La miniatura indù

 

Alessandra Doratti

 

 


La miniatura indiana, che vide il suo periodo di maggior sviluppo tra il XVI secolo e l'inizio del XIX, è stata sempre caratterizzata da due diverse correnti culturali: una di matrice aristocratica, l'altra di origine popolare. Per l'aristocrazia, interamente impegnata ad affermare la propria autorità, la miniatura doveva rappresentare il proprio mondo: scene di caccia, di corte, di battaglia, di intrecci amorosi. Per il popolo delle campagne la miniatura diventa invece espressione delle proprie tradizioni: religione, mitologia, credenze popolari.
Con il regno dell'imperatore mongolo Akbar (1565–1605) della dinastia dei Moghul, la pittura indiana accolse influssi persiani e islamici e cominciò a definirsi in modo più preciso.
L'arte persiana portava a privilegiare l'artistocrazia di corte, limitando notevolmente la libertà espressiva del pittore, e si distingueva per la raffinatezza dei materiali usati. La tendenza più specificatamente indiana era più incline ad esaltare l'accuratezza dei dettagli e si caratterizzava in composizioni sovrabbondanti. In ultimo si sovrappose quel culto della personalità, che fiorì alla corte dei bellicosi signori Moghul, che contrapponendosi alle tradizioni dell'induismo, contravveniva a un ben preciso divieto della religione alla raffigurazione umana. Sotto queste diverse e opposte tendenze ben presto si evidenziarono due filoni stilistici principali: il Moghul e il Rajput.

 


Il realismo Moghul e il simbolismo Rajput


Il primo, più aperto alle influenze straniere, dalle quali recepì nuovi elementi prospettici e cromatici insieme e ad un modo meno simbolico e più realistico di trattare la figura umana, preferiva temi che riprendevano le epoche musulmane, e successivamente anche induiste, le scene di vita di corte, i ritratti dei nobili. Verso la fine del XVII secolo con la decadenza della dinastia Moghul, molti artisti di corte si dispersero per tutta la penisola indiana, dove diffusero i loro principi estetici, assorbendo a loro volta le caratteristiche della pittura indù e Rajput. Lo stile Rajput ha la sua origine nei primitivi dipinti di villaggio: nel XII secolo acquistò importanza grazie all'uso più sofisticato che ne fecero gli jainisti dell'India occidentale, una comunità di commercianti di culto puritano. Nel XV e XVI secolo lo stile jainista venne applicato anche a soggetti non religiosi, e sotto lo stimolo dei sovrani dei sultanati Moghul fu esteso e trasformato. Si distingueva per la mancanza di realismo nel rappresentare la figura umana, per la preferenza di stimoli schematici e l'uso di colori brillanti. I temi rappresentati erano cari alla mitologia e alla tradizione popolare indiana induista: l'ardore virile, il coraggio, l'indipendenza e la libertà dell'individuo. L'incontro di queste due tendenze e il contatto con i particolarismi regionali diede vita ad un grande numero di scuole, che contribuirono alla diffusione e al rinnovarsi dell'interesse per la pittura. Il mestiere di pittore veniva tramandato di padre in figlio: si trattava di famiglie appartenenti alle classi più privilegiate che a corte godevano di una grande considerazione. Invitati spesso alle corti amiche gli artisti portavano con sé la propria tecnica, sempre molto legata alla tradizione stilistica della loro regione d'origine; i contatti e gli scambi che ne derivavano diedero origine a delle connessioni di stile difficilmente identificabili; elemento forse non tenuto in sufficiente considerazione dagli studiosi di storia delle letteratura, che nei loro lavori si sono limitati ad una suddivisione regionale per scuole.
Riferirsi a tale suddivisione può comunque essere utile per avere un'idea del grandissimo sviluppo che ebbe la miniatura per tutta la penisola indiana.
Per le scuole di pittura delle colline del Punjab, a nord, il XVIII secolo fu il momento del massimo splendore. La più importante delle scuole del Punjab fu Basholi, caratterizzata da un certo espressionismo nelle figure e dai colori molto vivaci. Analogie con questo stile si ritrovano nelle regioni di Mankot e Kulu. La prima predilige immagini tratte dal poema epico del Ramayana, che narra le gesta eroiche di Rama, una delle incarnazioni di Vishnu.
Le scuole delle seconda regione amarono particolarmente le figure di Shiva, l'aspetto distruttore nella trinità indiana. Le regioni di Chamba e gli stati di Guler e Nurpur si svilupparono pure in quel periodo; più tardi, verso il 1770 fu la volta dello stato di Kangra, che rivolse una particolare attenzione alla figura umana, risuscitando in un certo senso lo stile Moghul. I soggetti venivano per lo più tratti dalla vita di corte e dalle epiche indù: fortemente umanizzate, sembrano avere per protagonisti non le divinità ma i principi locali.

 

 

 

Alessandra Doratti