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Dolores Del Giudice

 

Le pitture murali del Battistero della Concordia Sagittaria

 

 

Fig. 1 - Il Battistero

 

Il battistero medioevale (Fig. 1) sorge accanto all’abside della Cattedrale, in uno spazio architettonico più volte rimaneggiato nel corso degli anni a causa delle numerose ristrutturazioni della chiesa adiacente, e dei recenti scavi archeologici condotti in quest’area a partire dal 1950. Conosciamo il nome del fondatore tramite due documenti: l’iscrizione metrica sulla lastra tombale situata nell’atrio dell’edificio, in cui il defunto Reginpoto invoca la salvezza dell’anima ed esorta il pellegrino a pregare come intercessore per la pace eterna San Giovanni Battista. Il necrologio dello stesso Reginpoto nel Liber Anniversarium del Capitolo cattedrale di Concordia, in cui si legge che il vescovo “ fecit facere Ecclesia(m) Sancti Iohannis Baptiste et dotavit”. Prove sufficienti a ritenere Reginpoto il committente del battistero. Per definire le date del suo pontificato ci si attiene ad un atto di donazione del patriarca aquileiese Voldarico, databile non prima del 1089, dove Reginpoto compare come testimone firmandosi “Ego Rempot concordiensis episcopus”, inoltre un ulteriore fonte riporta che nel 1106 il vescovo di Concordia è Riwin. Il vescovato di Reginpoto viene quindi fissato tra il 1089 e il 1105 e presumibilmente rientra in questo lasso di tempo anche la costruzione dell’edificio. Il battistero si configura come un edificio a pianta centrale con un corpo principale rettangolare, quasi quadrato, coperto da una cupola sostenuta da quattro arcate poggianti su pilastri. Al vano centrale sono annesse tre absidi semicircolari nei lati nord, est e sud, mentre il quarto lato è preceduto da un atrio quadrangolare che funge da ingresso. Il corpo esterno rivestito in mattoni ha il profilo movimentato dall’alternarsi di angoli e curve, ma mantiene un aspetto solido e compatto. La cupola interna è nascosta all’esterno da un tamburo cilindrico con tetto conico su cui si aprono otto finestre decorate da un giro di archeggiature a doppia ghiera. Questo motivo è riproposto sulle nicchie semicircolari dell’abside orientale e in quelle che fiancheggiano il portale d’ingresso dell’atrio. L’edificio si è conservato perfettamente , solo l’atrio è stato oggetto di restauri nel 1880. L’interno è rivestito da affreschi perfettamente integrati nella struttura architettonica e probabilmente eseguiti negli stessi anni in cui fu costruito il battistero. Gli affreschi della prima e più importante fase della decorazione occupano le parti salienti del battistero: la cupola, il tamburo, i pennacchi e l’abside centrale costruendo un sistema iconografico serrato ed omogeneo (Fig. 2).

 

Fig. 2 - La cupola

 

Altri affreschi sono stati realizzati posteriormente senza alterare l’insieme del piano originario[1]. Al sommo della cupola è raffigurata la Colomba simbolo dello Spirito Santo circondata da un alone iridato che si espande verso est in una mandorla, entro la quale si trova il Cristo in trono, in atto di benedire alla greca con la destra, mentre con la sinistra tiene appoggiato sulle ginocchia un libro aperto. La lettura attualmente dell’affresco è pregiudicata dalla diffusa abrasione dell’intonaco che permette comunque la percezione cromatica dell’insieme. Diametralmente opposta alla maestà divina si erge la figura di un Arcangelo con labaro e globo crociato, simboli imperiali del potere terreno, cui si affiancano, a nord e sud, due Serafini con sei ali tempestate d’occhi (secondo la visione di Isaia), con i piedi che poggiano su ruote, simbolo dell’intelligenza divina che fa muovere l’universo (Ezechiele, 1,15-21). Queste figure in origine si stagliavano su un fondo blu rivestito di stelle. Il tamburo è decorato da sedici archetti impostati su colonnine dipinte a spirali di colore rosso, bianco e alternamente verde e giallo che simulano una struttura tortile. I capitelli e le fasce esterne che incorniciano gli archi sono dipinti con foglie e motivi vegetali stilizzati. Tra le colonnine, sul muro di fondo dei sedici archetti, si aprono otto monofore, e otto spazi pieni con fondo azzurro inquadrano le figure di sei Profeti, del Battista e dell’Agnello, posto sopra una montagna da cui sgorgavano i quattro fiumi del Paradiso. Il Battista a nord-est, il Profeta a nord e quello a sud-est puntano tutti l’indice della mano destra verso l’Agnello, ad est, gli altri quattro Profeti, escluso quello a sud ovest che avvolge un rotolo di pergamena, indicano con la destra il Pantocratore. Tutti reggono dei cartigli dove un tempo si potevano leggere delle parole, sicuramente il nome che permetteva di identificarli. Si sono conservate solo due lettere ancora leggibili sul rotolo del profeta a nord. Il bordo inferiore del tamburo è chiuso da un fregio circolare a palmette pentalobate, interrotto in corrispondenza dei pennacchi dalle architetture dipinte che accolgono gli Evangelisti. Essi assolvono il compito di intercedere tra il cielo e la terra attraverso il Vangelo. Ciascuno di essi occupa un pennacchio: San Giovanni a nord-est, San Marco a sud-est, San Luca a sud-ovest e San Matteo a nord-ovest. Sono rappresentati seduti in posa di tre quarti, tutti rivolti verso est, ciascuno con il proprio simbolo.

 

Fig. 3 - Evangelista Marco, Codex Wittekindeus, Fulda c. 975

 

Luca e Giovanni siedono su sgabelli decorati con motivi architettonici[2] (Fig. 3), Marco e Matteo su di un cuscino. Dei quattro Evangelisti Luca è il più rovinato, rimane leggibile solo una parte della testa del toro e la parte inferiore della figura, con la mano appoggiata sul ginocchio, la base del leggio, e l’inserto curioso della brocca bianca. San Marco è quello che ha subito meno danni, raffigurato nell’atto di controllare la punta della penna, guarda verso il leone che gli offre un cartiglio. San Giovanni, solo in parte rovinato ma ancora leggibile, è colto nell’atto di affilare con la cote un raschietto, guarda verso l’alto, mentre l’aquila giunge stringendo un cartiglio, che srotolato lascia intravedere la scritta O-ERAT VE. San Matteo mancante della parte inferiore, è raffigurato chino nell’atto di leggere il libro aperto sul leggio su cui è possibile scorgere le lettere LIR-G. Un angelo si rivolge verso lui posando un cartiglio sul leggio. Le iscrizioni relative a San Marco e San Matteo riportano gli incipit dei relativi Vangeli, mentre in San Marco e San Luca queste non sono più leggibili. Sugli angoli superiori della struttura ad arco che inquadra le strutture di Matteo e Giovanni, sono ancora visibili il disegno preparatorio a sinopia che prevedeva una struttura ad arco al centro affiancata da due torricini, poi non rispettato in fase esecutiva. La decorazione continua nell’intradosso dell’arco principale, che serve di raccordo tra cupola e abside orientale, in origine completamente affrescato. Oggi la decorazione è in gran parte lacunosa, a causa di gravi abrasioni e di un’ampia caduta dell’intonaco originario. La sommità dell’intradosso, di cui rimangono solo pochi lacerti, porta ancora tracce di un semicerchio bordato da un’ampia cornice a righe alternate, che in origine probabilmente doveva contenere la Manus Dei. Sulla sinistra, è rappresentato di tre quarti Mosè che riceve le tavole della legge. La figura notevolmente rovinata nella parte inferiore, conserva bene il tessuto pittorico di superficie e risulta essere una delle meglio riuscite del ciclo. In origine, in opposizione a Mosè doveva trovarsi un’altra figura, quasi del tutto illeggibile fatta eccezione per dei lacerti della veste e di un piede. Sull’identità di questo personaggio gli storici hanno proposto di vedervi la figura di Aronne. L’estradosso dell’arco, da imposta a imposta, era decorato con un motivo a racemi, di colore rosso, bruno e ocra, di cui rimangono pochi frammenti. Sui piedritti, in buon stato di conservazione, si vedono due colonne dipinte a finti marmi con capitelli a foglie d’acanto stilizzate in nero, simili a quelli presenti sulle colonnine del tamburo. Sul catino absidale è raffigurata la scena del battesimo di Cristo. L’apertura di una finestra, o l’ingrandimento di una già esistente, ha danneggiato la figura centrale di Gesù: rimane visibile una parte della testa aureolata, parte del ventre, della gamba e del braccio sinistro. Egli è immerso nel Giordano, reso con linee ondulate attraversate da pesci rosa. Sulla destra il Battista pone la mano sul capo di Cristo. Anche questa figura è in parte danneggiata, rimane parte del volto, di un braccio e tutta la parte inferiore del manto. La scena è completata da tre angeli, uno a destra del Battista, due a sinistra di Cristo, tutti porgono un drappo dalla bordatura gemmata. Nella conca dell’abside, entro le nicchie centrali, decorate nella cornice più interna da un motivo a pampini stilizzato in bruno, i Santi Pietro e Paolo; al loro fianco, nelle nicchie più alte, la cui parte estrema presenta una geometrica stella, due santi di dubbia identificazione. Tutti e quattro in posizione eretta poggiano i piedi su verdi montagnole arrotondate. Nel personaggio a sinistra di Pietro si è riconosciuto Sant’Ermagora, come fanno presagire l’abbigliamento e una scritta, oramai illeggibile, sopra la testa del Santo. Più problematico il riconoscimento dell’altra figura. Potrebbe trattarsi di Fortunato, diacono della chiesa di Aquileia, spesso raffigurato insieme ad Ermagora nell’ iconografia di area aquileiese. Nello spazio tra le nicchie più esterne e l’arco di accesso, due figure, non visibili dall’ingresso del battistero poiché l’abside est ha una pianta a ferro di cavallo: a sinistra il sacrificio di Abramo, a destra quello di Melchisedech. Abramo nell’atto di sacrificare il figlio viene fermato dalla mano divina, verso la quale è rivolto. Isacco, bloccato nelle movenze, denota la difficoltà dell’artista a rendere correttamente le parti del corpo nella loro correlazione. Meglio costruita è la figura di Melchisedech, finemente disegnata e resa con fini lumeggiature. È raffigurato nell’atto di alzare l’ampolla di vino verso Dio, con le mani velate in segno di riverenza. La parte terminale dell’abside, lungo tutto lo zoccolo, è coperta da un velario reso schematicamente tramite rigide linee orizzontali. La valenza simbolica del ciclo ha inizio dalla cupola, con al vertice lo Spirito Santo in forma di colomba, a scendere la figura del Cristo Pantocratore e nella lunetta del tamburo, in perfetta corrispondenza, l’agnello mistico. A scendere nell’intradosso dell’arco orientale la mano di Dio e nel catino la scena del Battesimo. Una simbologia che ci riconduce alla funzione battesimale dell’edificio. Al contempo l’Agnello mistico è un chiaro riferimento eucaristico, a cui si riferiscono il sacrificio di Isacco e l’offerta di Melchisedek. Il ministero dell’eucarestia, poteva rivelarsi solo dopo il battesimo, quando il nuovo cristiano aveva accesso all’altare posto nell’abside[3].

Ampiamente discussa è la definizione stilistica del ciclo, ove gli studiosi leggono molteplici riferimenti culturali. Oramai sfatata ogni certa connessione con gli antichi mosaici marciani, le relazioni più plausibili si riscontrano con le pitture contemporanee dell’ area austriaca, come le pitture dell’abbazia di Lambach in Stiria, e con la scuola miniaturistica di Salisburgo.  

 

 

Cenni critici sugli affreschi di Concordia

 

Verso la metà dell’Ottocento alcune frettolose considerazioni sullo stato di conservazione dell’edificio ci sono fornite dal Muschietti[4] e dal Cantù[5], ma sarà il Cavalcaselle[6] a studiare gli affreschi con rigore scientifico. Egli nota stringenti legami iconografici e stilistici con l’arte bizantina e li colloca prematuramente all’ VIII-IX secolo. Più tardi anche il Degani[7] rileva nella cupola la sudditanza ai modelli greci e li relaziona agli antichi mosaici di San Marco.

A partire dal Novecento le posizioni della critica si delineano chiaramente in due direzioni: una locale-veneta che individua le fonti del ciclo in ambito regionale, gli antichi mosaici marciani e il ciclo di Summaga; ed una nordica che li rapporta con l’arte bavarese e salisburghese[8]. Quest’ultima tesi è sostenuta dallo Swarzenski[9], il quale sottolinea come gli affreschi di Concordia siano influenzati dall’arte bavarese-salisburghese. In seguito nella stessa direzione pare muoversi l’Arslan[10], che estende l’influenza nordica non solo sulle venezie ma a parte dell’Italia settentrionale (Alto Adige) e centrale ( Toscana e Roma). Riscontra una chiara dipendenza del ciclo concordiese con la pittura e miniatura di Salisburgo e Ratisbona, e ritiene i caratteri bizantini che lo caratterizzano, un tratto di derivazione nordica e non orientale. Contrariamente il Toesca[11] li reputa integrarsi perfettamente nell’area regionale veneta, fortemente influenzata sul finire dell’ XI secolo da stilemi bizantini. A partire dalla metà del Novecento escono diversi studi dello Zovatto[12], il primo di questi, “ Il battistero di Concordia” del 1948, offre una scrupolosa descrizione del ciclo pittorico. Egli analizza nel dettaglio la cupola, ne interpreta la simbologia, individua la presenza di due strati di affreschi, e nota come il primo strato non sia contemporaneo alla costruzione del Battistero:

 

Gli affreschi del primo strato vivono nell’atmosfera degli affreschi della cripta di Aquileia, di altri centri dell’Italia settentrionale e dei mosaici di San Marco di Venezia, e nostra impressione che non vi sia estraneo l’influsso dell’arte benedettina che pervade interamente la decorazione coeva della Chiesa abbaziale di Summaga, […] Somiglianze generiche si rilevano con gli affreschi benedettini più antichi di S. Angelo Formis […] e riscontri stilistici nei dipinti di Galliano, di Prugiasco, Como, Oleggio e particolarmente negli affreschi contemporanei di San Pietro di Civate, collegati anch’essi a correnti di movimenti monastici benedettini […] Parentela stilistica, benché inferiori per fattura, per effetto e carattere drammatico, hanno gli affreschi concordiesi del primo strato, cogli aquileiesi della cripta (fine del secolo XII) […] che una recente valutazione dice anch’essi “benedettini”. […] Per il loro carattere, per l’affinità stilistica con gli altri cicli pittorici, per gli elementi assimilati da altre correnti dell’arte medioevale, gli affreschi concordiesi del primo strato, che rispecchiano i modi e la fattura d’una tecnica provinciale progredita, sorretta da buon gusto, sono da porre alla fine del secolo XII o ai primordi del XIII[13].

 

Alcuni anni dopo rivede alcune considerazioni e modifica la datazione del ciclo[14]. Nel testo preso in esame era stato datato tra la fine del XII e l’inizio del XIII. Quindi colloca le pitture di Concordia alla fine XI inizio XII secolo, trovando conferma in rapporti con il ciclo di Lambach nell’ Austria Superiore, con i mosaici intorno al portale centrale dell’atrio di S. Marco, per una comune adesione ai modelli bizantini provinciali. Queste affermazioni saranno poi riprese anche in articoli successivi. Ciononostante sono ancora molti i fautori di una tesi nazionalistica: il Muraro[15] li accosta nuovamente agli antichi mosaici di San Marco, mentre il Coletti[16] li avvicina a modelli paleocristiani. Sono invece trattati superficialmente da G. Lorenzoni e Dina Dalla Barba Brusin[17] e da loro considerati come episodio del tutto locale, qualitativamente inferiori rispetto a quelli di Summaga, e da questi dipendenti. Nel 1969 esce Pittura veneta dell’ XI – XII secolo di Anna Maria Damigella[18], uno tra gli studio più esaustivi e interessanti pubblicati fino ad ora. Dopo una breve premessa e una analisi architettonica dell’edificio, tratta lungamente gli affreschi: ne riassume la vicenda critica, risolve e pone alcuni quesiti, li analizza stilisticamente, fa emergere gradualmente l’indirizzo critico da lei scelto, ed infine trae le proprie conclusioni. La studiosa ricorda gli apporti critici sui dipinti del battistero e nota come « [..] Il problema di fondo, quello delle relazioni con l’arte nordica, non era praticamente affrontato o verificato, ma dato per scontato per i rapporti dei vescovi di Concordia con le diocesi dei centri bavaresi e salisburghesi »[19], sebbene il Demus li avesse accostati alle miniature della cerchia del Custos Bertold. Ritiene riduttive le tesi nazionalistiche sostenute in alcuni scritti e aggiorna il pensiero del Bettini, il quale sosteneva la presenza di elementi romanici dell’entroterra nel portale centrale di San Marco, e in virtù di queste caratteristiche li accostava agli affreschi di Concordia. La Damigella ritiene la tesi oramai superata, e sostiene l’origine bizantina della scuola di mosaico marciana, cosicché è Concordia che va rapportata a San Marco e non viceversa. Gli affreschi concordiesi e i mosaici della basilica gravitano verso quelle forme bizantine di gusto macedone, largamente diffuse in ambito veneto a partire dalla seconda metà dell’ XI secolo. « […] Non si discute l’esatta impostazione del problema; resta però da dimostrare che gli affreschi di Concordia partecipano di questo fenomeno »[20]. Per impostare una nuova ricerca ritiene fondamentale prendere in esame il giudizio dato dal Demus nella sua opera, relativamente all’area austriaca ( Lambach, Custos Bertold) e alle Bibbie Atlantiche italiane[21]. Quindi procede analizzando l’iconografia della cupola e mette in luce possibili affinità con l’arte e la miniatura d’oltralpe, ed esamina la disposizione delle figure giudicandola singolare: sul fondo stellato, campeggia il Pantocratore benedicente in trono entro una mandorla iridata con due Serafini e l’Arcangelo, al centro la Colomba dello spirito Santo ( forma tramite cui la divinità si manifesta durante il battesimo) posta sopra il capo del Cristo.

 

 

 

Fig. 4 - Concordia, Cristo Pantocratore

 

Fig. 5 - Lambach, Cupola del coro occidentale

 

Nota come i piedi del Cristo (Fig. 4) tangenti la base della cupola sono un chiaro rimando alla medesima soluzione adottata nella chiesa conventuale di Lambach (Fig. 5). La figura del Pantocratore entro una mandorla affiancato da due Serafini è tipico delle chiese bizantine del X e XI secolo (Hosios Lukas, Nea Monì), mentre nell’arte occidentale è disposto prevalentemente nelle absidi, ma è usuale nella miniatura salisburghese. (Fig. 6)

 

Fig. 6 - Sacramentario di Enrico II, 1012-1014

 

Individua quindi alcune componenti stilistiche ricorrenti nel ciclo, quali l’insistente linearismo, una gamma cromatica chiara, una perfetta integrazione tra gli affreschi e la struttura architettonica; opera certamente di un artista esperto « […] abituato alla grande decorazione murale e capace di concepire le figure secondo rigorosi schemi geometrici »[22]. Passa quindi in rassegna le figure del tamburo: l’Agnello, il Battista alla sua destra e i Sei profeti. Il punto focale è l’Agnello sotto il Pantocratore, simbolo del sacrificio divino e del suo sangue versato per la salvezza dell’umanità, allusione e prefigurazione del rito eucaristico che ha luogo nel vano absidale. Anche in questo caso individua alcuni tratti costanti « […] effetto d’insieme affidato alla grafia sottile e alle delicate e variate armonie di colori freddi »[23]. I Profeti sono figure statiche, spiritualizzate, dai volti fermi e impassibili. Riscontra l’operato di maestri qualitativamente diversi, seppur legati « […] da un comune indirizzo stilistico »[24].

 

 

Fig. 7 - Battistero, Il Battista       Fig. 8 - Battistero, Profeta

 

  

Fig. 9 - Battistero, Profeta      Fig. 10 - Battistero, Profeta

 

 

Meglio riuscite sono le figure del Battista (Fig. 7), del primo (Fig. 8) e terzo Profeta a destra dell’Agnello, figure stilizzate, delineate da un tratto netto, « […] proporzioni grandiose, viso nobile e grave […] ampio manto […] le pieghe segnate con fitte linee parallele e lumeggiature »[25]. Di qualità inferiore il Profeta a sinistra del Battista (Fig. 9), il secondo Profeta a destra dell’Agnello e il Profeta frontale (Fig. 10), nei quali nota « […] proporzioni striminzite […] stilizzazioni lineari un fare più meccanico e manierato »[26]. Le considerazioni più interessanti riguardano i dipinti dei pennacchi, opera anche in questo caso di artisti diversi, ma il livello qualitativo rimane alto; rispetto ai Profeti sono meno statici, hanno movenze diverse e sono inseriti entro strutture architettoniche particolareggiate. Essi siedono in posa di tre quarti, rivolti verso est, con accanto il proprio simbolo.

 

Fig. 11 - Battistero, Evangelista Marco

 

Fig. 12 - Battistero, Evangelista Matteo

 

Fig. 12a - Evangeliario di Enrico IV, Duomo di Cracovia
 

Fig. 13 - Battistero, Evangelista Giovanni

 

Fig. 13a - Evangeliario di Enrico IV, Duomo di Cracovia

 

Si differenziano per un uso più o meno marcato del segno, incisivo e spesso nel San Marco (Fig. 11) e San Matteo (Fig. 12 e Fig. 12a), più lineare ed articolato San Giovanni (Fig. 13 e Fig.13a). Intreccia quindi dei paragoni tra gli Evangelisti e le figure del tamburo. Nel complesso gli Evangelisti presentano diversi tratti comuni: visi seri e concentrati, « […] occhi grandi … sbarrati con la tipica palpebra inferiore segnata da una linea spessa […] »[27]. La Damigella segnala come « […] riscontri diretti, per il particolare delle architetture, si possono trovare nelle miniature nordiche contemporanee, soprattutto in quelle salisburghesi del Custos Bertold »[28].

 

 

Fig. 14 - Evangeliario del Custos Bertold,
Evangelista Giovanni
 

 

I termini di paragone sono l’Evangeliario del Custos Bertold (Fig. 14) e il libro della Pericope di Enrico II, (1002 – 14) dove le figure degli Evangelisti sono collocate entro elementi architettonici stilizzati: timpani, arcate, e colonne arricchite con motivi vegetali e geometrici.

 

 

Fig. 15 - Pericope di Enrico II

 

 

Fig. 16 - Pericopi di Salisburgo

 

Fig. 17 - Pericope di Enrico II

 

 

Fa notare inoltre, che l’iconografia degli Evangelisti collocati entro scenari architettonici deriva dalla miniatura bizantina, ripresa a sua volta dalla miniatura carolingia ed ereditata dall’arte ottoniana, dove il ruolo astratizzante della linea connesso a una cromia scintillante conduce ad esiti del tutto antinaturalistici (Fig. 15, Fig. 16 e Fig. 17). Altre affinità con il Custos Bertold vengono riproposte durante la descrizione della zona absidale. Nell’ intradosso dell’arco che raccorda la cupola e l’abside orientale, la decorazione è in gran parte sparita, rimane parzialmente leggibile la figura di Mosè che riceve le tavole della legge, le altre figurazioni bibliche sono andate quasi completamente perse, come pure il simbolo divino posto al centro del sottarco, con tutta probabilità una Manus Dei. Descrive il Mosè: rilevando alcuni aspetti che lo accomunano all’Evangelista Giovanni, oltre la maestria dell’artista, annovera la monumentalità, la resa schematica delle pieghe degli abiti, ma soprattutto l’ espressione contemplativa dei volti, privi di turbamento, che denota la mancanza totale di drammaticità dell’intero ciclo.

 

Fig. 18 - Colonne dipinte nel battistero sui piedritti
dell’arco santo
 

Fig. 19 - New York, Pierpont Morgan Library
Lezionario Salisburghese. Presentazione
della Vergine al Tempio

 

 

La fronte dell’arcata di accesso all’abside è decorata con due colonne simulanti il marmo variegato con capitelli a foglie d’acanto (Fig. 18), una esplicita ripresa delle colonne miniate del Custos Bertold (Fig. 19). I rimandi si fanno ancora più insistenti nel catino absidale nella scena del Battesimo di Cristo. Il dipinto è molto danneggiato, al centro la figura di Cristo è immersa nel Giordano reso con linee ondulate accompagnate da pesci rossi, sul lato sinistro il Battista e un angelo che regge un drappo bordato, a destra altri due angeli reggi-drappo. Sopra il capo di Cristo vi era raffigurata la Colomba ora non più leggibile.

 

 

Fig. 20 - Concordia, Battesimo di Cristo

 

 

Fig. 21 - Concordia, Evangeliario Matilde di Canossa

 

 

La scena del Battesimo (Fig. 20) trova immediato riscontro nel Battesimo dell’Evangeliario del Custos Bertold (Fig. 21), ma l’attinenza è ancora maggiore con il Battesimo di Matilde di Canossa (Fig. 21), Convento del Polirone, Mantova fine XI [29] . Anche in queste figure il livello qualitativo rimane alto, mentre pare venir meno nella parte inferiore dell’abside, per la difficoltà di integrare le figure nella struttura architettonica che le accoglie. Ai lati dell’abside Abramo e Melchisedech, nelle nicchie più esterne due Santi sulla cui identificazione si è a lungo discusso, in quelle interne Pietro e Paolo. Traccia ora una sintetica analisi delle figure: Abramo ed Ermagora sono attribuiti alla stessa mano, altrettanto ben riuscita è la figura di Melchisedech, scorge anche in queste parti del ciclo i tratti distintivi: sopracciglia spesse, lo sguardo immobile privo di connotati espressivi, e « […] l’ideale antidrammatico di pura contemplazione espresso dal ciclo»[30]. I Santi nelle nicchie più esterne sono riconosciuti come Ermagora e il diacono Fortunato, in quanto sono riproposti con i medesimi attributi iconografici nell’abside della basilica di Aquileia. Evidenzia come i Santi Pietro e Paolo , ma altrettanto si può dire per Fortunato, siano di un livello più basso, la difficile integrazione delle figure entro le nicchie giustifica la sproporzione dei corpi, tracciati con una linea rigida priva di scorrevolezza. Scorge in questi caratteri la motivazione che ha portato molti studiosi ad accostarli agli antichi mosaici di San Marco. Al termine di questa minuziosa analisi formula un giudizio globale e lo definisce un « […] unicum nella pittura murale del nord Italia », opera di diversi maestri che seguono il medesimo tracciato formale, esperti nel risolvere i problemi posti dalla grande decorazione, e in grado di mantenere un buon livello qualitativo per l’intero complesso; ma avverte una lieve flessione nella zona absidale. I connotati stilistici sono il « […] gusto per l’astrazione lineare […] per una intonazione cromatica unitaria, smorzata [ …] È evitato qualsiasi effetto di rilievo e plasticità, qualsiasi espressione intensa o drammatica. Un gusto decorativo, […] un senso di religiosità semplice e pacata, […] concentrazione interiore e religiosità »[31]. Inizia ora a trarre delle conclusioni: è chiaro, dice la Damigella, come i caratteri sopra citati allontanino i dipinti concordiesi dall’austerità dei mosaici marciani, e critica la facile immediatezza con cui molti studiosi hanno rintracciato dei tratti comuni. Sostiene « […] l’impossibilità di ricondurre ad uno stile unico le manifestazioni della pittura dell’Italia settentrionale dello scorcio dell’ XI »[32]. Questa presa di posizione viene così giustificata:

 

Se può sembrare un po’ forzato escludere rapporti tra opere vicine e quasi contemporanee, come a voler creare dei centri isolati, pure altrettanto forzato sarebbe vedere punti di contatto o rapporti diretti dove non vi sono, anche se questo potrebbe dare come risultato un panorama unitario della pittura veneta. Ma si ritornerebbe allora al vecchio angusto criterio delle scuole locali, mentre nel mondo medioevale la circolazione della cultura è molto più vasta e complessa; ma è necessario trovare i canali di diffusione giusti[33].

 

Scarta per cui l’ipotesi di un bizantinismo di derivazione marciana, e prende in esame come possibile via di mediazione l’arte nordica. Nota come il Swarzenski, lo Zovatto e il Demus, furono tra i primi a seguire questo indirizzo di ricerca, individuando affinità con l’area salisburghese-bavarese, gli affreschi di Lambach e la miniatura del Custos Bertold. Ma si trattava di studi senza riscontri concreti, e solo il Wibiral ne diede un’impostazione nuova. Passa poi all’analisi degli affreschi di Lambach, dove la componente bizantina che li contraddistingue trova riscontro nella miniatura locale, in entrambi i casi si tratta dello « […] stile lineare del X nelle varianti provinciali […] », che a Lambach e nelle miniature del Custos Bertold ottiene un timbro locale: l’importanza dei fondali architettonici e l’ accentuato linearismo. Questa ricerca gli permette di affermare che « proprio per quegli elementi che li distaccano dallo stile bizantino puro, gli affreschi di Lambach si possono collegare a quelli di Concordia »[34].  Le affinità tra Concordia e Lambach risiedono nella stessa matrice stilistica, entrambi appartengono allo stile lineare, ma la componente espressiva è diversa, controllata e pacata a Concordia, concentrata e drammatica a Lambach.

 

 

Fig. 22 - Salisburgo Monastero di S. Pietro, Custos Bertold, Pericopi Evangeliche

 

Fig. 23 - Concordia, Battistero, Mosè

 

 

Fig. 24 - Lambach, L’apparizione di Cristo

 

 

Poi passa ai raffronti tra il Mosè e il gruppo di Giudei dell’Apparizione di Cristo di Lambach (Fig. 22 – 23): le tipologie dei visi di tre quarti, il modo di far cadere il manto seguendo la curva del dorso; ritorna sul particolare, già messo in evidenza, del Cristo Pantocratore che tocca coi piedi il bordo della cupola, in maniera simile alla Vergine della cupola con le storie dei Magi. Per quanto concerne le miniature del Custos Bertold, le affinità sono iconografiche e compositive: l’uso di elementi architettonici, arcate, colonne stilizzate in senso decorativo, per inquadrare le figure; ma pregnanti sono anche quelle stilistiche, quali la stilizzazione, i profili tracciati con una linea secca, la rigidità delle pieghe delle vesti. Vi nota lo stesso stile lineare, condiviso anche a Lambach, i medesimi scenari architettonici, tuttavia per l’apparato decorativo rimanda alle miniature contemporanee tedesche, l’Evangeliario di Enrico IV del Duomo di Cracovia (v. fig. 12 - 13). Ma coglie anche delle divergenze, nei dipinti e nelle miniature salisburghesi le figure hanno lineamenti più marcati, le stilizzazioni sono più esasperate rispetto al ciclo concordiese. Questo intreccio di rispondenze porta la studiosa a ritenere che arte nordica e veneta raggiungano esiti stilistici affini in maniera parallela, attingendo da fonti comuni, quali la tradizione ottoniana aggiornata da apporti bizantini, ma come aveva evidenziato in precedenza « […] il timbro espressivo e l’ideale spirituale divergono; l’intensa carica espressiva interiorizzata, concentrata, tipica delle opere salisburghesi manca nel ciclo veneto »[35]. Quindi l’analisi dovrà estendersi oltre, e il canale di indagine gli è offerto da Demus. Egli aveva citato come riscontro cronologico le Bibbie Atlantiche italiane. In alcune di queste miniature il Toesca[36] notò un « […] processo bizantineggiante di luci frazionate »[37], tuttavia gli indizi sono insufficienti e generici per stabilire rapporti concreti fra le due scuole. Reputa di maggiore utilità altre miniature collegate con i centri d’oltrealpe, in cui emergono i tratti distintivi degli affreschi di Concordia: antidrammaticità, ideale contemplativo, elaborazione modesta e accessibile della solenne tradizione carolingia. Si tratta della Bibbia del convento di San Floriano presso Linz e il foglio con l’Evangelista Marco conservato nell’archivio comunale di Eferding, unico foglio figurato di un resto di Bibbia o di Evangeliario. Queste due Bibbie furono riconosciute come appartenenti al gruppo delle Bibbie Atlantiche italiane dal Fichtenau, che identificò come luogo di produzione il monastero di S. Benedetto al Polirone, vicino Mantova, e da qui esportate al nord da Matilde di Canossa intorno alla metà degli anni Settanta dell’ XI secolo. La Damigella giunge alla conclusione che questi manoscritti siano i « […] tramiti di forme già operanti entro il secolo nella cerchia salisburghese, che sarebbero perciò derivate proprio da quei centri dell’Italia settentrionale con cui l’arte d’oltrealpe mostra maggiori punti di contatto »[38] Accolta questa ipotesi per il ciclo di Concordia il campo di indagine si restringe nuovamente in ambito italiano. Lo studio condotto da A. M. Damigella rimane tuttora uno dei più completi nonché essenziale per lo sviluppo della critica a venire.

Alcuni anni dopo, ad occuparsi degli affreschi concordiesi è Giuseppe Bergamini[39], il quale rifiuta un rapporto diretto con i mosaici di San Marco, in conformità con La Damigella, mentre ritiene plausibile la derivazione dalla cultura figurativa di area salisburghese. Segue questo indirizzo critico anche F. Sforza Vattovani[40], ma considera i rapporti con Salisburgo non in chiave di dipendenza, si tratta piuttosto di esiti paralleli che hanno origine da una fonte comune, in questo caso l’arte ottoniana arricchita da apporti bizantini. D. Gioseffi[41] accetta le proposte filo-salisburghesi ma attribuisce gli affreschi a un « […] frescante genericamente lombardo o lombardo-veneto» e istaura dei confronti con S. Pietro al Monte a Civate. S. Tavano[42] ne rileva soprattutto la componente bizantina, e li colloca nell’ambito della cultura pittorica alto adriatica, « […] non ancora reinvestita dal “rilancio bizantino” ma non ancora compiutamente romanica», e reputa più convincenti i rimandi all’area padana rispetto a quelli d’oltralpe. In uno scritto interamente dedicato al battistero di Concordia, Adriano Drigo[43] conduce una lunga dissertazione, interessante e persuasiva, sulla cultura pittorica presente negli affreschi di Concordia. Ipotizza che i diversi linguaggi figurativi confluiti in questo ciclo abbiano origine da un’ unica matrice pittorica: una « […] koinè che si deve porre alla base di buona parte della pittura europea »[44] . A supporto di tale tesi analizza le diverse componenti che vi confluiscono iniziando dall’arte lombarda: attua un confronto tra i Santi di San Pietro al Monte sopra Civate ( già chiamati in causa dallo Zovatto ) e le figure di analogo soggetto dell’abside di Concordia, vi nota somiglianze stilistiche e iconografiche ma il linearismo espressivo di Civate si converte in Concordia in un acceso decorativismo. L’indirizzo comune dal quale scaturiscono i vari registri formali è l’arte ottoniana comune ad entrambi i cicli, e capace di unire sotto un'unica matrice le diverse tendenze locali, « […] un ingrediente fondamentale del protoromantico, e non solo in Italia, ma anche in Francia, Spagna, Germania»[45]. Egli spiega come inflessioni bizantine erano presenti nell’arte ottoniana, e particolarmente evidenti in area padana, e menziona un affresco inedito, di recente scoperta, nella chiesa del chiostro del Santuario dei santi Vittore e Corona presso Feltre (1096-1101). Ma si tratta di indizi non sufficienti a spiegare la componente bizantineggiante degli affreschi di Concordia. Queste componenti si chiariscono solo se connesse a quell’evento di massiccia diffusione del linguaggio bizantino, che si verifica alla fine dell’ XI secolo e ai primi del XII a livello europeo, tale da configurarsi come uno stile internazionale del XII secolo. Si tratta di « […] una prima fase di bizantinizzazione, che precede la più tarda ondata di bizantinismo provinciale, alla quale partecipano oltre Concordia, gli stessi affreschi di Civate, alcune opere del Romanico catalano e francese e la pittura della cerchia Salisburgo-Ratisbona »[46]. Ecco svelata un’altra koinè che potrebbe chiarire le affinità con l’area salisburghese. Riprende alcune comparazioni con Lambach e la miniatura del Custos Bertold, rapporta il Mosè, Melchisedech e i Profeti di Concordia con alcune figure dipinte a Lambach, e rileva la presenza comune di elementi figurativi bizantini, ma le affinità sono solo stilistiche, i dipinti lambacensi divergono per una marcata componente espressiva ed astrattizzante. Le analogie si fanno più stringenti con le opere del Custos Bertold, simili i fondali architettonici e la fisionomia dei volti: la scena del battesimo di Cristo del libro delle Pericopi evangeliche del monastero di San Pietro a Salisburgo ( cod. VI, 55 ), la presentazione della Vergine al Tempio del Lezionario salisburghese, ora alla Pierpont-Morgan Library di New York ( cod. G.44 ), per l’origine miniatoria delle colonne di Concordia. Simili anche gli Evangelisti dei pennacchi e le miniature dell’Evangelario di Enrico IV (1050-1106) del Duomo di Cracovia. Nota poi le somiglianze tra gli affreschi concordiesi e lo stile della pittura romana contemporanea, già discusse da A. M. Damigella ma non ritenute sufficientemente convincenti. Contrariamente il Gioseffi aveva accostato i modelli romani agli affreschi concordiesi per la comune presenza di influssi bizantini. L’esistenza di elementi paleocristiani era già stata assodata da diversi critici, quali Coletti e Graber, ed accolta senza riserve dal Drigo. Si trattava ora di spiegare la presenza di una componente bizantina in terra romana. I precisi rimandi tra i due Profeti affrescati sull’arco del presbiterio della chiesa di S. Maria in Monte Dominici a Marcellina, vicino a Tivoli, e le figure di medesimo soggetto dipinte a Concordia portavano a « […] cercare le radici di una cultura formale » che lo studioso definì « […] insieme bizantina e romana-paleocristiana »[47]. Un ruolo decisivo fu svolto dall’abate di Montecassino Desiderio, futuro papa Vittore III ( 1086 – 1087 ), che chiamò presso l’abbazia numerose maestranze costantinopolitane, con l’intento di istituire una scuola su base bizantina. Il linguaggio che vi confluì fu quello tardo macedone, raffinato ed elegante, che si integrò perfettamente ai modelli romani. Alcune scene miniate nell’Omiliario del monaco Leone, 1072, ( cod. 99, f. 5r. ) e nell’Omiliario del “Maestro della Presentazione” (cod.98, fol. 6 r. ), 1072, se posti a confronto con gli affreschi di Concordia e di Marcellina, confermano perfettamente tale tesi. Si trattò anche stavolta di una cultura figurativa che travalica i confini italiani, ed accomuna le diverse parlate espressive di area spagnola e francese, arrivando anche in Germania e in Istria per tutto il secolo XII. Ma questa componente espressiva d’importazione non fu l’unica presente a Montecassino, ove già dall’ XI secolo era presente nello scriptorium del convento l’Evangelario di Enrico II, ora alla Vaticana ( ottob. Lat. N. 74 ), 1014 – 1022, uno dei capolavori della miniatura ottoniana. Quindi disserta spiegando come una base ottoniana caratterizzi numerose opere del romanico catalano che confluendo nel tessuto figurativo locale assumono connotati fortemente espressivi ai limiti della deformazione. Questi caratteri si possono rintracciare, seppur in forme più disciplinate, anche negli Evangelisti, nei Profeti e nell’Abramo del ciclo concordiese. A sua volta il San Marco del ciclo può trovare affinità con un lacerto di Santo, proveniente dalla chiesa di S. Ilario a Ravello, ma quest’ultimo ha una componente espressiva molto accentuata che trova maggiori riscontri con l’area catalana. Ma i termini di paragone si allargono ulteriormente sino a coinvolgere la scultura provenzale, la miniatura, e persino una delle più antiche vetrate conservate in Francia, raffigurante il volto di Cristo; quest’ultimo appare conforme al frammento di Revello e al San Marco di Concordia. Queste forzature espressive fanno comparsa anche in area altoadriatica, fenomeno più difficile da spiegare, come testimonia l’Abramo del sacello di Summaga, ulteriore evoluzione di quello di Concordia. Lo studioso afferma come « […] molti indizi inducono a ritenere »[48] le istituzioni monastiche benedettine dislocate in diverse aree geografiche, le uniche in grado di tessere una così complessa rete di scambi culturali. Quindi alla luce di quanto è stato detto egli riformula i rapporti tra l’arte del Patriarcato e quella dell’area salisburghese, di cui rimane ancora irrisolto il problema della sua origine. Determinante per quest’arte è stata la conoscenza di opere affini al battistero di Concordia, ma il bizantinismo di Lambach, puntualizza il Drigo, non ha origini nord-italiane, bensì « […] centro-italiane e precisamente cassiniesi »[49]. Scarta l’ipotesi di un sviluppo parallelo, a Lambach e a Concordia, e di come « […] sulla base dell’unitario panorama figurativo della prima pittura romanica europea ogni centro artistico compiva le proprie scelte e i propri orientamenti »[50]. Questo potrebbe spiegare come pur avendo una fonte in comune, il bizantinismo risultasse « freddo e schematico » a Lambach, « più meditato e consapevole » a Concordia, per i limiti imposti dall’ambiente da decorare. L’integrazione tra la struttura architettonica e la decorazione pittorica è talmente calibrata da dettarne le scelte cromatiche, quelle tinte smorzate che non trovano rispondenza né a Lambach né a Civate. « […] e proprio nell’intonazione cromatica queste figure rilevano la mediata influenza dell’arte paleocristiana e bizantina. In virtù di questa influenza gli aspri toni espressivi di matrice estremo-occidentale si attenuano e si addolciscono per potersi inserire senza attrito in una più ampia sintesi stilistica, nella koinè di cui si diceva »[51].

Recentemente non sono stati realizzati altri studi articolati e complessi come quello di Adriano Drigo. In un generico studio sul romanico nelle Venezie[52], l’edificio concordiese è trattato con superficialità e scarsa considerazione. Nel 2008 esce un piccolo libricino interamente dedicato al battistero di Concordia[53], sintetico ed esaustivo, si presenta come una piacevole lettura dell’edificio; analizza la struttura architettonica, per poi passare ad una più dettagliata descrizione degli affreschi, relativamente allo stile, all’iconografia e al valore simbolico. Si occupa con maggiore rigore scientifico del battistero Gianpaolo Trevisan[54]; ne delinea il profilo architettonico, con raffronti e giudizi a riguardo, passa poi a descrivere l’apparato decorativo nei suoi tratti essenziali, e conclude ricordando che per i suoi caratteri stilistici e morfologici, il ciclo è stato raffrontato con gli affreschi di Lambach e le miniature del Custos Bertold. Paolo Pastres e Mara Mason[55] lo considerano nell’ambito del contesto storico e artistico friulano. Entrambi fornisco una descrizione sintetica degli aspetti iconografici e stilistici, e si trovano pressoché concordi nell’individuare al suo interno affinità con l’area salisburghese, nuovamente Lambach e i codici miniati del Custos Bertold. Pastres nota inoltre delle relazioni con il centro Italia (Roma e Cassino), « […] mediate attraverso le esperienze bizantine dell’area alto adriatica, in cui erano proposti richiami alle vestigia paleocristiane»[56].

Attendiamo dunque nuove valutazioni critiche a riguardo che sappiano sanare le discrepanze  di giudizio che tuttora sussistono, e magari qualche nuova congettura che vivifichi il dibattito ancora in corso.

 

 

 

 

BIBLIOGRAFIA:

 

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A. M. Damigella, Pittura veneta dell'XI - XII secolo : Aquileia, Concordia, Summaga, Roma, Bulzoni, 1969, pp. 35-36

 

O. Demus, Pittura murale romanica, Milano, Rusconi, 1969.

 

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Studi su Portogruaro e Concordia,: Atti della Giornata di studio su Portogruaro e Concordia, 21 novembre 1982, Centro di antichità altoadriatiche, Casa Bertoli, Aquileia, Udine, Arti grafiche friulane, 1984.

 

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Pittura murale del Medioevo lombardo, ricerche iconografiche: l'alta Lombardia (secoli XI - XIII), a cura di P. Piva, Milano, Jaca book, 2006.

 

Il Battistero di Concordia Sagittaria, a cura di Associazione culturale onlus R. Turranio, Concordia Sagittaria, Tipografia Sagittaria, 2008. Pubblicazione realizzata in occasione della Giornata di studi "Il Battistero di Concordia", Concordia Sagittaria, 19 aprile 2008.

 

Veneto Romanico, a cura di F. Zuliani, Ascoli Piceno, D’Auria Industrie Grafiche S. p. A., 2008, pp. 235-238.

 

P. Pastres, Arte in Friuli, dalle origini all’età patriarcale, 3 voll., Udine, Società Filologica Friulana, I, 2009.

 

F. Scirea, Pittura ornamentale del Medioevo lombardo, Milano, Jaca book, 2012.

 

 


NOTE:


[1] Esistono degli affreschi realizzati posteriormente al ciclo originario del battistero. Due riquadri devozionali affrescati sulle pareti dell’esedra meridionale, rappresentano l’uno S. Giorgio che uccide il drago, l’altro una santa in abito benedettino che l’iscrizione identifica con Santa Maria Maddalena. I dipinti sono stati assegnati alla prima metà del Duecento. Più recenti, della fine del Trecento, le figure di un S. Giovanni Battista e di un santo vescovo, ora visibili presso la Casa Canonica, dopo lo stacco avvenuto negli anni Cinquanta e un tempo collocati nello spazio libero tra una nicchia e l’altra. Relativi alla medesima fase anche i ritratti a figura intera, ora molto rovinati, di tre santi vescovi dipinti sulle pareti degli arconi di sostegno alla cupola.

[2] La maniera di far sedere gli evangelisti su scranni dipinti a finte architetture nasce dal fraintendimento occidentale, avvenuto in epoca ottoniana, dei troni bizantini incrostati di pietre preziose ; cfr., per esempio, la miniatura con l’evangelista Marco del Codex Wittekindeus, Fulda c. 975. La chiesa concordiese : 389-1989, a cura di C. G. Mor-P. Nonis, 3 voll., Fiume Veneto, Grafiche editoriali artistiche pordenonesi, 1989-1992, III, p. 106.

[3] Il Battistero di Concordia Sagittaria, a cura di Associazione culturale onlus R. Turranio, Concordia Sagittaria, Tipografia Sagittaria, 2008. Pubblicazione realizzata in occasione della Giornata di studi "Il Battistero di Concordia", Concordia Sagittaria, 19 aprile 2008.

[4] J. Muschietti, Das Baptisterium zu Concordia bei Portogruaro in der Provinz Venedig, in « Mittheilungen der K. K. Central Commission zur Erhaltung der Bandenkmale », I (1856)

[5] Grande illustrazione del Lombardo-Veneto ossia storia delle città, dei borghi, comuni, castelli, ecc. fino ai tempi moderni, a cura di C. Cantù, 2 voll., Milano, 1858.

[6] G. B. Cavalcaselle, J. A. Crowe, Storia della pittura in Italia, 8 voll., Firenze 1887, IV, pp. 257 – 258.

[7] E. Degani, Il battistero di Concordia, Udine,1893.

[8] A. M. Damigella, Pittura veneta dell'XI - XII secolo : Aquileia, Concordia, Summaga, Roma, Bulzoni, 1969, pp. 35-36.

[9] G. Swarzenski, Die salzburger Malerei, Leipzig, 1913, p. 86.

[10] W. Arslan, La pittura e scultura veronese, Milano, 1943, p. 117.

[11] P. Toesca, Il Medioevo, 8 voll., Torino, Unione tipografico-editrice, 1927, II, p. 974.

[12] P. L. Zovatto, Il battistero di Concordia, «Arte Veneta», II, 1947, 4, p. 243. Ripubblicato a parte nel 1948.

[13] P. L. Zovatto, Il battistero di Concordia, Venezia, 1948, pp. 45-55

[14] G. Brusin, P. L. Zovatto, Monumenti romani e cristiani di Iulia Concordia, Pordenone, Il Noncello, 1960.

[15] Pitture murali nel Veneto e tecnica dell'affresco , a cura di M. Muraro, “Catalogo della mostra”, Fondazione Giorgio Cini, Venezia, Neri Pozza, 1960.

[16] Julia Concordia dall’età romana all’età moderna, Treviso, 1962 (ristampa 1978)

[17]D. Dalla Barba Brusin-G. Lorenzoni, L' arte del patriarcato di Aquilea dal secolo 9. al secolo 13, Padova, Antenore, 1968.

[18] A. M. Damigella, Pittura veneta dell'XI - XII secolo, p. 5.

[19] Ivi, p. 38;

[20] Ivi, p. 39;

[21] O. Demus, Pittura murale romanica, Milano, Rusconi, 1969.

[22] A. M. Damigella, Pittura veneta dell'XI - XII secolo, p. 43.

[23] Ivi, p. 44;

[24] Ivi, p. 45;

[25] Ibidem

[26] Ibidem

[27] Ivi, p. 47;

[28] Ivi, p. 46;

[29] Il Cristo della scena miniata nell’Evageliario del Custos Bertold è completamente immerso nelle onde del fiume stilizzate, mentre a Concordia emerge completamente; la nota paesaggistica dei pesci trova invece riscontro nella miniatura italiana. A. M. Damigella, Pittura veneta dell'XI - XII secolo, p. 51.

[30]Ivi, pp. 52-53;

[31] Ivi, p. 57;

[32] Ivi, p. 59;

[33] A. M. Damigella, Pittura veneta dell'XI - XII secolo, p. 62.

[34] Ivi, p. 65;

[35] Ivi, p. 67;

[36] Le Bibbie Atlantiche Italiane spostavano il campo d’indagine verso il centro Italia, poiché il Toesca aveva localizzato l’origine delle Bibbie giganti in ambiente umbro-romano. Ivi, p. 68.

[37] Ibidem

[38] A. M. Damigella, Pittura veneta dell'XI - XII secolo, p. 71

[39] Affreschi del Friuli, Udine, Istituto per l'Enciclopedia del Friuli-Venezia Giulia, 1973, pp.XIX-XXI.

[40] Enciclopedia monografica del Friuli Venezia Giulia, Udine, 1980,vol. III, pp. 1558-1566.

[41] Storia della pittura – dal IV all’ XI secolo, Novara, 1983, vol. I, pp. 115-148.

[42] Il Friuli dagli Ottoni agli Hohenstaufen, a cura di G. Fornasir, Atti del convegno, Udine, 4-8 dicembre 1983, Udine, 1984, pp. 438-440.

[43] La chiesa concordiese : 389-1989, a cura di C. G. Mor-P. Nonis, 3 voll., Fiume Veneto, Grafiche editoriali artistiche pordenonesi, 1989-1992, III, pp. 133-166.

[44] Ivi, p.133;

[45] La chiesa concordiese , p.135.

[46] Ivi, p. 136;

[47] Ivi, p. 141;

[48] La chiesa concordiese , p.161.

[49] Ivi, p. 163;

[50] Ivi, p. 164;

[51] Ivi, p. 156;

[52] Italia Romanica, 12 voll., Milano, Jaca book, 1991, XII.

[53] Il Battistero di Concordia Sagittaria, a cura di Associazione culturale onlus R. Turranio, Concordia Sagittaria, Tipografia Sagittaria, 2008. Pubblicazione realizzata in occasione della Giornata di studi "Il Battistero di Concordia", Concordia Sagittaria, 19 aprile 2008.

[54] Scheda di G. Trevisan, Il Battistero di Concordia Sagittaria, in Veneto Romanico, a cura di F. Zuliani, Ascoli Piceno, D’Auria Industrie Grafiche S. p. A., 2008, pp. 235-238.

[55] P. Pastres, Arte in Friuli, dalle origini all’età patriarcale, 3 voll., Udine, Società Filologica Friulana, I, 2009.

[56] Ivi, p. 186;