MUSEI DELLO SPETTACOLO

 

Giuliano Confalonieri

 

 

 

 

 

G. B. Piranesi, Il Colosseo, incisione, 1750 circa

 

Anche chi opera nel settore dello spettacolo ha avuto la preveggenza di conservare ed esporre una nutrita serie di testimonianze che ne ripercorrono la storia raccontando alle nuove generazioni le idee, le avventure, i successi e le sventure di tanta gente. Molti generi, dal palcoscenico allo schermo agli artisti di strada, un mondo vissuto con il sudore e la capacità di mille e mille artisti che si sono confrontati con il pubblico: il teatro greco e l’epoca elisabettiana, la Commedia dell’Arte ed i ‘caratteri’ goldoniani, il cinematografo e la televisione, le dinastie circensi; un ventaglio di spettacoli che ha permesso la diffusione del divertimento e delle idee nonché il confronto tra ceti e società diverse. La tradizione dei cantastorie e dei mangiatori di fuoco, dei nani e della donna cannone, un mondo apparentemente romantico ma in realtà legato alla dura legge della “Strada” felliniana con Zampanò e Gelsomina. Pure i burattini fanno parte della troupe degli artisti di strada, simbolo povero di uno spettacolo popolare con radici antiche: ne parlano gli antichi e le cronache medievali ne riportano l’uso nelle chiese per sacre rappresentazioni o nelle corti feudali per intrattenimento.

La biblioteca di Alessandria fu distrutta da un incendio, Roma raccolse e tramandò grandi nuclei di scritti, i monasteri riuscirono a conservare molti testi antichi e le dinastie (Visconti, Sforza, Malatesta, Estensi, Gonzaga, Medici) contribuirono a mantenere patrimoni librari inestimabili, tappe di un processo che nel tempo ha messo a disposizione di tutti un patrimonio culturale universale. Gli scrittori antichi riportano notizie sull’esistenza di biblioteche, alcune leggendarie o  prive di sicuro riscontro, come quella di Anatolia (sec. XIV a.C.). Di altre invece si ha notizia certa: la biblioteca di Assurbanipal o quella, più famosa, Alessandria appunto, che nel corso della sua attività (284 a.C. - 47 a.C.) offrì un esempio di concezione moderna con il connubio della conservazione dei testi e della loro diffusione in copie manoscritte.

Fu ancora merito dell’antica Alessandria d’Egitto destinare un edificio dedicato alle Muse per la raccolta e l’esposizione di oggetti di particolare significato o valore. In periodo rinascimentale fu Lorenzo il Magnifico a riproporre l’usanza dei Romani di raccogliere in appositi ambienti le opere d’arte, molte delle quali disperse o distrutte in epoca medievale. Mecenati come Sisto IV e la famiglia dei Medici sanzionarono poi una attività che sarebbe stata  ampliata e resa importante nei secoli successivi. Al vocabolo ‘museo’ si abbina generalmente il significato di una raccolta statica, oggetti esposti senza la giusta collocazione ambientale e quindi inerti per la funzione loro destinata.

Dobbiamo invece fare un sforzo di fantasia per immaginarli nel loro contesto originario, siano essi quadri, sculture, armature: ecco la polvere scomparire ridonando loro lucentezza, colore e movimento.

 

 

La storia dell’architettura teatrale si evolve attraverso le civiltà con soluzioni diversificate in base alle esigenze e alle mode ma inalterato rimane il rapporto tra chi dà e chi riceve: l’Olimpico di Vicenza, la Scala di Milano e l’Arena di Verona sono soluzioni ambientali dentro le quali mutano le sensazioni ma non l’interscambio tra palcoscenico e platea. Nel Medioevo le pubbliche piazze fungevano da piattaforma per l’azione dei teatranti, durante il Rinascimento furono i palazzi aristocratici ad ospitare il vecchio ‘Carro di Tespi’ – leggendario trageda greco che girava l’Attica con un palcoscenico mobile – poi la genialità del Palladio e del Piermarini rivolse l’attenzione anche all’acustica, alla prospettiva, alla logistica di palchi, atri, logge, platee e golfi mistici.

 

 

A. Palladio, Teatro Olimpico, Vicenza 1580 (completato postumo dal figlio Silla)

 

 

 

 

A. Palladio, I Quattro Libri dell'Architettura. Venezia 1570

 

 

Esibizioni acrobatiche ed equestri, cantastorie e mimi, giullari e menestrelli, il melodramma, la tragedia e la commedia, la danza e l’espressione corporea, come forma di comunicazione. Parole e gesti per suscitare emozione o allegria in chi, come l’essere umano, è predisposto alla mistificazione. L’artificiosità del processo articolato e stratificato delle ‘invenzioni’ teatrali che si sono succedute nei millenni, evidenzia un dualismo psicologico tendente a sublimare la realtà in fantasia. Teatro ha l’antico significato di ‘guardare’ e quindi, per estensione, forma di divertimento e spettacolo. I giochi pubblici greci ed i ludi romani, i tornei e le giostre medioevali, erano macchine teatrali con caratteristiche che facevano del ‘guardare’ un sinonimo di partecipazione emotiva. In Grecia – dal VI sec. a.C. –  una semplice tenda all’aperto divideva pubblico e attori, più tardi si costruì il semicerchio attorno al punto focale della scena; gli anfiteatri sono la testimonianza più tangibile, ancora in epoca moderna, di concepire lo spazio per coinvolgere il pubblico nel ‘rito’ della rappresentazione. Lo stesso ‘buffone’ con i propri lazzi intratteneva i Signori alle Corti medievali e rinascimentali assumendo un ruolo ufficiale. La tradizione teatrale in Liguria risale alla fine del XV secolo con la “Farsa dei Pellegrini” scritta da Adorno anche se rappresentazioni di carattere sacro e qualche accenno nella letteratura medioevale può fare recedere di qualche secolo il concetto di teatro nella nostra regione. Più che compagnie di giro o mestieranti, in questi casi erano intere comunità a seguire copioni che prediligevano un tipo di drammaturgia popolare coinvolgente, malgrado opposizioni e censure, con canti di laude scritte da poeti dell’epoca per conto delle Confraternite. A Genova si ha notizia di spettacoli sacri medioevali; la Commedia dell’Arte si presenta nel XVI sec. in coabitazione con il retaggio dei cantastorie e dei mimi. Si costruirono i Teatri Falcone, Sant’Agostino e delle Vigne. Nel 1772 si stabiliscono prezzi e regole che valgono per i vari tipi di programma: opera seria e giocosa, prosa e feste da ballo. Il Senato del tempo censurava ciò che riteneva non consono alla pubblica morale o non conforme alle sue direttive, fino al paradosso di vietare l’ingresso alle donne nel 1795 (stralcio dal Regolamento per l’esercizio dei teatri, compagnie comiche, ecc. del 1840: è vietato negli spettacoli teatrali l’impiego di cavalli delle Regie truppe, è vietata l’entrata nella platea a qualunque persona con livrea, nei teatri, ad eccezione di quelli diurni, non è permesso di tenere il cappello sul capo durante la rappresentazione, niuno potrà trattenersi nelle panche della platea e del loggione avendo il mantello bagnato, è proibito di fischiare, parlar forte, battere in qualunque modo sui banchi e sul tavolato).

 

Il Teatro Falcone, già in disuso perché adibito a magazzino, fu distrutto dai bombardamenti della seconda guerra mondiale insieme al Sant’Agostino; il Teatro delle Vigne, in legno, chiuse alla fine dell’Ottocento. Il Campetto, l’Apollo, l’Andrea Doria, il Paganini ed altri ambienti dislocati nelle delegazioni documentano la vivacità di un tipo di spettacolo diversificato che includeva anche esibizioni acrobatiche ed equestri, marionette e concerti.

 

 

Genova, Teatro Carlo Felice

 

La cronaca genovese ricorda le tribolazioni per ricostruire sia il Modena di Sampierdarena (aperto nel 1857, notevolmente manipolato negli anni Trenta per ampliarne la capienza e trasformarlo in cinematografo) sia il Teatro Carlo Felice (aperto nel 1828, risorto dopo i danneggiamenti subiti per le incursioni aeree notturne del 1943): “Giuseppe Verdi trascorre gli inverni a Genova, gli piace il clima, i dolci locali, è solito regolare il suo cronometro da tasca sull’orologio del Carlo Felice famoso per la sua infallibilità (Secolo XIX, 1889)”. A Savona nel 1963 riapre il Chiabrera, costruito nel 1853, dopo una radicale ristrutturazione. Il minuscolo Teatro Sacco, ricavato nell’omonimo palazzo alla fine del Settecento, è stato inoperoso dal 1983. Il Teatro Impavidi di Sarzana (1809), ospitò Toti Dal Monte, Lina Pagliughi, Adelina Patti ed Eleonora Duse.

 

Imperia, Teatro Cavour

 

Il Teatro Cavour di Imperia (1871) dal 1990, dopo essere stato usato per decenni come cinema, è rientrato restaurato nel circuito teatrale. Il Teatro Sociale di Camogli (1876) è stato “costruito da sessanta caratisti che spesero più di 200 mila lire. Erano lupi di mare, usi a tutte le tempeste e a tutti gli ardimenti. Ma sentivano il bello” (G. Bono Ferrari). Sul territorio agivano anche i Diurni, teatri viaggianti estivi con rappresentazioni pomeridiane, il Politeama, il Wanda, il Salone Margherita ed il Reposi (nel 1868 furono censite in Liguria 42 sale e 1.018 nell’intera penisola).

Finale Ligure ha due sale storiche ottocentesche: il Teatro Sivori è chiuso dal 1956 per carenze nelle normative  di sicurezza; la sala a ferro di cavallo si presenta tuttora, pur nel degrado generalizzato, nella sua struttura originaria. La Commissione che ne decise la costruzione dedicò il Teatro all’insigne musicista “Camillo Sivori - Finale Marina - MDCCCLXVII”; nel “Programma per la costruzione di un teatro” del  24 gennaio 1865 si legge: “Fra i desideri o per meglio dire fra i bisogni più grandemente sentiti e in modo non dubbio espressi dalla quasi universalità della popolazione di questa Città, quello si è di avere un locale appropriato alle teatrali rappresentazioni”. A Finalborgo esiste tuttora l’Aycardi (chiuso nel 1965 per motivi di sicurezza), il più vecchio teatro ottocentesco della Liguria. Inaugurato nel 1804 per sopperire alla mancanza di un spazio adeguato ad ospitare spettacoli e feste, è nato per merito di  un gruppo di cittadini – tra i quali i rappresentanti delle famiglie più importanti del Borgo – che istituì la ‘Società del Teatro’ con gli scopi prefissati nel documento d’impegno controfirmato dai promotori: “Considerando li sottoscritti, che oltre essere il teatro un pubblico adornato, contribuisce di molto all’istruzione della gioventù ed a formare i buoni costumi, in riflesso che manca in questa città un conveniente locale onde attirare un sì vantaggioso esercizio, si obbligano a formarlo a proprie spese”.

 

• Un importante reperto del Museo dell’Attore è il “Teatrino di marionette dell’Ottocento Rissone” composto da un boccascena, otto fondali principali, 76 quinte, 30 scene (cm. 117x209), animali ed attrezzeria varia, 46 manoscritti, 92 marionette le cui caratteristiche (mani e piedi di piombo) risentono dell’influenza veneta; la documentazione che accompagna il materiale ne testimonia l’acquisto da parte di Vittorio Rissone, padre di Checco e nonno di Emi De Sica nonché la conseguente cessione al Museo nel 1982: “Le piccole dimensioni delle scene e delle marionette fanno supporre che fossero state costruite per un teatro privato, su ordinazione di qualche ricco e nobile signore”...

 

• Nel contesto degli spazi riservati ai ricordi dello spettacolo, Genova ha dedicato un Museo allo scenografo, pittore e costumista Emanuele Luzzati nei locali di Porta Siberia. Genovese del 1921, ‘Lele’ ha studiato a Losanna ed in seguito ha collaborato con le maggiori Compagnie italiane di prosa e vari teatri lirici. Molto abile nell’impiego dei materiali più disparati, riesce a ricavarne effetti spaziali e di tensione drammatica sulla base del suo gusto estetico in bilico tra favolistica ed esotismo. Ha realizzato il manifesto celebrativo del trentennale del Festival Teatrale di Borgio Verezzi, le scene ed i costumi per diversi balletti, per le opere del Ruzante, di Sartre e Ionesco. Ha collaborato con la Piccola Scala di Milano e con i teatri genovesi. Nel cinematografo si è cimentato con l’animazione, in collaborazione con Giulio Gianini, dando vita a cortometraggi di grande inventiva cromatica.

 

Museo del Teatro alla Scala – Milano

Nel 1913, in occasione della vendita all’asta di preziose raccolte, fu realizzato il progetto del museo ideato nel 1905 da Pompeo Cambiasi, primo storico del teatro milanese. L’esposizione occupò otto sale attigue al ridotto dei palchi, successivamente occupò sette nuove sale al piano superiore. Durante la seconda guerra mondiale i reperti furono protetti e quindi salvati dai bombardamenti aerei: “Quando arrivammo lo spettacolo era atroce: montagne di macerie, acqua che correva da tutte le parti. Imboccammo la Piazza San Fedele e vidi subito che il Teatro Manzoni, la Scala della prosa come si diceva allora, era colpito; anche la Scala, la mia Scala, il teatro dove ero praticamente cresciuto alla musica da un 26 dicembre 1931 in cui vidi una indimenticabile Norma, era stata gravemente danneggiata, sfondato il soffitto, demolita gran parte del lato destro” (Giampiero Tintori). Dopo la ricostruzione a tempo di record del teatro, il museo fu riaperto al pubblico nel 1948, sei anni dopo fu acquisita la biblioteca di 37.000 pubblicazioni del critico teatrale Renato Simoni. Nel 1975 il musicologo Giampiero Tintori curò il catalogo generale.

 Il patrimonio del museo ripercorre la storia dello spettacolo teatrale dall’antichità al Novecento con importanti reperti archeologici come medaglie, statuine greche, romane ed orientali, ceramiche e terrecotte sulla Commedia dell’Arte, documenti e memorie dei maggiori compositori, direttori e cantanti, scenografie, costumi e materiale d’archivio anteriore al 1945. Una sala è dedicata a Rossini, due a Verdi, altri ambienti al balletto, ai bozzetti degli antichi sipari, ai modelli in scala del palcoscenico e di alcuni allestimenti. Sono inoltre esposti ritratti di compositori e cantanti nonché cimeli di Toscanini e De Sabata. Nel 1978 al Palazzo Reale di Milano fu allestita la mostra storica del bicentenario arricchita dalla stampa di un volume fotografico di grande formato.

 

 

Milano, Teatro alla Scala

 

La storia della Scala (“il solo luogo di riunione, il grande contenitore, il vero centro della società milanese”, Franz Liszt) comincia nel 1776 quando un incendio distrusse il Regio Teatro Ducale, eretto nel 1717 sulle ceneri di una sala precedente. Il governo austriaco decise la costruzione di un nuovo Teatro Grande che verrà chiamato Alla Scala ed il piccolo Cannobiana, oggi Teatro Lirico. Inaugurazione ufficiale con un’opera di Salieri il 3 agosto 1778. Un mese più tardi lo storico Pietro Verri scriveva al fratello: “Tante sono le passioni, i pregiudizi e la imbecillità che non sappiamo né stare soli né vivere in compagnia; il teatro buono o cattivo è una necessità per avere il modo di passare le ore della sera”. Nel 1821 venne istallato il lampadario centrale ideato da Sanquirico con 84 lumi (nel 1860 il sistema a illuminazione a petrolio è sostituito dal gas, nel 1882 entrano in funzione nel ridotto le nuove lampade a incandescenza, sistema Edison).

 

 

Milano, Teatro alla Scala dopo il bombardamento, 1943

 

Nella notte del 15 agosto 1943 la Scala è stata semidistrutta da un bombardamento aereo; nel 1946 la ricostruzione è ultimata ed Arturo Toscanini – rientrato dall’America – diresse il concerto della rinascita.

 

 

 

Teatro alla Scala. Toscanini inaugura il Concerto della Rinascita, 1946

 

 

Il patrimonio del Museo comprende la storia dello spettacolo teatrale dall’antichità al Novecento (coppa Skyphos con figure del 350 a.C. e due danzatrici del III-IV sec. a.C.), ritratti e memorie dei maggiori direttori, compositori ed interpreti. bozzetti e modelli in scala. La ristrutturazione del Teatro (2002) ha previsto cimeli verdiani e degli allestimenti, storia del museo e delle sue collezioni, storia della scenografia e della sartoria con bozzetti e modellini, acquisizione di una serie di strumenti musicali.      

 

• La “Piccola Scala” è stata inaugurata il 26 dicembre 1955 e accorpata nei servizi del teatro grande quasi trenta anni dopo. Questa sala adiacente era stata voluta per valorizzare il repertorio da camera ma con i suoi 600 posti tra palchi e platea ospitò anche le iniziative della “Scala per i bambini” con rappresentazioni di burattini, marionette e pupazzi su sfondo nero. Nel 1968 fu messo in scena dalla “Compagnia Carlo Colla & Figli” il ballo “Excelsior”; seguì Gianni Colla con un lavoro tratto da De Falla. Fino al 1977 furono realizzati una settantina di spettacoli: da “L’Arca di Noè” di Britten a “Pierino e il lupo” di Prokofiev alla “Tarantella di Pulcinella” di Emanuele Luzzati e Gino Negri.       

 

Museo Civico Biblioteca dell’Attore del Teatro Stabile – Genova

Ha sede a Genova nella villa settecentesca ‘Serra’. Fondato nel 1966 dal Teatro di Genova – dal 1976 Fondazione riconosciuta di interesse regionale – raccoglie 40.000 volumi di teatro e cinema oltre a documenti sull’attività teatrale italiana ’800/900: 1.690 disegni, 8.000 programmi di sala, 58.000 ritagli stampa, 1.200 locandine, 1.000 copioni. L’archivio di immagini di Gastone Bosio con 56.850 negativi di questo fotografo modenese di nascita ma romano di adozione: 1.500 spettacoli, foto di guerra in Tripolitania e ritratti di attori ripresi tra il 1946 ed il 1971; il Fondo del critico Silvio D’Amico con tutti i manoscritti e gli appunti delle sue conferenze, l’epistolario ed i carteggi accumulati dal 1910 al 1955, anno della sua morte; il Fondo Pasquale De Antonis, diventato fotografo teatrale dopo avere partecipato dal 1937 ai corsi del Centro Sperimentale di Cinematografia romano: sono stati acquisiti 2.470 fotogrammi di 66 spettacoli riuniti in parte nel catalogo edito in occasione della mostra a lui dedicata nel 1998; il Fondo Adelaide Ristori, la grande attrice italiana dell’Ottocento: figlia d’arte e conoscitrice di quattro lingue, con le circa 40.000 lettere tramandate permette agli studiosi di analizzare l’ambiente teatrale del suo tempo; la Donazione di Roberto Chiti, libri e riviste di cinema classificata nel catalogo di 500 pagine edito da Bulzoni.

 

Museo Nazionale del Cinema – Torino  

Dedicata alla storia del cinematografo all’interno della Mole Antonelliana torinese, la struttura di Alessandro Antonelli (h. 167 mt.) contiene nel suo vasto spazio (mq. 3.200) un ascensore panoramico che raggiunge la cupola ed una passerella elicoidale che permette di salire ai vari piani espositivi. Le collezioni del ‘museo più alto del mondo’ comprendono: 7.000 titoli nella cineteca, 9.000 oggetti ed apparecchiature per la visione e la ripresa, 125.000 documenti fotografici, 200.000 manifesti, 200 lanterne magiche con 4.500 vetri dipinti, 20.000 volumi, 3.000 testate, una fonoteca.

La realizzazione del Museo è il risultato del lavoro di una appassionata e puntigliosa raccoglitrice di reperti del settore, Maria Adriana Prolo, che già nel 1941 appuntava “Pensato il museo”. Nell’accurata guida dell’itinerario che segue la storia del cinematografo si ricorda che “La sala cinematografica non è soltanto il luogo del rito moderno per eccellenza, della celebrazione delle meraviglie del ventesimo secolo. È anche lo spazio di una visione allucinatoria di un’illusione visiva che avvolge lo spettatore con una forza assolutamente particolare. Immerso nel buio, abbandonato nella poltrona, catturato dalle immagini in movimento sullo schermo, lo spettatore vive un’esperienza di fascinazione profonda che ha qualcosa in comune con il sogno e la fantasticheria... Dal cinema ambulante collocato nelle fiere accanto al circo e ai baracconi, alle grandi sale con orchestre che suonano dal vivo nell’epoca d’oro del cinema muto, le sale hanno conosciuto forme, riti e tecnologie diverse... Dopo il drive in e i multiplex la sala è oggi lo spazio di una nuova frontiera tecnologica, segnata dalla visione tridimensionale, dai maxischermi parabolici Imax, dall’atteso avvento dell’immagine digitale”.  

 

 

Frères’ Lumière, La sortie de l'usine (1895) - un fotogramma di quello che può essere considerato il primo filmato della storia

 

 

Il termine cinematografo (dal greco, scrittura del movimento) compare in una relazione del 1895, lo stesso anno in cui iniziarono le prime proiezioni pubbliche al Salon Indién. I biglietti d’invito stampati per l’occasione annunciano: “La phothographie animée ‘Cinématographe’ de Lumière Frères’. Cronache dell’epoca riportano: ‘In una stessa serata i signori Lumière hanno proiettato due tipi di immagini, le une a colori, molto belle, che davano un’idea quasi arricchita dei colori smaglianti, meravigliosi dei soggetti riprodotti, le altre monocrome, ma che mostravano scene animate con tutta la realtà del movimento... Il realismo è superiore ad ogni aspettativa, l’immagine, che sullo schermo misura circa due metri di lato, è molto chiara, luminosa… Auguste e Louis Lumière sono riusciti a concepire un apparecchio che distanzia nettamente tutti i tentativi precedenti, un apparecchio mediante il quale è possibile far vedere ad un insieme di persone delle scene animate proiettate su uno schermo, per la durata di circa un minuto... Questa novità presenta anche un altro importante vantaggio: nel cinescopio Edison la pellicola veniva fatta avanzare con un movimento continuo... con il cinematografo dei Lumière, poiché la pellicola rimane immobile per due terzi del tempo, sono sufficienti quindici pose al secondo per ottenere l’impressione continua” (24 f/s con l’avvento del sonoro).

I Lumière spiegarono: “Il principio su cui si basa il funzionamento del cinematografo è noto da tempo. È il principio della persistenza delle impressioni luminose sulla retina; ed è facile comprenderlo. Quando osserviamo un  oggetto qualunque, la sua  immagine viene a formarsi in fondo agli occhi, disegnandosi materialmente sulla membrana nervosa che li riveste e che chiamiamo retina. Mentre è possibile cessare di colpo di illuminare l’oggetto, l’immagine retinica si cancella solo progressivamente e, fino al momento in cui non sarà definitivamente scomparsa, il nervo ottico continua ad esserne impressionato e l’occhio continua a vedere l'oggetto come se fosse rimasto illuminato”.

 

Museo del Cinema Cineteca Italiana – Milano

Nel 1840 Talbot completa il processo fotografico iniziato da Niepce/Daguerre, nel 1872 E.J. Muybridge inizia gli studi sulla locomozione umana ed animale con 12/24/40 apparecchi ad otturatore elettromagnetico, nel 1889 Edison brevetta la pellicola sensibile in celluloide da 35 mm, perforata per il trascinamento, flessibile, resistente, ma estremamente infiammabile. Nel 1895 i fratelli Lumière, fabbricanti di apparecchi e lastre fotografiche,  proiettano brevi film sperimentali al Salon Indien, Gran Cafè di Parigi (nel 1898 usano uno schermo gigante, 33x26 mt. – distante dal proiettore 215 mt. – costantemente bagnato dai vigili del fuoco per ottenere una migliore riflessione). Nel 1896, ciak del primo film italiano: “Arrivo del treno alla stazione di Milano”.  Nel 1899, la società Pathé produce film con il motto ‘il cinema è il giornale, la scuola, il teatro di domani’; per merito loro sulle apparecchiature cinematografichei sarà montata la ‘Croce di Malta’.

Il Museo del Cinema milanese espone dal 1987 una collezione di cimeli, apparecchiature e documenti che hanno contribuito a fare la storia del cinema, affiancandosi alla raccolta della Cineteca Italiana fondata nel dopoguerra. Fototeca, emeroteca, archivio per la conservazione delle pizze storiche. Nel museo si viene immersi in una sequela di strumenti e manifesti che rimandano al periodo pionieristico del cinema quando l’abilità degli artigiani era fondamentale per la costruzione degli strumenti: lanterne magiche, dolly, cineprese, proiettori, dagherrotipi, biglietti d’ingresso per i cinema ambulanti in uso nei primi anni del XX secolo, grammofoni a tromba, bobine, cartoline, bozzetti e set ricostruiti, un esemplare originale dell’apparecchio in legno dei Lumière del 1895, rulli di pellicola con perforazioni rotonde, schemi dei trucchi usati dall’antesignano degli effetti speciali George Mèliès. 

I fratelli francesi (Louis 1864/1948, Auguste 1862/1954) entrano nella storia delle grandi invenzioni con apparecchiature rivoluzionarie adatte a riprendere ed a proiettare su uno schermo bianco le immagini fotografate su una striscia di pellicola perforata brevettata da Edison qualche anno prima (dopo l’entusiasmo per la novità tecnica il cinematografo sembrò destinato a un rapido declino, ‘una invenzione senza futuro’ si diceva; nel 1897 questa predizione rischiò di avverarsi quando, in una fiera di beneficenza a Parigi, la pellicola si incendiò provocando la morte di 140 persone). Nel primo decennio del Novecento il pubblico chiedeva continuamente al cinema novità. I banchieri francesi Lafitte fondarono la Casa di Produzione Film d’Art e chiamarono a dirigerla André Calmettes e Charles Le Bargy ma la loro estrazione teatrale li portava a produrre film con attori della Comédie Française, ovvero scene mimate. Il mercato stimolò le Case Pathé e Gaumont a produrre film tratti da opere letterarie e musicali classiche (“Don Chisciotte”, “Carmen”).

Anche il centro di produzione di Torino si adeguò realizzando i primi kolossal: “Quo Vadis” di Enrico Guazzoni (1912), “Cabiria” di Giovanni Pastrone (1914). Lo scozzese E.S. Porter, già collaboratore di Edison, girò nel 1903 il suo primo film sui pompieri americani introducendo le tecniche del cinema d’azione: montaggio parallelo ed il primo piano rendevano più verosimili le scene. Il suo successivo lavoro “La grande rapina al treno” influì notevolmente su “L’ultima battaglia di Custer” (1912) e “La battaglia di Gettisburg” (1914) di T.H. Ince. Alberto Lattuada scrisse: “L’arte di Chaplin, Stroheim, Clair, Eisenstein, Griffith, rischia di essere ‘scritta sull’acqua’ e talora destinata alla sparizione totale se non si operano interventi di ripristino, di ristampa e di curatela delle copie, premessa indispensabile alla loro ‘seconda circolazione culturale’ a cura di organismi liberi dalla fatale logica del ‘botteghino’. È per il salvataggio delle opere che costituiscono il patrimonio del cinema che è stata fondata a Milano nell’immediato dopoguerra la Cineteca Italiana”.

 

Museo di Magiche Visioni (Collezione Minici Zotti)  – Padova

La storia del cinema è costruita sulle palafitte di numerose esperienze: è lo spunto per ricordare uno dei tanti gradini sulla strada percorsa dai creatori di immagini per arrivare al perfezionamento della ‘phothographie animée’. Nel quattrocentesco Palazzo Angeli padovano il “Museo di Magiche Visioni” mostra i vari sistemi che hanno preceduto il procedimento dei Lumière: lanterne magiche con doppio o triplo sistema ottico per collocare i personaggi in ambientazioni diverse, gli accessori necessari per allestire spettacoli nelle fiere e gli strumenti musicali adatti per accompagnare le proiezioni. Trent’anni di certosina ricerca sul mercato dell’antiquariato internazionale: Laura Minici Zotti ha potuto così raccogliere un campionario di marchingegni ottici e meccanici creati per offrire un tipo nuovo di spettacolo dopo le realizzazioni fantasmagoriche alla reggia di Versailles per allietare la corte del Re Sole e dopo la naumachia dell’antica Roma riproposta ancora nel XVIII secolo. La borghesia consolidata dai princìpi della Rivoluzione Francese, familiarizzò con le novità tecniche dell’Ottocento come il grammofono e la fotografia – strumentazioni artigianali realizzate accuratamente – oppure come la mongolfiera collaudata nel 1783 e le sensazionali scoperte degli esploratori. Il perfezionamento nella lavorazione delle ottiche permise altresì la costruzione di proiettori che ingrandendo scene singole o in serie variopinte proiettavano brevi racconti con l’uso della dissolvenza o del cambio dei fondali e dei personaggi. La collezione Minici Zotti ha trovato una sede appropriata – con il contributo del Comune di Padova – nel piano alto del palazzo in Prato della Valle: la raccolta settoriale è composta da locandine, scatole ottiche, accessori, iconografia varia, meccanismi d’animazione, 8.000 vetri dipinti da miniaturisti dell’epoca. Tutto il materiale è catalogato nelle oltre trecento pagine illustrate del volume dedicato al Museo e curato da Carlo Alberto Minici Zotti, figlio della fondatrice.

 

L’invenzione della lanterna magica “si perde nella notte dei tempi, la descrive per la prima volta il gesuita Althanasius Kircher nella voluminosa opera ‘Ars Magna Lucis et Umbrae’ edita nel 1672. Ingenue immagini erano proiettate dai Savoiardi ambulanti a partire dal ’700, altre raffinate pitture su vetro venivano proposte da colti lanternisti nei salotti di corte... Alcune serie esposte nel museo trattano il Grand Tour, le scoperte del Polo Nord, l’Astrologia, personaggi buffi del Circo... Di particolare interesse i soggetti scientifici con ‘les projections vivantes’, i sorprendenti effetti dei quadri meccanici con fontane che zampillano, eruzioni vulcaniche, neve, pioggia, lampi, arcobaleno ed i Cromatropi, suggestivi giochi di colori ‘somiglianti ai rosoni delle cattedrali gotiche’ descritti con struggente nostalgia da Marcel Proust ne ‘La Recherche’... E infine non mancava il repertorio di immagini pornografiche in uso nelle case di piacere... Laura Minici Zotti, attuale direttrice del museo ma anche abile lanternista, ha divulgato la conoscenza delle Rappresentazioni con la Lanterna Magica iniziando nel 1975 davanti alle platee sparse in buona parte del mondo, adoperando un apparecchio di J.H. Steward a doppio obiettivo del 1880, unitamente ai vetri (cm. 8x8) dipinti a mano nell’800, spesso animati da piccoli meccanismi...”  Piccoli passi dell’ingegno umano: dal Teatro delle Ombre di antica origine cinese – sagome e mani dietro uno schermo evidenziate da lumi opportunamente disposti – agli studi sulla camera oscura, all’immagine digitale. Un percorso fatto di intuizioni e scoperte che fortunatamente hanno lasciato tracce importanti come quelle esposte in questo Museo padovano.    

 

• Museo del Cinema “Antonio Marmi”

Il Comune di Vignola, in provincia di Modena, ospita un Museo del Cinema aderente all’Associazione “Vignola per il cinema”. I reperti esposti sono il frutto della passione di un collezionista, Antonio Marmi, che nel corso di molti decenni, ha raccolto cimeli del settore foto-cinematografico riuscendo a metterne insieme un numero tale da poter costituire il Museo da lui diretto e che da lui prende il nome. La raccolta ha contribuito ad arricchire Mostre specialistiche qualificate come “I primi passi del Cinema” (Modena 1987), “C’era una volta il cinema” (Arona 1991), “Gli albori del Cinema” (Vignola 1992), “1ª Rassegna sul Cinema” (Fanano 1993), “Scatole Magiche” (Garbagnate Milanese 1997). In concomitanza a questa sua dedizione, Antonio Marmi ha svolto l’attività di cineamatore con la partecipazione a numerosi concorsi per cortometraggi, per i quali ha ottenuto apprezzamenti e riconoscimenti.

Per tutti coloro che nutrono passione per il cinema e che quindi hanno contribuito in oltre un secolo a farne uno spettacolo a livello planetario, sono tuttora valide le dichiarazioni di due ‘cinematografari doc’ rilasciate negli anni Sessanta: “Io amo il cinema perché con il cinema resto sempre al livello della realtà. È una specie di ideologia personale, di vitalismo, di amore del vivere dentro le cose, nella vita, nella realtà” (Pier Paolo Pasolini). “Quello che più mi piace del cinema è l’ampiezza del pubblico. È inimmaginabile, veramente. E siccome non si riesce a immaginare il proprio pubblico, si prova un meraviglioso senso di libertà... il che vuol dire che si possono fare i film senza pensare al pubblico, se non altro perché il pubblico è inimmaginabilmente vasto e differenziato” (Orson Welles). 

 

Museo delle Marionette Cenderelli – Campomorone (Genova)

Dal 1996 il Comune di Campomorone ospita la collezione di Angelo Cenderelli (Genova 1892/1959), ideatore, costruttore, scenografo ed animatore di un proprio teatro di marionette: dopo il suo ritiro dall’attività sono rimasti circa 70 personaggi (alcuni in legno o cartapesta con gli occhi dipinti, altri in legno con gli occhi di vetro), oltre 100 copioni manoscritti ed a stampa (“I Crociati”, “20.000 leghe sotto i mari”, “La figlia di Alì Babà”, “Crispino e la comare”, ecc.), 130 scenografie d’epoca, 265 pezzi di abbigliamento (costumi ricamati o lavorati a pizzo, passamanerie varie, scarpe, armi, copricapi) più diversi oggetti d’arredo molto piccoli. Quale dirigente dei lavori pubblici, Cenderelli contribuì a realizzare nella sua città natale opere come il Monumento ai Caduti ed il Liceo Andrea Doria (nel 1937 fu nominato Cavaliere del Regno per la sua sovrintendenza alla costruzione del Palazzo destinato all’Intendenza di Finanza).

Probabilmente in quegli anni cominciò a coltivare la sua passione per il mondo fantastico dei personaggi con la testa di legno e quindi a livello dilettantesco creò storie, maschere e fondali. In questa attività fu aiutato dagli studi di pittura (partecipò ad alcune mostre, collaborò all’illustrazione di libri, operò come scenografo per la Compagnia genovese Baistrocchi) e dalla frequentazione di ambienti culturali diversificati. L’abilità degli ‘artisti da strada’ doveva per forza essere multiforme: dalla costruzione dei pezzi e degli arredi alla scenografia ed ai canovacci adattati per il pubblico al quale si rivolgevano. A sipario aperto intervenivano altre esigenze come quella di muovere i corpi e le teste di legno in sintonia con il testo scritto ma soprattutto riuscire a dare sentimento e valore all’espressione fissa delle loro creature con la voce che doveva, volta per volta, modularsi e adattarsi per entrare nel ‘personaggio’.

Gli eredi hanno donato il patrimonio artistico di questa figura eclettica al Centro di Assistenza Infantile di Campora, la cui gestione fu poi assunta dal Comune di Campomorone: “Restituire alla vita il mondo teatrale di Angelo Cenderelli ha richiesto l’integrazione dei pezzi deteriorati o mancanti con materiali antichi provenienti da laboratori artigianali marionettistici... così i personaggi esposti rifuggono dall’anonimato delle collezioni similari per tornare ad essere Crispino, Matilde, il mago Orano, Roberto, Rosalinda...”                     

 

Museo Castello dei Burattini Ferrari – Parma

Aperto nel 2002 nel centro storico di Parma, il museo raccoglie centinaia di burattini (alcuni dei quali risalenti al Cinquecento provenienti dall’intera penisola) e materiale di scena di un mondo destinato a scomparire per l’incalzare delle novità elettroniche. Di questo spettacolo popolare viaggiante ne parlano gli scrittori classici e le cronache medioevali per il loro uso nelle chiese per sacre rappresentazioni o nelle corti feudali per intrattenimento. Notizie storiche indicano Giappone e Cina come esportatori in Occidente di queste teste di legno o terracotta. I secoli XVI/XVII vedono i pupazzi girare l’Europa, interpreti di canovacci originali o adattati da noti testi teatrali. A Venezia il genere era molto diffuso tanto che il commediografo Carlo Goldoni ricorda nelle sue ‘Memoires’ il padre intento a manovrare i fili delle marionette a San Tomà (in generale, le marionette erano appannaggio delle feste tenute nei palazzi nobili mentre i burattini – più facili da manovrare e trasportare – erano destinati al popolo).  

La collezione di Parma è dedicata alla famiglia Ferrari, il cui capostipite Italo creò nel 1877 il personaggio di ‘Bargnocla’, acchiappa botte come altre figure dello spettacolo da strada di diverse regioni, che alla fine risultano vincenti per una ribellione naturale. All’ingresso il visitatore è accolto dalla fotografia di Giordano Ferrari che regge una testa di burattino insieme ad un vecchio baule della Compagnia dal quale fanno capolino le espressioni statiche ma un tempo cariche di espressività degli ‘attori’ usati da diverses generazioni di una delle dinastie delle ‘teste di legno’. È proprio grazie all’accortezza di Giordano che è stato possibile aprire al pubblico una collezione che esprime la passione di tanti ‘teatranti’, interpreti di canovacci scritti o adattati per i burattini. Una memoria del tempo che i discendenti Ferrari continuano a mantenere viva nel complice gioco col loro pubblico assetato di ingenuità intelligente come quella di Bertoldo. Oltre agli spettacoli dal vivo sulle piazze, la Compagnia guida visite al museo avvicinando le scolaresche aduse allo spettacolo televisivo all’antica arte della voce abbinata al movimento di personaggi che, in posizione di riposo, sembrano in stato di catalessi. Il museo è stato organizzato in modo cronologico seguendo le tracce dei burattinai che hanno cominciato ad apparire sulla scena europea almeno da mezzo millennio: costumi, scenografie, oggetti, 200 copioni manoscritti, 1.500 ‘pezzi’ d’antiquariato e ricostruzioni di ‘ambienti’ usati per rappresentare i vari soggetti.

• I Pupi Siciliani sono noti per il loro repertorio eroico-cavalleresco. Alti circa un metro, realizzati in legno e metallo, sono animati dall’alto tramite aste fissate al corpo (i burattini sono manovrati con la mano infilata all’interno del pupazzo, la marionetta è mossa dall’alto con fili collegati agli arti). Sono i protagonisti dell’Opera dei Pupi con un  repertorio – in prosa o in rima, in lingua o in dialetto – che si aggancia alle storie del ciclo carolingio, in particolare alle avventure dei paladini nella guerra contro i Mori del XVI/XVII secolo. Di origine iberica, furono introdotti e diffusi in Sicilia dalla metà dell’Ottocento per merito di alcune famiglie che hanno poi tramandato fino ai nostri giorni la tradizione dei ‘pupari’.    

• La famiglia Colla è stata per decenni il nucleo portante del vecchio Teatro Gerolamo di Milano. Il capostipite Giuseppe – costruttore di marionette per hobby – iniziò presentando alcuni spettacoli in ambito privato. Fu soltanto intorno al 1808 che cominciò una carriera che sarebbe stata tramandata dai figli Giovanni, Carlo e Antonio e da altri familiari fino ai tempi nostri. Le marionette usate dalla Compagnia Colla erano costruite con accuratezza e spesso furono scolpite da scultori di ingegno. Centinaia di rappresentazioni – sia in strutture fisse che itineranti – fino ad approdare nel 1885 nella bomboniera del Gerolamo, chiuso nel 1957 per la carenza delle  misure di sicurezza. La Compagnia Gianni e Cosetta Colla, dopo aver totalizzato nel 2001 oltre 40.000 presenze nella sala  milanese di Via degli Olivetani usata in questi ultimi 26 anni, è alla ricerca di una sede definitiva che permetta ai suoi personaggi di continuare a vivere e divertire.          

• Il Teatro dei Piccoli, fondato nel 1914 da Vittorio Podrecca (1883/1959) operò dapprima nel palazzo romano Odescalchi. Il marionettista friulano usò sempre scenografi e musicisti di valore riuscendo a dare ai suoi spettacoli un tocco di eleganza e qualità nettamente superiore alla media. Il suo repertorio attingeva a Shakespeare, Mozart, Rossini, Donizetti e Prokofiev. La qualità delle sue messe in scena – unitamente alle capacità tecniche di movimento e di sincronia voce/musica – fu apprezzata da Toscanini, Shaw e Chaplin.

 

Museo della Maschera – Rocca Grimalda (Alessandria)

La maschera assume il valore di logo del teatro proprio per la sua aderenza al ‘phisyque du rôle’ del personaggio, ovvero all’alterazione voluta per rappresentarsi. La maschera come contraffazione delle sembianze umane o animali è probabilmente di origine rituale. Il simbolismo insito nell’espressione rigida del materiale usato (cuoio o cartapesta) è così implicito da ipotizzarne l’uso in civiltà molto antiche, forse anche nelle tribù dei periodi preistorici. La finta testa o il finto volto con il loro enigmatico segreto hanno da sempre un potere carismatico molto forte nei confronti del gruppo: quindi il mito, religioso o sociale, non poteva che essere rappresentato in forma tangibile attraverso un’idea fantastica. Il vocabolo latino ‘persona’ (di probabile origine etrusca), prima di assumere il significato attuale indicava la maschera teatrale. Il popolo egizio ha lasciato bassorilievi e maschere funerarie a testimonianza della mistificazione del reale.

Il teatro greco usava abitualmente la maschera come mezzo espressivo: la caratteristica grande apertura della bocca aveva la doppia funzione di amplificare la voce e di estrinsecare lo stato d’animo del personaggio. Già i romani usarono questo artifizio convenzionale proprio perché il linguaggio simbolico di un viso artefatto atteggiato a smorfia o sorriso (tragedia e commedia) aiutava commediografo e attore alla simbiosi con la platea. La Maschera più vicina a noi, dopo secoli di dimenticanza, è quella della Commedia dell’Arte (arte come sinonimo di mestiere e corporazione), una forma di spettacolo improvvisato sulle variabili di un canovaccio. Personaggi derivati dalla tradizione popolare con i loro dialoghi mimati facevano riconoscere al pubblico il ‘carattere’ impersonato dall’attore. Usata per la sua carica grottesca, la Maschera assume nel tempo le fattezze di un personaggio definito: non più il semplice sentimento ma anche un ‘tipo’ nelle cui caratteristiche lo spettatore riusciva facilmente a identificarsi. Ecco Zanni (servo scaltro e imbroglione), Arlecchino (tanto povero da indossare un abito rattoppato con pezze di ogni colore), Pantalone, Balanzone, Brighella, Scaramuccia, Meneghino, Gianduja, Pulcinella, Stenterello, Rugantino, Matamoro, Rodomonte, eccetera. Fu proprio la ripetitività degli schemi a causare la decadenza della Commedia dell’Arte.

Con la collaborazione di vari Enti ed Associazioni, nel piccolo comune di Rocca Grimalda in provincia di  Alessandria è stato costituito il “Museo della Maschera” sulla spinta di precedenti iniziative interdisciplinari vertenti intorno a temi antropologici, filologici e di creatività popolare, un centro vivace che organizza convegni ed incontri di promozione culturale. Il Museo espone materiali che richiamano principalmente il carnevale organizzato nel paese come fruste e cappelli infiorati; sono però le maschere impiegate durante i cortei ad assumere valore di testimonianza perché inevitabilmente collegate alle tradizioni teatrali o comunque al folklore delle altre regioni. Il carnevale ha origini collegate alla festa romana dei Saturnalia che si svolgeva a ridosso del solstizio d’inverno. In tempi moderni la festa ha luogo – con tempi e modalità diverse secondo le località – tra l’Epifania e la Quaresima: I giorni ‘grassi’ precedenti quelli delle Ceneri sono il culmine di una festa popolare che ha carattere di baldoria e di ironico sovvertimento delle gerarchie con mascheramenti paradossali (abbastanza antichi sono i ‘testoni’ in cartapesta dipinti indossati per mettere alla berlina personaggi noti) e parate sfrenate. Alcune città in particolare hanno fatto del carnevale un evento sociale a cadenza annuale come Venezia, Viareggio, Nizza, Rio de Janeiro.            

 

• Museo Civico Biblioteca dell’Attore del Teatro Stabile – Genova

Fondato nel 1966 dal Teatro di Genova – dal 1976 Fondazione riconosciuta di interesse regionale – raccoglie 40.000 volumi di teatro e cinema oltre a documenti sull’attività teatrale italiana ’800/900: 1.690 disegni, 8.000 programmi di sala, 58.000 ritagli stampa, 1.200 locandine, 1.000 copioni. L’archivio di immagini di Gastone Bosio con 56.850 negativi di questo fotografo modenese di nascita ma romano di adozione: 1.500 spettacoli, foto di guerra in Tripolitania e ritratti di attori ripresi tra il 1946 ed il 1971; il Fondo del critico Silvio D’Amico con tutti i manoscritti e gli appunti delle sue conferenze, l’epistolario ed i carteggi accumulati dal 1910 al 1955, anno della sua morte; il Fondo Pasquale De Antonis, diventato fotografo teatrale dopo avere partecipato dal 1937 ai corsi del Centro Sperimentale di Cinematografia romano: sono stati acquisiti 2.470 fotogrammi di 66 spettacoli riuniti in parte nel catalogo edito in occasione della mostra a lui dedicata nel 1998; il Fondo Adelaide Ristori, la grande attrice italiana dell’Ottocento: figlia d’arte e conoscitrice di quattro lingue, con le circa 40.000 lettere tramandate permette agli studiosi di analizzare l’ambiente teatrale del suo tempo; la Donazione di Roberto Chiti, libri e riviste di cinema classificata nel catalogo di 500 pagine edito da Bulzoni.

La tradizione teatrale in Liguria risale alla fine del XV secolo con la “Farsa dei Pellegrini” scritta da Adorno anche se rappresentazioni di carattere sacro e qualche accenno nella letteratura medioevale può fare recedere di qualche secolo il concetto di teatro nella nostra regione. Più che compagnie di giro o mestieranti, in questi casi erano intere comunità a seguire copioni che prediligevano un tipo di drammaturgia popolare coinvolgente, malgrado opposizioni e censure, con canti di laude scritte da poeti dell’epoca per conto delle Confraternite. A Genova si ha notizia di spettacoli sacri medioevali; la Commedia dell’Arte si presenta nel XVI sec. in coabitazione con il retaggio dei cantastorie e dei mimi. Si costruirono i Teatri Falcone, Sant’Agostino e delle Vigne. Nel 1772 si stabiliscono prezzi e regole che valgono per i vari tipi di programma: opera seria e giocosa, prosa e feste da ballo. Il Senato del tempo censurava ciò che riteneva non consono alla pubblica morale o non conforme alle sue direttive, fino al paradosso di vietare l’ingresso alle donne nel 1795. Il Teatro Falcone, già in disuso perché adibito a magazzino, fu distrutto dai bombardamenti della seconda guerra mondiale insieme al Sant’Agostino; il Teatro delle Vigne, in legno, chiuse alla fine dell’Ottocento. Il Campetto, l’Apollo, l’Andrea Doria, il Paganini  ed altri ambienti dislocati nelle delegazioni documentano la vivacità di un tipo di spettacolo diversificato che includeva anche esibizioni acrobatiche ed equestri, marionette e concerti. La cronaca genovese ricorda le tribolazioni per ricostruire sia il Modena di Sampierdarena (aperto nel 1857, notevolmente manipolato negli anni Trenta per ampliarne la capienza e trasformarlo in cinematografo) sia il Teatro Carlo Felice (aperto nel 1828, risorto dopo i danneggiamenti subiti per le incursioni aeree notturne del 1943): “Giuseppe Verdi trascorre gli inverni a Genova, gli piace il clima, i dolci locali, è solito regolare il suo cronometro da tasca sull’orologio del Carlo Felice famoso per la sua infallibilità (Secolo XIX, 1889)”. A Savona nel 1963 riapre il Chiabrera, costruito nel 1853, dopo una radicale ristrutturazione. Il minuscolo Teatro Sacco, ricavato nell’omonimo palazzo alla fine del Settecento, è inoperoso dal 1983. Il Teatro Impavidi di Sarzana (1809), il cui palcoscenico ospitò Toti Dal Monte, Lina Pagliughi, Adelina Patti ed Eleonora Duse nel 1878, è ancora attivo. Il Teatro Cavour di Imperia (1871) dal 1990, dopo essere stato usato per decenni come cinema, è rientrato restaurato nel circuito teatrale. Il Teatro Sociale di Camogli (1876) è stato “costruito da sessanta caratisti che spesero più di 200 mila lire. Erano lupi di mare, usi a tutte le tempeste e a tutti gli ardimenti. Ma sentivano il bello” (G. Bono Ferrari). Sul territorio agivano anche i Diurni, teatri viaggianti estivi con rappresentazioni pomeridiane, il Politeama, il Wanda, il Salone Margherita ed il Reposi (nel 1868 furono censite in Liguria 42 sale e 1.018 nell’intera penisola).

Finale Ligure ha due sale storiche ottocentesche: il Teatro Sivori è chiuso dal 1956 per carenze nelle normative  di sicurezza; la sala a ferro di cavallo si presenta tuttora, pur nel degrado generalizzato, nella sua struttura originaria. La Commissione che ne decise la costruzione dedicò il Teatro all’insigne musicista “Camillo Sivori - Finale Marina - MDCCCLXVII”; nel “Programma per la costruzione di un teatro” del  24 gennaio 1865 si legge: “Fra i desideri o per meglio dire fra i bisogni più grandemente sentiti e in modo non dubbio espressi dalla quasi universalità della popolazione di questa Città, quello si è di avere un locale appropriato alle teatrali rappresentazioni”. A Finalborgo esiste tuttora l’Aycardi (chiuso per motivi di sicurezza dal 1965), il più vecchio teatro ottocentesco della Liguria. Inaugurato nel 1804 per sopperire alla mancanza di un spazio adeguato ad ospitare spettacoli e feste, è nato per merito di  un gruppo di cittadini – tra i quali i rappresentanti delle famiglie più importanti del Borgo – che istituì la ‘Società del Teatro’ con gli scopi prefissati nel documento d’impegno controfirmato dai promotori: “Considerando li sottoscritti, che oltre essere il teatro un pubblico adornato, contribuisce di molto all’istruzione della gioventù ed a formare i buoni costumi, in riflesso che manca in questa città un conveniente locale onde attirare un sì vantaggioso esercizio, si obbligano a formarlo a proprie spese”.

Un importante reperto del Museo dell’Attore  – esposto per ragioni di spazio al Teatro Carlo Felice – è il “Teatrino di marionette dell’Ottocento Rissone” composto da un boccascena, otto fondali principali, 76 quinte, 30 scene (cm. 117x209), animali ed attrezzeria varia, 46 manoscritti, 92 marionette le cui caratteristiche (mani e piedi di piombo) risentono dell’influenza veneta; la documentazione che accompagna il materiale ne testimonia l’acquisto da parte di Vittorio Rissone, padre di Checco e nonno di Emi De Sica nonché la conseguente cessione al Museo nel 1982: “Le piccole dimensioni delle scene e delle marionette fanno supporre che fossero state costruite per un teatro privato, su ordinazione di qualche ricco e nobile signore”...

Nel contesto degli spazi riservati ai ricordi dello spettacolo, Genova ha dedicato un Museo allo scenografo, pittore e costumista Emanuele Luzzati nei locali di Porta Siberia. Genovese del 1921, ‘Lele’ ha studiato a Losanna ed in seguito ha collaborato con le maggiori Compagnie italiane di prosa e vari teatri lirici. Molto abile nell’impiego dei materiali più disparati, riesce a ricavarne effetti spaziali e di tensione drammatica sulla base del suo gusto estetico in bilico tra favolistica ed esotismo. Ha realizzato il manifesto celebrativo del trentennale del Festival Teatrale di Borgio Verezzi, le scene ed i costumi per diversi balletti, per le opere del Ruzante, di Sartre e Ionesco. Ha collaborato con la Piccola Scala di Milano e, naturalmente, con i teatri di Genova. Nel cinematografo si è cimentato con l’animazione, in collaborazione con Giulio Gianini, dando vita a cortometraggi di grande inventiva cromatica.

 

• Museo delle Marionette Cenderelli – Campomorone (Genova)

Dal 1996 ospita la collezione di Angelo Cenderelli (Genova 1892/1959), ideatore, costruttore, scenografo ed animatore di un proprio teatro di marionette: dopo il suo ritiro dall’attività sono rimasti circa 70 personaggi (alcuni in legno o cartapesta con gli occhi dipinti, altri in legno con gli occhi di vetro), oltre 100 copioni manoscritti ed a stampa (“I Crociati”, “20.000 leghe sotto i mari”, “La figlia di Alì Babà”, “Crispino e la comare”, ecc.), 130 scenografie d’epoca, 265 pezzi di abbigliamento (costumi ricamati o lavorati a pizzo, passamanerie varie, scarpe, armi, copricapi) più diversi oggetti d’arredo molto piccoli. Quale dirigente dei lavori pubblici, Cenderelli contribuì a realizzare nella sua città natale opere come il Monumento ai Caduti ed il Liceo Andrea Doria (nel 1937 fu nominato Cavaliere del Regno per la sua sovrintendenza alla costruzione del Palazzo destinato all’Intendenza di Finanza). Probabilmente in quegli anni cominciò a coltivare la sua passione per il mondo fantastico dei personaggi con la testa di legno e quindi a livello dilettantesco creò storie, maschere e fondali. In questa attività fu aiutato dagli studi di pittura (partecipò ad alcune mostre, collaborò all’illustrazione di libri, operò come scenografo per la Compagnia genovese Baistrocchi) e dalla frequentazione di ambienti culturali diversificati. L’abilità degli ‘artisti da strada’ doveva per forza essere multiforme: dalla costruzione dei pezzi e degli arredi alla scenografia ed ai canovacci adattati per il pubblico al quale si rivolgevano. A sipario aperto intervenivano altre esigenze come quella di muovere i corpi e le teste di legno in sintonia con il testo scritto ma soprattutto riuscire a dare sentimento e valore all’espressione fissa delle loro creature con la voce che doveva, volta per volta, modularsi e adattarsi per entrare nel ‘personaggio’. Gli eredi hanno donato il patrimonio artistico di questa figura eclettica al Centro di Assistenza Infantile di Campora, la cui gestione fu poi assunta dal Comune di Campomorone: “Restituire alla vita il mondo teatrale di Angelo Cenderelli ha richiesto l’integrazione dei pezzi deteriorati o mancanti con materiali antichi provenienti da laboratori artigianali marionettistici... così i personaggi esposti rifuggono dall’anonimato delle collezioni similari per tornare ad essere Crispino, Matilde, il mago Orano, Roberto, Rosalinda...”                    

 

• Museo di Magiche Visioni (Collezione Minici Zotti)  – Padova

La storia del cinema è costruita sulle palafitte di numerose esperienze: è lo spunto per ricordare uno dei tanti gradini sulla strada percorsa dai creatori di immagini per arrivare al perfezionamento della ‘phothographie animée’. Nel quattrocentesco Palazzo Angeli padovano il “Museo di Magiche Visioni” mostra i vari sistemi che hanno preceduto il procedimento dei Lumière: lanterne magiche con doppio o triplo sistema ottico per collocare i personaggi in ambientazioni diverse, gli accessori necessari per allestire spettacoli nelle fiere e gli strumenti musicali adatti per accompagnare le proiezioni. Trenta anni di certosina ricerca sul mercato dell’antiquariato internazionale: Laura Minici Zotti ha potuto così raccogliere un campionario di marchingegni ottici e meccanici creati per offrire un tipo nuovo di spettacolo dopo le realizzazioni fantasmagoriche alla reggia di Versailles per allietare la corte del Re Sole e dopo la naumachia dell’antica Roma riproposta ancora nel XVIII secolo. La borghesia consolidata dai principi della Rivoluzione Francese, familiarizzò con le novità tecniche dell’Ottocento come il grammofono e la fotografia – strumentazioni artigianali realizzate accuratamente – oppure come la mongolfiera collaudata nel 1783 e le sensazionali scoperte degli esploratori. Il perfezionamento nella lavorazione delle ottiche permise altresì la costruzione di proiettori che ingrandendo scene singole o in serie variopinte proiettavano brevi racconti con l’uso della dissolvenza o del cambio dei fondali e dei personaggi. La collezione Minici Zotti ha trovato una sede appropriata – con il contributo del Comune di Padova – nel piano alto del palazzo in Prato della Valle: la raccolta settoriale è composta da locandine, scatole ottiche, accessori, iconografia varia, meccanismi d’animazione, 8.000 vetri dipinti da miniaturisti dell’epoca.

 

• Museo Nazionale del Cinema – Torino 

Dedicata alla storia del cinematografo all’interno della Mole Antonelliana torinese, la struttura di Alessandro Antonelli (h. 167 mt.) contiene nel suo vasto spazio (mq. 3.200) un ascensore panoramico che raggiunge la cupola ed una passerella elicoidale che permette di salire ai vari piani espositivi. Le collezioni del ‘museo più alto del mondo’ comprendono: 7.000 titoli nella cineteca, 9.000 oggetti ed apparecchiature per la visione e la ripresa, 125.000 documenti fotografici, 200.000 manifesti, 200 lanterne magiche con 4.500 vetri dipinti, 20.000 volumi, 3.000 testate, una fonoteca. La realizzazione del Museo è il risultato del lavoro di una appassionata e puntigliosa raccoglitrice di reperti del settore, Maria Adriana Prolo, che già nel 1941 appuntava “Pensato il museo”. Nell’accurata guida dell’itinerario che segue la storia del cinematografo si ricorda che “La sala cinematografica non è soltanto il luogo del rito moderno per eccellenza, della celebrazione delle meraviglie del ventesimo secolo. È anche lo spazio di una visione allucinatoria di un’illusione visiva che avvolge lo spettatore con una forza assolutamente particolare. Immerso nel buio, abbandonato nella poltrona, catturato dalle immagini in movimento sullo schermo, lo spettatore vive il fascino che ha qualcosa in comune con il sogno e la fantasticheria... Dal cinema ambulante collocato nelle fiere accanto al circo e ai baracconi, alle grandi sale con orchestre che suonano dal vivo nell’epoca d’oro del cinema muto, le sale hanno conosciuto forme, riti e tecnologie diverse... Dopo il drive in e i multiplex la sala è oggi lo spazio di una nuova frontiera tecnologica, segnata dalla visione tridimensionale, dai maxischermi parabolici, dall’avvento dell’immagine digitale”.  

 

• Museo del Cinema Cineteca Italiana – Milano

Nel 1840 Talbot completa il processo fotografico iniziato da Niepce/Daguerre, nel 1872 E.J. Muybridge inizia gli studi sulla locomozione umana ed animale con 12/24/40 apparecchi ad otturatore elettromagnetico, nel 1889 Edison brevetta la pellicola sensibile in celluloide da 35 mm, perforata per il trascinamento, flessibile, resistente, ma estremamente infiammabile. Nel 1895 i fratelli Lumière, fabbricanti di apparecchi e lastre fotografiche,  proiettano brevi film sperimentali al Salon Indien, Gran Cafè di Parigi. Nel 1896, ciak del primo film italiano: “Arrivo del treno alla stazione di Milano”.  Nel 1899, la società Pathé produce film con il motto ‘il cinema è il giornale, la scuola, il teatro di domani’. Il Museo del Cinema milanese espone dal 1987 una collezione di cimeli, apparecchiature e documenti che hanno contribuito a fare la storia del cinema, affiancandosi alla raccolta della Cineteca Italiana fondata nel dopoguerra. Fototeca, emeroteca, archivio per la conservazione delle pizze storiche.

Nel museo si viene immersi in una sequela di strumenti e manifesti che rimandano al periodo pionieristico del cinema quando l’abilità degli artigiani era fondamentale per la costruzione degli strumenti: lanterne magiche, dolly, cineprese, proiettori, dagherrotipi, biglietti d’ingresso per i cinema ambulanti in uso nei primi anni del XX secolo, grammofoni a tromba, bobine, cartoline, bozzetti e set ricostruiti, un esemplare originale dell’apparecchio in legno dei Lumière del 1895, rulli di pellicola con perforazioni rotonde, schemi dei trucchi usati dall’antesignano degli effetti speciali George Mèliès. Alberto Lattuada scrisse: “L’arte di Chaplin, Stroheim, Clair, Eisenstein, Griffith, rischia di essere ‘scritta sull’acqua’ e talora destinata alla sparizione totale se non si operano interventi di ripristino, di ristampa e di tutela delle copie, premessa indispensabile alla loro ‘seconda circolazione culturale’ a cura di organismi liberi dalla fatale logica del ‘botteghino’. È per il salvataggio delle opere che costituiscono il patrimonio del cinema che è stata fondata a Milano nell’immediato dopoguerra la Cineteca Italiana”.

 

 

 

Giuliano Confalonieri

giuliano.confalonieri@alice.it