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SUNT VERBA ET VOCES
(SONO PAROLE E VOCI, Orazio, Epistole, Libro I, I, 34)
Giuliano Confalonieri
“E fra più voci un’armonia s’accoglie” (Poliziano): la caratteristica
fondamentale del coro e dell’uso che ne viene fatto (la voce di petto,
la voce di testa e le voci bianche per ottenere le quali ci furono
pesanti prevaricazioni sull’individuo, mutilazioni psicologiche e
fisiche fino alla castrazione) ha fatto creare brani le cui assonanze
echeggiano sotto le volte armoniose delle chiese o delle sale da
concerto. Il timbro della voce si distingue dal semplice rumore per la
sua estensione e per la capacità naturale di modularsi nelle tonalità di
basso, baritono, tenore, contralto, mezzosoprano, soprano.
L’infinita gamma di suoni che ne derivano, in base alla costituzione
fisica ed alla preparazione artistica di chi canta, ha raggiunto nel
corso dei secoli modi espressivi molto efficaci (nel 1930, lo scrittore
francese Jean Cocteau con il monologo La voce umana fece un omaggio alle
capacità comunicative di varie prime donne del teatro – Anna Magnani tra
le altre – permettendo loro di cimentarsi con brani gonfi di pathos). Il
coro nell’opera lirica, il canto gregoriano nella liturgia solenne ed i
religiosi che leggono l’uffizio salmodiando negli stalli lignei
intarsiati, i complessi polifonici e le corali folkloristiche, sono
derivazioni del teatro greco (Egizi, Assiri ed Ebrei usarono a loro
volta la voce corale per esprimere sentimenti collettivi) nel quale la
danza unita al canto facevano corpo unico con lo spettacolo
rappresentato (il corifeo era il capo del gruppo, assistito talvolta dai
parastati dei due semicori). Il coro più antico sembra fosse di origine
cretese, di derivazione popolare: fu diffuso nella sua primitiva forma
di omaggio alla deità verso la metà del VII secolo a.C.
Probabilmente diventò tragedia e commedia del teatro classico greco
quando l’attore si staccò dal gruppo per recitare brevi brani narrativi.
Dapprima Taleta e soprattutto il poeta di lirica corale Alcmane a Sparta
consolidarono le nozioni fondamentali di un tipo d’arte che avrebbe
avuto il suo mentore in Arione, poeta e musico: fu lui infatti
l’inventore del coro ciclico in onore di Dioniso e l’artefice a Corinto,
nel Peloponneso, di un gruppo corale ditirambico travestendo i circa 50
coreuti da satiri (da queste premesse sarebbe nata più tardi la tragedia
attica). Le singole strofe che componevano le prime partiture furono poi
ampliate da Stesicoro in triadi (strofe, antistrofe ed un epodo),
sistema usato anche da Bacchilide e Pindaro. Cori tragici, drammatici e
comici, un insieme di invenzioni che coinvolsero personaggi come
Eschilo, Sofocle e Aristofane.
Dodici, quindici o ventiquattro coreuti per consentire al maestro di
allestire complessi validi anche se composti esclusivamente da uomini
(la maschera, un accessorio utilizzato fino alla Commedia dell’Arte, era
indispensabile per travestire i cantanti in base ai personaggi che
rappresentavano sulla scena). Anticamente il coro si disponeva ai lati
dell’azione principale per rilevare con la sua presenza ed il canto le
fasi principali del rito religioso o dello spettacolo; i contrappunti
con l’accompagnamento musicale (la lira per la tragedia, il doppio
flauto per la commedia), gli inserti mimici danzati e l’assolo degli
interpreti principali, davano colore e anima allo spettacolo. Il coro
era dunque fondamentale e spesso privilegiato nei confronti delle parti
da protagonista. Euripide, Timoteo e Aristofane rovesciarono decisamente
questa impostazione dando maggiore importanza alle parti liriche degli
attori (inesistente nella commedia latina con l’eccezione di un
recitativo di Plauto e qualche intermezzo). Le voci dedicate alla
preghiera nei monasteri o nelle feste religiose (il coro monofonico fino
al primo medioevo diventò polifonico per l’uso contemporaneo di voci e
strumenti in più parti) hanno mantenuto vivo un modo espressivo che
minacciava di svanire. Con il cristianesimo, il coro divenne parte
integrante del rito religioso assumendo nel contempo una sua propria
identità: dal commento della liturgia alle laude spirituali all’oratorio
(nella musica profana sarà usato sia nel madrigale che nella cantata).
Dal XIX secolo si sono diffuse forme di canto popolare dei neri negli
Stati Uniti del Sud come il Blues: di ispirazione profana ha origine dai
canti di lavoro degli schiavi (la fusione del blues con il ragtime
pianistico di ascendenza europea diede impulso alle prime forme di
jazz).
Gli Spirituals di ispirazione biblica hanno invece la loro origine dagli
antichi inni liturgici e dai salmi anglosassoni del XVIII secolo quando
nacquero le prime congregazioni e chiese dei neri; usati nei raduni
religiosi all’aperto si imposero poi come musica folk afro-americana.
Parallelamente a questi generi, nei centri urbani nordamericani e
soprattutto nei riti della chiesa Battista si sviluppò il Gospel song,
il canto del Vangelo da parte dei neri basato su una forma di chiamata e
risposta, ossia un contrappunto vocale coinvolgente l’intera assemblea.
Il coro teatrale riprese la sua importanza nel melodramma soprattutto
quando si antepose il discorso musicale alle ghirlande ed al virtuosismo
dei guitti alla corte di Versailles ai tempi del re Sole. L’opera lirica
si fa risalire tradizionalmente al 1607 quando alla corte dei Gonzaga a
Mantova venne rappresentato Orfeo di Monteverdi.
Da Venezia a Vienna, dalla Francia a Napoli è un susseguirsi di opere
serie e buffe nonché di idee come il Singspiel (commedia musicale in
lingua tedesca praticata anche da Beethoven con Fidelio); poi Mozart,
Wagner e la grande stagione italiana con Rossini, Bellini, Donizetti e
Puccini. Giuseppe Verdi è morto a Milano nel 1901 (in segno di rispetto
il lastricato fu ricoperto di paglia per attutire il rumore delle ruote
delle carrozze che transitavano sotto le finestre della camera dove
giaceva in agonia): nel suo ponderoso lavoro di compositore, insieme al
potenziamento della parte orchestrale, il maestro di Busseto inserì in
alcune sue opere grandi masse corali a sostegno e corollario del dramma.
Le eccezionali possibilità espressive del canto sono tanto più efficaci
quanto più idoneo è l’ambiente: l’auditorium nonché il grande patrimonio
delle chiese e dei teatri ottocenteschi permettono al pubblico, spesso
distratto dalla fata Morgana televisiva, di ascoltare buona musica dal
vivo. La voglia di esprimere sensazioni e sentimenti passa attraverso
civiltà antiche costituendo un’ampia cronologia: il Magnificat evangelico, gli inni raccolti da Sant’Ambrogio, la
Schola cantorum di
Gregorio Magno, il primo organo donato da Costantino V imperatore di
Bisanzio, lo Stabat Mater del XIII secolo, il Laudario cortonese, e la
Messa di Tournai, prima messa interamente polifonica composta da vari
autori.
Nel 1526 Martin Lutero tradusse i testi delle Sacre Scritture e compone
numerose corali, nel 1567 fu pubblicato il capolavoro di Pierluigi da
Palestrina Missa Papae Marcelli, nel 1635 vede la luce la più famosa
raccolta di musiche d’organo di G. Frescobaldi, Fiori musicali. Nella
seconda metà dell’Ottocento l’oratorio Christus di Liszt, il Requiem di Brahms e la
Messa da requiem di Verdi. La musica da camera rivendica le
proprie origini almeno dall’inizio del secondo millennio: i componimenti
poetici trobadorici, l’Ars Nova, il madrigale rinascimentale, la
cantata, la sonata, la fuga e la sinfonia sono altre forme riproposte
ancora oggi con strumenti d’epoca. Le masse corali continuano la
tradizione nel XX secolo con i nuovi autori, le nuove tendenze, le
sfarzose coreografie operistiche, la novità dei musicals a Broadway e le
numerose trascrizioni cinematografiche (West Side Story, l’opera rock
Jesus Christ Superstar, All that Jazz), cartoons come Fantasia
realizzato nel 1940 dal precursore Walt Disney.
Giuliano Confalonieri
giuliano.confalonieri@alice.it