Sant'Angelo  in  Formis

 

Giovanni Attinà

 

 

 

Sant' Angelo  in  Formis, Basilica di San Michele Arcangelo

 

 

Da tempo, il mio amico Antonio mi invitava ad andarlo a trovare, perché voleva portarmi  a visitare una antica chiesa, bella e interessante, a suo dire, sia per la storia e sia per l’arte, situata nella zona di Capua.

Non avevo dubbi su quanto mi veniva raccontato: come non credere a Antonio, già dirigente scolastico, ma soprattutto uomo di  vasta cultura.

Alla prima occasione, perciò, in una giornata grigia e un po’ piovosa, con un treno locale da Napoli, che, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, è partito ed è arrivato in perfetto orario, sono arrivato in una stazioncina, persa in mezzo alla campagna.

Si chiama Falciano del Massico, centro agricolo noto per la produzione di latticini (le mozzarelle di bufale),  conosciuto già ai tempi antichi  per la produzione del rinomato vino Falerno, tanto caro ai Romani. Caro e anche costoso, se il poeta Orazio lamentava di non poterlo offrire ai suoi  ospiti, quando invitava  nella sua modesta casa, il ricco Mecenate.

A pochi chilometri, verso il mare, ci sono  le cittadine di Cellole e di Mondragone, quasi disabitate di inverno,  ma con una popolazione moltiplicata d’estate, come tutte le località di mare. Più avanti c’è Gaeta, da  un  lato il Volturno e da un altro il Garigliano.

Ci siamo diretti, invece, verso l’interno,  verso Grazzanise, S. Maria La Fossa  e Ferrandelle, sfioriamo Carditello,  Caiazzo,  arriviamo a S. Maria Capua Vetere e a Capua, dove vediamo antichità e ruderi d’ogni tipo, archi, mura, ponti e soprattutto l’anfiteatro.

 

Capua, Anfiteatro

 

Siamo nella antica Campania felix, a Capua, rinomata per le rose e per i gladiatori: non a caso ebbe inizio qui la rivolta del gladiatore più famoso, Spartaco. Affiorano ricordi classici, gli otia di Annibale, che mise l’accampamento proprio lì, dove ci stiamo recando, sotto il monte Tifata; il  “ placito capuano “, quel documento che viene comunemente considerato l’atto di nascita della lingua italiana. La realtà di oggi è ben diversa, la zona non è più tanto “ felix “, ma è ricordata più per fatti negativi legati alla criminalità organizzata.

In pochi minuti,  raggiungiamo un minuscolo centro agricolo, tutto  in salita, situato ai piedi del monte Tifata:  S.Angelo in Formis.

Qualcuno si chiederà subito: perché in “ Formis “? Che significa? Le  risposte che ho cercato, sono varie e controverse.

Secondo alcuni, la parola “ forma “ - tra i vari significati attribuiti - indicava le falde acquifere o i doccioni, cioè tubi o canali per le acque, perciò   acquedotti, allora esistenti nei pressi del monte Tifata : ” in o ad formas “ si riferirebbe, perciò, alla posizione del paese “ presso “ quegli acquedotti o sorgenti che portavano l'acqua, dal monte fino a Capua.

Altre versioni fanno, invece, derivare la denominazione da “ informis “  cioè  senza forma, e, considerando la natura del luogo e l’esistenza di un edificio religioso, “ spirituale “.

 

Arco di Diana

 

Arrivati  a un quadrivio, giriamo a sinistra, salendo, e attraversiamo  una porta, detta Arco di Diana.

Oltre l’arco, in un solitario piazzale, affacciato sulla pianura circostante, troviamo una chiesa, a prima vista, credo, uno dei monumenti dell’alto medioevo  più interessanti della Campania.

E’ la basilica di S. Michele Arcangelo, un bella costruzione religiosa romanica, con un portico ad archi acuti, e fiancheggiata da un campanile a bifore.

 

Ai tempi antichi, prima della chiesa, su quello stesso posto esisteva un tempio pagano intitolato alla dea Diana Tifatina, dal nome del monte, detto  anche ad arcum Dianae.

Come è accaduto un po’ dappertutto, al momento del trapasso dalla religione pagana al cristianesimo, sull’antico tempio, edificato nel I° sec. a.c. e andato in rovina, fu edificata la chiesa cristiana, utilizzando i vecchi materiali preesistenti, marmi, colonne ecc.

La sua edificazione risale, secondo gli storici, al IX sec.: costruita in stile  romanico, per conto di monaci benedettini, la sua gestione subì varie peripezie fino al 1073.

In quell’anno, Riccardo Drengot, principe normanno di Capua,  la restituì definitivamente a  Desiderio, potente abate della Abbazia di Montecassino, che la riedificò nelle forme che vediamo oggi.

 

 

Basilica di San Michele Arcangelo, Portico con colonne e capitelli

 

 

La facciata è costituita da un portico di cinque arcate, sostenute da quattro colonne, due di granito e due di marmo cipollino, con capitelli di tipo corinzio.

In fondo all’arcata mediana c’è il portale di marmo bianco, classico, fiancheggiato da due colonne corinzie.

Sopra e intorno al portale si notano affreschi di grande interesse storico e artistico, una Madonna orante e, nelle lunette, Tentazione di S. Antonio  abate e S. Paolo eremita nella grotta, che a dire degli studiosi sono del XII e XIII sec.

 

 

 

Entrando si notano subito le colonne – 14 – che dividono le tre navate; esse sorreggono archi a pieno centro.

 

 

 

 

L’interno si presenta oggi come un cantiere per i restauri in corso: sul lato destro, infatti, è montata una specie di impalcatura che  nasconde  la parete. Anche il pavimento a mosaico appare malridotto.

 

 

 

 

Sulla sinistra si vedono una acquasantiera formata, mi sembra, da un capitello medioevale, e il fonte battesimale ricavato da due rocchi di colonne scanalate.

Un pulpito di marmo semplicissimo,  è situato sulla sinistra, a lato dell’altare maggiore.

A destra, in fondo, entriamo nella sagrestia,  ma è tutto sottosopra, per i lavori di restauro.

 

 

 

 

A sinistra invece, in una saletta, è sistemata ora una cappelletta, con un piccolo altare per le funzioni religiose, e alcune statue in legno, molto interessanti.

Le pareti della basilica, sono tutte piene di affreschi, ma tutti hanno bisogno di restauro, alcuni sembrano persi, altri  sono poco visibili: sulla parete interna della facciata, il Giudizio universale, in 5 ordini orizzontali , sulla navata sinistra l’Uccisione di Abele, Caino che fugge, Noè, e altre.

 

 

Basilica di San Michele Arcangelo, Altare e abside

 

 

Sopra l’altare tutte scene della Vita di Cristo, nell’abside  Cristo Pantocratore, circondato dai simboli dei quattro evangelisti.

 

 

Basilica di San Michele Arcangelo, Cristo Pantocratore

 

 

Secondo  studiosi dell’arte,  si pensa che gli affreschi siano stati avviati  poco dopo la fondazione dell’edificio, nella zona absidale, e successivamente furono estesi  alle altre pareti.

L’abate Desiderio – futuro papa con il nome di Vittore III - aveva fatto ricostruire completamente l’Abbazia di Montecassino, nel 1071, ornandola di preziosi affreschi e mosaici. Egli fece venire da Bisanzio alcuni artisti bizantini, in particolare mosaicisti, poiché, si legge nella Cronica Monasterii Casinensis, da troppi anni, “ i maestri latini avevano tralasciato la pratica di tali arti “.

Questi artisti  influenzarono, con il loro stile e la loro scuola, anche le botteghe di artisti locali. Costoro, chiamati ad affrescare le pareti di S. Michele Arcangelo, dallo stesso Desiderio, si ispirarono a quei  modelli bizantini presenti all’epoca a Montecassino.

 

 

 

 

Desiderio è nominato nella scritta latina presente sul portale: “ salirai al cielo se avrai conosciuto te stesso, come Desiderio che, ripieno di santo Spirito e osservando la legge, edificò un tempio a Dio per ottenere una ricompensa eterna “.

 

  

Basilica di San Michele Arcangelo, Affreschi

 

 

Gli affreschi, che erano stati ricoperti con stucco nei primi anni del ‘700, furono riscoperti solo nel 1868,  e già restaurati. Da quel che ho visto, i restauri continuano.

Anche nel campanile, sono incastrati elementi risalenti al tempio pagano; nelle bifore si nota subito la colonna centrale di stile classico. Mi fa venire in mente il campanile romanico della chiesa della Pietrasanta, in via Tribunali, a Napoli, che presenta le stesse caratteristiche e fu costruita, anche lì, sul vecchio tempio dedicato alla dea Diana.

Dal piazzale antistante la basilica si coglie la visione di tutta la pianura del Volturno, dove fu combattuta, nel 1860, la grande battaglia tra garibaldini e borbonici.

Anche questo paesino, infatti, ha partecipato alla formazione dell’Italia. Proprio qui, infatti, all’entrata di S. Angelo, si verificarono violenti scontri, nei quali fu coinvolto lo stesso Garibaldi.

Si racconta che egli, mentre cercava di raggiungere le sue linee, percorrendo in carrozza  la strada tra S. Maria Capua vetere e S.Angelo, fu attaccato dai soldati borbonici che abbatterono cocchiere e cavallo. A stento,  era riuscito a salvarsi, correndo a piedi verso le proprie linee.

 

 

 

 Giovanni Attinà

 

 

 

 

Per chi vuole saperne di più:

 

Q. Orazio Flacco, I Carmi.

Calonghi, Vocabolario latino-italiano

O. Morisani, Gli affreschi S. Angelo in formis, Napoli 1962

Barry Strauss, La guerra di Spartaco, ed. Laterza

Jerome Carcopino, La vita quotidiana a Roma, ed. Laterza

Gianni Granzotto, Annibale, ed. Mondatori 1980

Claudio Magazzini, Breve storia della lingua italiana, ed. Il Mulino

Pier Giusto Jaeger, Francesco II di Borbone, l’ultimo re di Napoli,  ed. Mondatori 1982

Gigi di Fiore, I vinti del Risorgimento, ed. Utet 2004

 

 

Bibliografia web:

 

www. diocesidicapua.it /  basilica in formis

www.italiamedievale.org