement' popolare. I soggetti ripresi in formato stereoscopico verranno fortemente incrementati dagli Alinari fino alla metà degli anni Settanta, scemando via via dai repertori in commercio con il progressivo affievolirsi di questo genere di mercato.
Nel mese di giugno del 1863 Leopoldo, forse su commissione del conte Cambray Digny, come fa supporre una lettera a lui indirizzata, realizza un'importante campagna fotografica presso la tenuta reale di S. Rossore, eseguendo una serie di riprese fotografiche di inusuale carattere, in cui l'autore dimostra una grande qualità compositiva nelle vedute di paesaggio e di natura, difficilmente espressa in altre occasioni. Le 34 fotografie dedicate alla tenuta e documentate in un prezioso album, oggi conservato presso il Museo di Storia della Fotografia Fratelli Alinari, testimoniano la capacità interpretativa di Leopoldo Alinari nella ripresa del paesaggio naturale, dei grandi spazi agresti popolati dal bestiame allevato nella tenuta, in cui l'abbacinante luce solare che crea forti contrasti di ombre e chiari è vicina alle ricerche pittoriche dei contemporanei autori 'della macchia'; e ancora, le molte fotografie dedicate alla pineta di S. Rossore, colpiscono per la scelta della ripresa, per la ricerca compositiva impostata sulla visione della natura sia nella sua 'avvolgente maestosità', i grandi alberi, la profondità dei viali di pini, il fitto intrico dei rami da cui filtra la luce, sia nella visione del dettaglio più minuto come la corteccia e le contorte forme dei rami e dei cespugli della flora mediterranea, alla ricerca di un costante riferimento al dualismo tra 'natura e artificio', tra quella natura selvaggia e l'azione di codificazione dell'uomo. Nell'insieme, dunque, si tratta di una delle più significative prove della qualità artistica di Leopoldo Alinari, libero in quest'occasione di esprimersi al di là degli schemi compositivi dettati dalle regole della ripresa d'arte o monumentale, imposte dalla sua produzione commerciale, dimostrandosi capace di cogliere con estrema sensibilità interpretativa i molteplici linguaggi della natura.
L'anno del trasferimento della capitale del Regno d'Italia da Torino a Firenze, vede la pubblicazione, nel settembre del 1865, del loro secondo Catalogo Generale e, due mesi dopo, l'inaspettata morte del trentatreenne Leopoldo Alinari, che lascia solo alla direzione dello stabilimento il fratello Giuseppe.
La personalità di Giuseppe Alinari, rimasta sempre in ombra rispetto a quelle di Leopoldo e di Vittorio, è in realtà centrale se si considera che è proprio nei venticinque anni di sua direzione che il nome dell'azienda si consolida e si sviluppa, riuscendo con grande impegno a confrontarsi sia sul piano tecnico che della produzione con la concorrenza nazionale e straniera, ma soprattutto egli è partecipe di quei fermenti culturali e imprenditoriali che, in particolare nel periodo di Firenze capitale, vivacizzano gli ambienti sociali fiorentini.
Se già nell'ottobre del 1865 lo stabilimento Alinari era stato la sede per la presentazione pubblica del progetto architettonico di Andrea Scala per il completamento della facciata di Santa Maria del Fiore, così come molti altri progetti per lo stesso concorso furono oggetto di fotomontaggi dimostrativi da parte degli Alinari, mostrando un coinvolgimento diretto nella lunga querelle che precedette la scelta del progetto vincente dell'architetto De Fabris, ancora più attiva fu la loro partecipazione nella documentazione dei lavori previsti dal piano dell'architetto Giuseppe Poggi per l'ampliamento urbanistico di Firenze. Poggi si servì della fotografia come strumento di verifica dei diversi momenti progettuali ed esecutivi della sua attività, cercando nel lavoro fotografico degli Alinari l'elemento di supporto al proprio operare, così come era ormai divenuta prassi comune di tutti gli architetti del XIX secolo, in particolare nel caso di interventi di 'restauro', delegando alla riproduzione fotografica il rilievo delle preesistenze monumentali prima del loro abbattimento, come testimoniano le fotografie degli Alinari delle porte dell'antica cinta muraria fiorentina o la documentazione delle opere edilizie realizzate, ville, palazzi, ampliamenti stradali.
Particolarmente significativo di questo tipo di produzione fotografica è un album, probabilmente donato verso il 1874 dal Comune di Firenze alla città di Parigi, che proprio qualche anno prima aveva realizzato le sue più radicali trasformazioni urbanistiche per opera dell'architetto Haussmann, dove sono documentati fotograficamente i principali lavori urbani e edilizi compiuti per cambiare il volto medioevale della città di Firenze in moderna capitale europea.
All'obiettivo fotografico degli Alinari è affidato infatti il compito di presentare all'estero la città nei suoi nuovi spazi, gli ampi viali e le piazze dove alle antiche mura venivano ora a sostituirsi i grandi palazzi neorinascimentali, le palazzine che qualificavano i nuovi quartieri borghesi, così come le opere pubbliche e le maggiori istituzioni scientifiche e culturali nate grazie alla volontà di riqualificazione e affermazione della cultura positivista ottocentesca. Le immagini dei nuovi viali Principe Amedeo, Filippo Strozzi, della piazza Cavour, con le recenti costruzioni edilizie realizzate dalla "Florence Land Company limited", società appaltatrice della maggior parte delle opere di questi anni, così come la serie di fotografie che documentano diverse fasi della costruzione del "Serbatoio Morel per le acque potabili della città di Firenze", sono un esempio della capacità degli Alinari di rendersi grandi interpreti della 'rivoluzionÈ urbana a cui era sottoposta la loro città.
L'impegno di Giuseppe Alinari nella sperimentazione di nuove formule tecniche alla ricerca di 'primati' fotografici è costante, trovando ampi riconoscimenti pubblici sia in occasione delle più importanti Esposizioni nazionali ed internazionali, dove gli Alinari parteciparono con regolarità, come dimostrano i numerosi diplomi tutt'oggi conservati, sia negli ambienti fotografici e artistici dell'epoca. Vengono in particolare ricordati i suoi studi dei procedimenti tecnici alla ceroleina, all'albumina, al cellulosio, ma soprattutto "le splendidissime risultanze ottenute nella riproduzione alla grandezza naturale di quadri delle Gallerie di Firenze, per i quali per la prima volta nel mondo, si adoperarono lastre collodionate di m. 1,30 x 0,90, dimensioni che sono spaventevoli per coloro che conoscono le difficoltà di preparare le lastre di 50 a 60 centimetri. Alcune di queste lastre di grande formato, che gli valsero la medaglia d'oro all'Esposizione di Parigi del 1889, si conservano ancor'oggi negli archivi Alinari e rappresentano degli esemplari unici sia per le loro dimensioni, con le implicazioni tecniche che tali formati dovevano comportare, sia per qualità di ripresa della riproduzione d'arte.
A questa vocazione 'sperimentalÈ, finalizzata anche a vedere ampliato il proprio repertorio commerciale, si deve anche il rapporto stabilito nel 1872 tra lo Stabilimento Alinari e la manifattura Ginori per la realizzazione di un campionario di oggetti in ceramica decorati con immagini fotografiche: un'applicazione della fotografia come elemento ornamentale della produzione Ginori, proposta come soluzione industriale e seriale in alternativa alla tradizionale decorazione pittorica artigianale. Di questa produzione rimane testimonianza in alcuni esemplari di piatti, vasi da arredo sacro e rinfrescatoi, ma purtroppo, non conoscendo ulteriori notizie in merito al tipo di accordo commerciale intercorso tra le due società, è difficile stabilire quanta 'fortuna' ebbe questo genere di produzione. L'ampliamento del proprio repertorio fotografico relativo all'arte e alla veduta rimane comunque l'attività principale degli Alinari.
Sfogliando i cataloghi di vendita dello Stabilimento, pubblicati negli anni della direzione di Giuseppe, è possibile fare alcune valutazioni: mentre le campagne fotografiche svolte fino ai primi anni Settanta non si allontanano dall'ambito regionalistico, con sporadiche puntate, come abbiamo visto, in territorio umbro, compiendo un lavoro di aggiornamento limitato ai soggetti delle stesse città, nei quindici anni successivi all'Unità d'Italia, la loro produzione si indirizza verso nuove località. Nel catalogo generale pubblicato nel 1873 e nelle seguenti sue tre appendici, l'ultima delle quali edita nel 1887, sono presenti nella prima parte dedicata alle "vedute, statue e bassirilievi antichi e moderni" immagini relative a campagne compiute per la prima volta a Milano e Napoli, nel 1873, a Roma nel 1876, Arezzo, Bologna, Ferrara nel 1881, e infine, ad Ancona, Genova, Padova, Torino e Venezia nel 1887. La principale caratteristica di questi nuovi cataloghi, a partire da quello del 1873 fino a quello del 1887, è la presenza, a fianco del titolo e del numero di negativo, di una breve descrizione storico-artistica del soggetto rappresentato, una serie di preziose annotazioni, costruite in forma di guida, di particolare utilità per gli "amatori del bello" che ne erano i principali fruitori.
Gli Alinari infatti spesso utilizzavano come supporti scientifici per la scelta dei soggetti e per la compilazione dei cataloghi delle campagne fotografiche, le principali guide e pubblicazioni storiche dell'epoca, Sonzogno, Artaria, Pineider, Baedeker, ecc., così come venivano da loro direttamente chiamati a partecipare all'opera preparatoria alcuni studiosi e artisti di fama.
Se questi costanti riferimenti alla cultura artistica contemporanea dell'epoca dovevano costituire per gli Alinari una garanzia di correttezza scientifica del loro lavoro di documentazione, oggi le loro campagne fotografiche possono essere lette anche come la più esemplare testimonianza di una forte coesione, sempre esistita nell'Ottocento, tra fotografia e cultura artistica, imprescindibile nell'analisi della produzione degli Alinari. In altri termini, le scelte compiute dagli Alinari via via che selezionavano le opere d'arte e i monumenti che dovevano entrare nel loro catalogo, definendo in questo modo una sorta di gerarchia basata su valutazioni di gusto estetico e storiografico, sono la traduzione in immagini di quei valori storico artistici stabiliti dalla cultura coeva, la quale a sua volta, attraverso le guide e la manualistica, consolidava i topoi privilegiati del panorama monumentale e artistico italiano. Vengono così a definirsi dei repertori fotografici per lo più corrispondenti alle indicazioni dettate dal contemporaneo filone editoriale delle guide turistiche straniere e nazionali, che a loro volta avevano stabilito degli stereotipi nella mappa visiva delle principali mete del viaggio in Italia.
Le fotografie degli Alinari, così come di altri grandi stabilimenti fotografici dell'Ottocento, non sono, come spesso la critica contemporanea ha voluto indicare in senso riduttivo, solo il risultato di un'attività documentaria e commerciale, ma esse rappresentano sia per il loro carattere compositivo ed estetico, sia per le tipologie iconografiche contenute, la piena e rigorosa adesione ai canoni di gusto e di valutazione della cultura italiana risorgimentale che cercava le radici della sua identità nazionale.
La medaglia d'oro assegnata agli Alinari all'Esposizione Universale di Parigi del 1889 si può considerare l'ultimo riconoscimento di cui partecipano i fondatori della ditta, che l'anno successivo, con la morte di Romualdo e Giuseppe, vede chiudere la sua prima fase, quella dei decenni pionieristici della fotografia sia sul piano della sperimentazione e della tecnica, sia di affermazione artistica e commerciale dello 'stile Alinari'.
Quando il giovane figlio di Leopoldo Alinari, Vittorio (1859-1932), nel 1890 assume la direzione dello Stabilimento, la fotografia degli Alinari ha ormai pienamente conquistato uno spazio autonomo nella cultura della seconda metà dell'Ottocento, rispondendo largamente alle richieste di un sempre più vasto mercato e riuscendo a mantenere costante l'elevata qualità delle immagini. La personalità di Vittorio si discosta da quella dei suoi 'padri' e, benchè esperto fotografo, egli si afferma nel ruolo di imprenditore di un'attività che si configura ormai definitivamente con le caratteristiche di vera e propria industria.
Ad una qualificata schiera di operatori Vittorio affida la realizzazione delle numerose e capillari campagne fotografiche promosse nei trent'anni in cui dirige l'azienda, compiendo un'opera di censimento del patrimonio nazionale che va al di là della risposta commerciale alle richieste di una committenza turistica o di studiosi d'arte, ma si prefigura come una totale adesione alle esigenze di catalogazione promosse dalla cultura positivista degli ultimi decenni del secolo.
Ed è da questo momento, dunque, che scrivere una storia della fotografia Alinari significa inevitabilmente mettere a fuoco quella che fu più concretamente la realtà dell'operare quotidiano di diverse personalità di fotografi che, pur mantenendo la tradizione e l'alta qualità della produzione, non furono semplici esecutori, ma qualificati professionisti all'interno di un'attività aziendale. Nasce, così, il mestiere dell'operatore che, ormai lontano dalla figura, tra alchimista e artista, caratteristica dei pionieri della 'camera oscura', interpreta il ruolo di unico reale autore dell'immagine Alinari, rispettando, pur con le proprie specifiche individualità e qualità, le regole formali imposte dalla 'scuola dei padri' dell'Alinari, tanto da rendere oggi difficile attribuire la paternità delle fotografie che costituiscono l'archivio della ditta. Da frammentarie notizie sappiamo che a questo impegno partecipano negli anni della conduzione dell'azienda da parte di Vittorio, diversi fotografi già formati professionalmente, primo fra tutti Vincenzo Paganori, legato agli Alinari anche da un rapporto di parentela in quanto zio di Vittorio.
Paganori, che ebbe un proprio atelier fotografico dal 1873 al 1891, anno in cui venne chiamato dal nipote ad aiutarlo nella conduzione dello stabilimento di via Nazionale, inglobando la sua attività a quella della Fratelli Alinari e deve aver rappresentato per il giovane Vittorio un supporto fondamentale durante il primo periodo di direzione dell'azienda, in particolare per quanto riguarda l'aspetto tecnico fotografico. In quello stesso anno l'azienda pubblica il Catalogo N°1 delle riproduzioni di "Firenze e Contorni", il primo di una nutritissima serie che, con scadenza a volte anche di tre uscite all'anno, presenteranno al pubblico lo straordinario incremento della produzione fotografica realizzata dalla ditta, che vede sempre più accrescere il mercato della fotografia grazie anche al contemporaneo sviluppo dell'editoria illustrata.
Rispondendo alle esigenze del nuovo mercato legato all'editoria d'arte e al sempre più florido filone delle pubblicazioni dedicate al 'viaggio artistico' in Italia, che grazie alla fotografia rivelano i paesaggi, monumenti e costumi sconosciuti alla maggioranza degli italiani, gli Alinari si propongono, infatti, come uno dei più ricchi archivi di immagini da cui attingere i repertori iconografici necessari ad illustrare le pubblicazioni che vengono proposte dagli editori Hoepli, Treves, Touring Club, solo per citarne alcuni; e allo stesso tempo essi avviano, a partire dal 1893, una propria attività editoriale, che alla fine del 1907 potrà contare su un ricco catalogo di 40 titoli relativi a pubblicazioni dedicate alla storiografia artistica e curate da critici d'arte di grande rilievo come ad esempio Supino, Canestrelli e Reymond, che nel 1897 in una sua prefazione al volume edito da Alinari, La Sculpture Florentine, innalza il lavoro fotografico della ditta fiorentina a "punto di partenza e principale causa di questi brillanti studi che negli ultimi anni hanno rinnovato la critica italiana".
Nel 1899, in occasione dell'Esposizione promossa a Firenze dalla Società Fotografica Italiana, lo stabilimento Alinari viene riconosciuto per il suo primato all'interno del panorama fotografico italiano soprattutto perché "possiede non meno di 25.000 lastre di opere esistenti in Italia ed è capace di stampare in un sol giorno 2.000 fotografie ai sali d'argento, 200 al platino e 200 al carbone". Tale produzione è garantita dalla presenza di una struttura operativa che conta complessivamente in 36 dipendenti, di cui oggi siamo in grado di conoscere il nome e la qualifica, grazie al ritrovamento di una stampa originale d'epoca della famosa fotografia del "Gruppo del Personale dello Stabilimento Alinari" scattata nel 1900 in occasione del viaggio del direttore e fotografo Giuseppe Sguanci a Parigi per l'Esposizione Universale. Il personale addetto alle campagne fotografiche è composto a questa data, oltre che da Sguanci, responsabile dell'intero settore fotografico, da un solo operatore, Gaetano Puccini, presente nell'azienda già dal 1872 e formatosi presso il fotografo siciliano Incorpora, principale autore anche della ritrattistica svolta nella sala di posa Alinari, coadiuvato nel suo lavoro da tre "aiuto operatori", Beppe Giani, Mario Sansoni e Raffaello Serchi, mentre alla stampa al bromuro sono addetti sei operai, a quella al carbone quattro, due al viraggio e fissaggio e due al ritocco. Il rimanente dei dipendenti svolge compiti relativi a mansioni di archivio, magazzino, amministrazione e di conduzione dei negozi di Roma e di Firenze, quest'ultimo, in via Tornabuoni, diretto per 46 anni, fino al 1925, da Vittorio Brunoni.
A questa 'memoria fotografica' dei volti di coloro che operarono per molti anni nell'azienda, fa eco il testo del "Regolamento per il personale dello Stabilimento Alinari", del 1906, un unico foglio manoscritto che ci ricorda le regole che governavano l'azienda nei primi del Novecento, e da cui si evincono la grande responsabilità riposta su ciascun dipendente e la vulnerabilità della propria condizione di lavoratore: "I danni della rottura, deterioramento, cattiva coloritura, fissatura e lavatura delle prove saranno fatti rifondere dall'operaio che ne sarà stato riconosciuto responsabile, o dalla massa degli operai se il colpevole non sarà stato trovato. Per la rottura o il deterioramento delle negative, se casuale, sarà inflitta una multa; se invece provata l'assoluta negligenza o colpevolezza dell'operaio, esso potrà essere immediatamente allontanato dallo Stabilimento, senza che possa pretendere a nessuna giornata di stipendio". Nonostante ciò, tuttavia, non si conoscono 'incidenti' verificatisi in pratica e, al contrario, si ha la sensazione, leggendo le cronache dell'epoca, che la direzione dell'azienda fosse ampiamente apprezzata, tanto da poter mantenere sempre elevata la propria competitività.
Gli operatori, che percorrevano in lungo e in largo la nostra penisola e compivano viaggi all'estero, con il costante impegno di ampliare e aggiornare i repertori iconografici dell'azienda, realizzano fondamentali campagne fotografiche nelle maggiori città e gallerie d'arte, di cui troviamo costante riscontro nei cataloghi delle riproduzioni, a partire dall'ultimo decennio dell'Ottocento dedicati alle singole aree regionali, o a specifiche campagne d'arte: Umbria (1893), Roma dintorni e provincia (1893), Lombardia (1894), Venezia e il Veneto (1897), Sicilia (1898), Emilia, Marche e Repubblica di S. Marino (1900), Dresda (1906), Parigi (1908), Grecia (1908), Riproduzioni di Disegni di Antichi Maestri e delle Stampe di Rembrandt (1910), Domenico Morelli (1913).
La grande Esposizione Universale di Parigi del 1900, emblematico compendio dei progressi compiuti dall'uomo al suo affacciarsi al nuovo secolo, rappresenta anche per l'azienda fiorentina un momento significativo della propria storia. Vittorio Alinari è in quest'occasione il vivace cronista, per il "Bullettino della Società Fotografica Italiana", della visita alle sezioni dedicate alla fotografia dalle diverse nazionalità presenti all'Esposizione, illustrando il suo articolo con alcune fotografie istantanee da lui scattate in occasione di quel viaggio a Parigi, che era stato anche motivo di rinnovati contatti con i maggiori esponenti dell'ambiente fotografico francese, come nel caso dell'amico Paul Nadar, al quale regala una sua stampa fotografica.
Nel confronto parigino tra i maggiori stabilimenti e professionisti della fotografia mondiale, essi ricevono il "Grand Prix" per le grandi fotografie da loro presentate, tra le quali spicca la riproduzione "al vero" del trittico con l'Adorazione dei Magi di Gentile da Fabriano della Galleria degli Uffizi. L'opera, realizzata su carta fotografica intelata e colorata a tempera, montata in cornice di legno delle stesse dimensioni del capolavoro originale, apre la strada ad un genere di produzione a colori di ampio gradimento per il pubblico, tanto da diventare basilare per l'economia della ditta. Le riproduzioni 'dirette a colori' dei più noti capolavori della pittura, dal XIV secolo fino alle opere degli autori contemporanei, realizzate in vari formati, per lo più ridotte, secondo il sistema ideato dall'Ing. Arturo Alinari, vengono proposte in vendita da Alinari, complete di cornice e a diversi prezzi a seconda del processo di coloritura scelto, "imitazione tavola, imitazione tela, imitazione affresco"; a questo tipo di produzione lavora una serie di pittori, usciti dalle scuole d'arte, dediti alla colorazione manuale delle stampe fotografiche, a olio, tempera o anilina. Tale genere di prodotto andrà gradualmente scomparendo via via che si affermerà l'uso del negativo a colori, benchè esso rimanga fino agli anni Cinquanta un oggetto di arredo largamente diffuso, soprattutto in ambito ecclesiastico.
A partire dal 1900, i cataloghi di riproduzioni dello stabilimento riportano sul frontespizio la nuova intestazione "Riproduzioni pubblicate per cura di Vittorio Alinari, proprietario dello stabilimento fotografico Fratelli Alinari", una sorta di 'imprimatur' di Vittorio, che, oltre a suggerire un nuovo assetto della proprietà, fa soprattutto trasparire la sua forte, predominante e vivace personalità, portandoci oggi a considerarlo tra quei personaggi che hanno profondamente inciso nella cultura fra Ottocento e Novecento.
Se da un lato infatti, egli è un autorevole esponente dell'economia fiorentina, capace imprenditore di una florida azienda, allo stesso tempo è il filantropo e 'mecenatÈ degli intellettuali e degli artisti toscani, promotore di importanti concorsi e iniziative d'arte e editoriali, a sua volta costantemente partecipe in qualità di fotografo alle mostre nazionali e internazionali, in alcuni casi celandosi dietro degli pseudonimi, per confrontarsi con la produzione fotografica d'avanguardia, amatoriale e professionale, quale autore e interprete delle istanze pittorialiste proposte dalla fotografia degli anni tra fine Ottocento e i primi del Novecento.
Scorrendo le pagine del "Bullettino", edito dal 1889 al 1912, dalla Società Fotografica Italiana, di cui facevano parte, dal 1890, sia Giuseppe che Vittorio, si possono seguire in modo costante le molteplici iniziative e proposte avanzate sia dallo stabilimento Alinari che dal suo proprietario. Benché non siano stati tra i fondatori della Società Fotografica, gli Alinari vi partecipano in modo attivo fin dai suoi esordi, tanto che alla morte di Giuseppe viene fatto omaggio alla Società di alcuni suoi oggetti personali: "una collezione di 63 volumi di opere fotografiche, e della intera collezione del Moniteur de la Photographie, nonché di uno speciale e grande Revolver fotografico che il signor G. Alinari aveva fatto eseguire per proprio uso, corredandolo di due ottimi obbiettivi del Dallmayer, ed infine di un bel ritratto ingrandito quasi al vero, stampato con uno dei migliori procedimenti al platino"; ed ancora, nell'agosto del 1890 il "Bullettino" pubblica nelle sue pagine una fototipia tratta da un negativo di Giuseppe, rendendo così omaggio alle sue capacità tecniche e artistiche.
A partire da questa data, il nome di Vittorio compare più volte sul "Bullettino", come autore di articoli citato per le sue ricerche tecniche, per premi e meriti conferiti alla sua azienda in occasione delle molte esposizioni a cui partecipa, o ancora per i concorsi che egli bandisce per la realizzazione di opere d'arte da parte di artisti contemporanei al fine di creare un'iconografia mirata alla produzione commerciale, come nel caso del concorso per un quadro raffigurante la Madonna con Bambino, indetto nel marzo 1900 insieme ad un altro per l'illustrazione della Divina Commedia allo scopo di realizzare una nuova edizione dell'opera per i tipi della Fratelli Alinari. Sulla scia del grande successo ottenuto nel 1902 con la pubblicazione della nuova Divina Commedia illustrata da grandi maestri contemporanei, tra i quali ricordiamo Fattori, Spadini, De Carolis, Costetti, nel 1905 Vittorio Alinari bandirà un altro concorso "fra fotografi professionisti e dilettanti per illustrare le commedie di Goldoni", che tuttavia andrà fallito per la totale assenza di concorrenti. Ciò comunque non scoraggerà Vittorio nell'idea che l'illustrazione fotografica e pittorica sia l'elemento vincente per la rivisitazione di un certo tipo di editoria, in particolare quella delle grandi opere letterarie, visto che ancora nel 1905 egli propone di realizzare a Firenze, nella primavera del 1907, un'Esposizione Internazionale di Fotografia applicata all'illustrazione del libro. Sebbene questa proposta non abbia avuto un seguito, perseguendo quest'idea, egli concentrò le energie della sua casa editrice nella pubblicazione, tra il 1909 e il 1915, del Decamerone con i disegni di Tito Lessi, ed in prima persona eseguì le campagne fotografiche per illustrare i volumi L'Arno, del 1909 e contenente 22 splendide collotipie, In Sardegna, del 1915 e, infine, la sua opera più emblematica, Paesaggi Italici nella Divina Commedia, pubblicata nel 1921. L'idea di realizzare un'impresa editoriale di prestigio per celebrare il sesto centenario della morte del 'divino poeta' è già consolidata in Vittorio nel 1917, quando, rendendosi conto "che per tale lavoro occorreva fare numerose fotografie artistiche in tutta Italia, e questo non poteva farsi che a pace conclusa per gli innumerevoli ostacoli che lo stato di guerra produceva, ma tardando ancora la prospettiva di una pace gloriosa, richiede la collaborazione di alcuni noti esponenti della produzione fotografica italiana, tra cui Sella, Masoero, Scarabello, Pachò, per ricevere delle loro opere ed illustrare i diversi canti. La scelta dei fotografi chiamati a parteciparvi e le stesse illustrazioni realizzate da Vittorio fanno di quest'opera una delle più significative raccolte di immagini 'pittorialiste`, una raffinata testimonianza della piena adesione da parte dell'ultimo esponente della dinastia di fotografi Alinari, a quei codici estetici dettati dalle fotografia pittorica, che apriranno la strada ai linguaggi delle avanguardie artistiche del XX secolo, sancendo la fine di quel capitolo della storia della fotografia scritto dai grandi professionisti dell'Ottocento.
Simbolicamente, l'opera vedrà la stampa non più sotto il nome della casa editrice Alinari ma con il marchio tipografico dei suoi figli, "Giorgio e Piero Alinari Editori", ideale ultimo omaggio ad un lungo percorso compiuto dall'antica azienda di famiglia, che nel 1920 sarà ceduta da Vittorio ad un gruppo di azionisti, forse come estremo atto di consapevole ammissione della conclusione di un'epoca d'oro della fotografia, certamente demotivato dal proseguire in un'impresa che non aveva discendenti in seguito alla prematura e tragica morte, il 22 luglio 1910, del figlio Carlo, l'unico ad avere dimostrato interesse a praticare la fotografia e già curatore di alcune pubblicazioni della casa editrice Alinari
Un'altra epoca e un nuovo capitolo della storia si apre infatti con la società Fratelli Alinari Istituto di Edizioni Artistiche (I.D.E.A.), erede di un patrimonio fotografico, imprenditoriale e culturale che saprà costantemente conservare e rinnovare, tanto da farle raggiungere il primato che oggi vanta di più antica azienda fotografica ininterrottamente operante da 150 anni.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

tratto da: Fratelli Alinari - Fotografi  in Firenze                                                                                   

© 2006 by  F.lli Alinari S.p.A

 

 

 

 

P.S.: Nel testo sono state omesse le note dell'autore.