Il nobile e colto gentiluomo rapito dal movimento lirico delle onde

e dall’arcano profumo del mare

 

 

Paolo Klodic de Sabladoski (Trieste 1887 - 1961)

 

 

Walter Abrami

 

 

 

Dopo l’ennesimo tutto esaurito al vernissage di un’esposizione del dottor Paolo Klodic (memorabili, tra le sue innumerevoli personali monotematiche quelle del 1959 e del 1960 presso la Sala Comunale d’Arte di Trieste!), così ebbe a scrivere con sagacia il professor Decio Gioseffi:

“…C’è sempre un fondo di poesia che riscatta la pittura di Klodic; anche quando l’assunto illustrativo risulti più scoperto e palmare, anche dove l’applicazione sistematica di certi procedimenti e accorgimenti collaudati per lunga pratica, dieno un’opera in larga parte ‘di maniera’.

Osservando le marine del pittore con l’abituale acutezza interpretativa che sempre lo contraddistinse, l’autorevole critico non carpì soltanto il loro struggente e melanconico fascino; egli fece soprattutto notare, in modo intransigente contro ogni illazione denigratoria, l’autentica valenza pittorica dell’infinita, paziente e appassionata operosità di un artista che fu primariamente illustratore nell’indole fin dall’adolescenza.

Il passo verso il cartellonismo fu,infatti, per Klodic la conseguenza più ovvia!

Già precedentemente, in seguito ad una polemica recensione di Remigio Marini sulla pittura di Klodic, l’amico e collega estimatore Edmondo Passauro si fece pubblicamente ‘sentire’ in sua difesa.

In sintesi il problema critico che si volle sviluppare e che si desidera riprendere è questo: “Può la virtuosistica perizia tecnica di un “ritrattista di navi” per dirla con Silvio Benco, far sì che il pittore percorra spontaneamente seguendo l’istinto anche i momenti dell’Arte che includono la vaghezza di una linea, l’assurdità di un accostamento cromatico o la dirompente forza di una geniale intuizione?”

Riuscì in sostanza l’operosissimo, metodico, entusiasta osservatore e profondo conoscitore del mare Klodic esaltare nella sua pittura ad olio (e attraverso gli effetti morbidi del pastello di cui era maestro come il Rietti) non semplicemente ‘il senso dell’elemento fluido’, ma possedere anche un genuino accento d’arte?

Se nessuno in piena onestà osò ed osa negargli la sensibilità, la coscienziosità e la bravura nei puntuali ed inappuntabili disegni, è pur anche doveroso da parte mia affermare che l’artista, pittore autodidatta, ci ha lasciato, oltre alle interessanti pubblicazioni, agli articoli marinareschi, alle testimonianze utilissime di navi, ai manifesti ecc., pure numerose opere d’altissima qualità pittorica.

Soltanto in una mostra antologica, infatti, (e sarebbe tempo di programmarla per soddisfare il numeroso pubblico che l’attende e quanti ancora non conoscono la sua pittura!) potrebbero emergere aspetti poco noti della propria attività come alcune sue stupende vedute di Barcola o di Trieste sotto un manto bianco di neve o altri quadri nei quali egli ci fa ‘sentire’ i sibili della bora sulle acque frangiate ora biancastre, ora verdi, ora nere del Golfo in una giornata d’inverno.

E occasione propizia potrebbe essere la concomitanza di una retrospettiva di questo nostro marinista con una futura edizione dell’altrettanto nostra ‘Barcolana’.

Va detto ai suoi giovani ammiratori che l’unica retrospettiva di Paolo Klodic fu allestita nel 1972 presso il Circolo Marina Mercantile Nazario Sauro di Trieste.

Ma per evidenziare ancora meglio la preparazione scientifica, ottica, metereologica di Klodic mi si consenta ricordare alcuni concetti da lui espressi nel 1949 in un articolo pubblicato sulla rivista “Vernice”: “L’arte marinara è indubbiamente uno dei rami d’arte più difficili, poiché richiede non soltanto padronanza del pennello nel trattamento dell’aria e del mare, ma anche cognizioni vaste e direi quasi enciclopediche, per quanto riguarda la storia e la tecnica navale. …L’artista non deve dimenticare che, sebbene si tratti di un elemento fluido, i sollevamenti dell’acqua sanno tutti su un medesimo piano, contemplato da un determinato punto d’altezza, che determina a sua volta l’altezza dell’orizzonte sul quadro. Se chi dipinge trascura questo principio, il piano del mare avrà delle ‘buche’, e si otterrà la sensazione di un’inclinazione in un senso o nell’altro, con la conseguente mancanza del primo piano, di distanza e d’aria. Si tratta poi di far galleggiare la nave; anche qui si deve tener conto della supposta posizione dello spettatore sopra il mare e della distanza dello stesso dal soggetto, e quindi della prospettiva della linea di galleggiamento e dello scafo. Se il pittore trascura questi principi, la nave non galleggia, ma si stacca dalla superficie del mare oppure affonda.”

Sono sufficienti queste attente precisazioni del pittore a farci comprendere la sua scrupolosità, ma è anche necessario ricordare che il disegnatore e il pittore di navi deve pure conoscere la storia navale: egli deve tener conto, per esempio, della circostanza che prima dell’introduzione della nafta quale combustibile, i fumaioli delle navi sprigionano molto fumo, mentre i piroscafi quasi non ‘fumano’ per la combustione accurata di quell’elemento.

Ma anche molti particolari tecnico-costruttivi, se non noti, potrebbero indurre il pittore a commettere grossolani errori nel disegno, errate impressioni. Avete mai pensato che dal ‘baffo’ della nave si può dedurre la forma dell’asta di prua, se cioè è munita di bulbo o meno o ancora come si comporta un veliero con il vento e quali vele deve imbrogliare per prime con l’aumentare della bufera? Ma se tutto ciò può sembrare inutile e superfluo a chi ammira una bella marina dipinta, non lo era per Klodic che, con puntiglio quasi maniacale disegnava con il ‘taglio’ di un fotografo e intercalava il sentimento.

Forse si meraviglieranno molti collezionisti della notizia peraltro documentata, che nella sua vita l’artista ‘riportò’ sulla carta, sulla tela e sui cartoni preparati che predilesse, ben diecimila navi: per merito suo molte d’esse, tra quelle costruite nei nostri cantieri, furono conosciute nel mondo attraverso i suoi bellissimi cartelloni.

Mi è testimone la gentile signora Mietta, figlia del pittore, che con l’abituale cortese modestia mi ha consentito in un piacevole incontro di avere ulteriori informazioni sulla vita di suo padre, che egli quotidianamente, di buon mattino, osservava i bastimenti che entravano nel golfo al cospetto della città; li guardava dalla finestra del suo appartamento sito in via dei Giustinelli dove pure aveva lo studio e poi scendeva a piedi con la cartella da disegno sottobraccio e le matite appresso, verso le Rive e i moli per cogliere le loro eleganti masse, senza schizzi preparatori, dalla posizione che riteneva favorevole.

Sorta d’irrefrenabile desiderio! Tutti i tipi di nave erano illustrati con mano decisa in modo sorprendente anche in un momento successivo quando il pittore era nuovamente a casa: snelli scafi di yacht, sloop, brick, clipper, cargo-boat, velieri, battelli, corvette, unità belliche, fregate, corazzate, ecc.

Appare scontato che il suo pittore preferito fosse Joseph Mallord William Turner (Londra 1775-1851) che innalzò la pittura di paesaggio al rango di quella di storia e del quale ammirava la stupefacente versatilità e le magiche atmosfere delle marine.

 

 

Sedotto dal mare trascurato dalla critica

 

Cesare Sofianopulo quasi coetaneo di Klodic come G. Marussig, Vito Rimmel, Argio Orell e altri pittori di una generazione che non è passata inosservata nel campo delle arti figurative, fu il primo a rendere omaggio a Klodic nel 1962 a un anno dalla sua scomparsa.

Egli ricordò ‘l’inconfondibile figura di pittore probo’, e la sua ‘fervida applicazione’ in un campo artistico che aveva una tradizione radicata nella nostra città di mare; e se nella prima metà dell’Ottocento era stato Lorenzo Butti a trattare con eccellente disegno i soggetti marinari, dopo di lui lo fecero il Barison, Bolaffio, de Hess, Flumiani e Grimani.

Klodic non uguagliò questi artisti; da un punto di vista strettamente coloristico la sua pittura ha uno spessore inferiore, egli non fu pittore ‘a tempo pieno’, e tutto ciò che apprese dalla tavolozza non gli fu dettato che dal buon senso.

Ciò deve essere interpretato come un suo gran merito perché lo studio individuale del colore costa molta fatica, tanti sprechi e spesso la delusione del risultato.

Inizialmente Klodic usò i colori ad olio; li stendeva su cartoni poco spessi preparati in maniera originale con collanti sopra i quali stendeva uno strato di sabbia.

Solo in un secondo momento, dopo aver sperimentato varie tecniche, trovò nelle tenui stesure dei pastelli i risultati che più lo soddisfacevano; essi erano adatti a produrre sulla carta le sfumature cromatiche dei frangenti, del ‘borin’, della brezza, dei temporali o dei mutevoli riflessi di luce sull’acqua.

Inoltre, servendosi dei pastelli, Klodic sapeva ‘esaltare’ in maniera lieve, con soavità e leggerezza i fenomeni atmosferici e renderli un tutt’uno con le sue navi: traguardo davvero invidiabile! Assieme a Passauro preparava questi colori artigianalmente ‘cucinando’ le polveri in forno; esse erano ‘amalgamate’ con il miele e a distanza di molti anni hanno mantenuto tutta la loro brillantezza. Va pure detto che Klodic eseguì cartelli per società di navigazione, tavole per atlanti marinari e copertine per riviste.

 

 

 

Walter Abrami