La Porcellana

 

Alessandra Doratti

 

 

 

 

All'inizio del 1500, doppiando il Capo di Buona Speranza, i navigatori portoghesi riuscirono a raggiungere l'Estremo Oriente e cominciarono ad esportare in Europa i prodotti più tipici, fra cui la porcellana. Da questo fatto, senz'altro vero, nacque una diceria tuttora in circolazione: che cioè sarebbero stati i portoghesi a far conoscere la porcellana a noi europei e che sarebbero stati loro, anzi, a darle il nome (porcellana deriverebbe dal portoghese "porsolana"). È una delle molte dicerie diffuse un tempo, quando si parlava di antiquariato soprattutto per sentito dire. In tal caso potranno essere utili queste notizie sulla porcellana. Alcune sono più o meno note, altre probabilmente sconosciute. Tanto per cominciare, porcellana non deriva dal portoghese. Caso mai è vero esattamente il contrario. È il portoghese che, come molte altre lingue occidentali, ha preso questa parola dall' italiano. In italiano antico si chiamavano porcellane certe conchiglie di mare, tutte candide e lucenti. Quando giunsero da noi i primi oggetti di porcellana orientale, non si capiva di che cosa erano fatti. E siccome assomigliavano alle conchiglie, si favoleggiò che fossero un impasto di polvere di porcellane di mare. Da qui lo scambio del nome. Ma perché mai queste conchiglie si chiamavano porcellane? In realtà c' è qualche relazione fra loro e la porcella femmina del maiale. Lo ammettono quasi tutti gli etimologisti, anche se poi quasi tutti evitano di spiegare perché l'aristocratica porcellana derivi il suo nome dalla grufolante porcella. Come risulta dal vecchio "Dizionario Metodico" compilato dal prof. cav. Francesco Corazzini nell' 800, la conchiglia era chiamata porcellana perché nella forma ricordava quella che era chiamata "porcelletta" o "porca", cioè la vulva del maiale femmina.

 

Quando ne parlava Marco Polo


Un'altra prova che i portoghesi non c'entrano è data dal fatto che ben due secoli prima di loro in Estremo Oriente c'era arrivato il veneziano Marco Polo (1254-1325), il quale nel suo "Milione" parla ripetutamente delle porcellane. Di solito si cita una frase del cap. CII: «Spendono per moneta porcellane bianche che si trovano nel mare (e che se ne fanno le scodelle)». Ma le parole tra parentesi non sono di Marco Polo; le ha aggiunte qualcuno che non aveva compreso il testo. Chiarissima è invece la frase del cap. CXXXVI: «In questa provincia c'è una città che ha nome Tenugnise, che vi si fanno le più belle scodelle di porcellana del mondo. È quindi si porta in ogni parte. E per uno viniziano (era una moneta dell'epoca) se n'avrebbero tre, le più belle del mondo e le più divisate (decorate)».
Dato che Marco Polo parla delle porcellane come di cose esportate dappertutto, è possibile - domanderà qualcuno - che già allora esse fossero conosciute in Occidente e magari anche in Italia? Possibilissimo, anzi, per molti studiosi, certo. Nella sua "Pratica della Mercatura", scritta agli inizi del '300, il Balducci Pergoletti informa che a Venezia si vendevano correntemente le porcellane, fra le merci importate dall'Oriente. Nel testamento di Maria, regina di Napoli e Sicilia, datato 1323, sono elencati oggetti di "sporchellano" e "porchellana". Altri testamenti trecenteschi redatti a Genova menzionano vasi di "purzellette" e "porcelletta". Li cita il Belgrano nella "Vita Privata dei Genovesi" dove c'è anche tutta una diatriba se questa fosse vera porcellana o non piuttosto madreperla e simili.
Se davvero questa era porcellana orientale, come dicono altri studiosi, bisognerebbe dimostrare come mai sia potuta arrivare dalle nostre parti, superando distanze e difficoltà enormi, in quell'epoca. Tenuto conto dei mezzi di comunicazione di cui disponevano, i nostri antenati erano molto più mobili e intraprendenti di noi. Un esempio fra i tanti. Oltre 1.500 anni a.C., nell'Egeo arrivavano collane d'ambra fabbricate sul Baltico e in Inghilterra; figurarsi se non era possibile, 2.800 anni dopo, fare arrivare la porcellana a Venezia o a Genova, che avevano stretti rapporti commerciali con il vicino Oriente, dove la porcellana, quella autentica, era sicuramente conosciuta da tempo.
È noto che se ne parla nel poema didascalico "Gulistan" dello scrittore persiano Sahdi (1193-1291). Meno noto, invece, che di porcellana aveva già parlato quattro secoli prima un mercante arabo, autore del cosiddetto "Libro di Solimano". Anche lui, come farà poi Marco Polo, era stato in Cina e ne aveva scritto una dettagliata relazione degli usi e costumi. Dice: «Vi è in Cina un'argilla finissima, con cui si fanno vasi trasparenti; si vede l'acqua attraverso». Ed ecco la controprova. Nel 1641, un secolo prima delle importazioni portoghesi, fra i doni mandati dal sultano Abulfer Hamer al doge Pasquale Malpiero si trovano elencati "porcellana pezzi 20, cioè 7 piattine, 5 scudelie, piattine 5 grandi, 3 scudelie 2 bianche e 1 biava (azzurrina)». È scritto nella "Vita dei Dogi" del veneziano Marin Sanudo (1466-1536).
A determinare il boom della porcellana in Europa furono le massicce importazioni cominciate dai navigatori portoghesi. E così, come si usa ripetere con una frase abbastanza insensata, nel '600 venne di moda la porcellana che soppiantò l'argento nei servizi da tavola: Che sarebbe quanto a dire: e così nel '900 venne di moda l'elettricità che soppiantò le candele nell'illuminazione.

 

Virtù miracolose una leggenda?


La moda non è che un aspetto di fenomeni che andrebbero meglio evidenziati. Ne citiamo uno apparentemente grottesco: il boom della porcellana fu dovuto anche al fatto che, diversamente dall'argento, essa non è né infrangibile né fusibile. Una novità provvidenziale quindi per mettere fine all'abitudine degli ospiti che, levandosi da tavola si infilavano l'argenteria «drento braghe e roboni e anchesì sotto scialli e gonnelle» come dice un cronista del tempo. Si diceva anche che la porcellana avesse delle virtù miracolose. Sembrerebbe una di quelle storielle antiquariali che si raccontano per far salotto. E invece ci credevano fior di intellettuali e anche Nicolas Trigaut (1577-1628) che era un missionario vissuto a lungo in Estremo Oriente. Ne scrisse in vari libri: «In Cina si usa molto un vasellame fittile, che ignoro per quale causa gli Europei chiamino porcellana. È splendido, brillante e sottile; ma sopporta anche i maltrattamenti dei camerieri. Così che non è facile a rompersi. E semmai, per incredibile che possa sembrare, i cocci ricuciti fra loro con un filo di rame trattengono il liquido e non lo lasciano fuoriuscire».
Ci credevano soprattutto due grossi cervelli come Giulio Cesare Scaligero (1484-1558) e Gerolamo Cardano (1501-1576) che sulle virtù miracolose della porcellana hanno trattato in diversi testi.
Riassumendo, le porcellane non sono altro che i vasi murrini o mirrini, importati dall'Oriente già nell'antichità.
Ne parla Plinio nella sua "Storia Naturale" deplorando le somme folli che vi sperperavano i collezionisti romani. Certo, ammette il Cardano, c'è qualche differenza perché, contrariamente ai murrini, le porcellane sono dipinte e decorate. Ma questo è un trucco per nascondere le magagne della materia prima usata per le porcellane senza lasciarla stagionare bene.
Difatti, aggiunge lo Scaligero, «quelli che fabbricano le porcellane si servono di gusci d'uovo e di conchiglie sottilissime macinate, spolverizzate e macerate nell'acqua. Formati li vasi, si seppelliscono sotto terra, e non riescono perfetti, né si cavano fuori, se non in capo a cent'anni. Perciò quelli che sotterrano questi vasi notano il luogo e l'anno; e ne lasciano memoria agli eredi, acciocché possano trarli fuora quando saranno stagionati, e venderli». Le porcellane avevano le seguenti proprietà: La prima, che le figure in esse dipinte si vedono appena, ma che esposto il vaso alla luce distintamente si scorgono. La seconda, che in questi vasi si scalda solo la parte che contiene un liquido caldo; le altre restano fredde. La terza, che è tale la durezza delle porcellane che percotendone un fragmento con un focile (acciarino) getta scintille di fuoco. La quarta, che la vera e non falsificata porcellana è talmente contraria al veleno che, se cibo attossicato vi si infonde, il vaso si spezza». Le porcellane dunque non avevano bisogno d'altro per entrare trionfalmente in regge e palazzi.

 

Gli alchimisti e l'enigma


Ma, in realtà, di che materia erano fatte le porcellane orientali, questa mai vista prima, stupenda esotica arcana materia? A scoprirlo riuscirà, e soltanto nel 1708, il tedesco Böttger, anticipando fortunosamente chimici e maiolicari, ciarlatani e spioni, alchimisti e arcanisti (quelli che sostenevano di conoscere gli arcani, i segreti per produrre l'"oro bianco", come veniva anche chiamata la porcellana). Böttger scoprirà che la porcellana non era altro che uno speciale tipo di argilla. Come avevano ben capito i maiolicari fiorentini già nel 1575, pur riuscendo a produrre solo una porcellana d'imitazione. Nulla di trascendentale dunque, come aveva scritto Francesco Carletti, fiorentino. Il Carletti (1573-1636) era un mercante che, appena si seppe che la terra era tonda, decise di farne il giro descrivendolo in un libro ("Ragionamenti di Francesco Carletti Fiorentino sopra le cose da lui vedute ne suoi viaggi sì dell'Indie Occidentali e Orientali come d'altri paesi").
Arrivato in Oriente Carletti capisce subito che dietro questa faccenda delle porcellane c'era una bella montatura.. «Della porcellana qui è indicibile la quantità e la qualità, che se ne trova a comprare a vilissimi prezzi. Sono tutte baie il credere che essa porcellana sia fatta di tante e diverse cose, come molti hanno detto, perché essa è pura terra di quella qualità che è piaciuto a Dio creare in Cina; la quale terra si cava da quelle miniere in abbondanza come avviene in questi nostri paesi (toscani) per le terre con cui si fanno i vasellami a Montelupo o altrove».

 

 

 

Alessandra Doratti