O t i u m

 

 

 

Considerazioni oziose

 

 

L’ozio è il padre dei vizi”, “il lavoro nobilita l’uomo”: sono riflessioni o battute?

Entrambe hanno goduto di una certa popolarità, non so chi le abbia  pronunziate per primo, ma certo deve essere stato qualche antico moralista o probabilmente qualche prete, che vedeva il vizio dappertutto, o magari qualche economista o imprenditore che aveva bisogno di mano d’opera. Nella nostra Costituzione si parla molto del lavoro, a cominciare dall’art.1, dove afferma che la Repubblica è fondata sul lavoro. Con questi principi sono cresciute intere generazioni di donne e uomini, che hanno voluto “nobilitarsi”, non solo per vivere, ma proprio per un principio morale dell’impegno, per la volontà di rendere un servizio alla collettività. Senonchè questo modello è andato in crisi. Da alcuni anni si è fatta strada l’idea che quelle affermazioni non rispondano a verità, anzi siano completamente false. Si è affrontata una riflessione sull’ ozio, sul “diritto” all’ozio e sull’elogio del non fare e sul perché dover fare, sulla eventuale “produttività” dell’ozio.

Certo, parlare di ozio, di non far nulla, in un periodo di crisi economica, con tanti “oziosi per forza”, disoccupati, licenziati, ecc. risulta quanto meno difficile, oggi l’ozio può essere considerato un lusso per pochi. Perché parlarne allora? Perché vivo in una città che mi sembra la patria dell’ozio, dell’inerzia e del non  far niente, una città  non solo di pensionati, ma anche di persone rinunciatarie, che si accontentano di poco.

E, allora, inizio dallo stesso significato di ozio. 

Credo che il concetto di ozio sia antico quanto il mondo, l’ozio  inteso come il non fare nulla, l’inerzia totale, il non lavorare, per cui oziosi erano o sono  considerate quelle persone che non hanno o non svolgono una attività in qualche modo produttiva per la società: nella categoria sono stati compresi  anziani, disoccupati, i bambini e ragazzi, ma anche i filosofi, i poeti, gli studiosi in generale, i pensatori, ma anche attori, artisti in generale, sportivi, ecc. A tutti questi spesso si sente dire:” ma vai a lavorare….”  Con questa concezione, allora erano oziosi Omero e Socrate, Orazio e Leopardi, Michelangelo e Picasso, e tanti altri.

Evidentemente non è e non può essere questo la  giusta idea di ozio. 

Altra cosa è l’ozio dei pensionati, di quelli che, come si dice, hanno già dato,  oppure di quelli che interrompono le attività di lavoro: per alcuni di questi, l’avvicinarsi dell’età della pensione, l’interruzione anche forzata degli impegni di lavoro e di produzione, o meglio di quelle cose che si crede produttiva, fa quasi paura e vanno in crisi davanti alla prospettiva dell’ozio.

Legati al lavoro, lo stesso lavoro per 30/40 anni, lamentano di non aver mai tempo per sé, ma non hanno altri interessi, non sanno cosa fare, vanno in crisi, si deprimono, provano in tutti i modi a conservare il loro ruolo sociale e la loro identità, e spesso si vergognano persino di non fare niente.. E’ a questi - e a quelli che lavorano senza tregua -, che rivolgo le considerazioni che seguono.

 

C’è un film con Totò, “Il comandante”, poco amato dalla critica, ma che – a mio parere – ci trasmette questa morale. Abituato al comando e al rispetto da parte di tutti soldati e ufficiali, un generale va in pensione. Dal giorno dopo, non lo salutano più, neppure il camion che innaffia le strade, che fino al giorno prima, al suo passaggio interrompeva il getto dell’acqua, adesso, invece, lo innaffia e passa avanti. Egli, oltre a scrivere le sue memorie, rifiuta la compagnia di altri pensionati, cerca un lavoro, una attività consona al suo ruolo, e pensa di averla trovata quando due truffatori, resisi conto del credito che il generale ha presso banche e finanziarie, lo nominano presidente di una loro società. L’ex generale si sente appagato, finalmente ha di nuovo l’autista, ha un ruolo dirigenziale,  gli accendono il sigaro, firma  ogni carta che gli mettono davanti, e così si ritrova turlupinato e truffato, e a dover rispondere anche con i propri risparmi delle losche attività dei due.

Il lieto fine è però garantito. L’ultima scena ci mostra l’ex ufficiale,  in compagnia con altri pensionati, ai giardini pubblici,  felice  di godersi il meritato riposo e di divertirsi con  poco.

Pochi hanno letto un libretto dal titolo “ Vivere con lentezza” di Bruno Contigiani, che non è né uno psicologo né un sociologo, ma un manager di grandi aziende, che  a un certo punto ha scoperto che il lavoro non è tutto. In una parte del libro, egli  dice “ Dobbiamo imparare a non avere paura della libertà, dei momenti di vuoto e di ozio, della nostra posizione di figli di un Dio minore che decidono di non seguire la corrente, e  di non avere riconoscimento sociale e istituzionale, e di non fare shopping o di non essere alla moda. Non dobbiamo avere paura di essere attori non protagonisti che però amano la vita, si divertono a viverla e sanno accontentarsi”.  E’ provato – egli dice, e concordo con lui – che “tornare ad apprezzare l’arte di non far niente o niente di speciale ogni tanto, ci regala qualche punto in più nel ramo salute e sul conto in banca”.

Largo perciò al non far niente o meglio, al fare quello che piace, se piace, quando e come piace, perciò leggere, studiare, imparare a suonare uno strumento, andare al cinema o vedere la TV, ascoltar musica, fare un viaggio, ma non di quelli avventurosi o stancanti, ritirarsi a vivere al mare o in montagna o in campagna, meditare, scrivere, e altro.

 

Siamo in pieno stoicismo.

Lo stoicismo era una dottrina filosofica predicata da Zenone di Cizio nel III secolo a.c. che, per dirla in poche parole, auspicava il distacco dalle cose terrene, l’autocontrollo: il saggio  deve disfarsi di condizionamenti della società in cui vive. Bisogna dimenticare le passioni e mirare alla virtù come sommo grado di perfezione morale e intellettuale. L’obiettivo dello stoico – che deriva da stoa -,  che significa “portico”, il luogo dove il filosofo dava lezioni ai suoi allievi – deve essere quello di vivere con saggezza.

Egli ebbe molti allievi e seguaci in tutto il Mediterraneo fino a Roma.

E qui arriviamo all’idea romana di “otium”, e se ne deve assolutamente parlare poiché i Romani, oltre a essere stati guerrieri e dominatori, sono stati  maestri  di questo concetto e quindi potremo rispondere anche a una precisa domanda: ma l’ozio è produttivo?

L’otium presso i Romani racchiudeva molti significati:  il semplice ozio,  il riposo dagli affari, la quiete, la calma e la pace, ma anche un genere di attività diversa da quella abituale.

L’otium infatti, appariva positivo rispetto al “negotium” (cioè la particella negativa “ nec”e otium, non ozio), cioè gli impegni politici e sociali, gli affari. Nell’otium  rientravano perciò lo studio, cioè una disoccupazione studiosa., la scolè dei greci, la contemplazione, la meditazione, le discussioni filosofiche, oltre, naturalmente, tutte le attività del tempo libero, i bagni, i pranzi e le cene, il teatro ecc.

Questo  concetto di otium appare piuttosto “aristocratico”, e va sicuramente inquadrato in quel tipo di società, dominata dalla classe aristocratica dedita all’impegno politico istituzionale, al cursus honorum, con grandi latifondi e masse di schiavi che servivano da mano d’opera, gli "equites" che erano una specie di borghesia ricca che provava a raggiungere, e nel tempo ci riuscì, gli stessi obiettivi, poi c’erano i liberti, gli schiavi liberati, spesso ricchissimi, e infine la plebe, una specie di proletariato urbano, senza arte né parte.

In questa società, solo quelli che potevano permetterselo, i “boni viri”, o gli “equites”, potevano dedicarsi, anche solo provvisoriamente, agli studi e alla filosofia, alla vita contemplativa e quegli obiettivi di cui parlavano gli stoici.

Se vediamo infatti chi erano a Roma i seguaci, almeno quelli più famosi, di Zenone, troviamo personaggi di rilievo, come Cicerone, politico, oratore e avvocato, scrittore, molto ricco, con molte case a Roma e in provincia, Marco Aurelio, addirittura  l’imperatore, e soprattutto Seneca, anch’egli avvocato, politico, ministro di Nerone, ricchissimo, che elaborò il concetto di ozio scrivendo proprio il “De otio“..

Tra la vita reale di questi personaggi e le idee c’è ovviamente una contraddizione: la vita reale fatta di impegno pubblico, ricerca del potere, ricchezza, e la vita ideale invece alla ricerca del distacco dalle cose terrene e della saggezza.

Seneca era spagnolo di nascita, di Cordova, ma venne a Roma fin da piccolo con la famiglia. Dopo gli studi, si dedicò alla carriera forense e politica.

Era un periodo difficile a Roma negli anni  30 d.c. I successori di Augusto si ammazzavano tra loro per salire al potere. Morto Tiberio, arrivò Caligola che non era proprio normale, e venne ucciso dai pretoriani che al suo posto misero Claudio, avvelenato poi dalla moglie Agrippina, che mise sul trono il figlio Nerone.

Seneca, per i suoi discorsi, risultava antipatico a Caligola che non lo fece uccidere solo perchè venne eliminato prima, mentre Claudio lo allontanò da Roma, in esilio in Corsica. Agrippina, la moglie di Claudio lo fece richiamare a Roma per fare da precettore al giovane Nerone.

L’ambiente non era tranquillo, ma con Nerone imperatore Seneca divenne la persona più influente a corte, accumulava immense ricchezze, possedimenti un pò dovunque, e venne accusato, già allora, di predicare bene e razzolare male. Egli cominciò a sopportare sempre meno i comportamenti di Nerone, che nel frattempo aveva fatto uccidere la madre e altri oppositori o presunti tali. Anche Seneca riuscì a sfuggire a un tentativo di avvelenamento, e si ritirò a vita privata in una sua villa in Campania, a Baia, vicino Neapolis, dove scrisse, tra gli altri, il “De Otio” e il “De serenitate”. Coinvolto nella congiura dei Pisoni, che voleva abbattere Nerone, gli venne ordinato di suicidarsi, e così fece, tagliandosi le vene insieme alla moglie.

Era normale per i Romani benestanti andare in vacanza  a Baia e, in generale, nella Campania felix. A Baia aveva villa anche la madre di Nerone, Agrippina, che proprio lì subì uno degli attentati alla sua vita da parte dei sicari del figlio.  Tutta l’area dei campi Flegrei, della costa, Baia, Bacoli, Pozzuoli e le isole di Capri e Ischia, erano sede di sontuose ville e la stessa Neapolis era considerata luogo di piacere e ideale per l’otium e la villeggiatura, le distrazioni dalla vita pubblica: a Neapolis Nerone si era esibito nel teatro, a Capri l’imperatore Tiberio aveva vissuto i suoi ultimi anni, tra Pozzuoli e Napoli si svolge parte della vicenda del Satyricon di Petronio, Cicerone aveva  una villa un pò più a nord, nella zona di Formia.

Non si può non ricordare cosa diceva un napoletano dell’epoca, che scriveva alla moglie: “Mi affanno a portarti in questa terra (la mia terra natale non è la Libia, né la barbara Tracia). La rendono temperata un mite inverno e una fresca estate, un mare tranquillo l’accarezza con le sue placide onde. Questi luoghi godono di una pace priva d’affanni, degli ozi di una vita distesa, di quiete mai turbata, e di sonni prolungati…..”. Papinio Stazio, (le selve, III, %, 81/92)

Per tornare a Seneca e al concetto di ozio, egli sostiene che  la contemplazione è pure essa una azione, anzi è “l’azione“, perché contempla tutte le altre azioni  cioè osserva e le contiene tutte. Egli infatti dice che “vive secondo natura,  chi la contempla e la venera”.

Egli è contrario all’otium pigrum,  cioè inattivo, il pigro far niente, al contrario di molti altri che, invece, concordavano con la vita condotta da un ex magistrato dell’epoca che veniva portata ad esempio di otium:  il ricco pensionato, lontano dagli intrighi, dalla politica, senza obblighi  o impegni, si godette la vecchiaia in un “indisturbato far niente”.

Trovo, qui, alcuni punti di contatto con la filosofia Zen e con la pratica della meditazione. Il tipo di meditazione praticato è naturale, semplice e rispettoso della nostra esistenza come è e non come vorremmo essere o apparire. Chi pratica questa filosofia ascolta se stesso, le sue sensazioni, i suoi stimoli,  agendo nel  rispetto di sé e degli altri, per raggiungere la serenità.

Nel Buddhismo, secondo alcuni autori, la persona ideale è quella meno occupata, quello che non ha un posto preciso dove andare o qualcosa da fare.

Molti autori si sono cimentati – e si cimentano ancora oggi, ce ne sono tanti che è impossibile citarli tutti - con l’ozio, con libri, saggi, considerazioni e aforismi: “l’ozio è uno dei maggiori consumamenti che possa avere uno spirito libero” cosi scriveva Annibal Caro, scrittore e poeta del XVI sec., mentre Oscar Wilde affermava che “ è una fatica da cani, oziare”. C’è un autore, Paul Lafargue che circa alla fine dell’800 scrisse un saggio intitolato ”il Diritto all’ozio”, dove definiva pura follia l’amore, la passione esistenziale per il lavoro. E cosa dire dello scrittore satirico Jerome K. Jerome che scrisse “Pensieri oziosi di un ozioso”?.

In  un libricino che mi fu regalato anni fa: “ Meditazioni per uomini che non fanno niente”, raccolte da un tal Lee Ward Shore, che – come chiarito nella quarta di copertina “possono aiutarci a eliminare ogni attività e qualunque decisione dalla nostra esistenza, conservando così la serenità”. Eccone qualche esempio: “oggi, dammi la forza di non fare assolutamente niente”, “Oggi non intaserò la mia mente con mille pensieri”, “se senti bussare un’occasione, non andare ad aprire la porta”.

Qualche anno fa, fu elaborato dal sociologo D. De Masi il concetto di “ozio creativo”.

Egli: richiama il concetto del romano “otium” come tempo libero dagli impegni, nel quale era possibile aprirsi alla dimensione creativa. L'ozio creativo è il lavorio della mente, che avviene quando restiamo fermi fisicamente o dormiamo. Oziare significa non pensare secondo regole obbligatorie. L’ozio creativo è, secondo De Masi, il nutrimento dell’ideazione e chi riesce a unire fantasia e creatività può definirsi un genio..

Al di là di quanto asserito da certi autori e da certe filosofie, il non avere niente o poco da fare, oppure lo starsene senza far niente: sono considerati comportamenti negativi. Chi ha poco da fare, si sente a disagio, cerca “passatempi”, magari si vergogna di non essere indaffarato.

Ma è sicuro che chi sta “senza far niente” non è indaffarato?  Io credo che la mente - come dice De Masi -, la mente continua a lavorare, pensa, riflette, medita, osserva, ecc….

Bisogna provare a passare una giornata senza far niente, soprattutto chi è abituato a correre da una parte all’altra, e chi si è dedicato solo al lavoro: è una missione quasi impossibile. E necessaria una lunga preparazione, molta forza di volontà. Eppure possiamo imparare facilmente anche in casa nostra. Basta, infatti, osservare il comportamento del gatto di casa (o del vicino). Cosa fa il gatto? Dorme o fa finta di dormire, ozia ma la mente è sveglia, ce ne accorgiamo da come ci segue con gli occhi o da come muove le orecchie.  Mangia quando gli pare e quel che gli pare e se gli pare e poi si ferma e guarda il mondo intorno. Credo che faccia la cosa migliore per lui.

“Non appena scrivo le prime frasi, improvvisamente sento che non sono più solo. Compaiono i quattro gatti che ho il piacere di avere con me e di cui scrivo spesso. Amano starmi vicino quando scrivo. A loro non interessa l'argomento, non interessa neppure se, come ora, sto parlando di loro. Per i miei gatti è questione di principio: amano guardare quelli che lavorano. E' un modo per gustarsi maggiormente l'ozio” (Erich Kastner - I miei gatti tratto da Impronte di Gatto di Detlef Bluhm).

 Il mio gatto, come tutti i gatti, ama guardare dalle finestre, e magari, vorrebbe anche farsi una passeggiata sui tetti.. Ma, prima di saltare sulla finestra che gli ho lasciata aperta, si siede, guarda con il suo sguardo enigmatico, sembra che rifletta sul da farsi, se gli conviene o magari è troppo faticoso, si avvicina lentamente, si siede di nuovo e poi si decide a saltare, ma si accomoda sul davanzale e sta lì a osservare, forse anche a meditare. Prendo esempio da lui per il suo vivere slow, lentamente, così come per lo "slow food". Egli non si precipita sul cibo, ma ci va con molta calma, odora, mangia lentamente e subito dopo si allontana per poi fermarsi a un paio di metri di distanza dalla ciotola. Si siede, si lecca i baffi, si pulisce e poi  va a  stendersi per riposare.

Per concludere questo breve discorso sull’ozio  mi è arrivata  in questi giorni una comunicazione del FAI, Fondo Ambiente Italiano, al quale sono iscritto, che parla di:…..”Festival”  dell’ozio.!  In pratica si tratta di due giornate da trascorrere a  Luvigliano di Torreglia (Padova) nelle quali si “celebra l’ozio” “Due giornate in cui si celebra lo spirito e la creatività di ognuno di noi” recita il manifesto. Si potrà fare un pisolino  all’aria aperta, passeggiare con l’aquilone alla mano, partecipare a laboratori  slow food, yoga tra i fili d’erba,  bookcrossing e giochi dimenticati”.

Da non credere !!

 

 

Giovanni Attinà