Louis Comfort Tiffany

 

Alessandra Doratti

 

 

 

Una giusta valutazione di Louis Comfort Tiffany artista è stata spesso posta in secondo piano rispetto al suo ruolo di proprietario e direttore di un'azienda impegnata in una produzione in serie di articoli per l'arredamento e per il culto, lampade, oggetti commemorativi, vetrerie, candelabri in bronzo, e articoli da scrittoio. Il volume stesso della produzione uscita dagli Tiffany Studios per tanti anni ha messo in ombra, presso il pubblico, l'immagine di colui che era il cuore di quel colosso commerciale; un uomo di prodigioso talento che per oltre cinquant'anni lottò con la contraddizione insita nel doppio ruolo di artista e produttore.
Questo secondo aspetto della sua attività è sempre stato ostacolo ai tentativi di analizzare l'artista e la sua inesausta ricerca del bello, ricerca che lo spinse a esplorare in ogni campo: la pittura, il vetro (non soltanto la produzione del materiale, ma anche la realizzazione di finestre, lampade, mosaici e oggetti decorativi in vetro), il bronzo, gli smalti, le ceramiche, l'oreficeria; Tiffany si cimentò persino con la fotografia, con l'architettura, il disegno per tessuti, e la decorazione d'interni, sempre con stupefacente abilità e fantasia.
I critici suoi contemporanei erano ben consapevoli dell'ampia gamma in cui si dispiegava il talento artistico di Tiffany, pur discordando sui rispettivi meriti dei risultati ottenuti in ciascuna disciplina. Un articolo apparso sul Baltimore Evening Sun del 19 ottobre 1910 così sintetizzava il grande rispetto di cui Tiffany godeva presso la critica: "Dubitiamo che di un altro artista si possa dire che ha contribuito altrettanto validamente all'arte in tutti i suoi aspetti, abbracciando un più vasto ambito espressivo nell'interpretazione di tutto ciò che di bello esiste al mondo"; ma fu il tedesco Otto von Bentheim a formulare il giudizio più conciso sulle opere di Tiffany, allorché recensì l'esposizione di Tiffany Studios all'Exposition Universelle di Parigi del 1900, giudicandola di "sbalorditiva versatilità".

 


Seppe inserirsi nella prima età dell'oro


Oggi la nostra analisi di Tiffany differisce per alcuni importanti aspetti dall'idea che i suoi contemporanei ebbero di lui, quand'era all'apice della carriera, idea che si discosta altresì dal modo in cui lo stesso Tiffany avrebbe voluto essere giudicato dai posteri.
È fuori discussione la validità del talento che governò le sue energie - di maestro del colore e naturalista - nonché la spettacolarità delle innovazioni da lui introdotte nell'uso del vetro: un'odissea trentennale ebbe compimento nella maestria con cui padroneggiò una varietà inebriante di colori e tecniche, con risultati mai prima raggiunti in quel campo. Il tempo trascorso, tuttavia, con-sente un diverso giudizio riguardo ai punti di forza e di debolezza delle sue creazioni nei vari ambiti. Non sempre - è ovvio - egli raggiunse la perfezione, né sempre eccelse in tutto ciò in cui ebbe a cimentarsi. Ma fu, al suo meglio, artista arredatore di incomparabili abilità, fantasia e maestria: grazie a una felice mescolanza di intelligenza, ambizione, ricchezza, creatività e illimitata energia, seppe cogliere le eccezionali occasioni offertegli dalla straordinaria espansione e prosperità di cui godeva l'America al volgere del secolo. Era la prima età dell'oro della nazione e Tiffany si inserì perfettamente in quel contesto, divenendo il più elegante dispensatore di buon gusto non soltanto nell'arredamento delle abitazioni, ma in ogni genere di istituzione pubblica e privata, inclusi luoghi di culto, alberghi, club, biblioteche, ospedali e persino navi traghetto.
Tiffany considerava la produzione di vetrate la sua attività più prestigiosa, giudicando quel mezzo espressivo il più elevato tra tutte le forme d'arte decorativa; e tuttavia si trovò sempre ostacolato dall'insistenza con cui la Chiesa, suo maggiore committente, richiedeva composizioni figurative a soggetto religioso, campo nel quale la sua opera non fu certamente eccezionale.

 

 


Eppure le lampade non riuscivano a soddisfarlo


La maggior parte dei lavori di questo genere si riscatta dalla banalità solamente in virtù del suo inimitabile vetro. Oggi quelle opere a soggetto religioso appaiono meno insigni di quanto fossero considerate all'epoca, in netto contrasto con i pannelli paesaggistici e floreali che, sebbene in numero molto inferiore, talvolta superano, nella straordinaria giustapposizione delle tinte, persino le stesse ambizioni coloristiche dell'autore.
È paradossale che i posteri considerino Tiffany soprattutto quale creatore di lampade: ne sarebbe assai deluso, giacché proprio le lampade, oggetti eminentemente commerciali, lo soddisfacevano meno di ogni altra sua realizzazione; persino il suo biografo, Charles de Kay, nel volume pubblicato nel 1914 evitò accuratamente ogni riferimento alle lampade prodotte dai Tiffany Studios, sebbene esaminasse nei particolari tutte le altre sue multiformi attività (comprese quelle meno note, il disegno di tessuti e mobili e l'architettura). Ciò stupisce quanto più, da almeno 15 anni Tiffany produceva lampade per un mercato apparentemente insaziabile: un'omissione tanto palese non poteva che essere voluta da Tiffany stesso, direttamente o tramite i figli, per i quali il libro era stato commissionato; né sono note altre fonti scritte dell'epoca, nelle quali Tiffany parli delle sue lampade, sebbene in parecchi articoli e conferenze illustrasse spesso e volentieri il suo pensiero sul colore, la luce, la natura e il vetro. Nel 1916, nella mostra che allestì in occasione del suo sessantottesimo compleanno nei saloni della ditta, c'era una sola lampada: il pezzo unico "Pavone" disegnato per Charles Gould, il cui paraluce è in vetro soffiato (non piombato), erano peraltro esposti più di 160 dipinti e vetrinette zeppe di smalti, gioielli e vetri Favrile. Il fatto è che le lampade erano prodotte in serie a differenza delle vetrate, degli smalti e vetri soffiati - tutti pezzi unici - e ciò mal si accordava con l'immagine di artista che Tiffany aveva di se stesso.

 

 

 


Straordinarie proprietà caleidoscopiche

Un altro elemento ancora gli impediva di riconoscere le lampade quale parte integrante della sua attività artistica: sulla loro produzione gravava lo stigma dell'opportunità commerciale, in quanto all'inizio erano state fabbricate per utilizzare i frammenti di vetro accumulatisi negli anni come scarti della produzione delle vetrate. Cionondimeno oggi esse hanno riacquistato grande favore presso il pubblico proprio per lo stesso motivo per cui ottennero tanto successo allora: la loro tridimensionalità costituisce il mezzo ideale per godere a casa propria, semplicemente girando l'interruttore, delle spettacolari proprietà caleidoscopiche dei vetri di Tiffany. Neppure la grande quantità in cui furono prodotte cancella il fatto che le più riuscite, almeno, restano un peculiare esempio dell'espressione artistica di Tiffany; come tali sono oggetti di arredamento eleganti e sempre immediatamente riconducibili alla personalità del loro autore. Forse non fu Tiffany in persona a concepire l'idea del paralume in vetro piombato (quanto meno non lo si desume con certezza dalle fonti scritte dell'epoca), ma la sua padronanza della tecnica nel collocare pezzi di vetro piatto all'interno di una delicata intelaiatura di listelli di rame saldati a formare un paralume curvo, è sufficiente a testimoniare la sua inventiva.
Non si può parlare delle lampade di Tiffany senza prenderne in considerazione la base in bronzo: nelle pubblicazioni degli Studios non troviamo alcun riferimento alla qualità della fusione degli oggetti in bronzo, che è definito semplicemente "metallo", tuttavia la lavorazione accurata e sicura delle patine ricordano la qualità dei prodotti delle maggiori fonderie statunitensi del tempo: Roman Bronze Works, Gorham e Henry Bonnard.
I critici furono prodighi di lodi alla brillantezza dello spettro di colori usato da Tiffany per gli oggetti in vetro Favrile, che fecero la loro prima apparizione nel 1893. Tanto entusiasmo non si è mai spento; tuttavia i collezionisti (concordi nell'apprezzamento dei modelli più importanti delle lampade) non sempre concordano su quale delle tecniche usate da Tiffany per la produzione sia la più felice e pertanto la più preziosa. I vasi in vetro Favrile, all'epoca, erano considerati di secondaria importanza rispetto alle lampade - giudizio in parte dettato dal costo relativamente basso; viceversa, ultimamente essi riscuotono crescente favore, e sono sempre più ricercati dai collezionisti per la forma fluida e naturale, per la consistenza del materiale e per la caratteristica iridescenza della superficie.

 

Sperimentazioni anche nell'ambito delle ceramiche

Tiffany introdusse significative innovazioni non soltanto nella realizzazione di vetrate, vasi e lampade, ma anche in campi correlati: quanto ai mosaici, nei lavori destinati ad ambienti domestici egli abbandonò il tradizionale assemblaggio a griglia, mentre gli smalti su rame mise a punto vernici sfumate traslucide, sotto le quali disponeva particelle di lamina metallica riflettenti atte a intensificare gli effetti naturalistici. Sperimentò inoltre nell'ambito delle ceramiche, e i risultati furono altrettanto notevoli, ancorché più modesti, quando provò a vetrificare, con un'unica verniciatura colorata, i suoi recipienti dalle forme naturalistiche secondo una tecnica resa famosa già da altri ceramisti dell'epoca.
All'oreficeria Tiffany applicò un'incantevole varietà di motivi tratti dalla botanica e dall'entomologia; eppure siamo ancora ben lungi dal conoscere a fondo questa sua attività, giacché egli avvolgeva i suoi esperimenti di un segreto persino maggiore di quello che già circondava gli smalti e le ceramiche. Gli esemplari rimasti testimoniano un'immensa abilità in questo ambito: sono, quasi sempre, gioielli in oro lavorati a mano, con smalti champlevé, che gli valsero perfino le lodi di un critico francese, il quale, in occasione del Salone di Parigi del 1905, giudicò le spille di Tiffany "degne di un Lalique dilettante", ritenendo di elargirgli chissà quale complimento. Il fatto di operare in seno alla Tiffany & Co., di cui Louis Confort Tiffany fu il direttore artistico dopo la morte del padre, avvenuta nel 1902, e fino alla propria morte avvenuta nel 1933, gli offrì le più ampie possibilità di innovare e sperimentare. Diversi gioielli prodotti dalla ditta in quel periodo, specie fra il 1908 e il 1914, rivelano il suo tocco, in particolare nel disegno floreale e nella gamma delicata di tinte estive.
In un solo campo il pubblico odierno è meno indulgente dei suoi contemporanei: la pittura. Ma qui il problema è duplice: da un lato Tiffany, dal 1870 in poi, crescendo il suo impegno in altri campi - soprattutto la progettazione d'interni e la sperimentazione con il vetro - ebbe sempre meno occasione di dipingere professionalmente. La maggior parte delle tele a noi pervenute appaiono incompiute, e lo stesso può dirsi di molti disegni preparatori per le vetrate. D'altro canto, i suoi dipinti più belli sono stati trasmessi eredità sempre all'interno della famiglia, impedendo al grande pubblico di valutarli compiutamente. Certamente Tiffany non avrebbe toccato le vette della grande pittura; tuttavia, quando si concedeva tempo, era senz'altro più dotato di quanto non appaia ora a chi può giudicare soltanto dalla monotona scelta di paesaggi e studi di bazar arabi che compaiono ogni tanto sul mercato.

 

 

 

Alessandra Doratti