Le miniature architettoniche

 

 

Alessandra Doratti

 

 

 

 


Lo stupendo monumento di Christopher Wrer raffigurante la cattedrale di San Paolo a Londra aveva solo un difetto: la perfezione. Per mostrare la chiesa che, secondo lui, avrebbe dovuto sostituire l'antico edificio gotico distrutto dal Great Fire, il grande incendio del 1666, Wrer elaborò il Grande modello, come viene definito, secondo i canoni dell'architettura. Il progetto prevedeva una enorme cupola sopra il transetto e una più piccola sovrastante il vestibolo. Le quattro braccia della chiesa erano collegate da quadranti concavi confluenti nel punto di incrocio. Sfaccettata com'era, la struttura assomigliava a un gigantesco fiocco di neve: simmetrica, suddivisa in innumerevoli superfici, un complesso di vuoti e di pieni gravitanti intorno a un centro. I membri del capitolo, tuttavia, espressero parere favorevole.
Il modellino era un oggetto splendido, nessun dubbio, ma "quella chiesa", annotò sir Barister Flecher nella Storia dell'architettura, "sarebbe stata troppo difforme dalla tradizionale tipologia della cattedrale inglese e troppo simile a San Pietro", sede del popolo cattolico. Il capitolo avrebbe preferito un'architettura autoctona, legata alla tradizione, con un pizzico in più di autorità britannica e un pizzico in meno di grandiosità romana. Sir Christopher Wrer elaborò un nuovo progetto e, questa volta, per ottenere il beneplacito dei committenti, recuperò la pianta a croce latina, le pareti rigorosamente perpendicolari, gli angoli retti. Conservò la grande cupola, ma dovette rinunciare alla concavità del transetto. Niente da ridire sulla cattedrale, ma è difficile non rimpiangere la mancata realizzazione del Grande Modello, il progetto che Wrer prediligeva.
Le architetture in miniatura ci consentono di toccare con mano un'idea. A volte lo scopo principale del modellino è di individuare certe soluzioni, come appunto il caso di questo realizzato per la cattedrale di San Paolo: doveva chiarire alcuni aspetti tecnici della cupola, considerata una delle più significative strutture dell'epoca. I modelli sono strumenti di lavoro e documenti storici. Ci parlano dei monumenti che furono edificati e di quelli che non lo furono mai. La tradizione dei modelli archittettonici affonda le sue radici nell'antico Egitto e nella Grecia; il lessico greco comprendeva termini che indicavano il "modello di un edificio completo" e il "modello in cera di particolare ornamentale". Forse l'abitudine di utilizzare il legno per le miniature architettoniche risale al Medioevo: così almeno sembra di poter dedurre dai documenti, in mancanza di esemplari concreti. Nel museo delle Belle Arti di Rouen esiste un eccezionale modello in cartapesta raffigurante la chiesa di San Maclodio. Costruire architetture in miniatura era un lavoro di grande prestigio, svolto dai migliori artisti dell'epoca. Il modello di Rouen, ad esempio, è preziosissimo e nella dimensione miniaturizzata l'architettura gotica della chiesa risulta ancora più fantastica.
Non sorprende che nel 1680 un prete abbia cercato di vendere il modellino di San Maclodio per tremila o quattromila pezzi d'oro. Per quanto oggi questi manufatti siano costosissimi, il loro prezzo non è salito molto da allora. Fortuna volle che il calco venisse restituito alla chiesa; in seguito, nella prima metà del secolo scorso, fu venduto alla città da un altro prete che voleva raccogliere danaro per i poveri. L'oggetto non è prezioso soltanto per la bellezza, ma per il valore documentario, poiché mostra la configurazione della chiesa prima del rifacimento cinquecentesco.
Giorgio Vasari racconta che nel 1418 Filippo Brunelleschi, volendo realizzare un modello per il Duomo di Firenze, si affidò a un falegname di nome Bartolomeo, il quale riprodusse in scala tutte le soluzioni caratterizzanti del progetto: scale, finestre, porte, contrafforti e anche le porte del matrone. Circa dieci anni dopo fu realizzato un altro modello che riproduceva la cupola. Rivaleggiavano con il Bruelleschi ben sei concorrenti. Un oggetto di legno, rosicchiato dai topi, alto poco più di mezzo metro, conservato al Museo dell'Opera del Duomo, a Firenze, ci spiega perché alla fine la commissione scelse il progetto del Brunelleschi. Brunelleschi non visse tanto da vedere completato il progetto ma, secondo il Vasari, nel testamento espresse la volontà che venisse finito come era indicato nel modello.
Il fascino della scala segreta lungo la parete curva della lanterna, spiega l'incanto che i modelli hanno per noi. Presentandoci una struttura in scala, ci consentono di capirne la complessità. Le grandi architetture del passato assumono il volto familiare di un giocattolo: lo si può ammirare su un tavolo, sottratto al rischio della pioggia, dell'inquinamento, della sporcizia.
Inoltre il vantaggio di questi modellini è di favorire decisioni sbrigative sull'opportunità di iniziare i lavori. Ecco, ad esempio, con quale leggerezza gli amministratori di un'importante società espressero parere favorevole al progetto della nuova sede. I membri del consiglio erano riuniti in un ricevimento attorno al calco del nuovo edificio. Fra i botti delle bottiglie di champagne, le luci illuminarono una squisita miniatura che proponeva l'edificio fino nei minimi particolari.
Applausi suggellarono l'incanto e l'architetto si mise al lavoro. Fu un disastro: un edificio incurante del contesto. Non tutti i modelli si traducono in buona architettura, ma quasi tutti sono bellissimi oggetti.
La riduzione in scala ha qualcosa di magico. Prendiamo, l'appartamento in cui vive la famiglia Orologio, personaggi alti non più di un dito descritti nel romanzo The Borrowers di Mary Norton. "Homily era molto orgoglioso del salotto: le pareti erano tappezzate con brandelli di vecchie lettere. Le righe scritte in bande verticali andavano dal pavimento al soffitto. Una scatolina laccata, destinata a contenere i gingilli, aperta e con l'interno imbottito, faceva da divano. C'era un tavolo, ricoperto di velluto che Pod aveva ricavato dal fondo di una scatoletta per pillole; il piedistallo era costituito dalla base intagliata di un cavallo della scacchiera. Il cavallo stesso faceva un figurone e dava alla stanza quell'aria imponente che solo una scultura avrebbe potuto conferire".

 

 

Alessandra Doratti