Portaprofumi

 

Alessandra Doratti

 

 

 

Si chiamava Francesco Spoturno ed era corso, nato nel 1874 ad Aiaccio da buona famiglia: rimase presto orfano e dovette imparare "ad arrangiarsi". A Parigi, dove si era trasferito, se la cavava vendendo merletti e, la sera, apprendeva rudimenti di chimica da un amico farmacista. Grazie a queste "lezioni private" decise di dedicarsi ai profumi e di studiare nuove combinazioni: con i risparmi della nonna aprì un negozio in Rue de la Boetie. Il nome della prima essenza "Rose Jacqueminot", è il nome di battaglia del profumiere fu, per sempre, Coty.
Coty, dunque, appassionato del bello, si preoccupava che i nuovi prodotti fossero messi in vendita in contenitori raffinati: ordinava infatti le boccette a Lalique e alla cristalleria di Baccarat. Ma, tutto sommato, di affari ne faceva pochi. Infine, la piccola grande idea che avrebbe messo in moto la fortuna: nel 1907, nei Magasins du Louvre, che si trovavano sull' area dove sorge ora il Louvre des Antiquairies, Coty fa in modo che uno dei suoi flaconi cada e si rompa. Il profumo si diffonde con prepotenza, la clientela è subito "presa per il naso". Coty, diventato grande industriale collezionista d'arte, proprietario di giornali, continua ad essere appassionato del bello e cura personalmente fino alla morte, avvenuta nel 1934, che gli oggetti portaprofumo siano sempre di fattura e di linea squisita.
La sollecitudine di Coty per boccette e flaconi non era, certamente, una novità. Nei musei archeologici sono disponibili, a iosa, portaprofumo in uso nell'antichità classica, dai piccolissimi contenitori in terracotta delle dame greche, a quelli in vetro usati dalle romane, a loro volta ispirati ai minuscoli portaprofumi degli egizi. Particolare attenzione meritano invece i portaprofumi in uso in Europa tra il Cinquecento e l'Ottocento, così raffinati da essere spesso assimilabili ai gioielli o da costituire, per lo meno, oggetti di gran gusto. Oggetti e oggettini che facevano parte del mondo femminile (ma, si vedrà, non solo di quello) e che aggiungevano fascino a fascino ed eleganza ad eleganza.
Proprio ai portaprofumi di questi ultimi secoli è stata dedicata una grande mostra, "Autour du parfum", tenutasi a Parigi nell'estate dell'85 al Louvre des Antiquaires.
I più curiosi tra gli antichi contenitori sono forse i "pomanders", o "pommes d'ambre", o "pommes de senteur", "pomander" era una sferetta traforata spesso in oro o in argento, talvolta predisposta per aprirsi a spicchi come un'arancia. Conteneva essenze essicate, quali ambra, muschio, cedro, cinnamomo, canfora, aloe, rosa e sandalo. Si portava al collo come un gioiellino con finalità parasanitarie; dovevano infatti servire a tener lontano mal di testa, le febbri, le emoraggie, i rischi di aborto.
I profumi erano allora, estremamente intensi: se non altro, erano utili a far arretrare in secondo piano gli odori sgradevoli che, date le precarie condizioni igieniche, dovevano essere preponderanti e diffusi (addirittura nei palazzi reali — da Versailles in giù — le stanze da bagno erano un'assoluta rarità, una stravaganza). Si credeva persino che riuscissero a tenere lontana la peste: oltre a portare religiosamente al collo il "pomme de senteur", contro le epidemie si facevano grandi falò odorosi per le strade e suffimigi nelle case. Questo fino a tutto il Cinquecento.
Solo nel Seicento nasce il profumo inteso in senso moderno, costituito cioè da elementi aromatici diluiti nell'alcol. Si chiama "acqua della regina d'Ungheria"; forse esisteva gia da parecchio tempo, ma diventa molto nota solo in questo secolo. Tra i suoi fans il duca di Saint—Simon, la scrittrice e nobildonna Madame de Sevigne e, dulcis in fundo, la Bella addormentata nel bosco che, nell'omonima fiaba di Perraut, con l'"acqua della regina d'Ungheria" si faceva robuste frizioni. Nato il profumo liquido, diventano indispensabili boccette e boccettine con chiusura a tappo, più o meno ermetiche, in sostanza lo stesso tipo di contenitori che sono ancora in uso ai giorni nostri. Tuttavia, il periodo aureo deve ancora venire; sarà il Settecento, oltre che il secolo dei lumi, curiosamente anche il secolo dei profumi. Tutti "odorano", tutti ne vanno pazzi: re e regine, cortigiani, nobildonne, abati, marescialli, guerrieri e demi—mondaines. Se ne fa, a tal punto, uso e abuso, che nel 1765 l'Encyclopedie registra: "Da quando i nostri nervi sono diventati più delicati, non si sopportano più i guanti al muschio". Ecco, quindi, un'altra grande svolta; nascono i profumi più leggeri, di gusto cosidetto floreale. Ai, "Grand Parfumeurs du Roi" succedono i "Parfumeurs de l'empereur" (e si sa che Napoleone e consanguinei erano grandi consumatori di "eau de toilette").
Infine, l'avvenimento determinante verso la fine dell'Ottocento, grazie alla chimica, ha inizio la produzione di profumi su scala industriale (e su scala industriale verranno prodotti anche i contenitori, conservando, per quanto possibile, esecuzione accurata e gradevole forma). La moda risentì dei gusti tipici della seconda meta del secolo; i profumi saranno di gusto borghese, moderati, senza più follie. Niente più fasti, niente più deliri, come ai tempi di Madame du Barry, la favorita di Luigi XV, che in profumi scialacquava fortune, o della regina Maria Antonietta, che ideava lei stessa nuove ricette e che, la sera della fuga a Varennes, mandò la sua cassettina al profumiere Haubigant perchè la riempisse.
Quasi tutto quello che è servito a contenere essenza è ora gradevole e spesso costoso oggetto da collezionismo. Sono ancora abbastanza abbordabili flaconcini in vetro dell'Ottocento e del primo Novecento, certamente meno rari che i deliziosi contenitori settecenteschi in porcellana decorata o in vetro lattimo.
La parte del leone, nella produzione ottocentesca l'hanno avuta i vetri e i cristalli di Boemia, che sono sempre stati meno costosi di quelli francesi o inglesi. Vetrerie e cristallerie in Boemia, sono state costrette ad affilare le armi subito dopo le guerre napoleoniche, quando gli sconvolgimenti politici avevano intaccato a morte l'economia di molti Paesi. Per la loro particolare struttura le vetrerie boeme furono in grado di fare concorrenza a tutta l'Europa; erano situate quasi tutte in zone dense di foreste che fornivano direttamente sul posto il combustibile per mantenere in funzione i forni. C'è da aggiungere che spesso i proprietari delle fabbriche, nobili e latifondisti, erano anche proprietari delle stesse foreste. Quindi avevano tutto in casa. La finitura del vetro, la pulitura, l'incisione, la decorazione e la doratura, venivano eseguite in piccoli laboratori esterni dove lavoravano intere famiglie, dai nonni ai bambini. Grazie al gran numero di questi ateliers e allo zelo con cui si applicavano gli artigiani, da quegli anziani a quelli in erba, le grandi fabbriche spuntavano prezzi concorrenziali e riuscivano a mantenere il massimo possibile della qualità. Occorre aggiungere che i direttori delle aziende, pressati dalla concorrenza interna, erano costretti a fare continuamente ricorso a doti di inventiva e a trovare sempre nuovi e più graziosi modelli.
Un capitolo a parte era costituito dai bellissimi flaconi di cristallo colorato, disponibili in grande abbondanza di linee o di tinte (i francesi furono in grado di imitarli solo con considerevole ritardo), ma dalla Francia però provengono gli esemplari più belli oggi reperibili.
Non mancano l'eleganza e la creatività in questi oggetti nati proprio per rispondere alle esigenze delle classi più elevate.

 

 

Alessandra Doratti