L'arte leggiadra del cammeo

 

Alessandra Doratti

 

 


«Oggi una donna alla moda porta cammei un po' dappertutto: alla cintura, intorno al collo, sui braccialetti, ma anche sparsi sul diadema», così nel 1805 l'autorevole rivista francese Le journal des dames sottolineava l'apoteosi del cammeo, che sarebbe restato in auge per tutta l'era romantica. L'arte della glittografia (studio delle pietre intagliate) ha origini molto remote. Prima di addentrarsi nel labirinto di questo meraviglioso universo, è il caso di precisare che le pietre intagliate si suddividano a loro volta in intagli veri e propri e in cammei. Per intaglio si intende una pietra incisa in profondità.
Spesso è un lavoro legato a un'idea di autorità e di identificazione: per fare un esempio, erano intagli le pietre usate per sigilli. Il cammeo fu invece concepito fin dall'inizio a scopo di ornamento o di ritratto, senza fini ufficiali e con un'incisione a bassorilievo in pietre preziose, semi-preziose o dire, che solitamente ne sfrutta la diversa colorazione delle vene.
Non si debbono confondere questi cammei che sono i veri, con quelli creati in conchiglia (i bianco-rosati più diffusi nel commercio), di valore artistico e venale nettamente inferiore. Le origini del cammeo pare risalgano al 600 a. C., all'epoca in cui i greci cominciarono ad adattare al loro gusto sigilli egiziani a forma di scarabeo. I primissimi esemplari di cammei con ritratti risalgono invece all'epoca di Alessandro il grande (332—323 a. C.). Ma bisogna attendere il primo secolo avanti Cristo e l'epoca di Augusto, l'espansione massima della ricchezza romana, per poter parlare di una vasta produzione realizzata per lo più in pietra Sardonica o pietre semi-preziose come topazi e ametiste.
A quei tempi fu di gran moda adornare l'abito di gala o la carrozza con un cammeo chiamato Phalera, portato al centro del busto.
Un esemplare di quest'epoca (che si può ammirare al British Museum, a Londra) è un ritratto ovale dell'imperatore Augusto, di circa 13 centimetri attribuito a Dioscirides, l'intagliatore personale di Augusto, uno dei massimi incisori del suo tempo. Attribuito, ma non firmato: infatti rarissime sono le gemme del periodo classico (600 a. C., 400 a.C.) provviste di firma autentica: la maggior parte dei pezzi siglati appartiene infatti alla nutrita categoria di cammei classici, buoni come epoca, ma arricchiti più tardi di nomi apocrifi (autentici o inventati) incisi da zelanti artigiani del Rinascimento o del periodo Neoclassico, per aumentarne ovviamente il valore. Si può essere sicuri invece per pezzi firmati sì, ma che vantano un'origine indiscutibile, come quelli che provengono da uno scavo archeologico conosciuto.
Il declino dell'impero romano portò con sé un parallelo decadimento dell'artigianato, che smise quasi di produrre lavori d'arte costosi. Fu solo agli inizi del XV secolo e durante il Rinascimento che quest'arte, rinnovata, riprese vigore. Anche se, a onor del vero, non si può dimenticare che nel periodo Bizantino i cammei furono ancora molto apprezzati, ma poco prodotti.
Il gradimento per questi esemplari esplose nel Rinascimento, quando la ricchezza degli Stati italiani unita alla vasta espansione commerciale, favorì un rinnovato interesse per la conoscenza del periodo classico. Papa Paolo II (1464-1471) costituì una magnifica collezione di cammei antichi: ma questa passione fu condivisa in pieno anche da Piero e da Lorenzo dÈ Medici. Cammei antichi arrivarono sul mercato dai luoghi archeologici e naturalmente gli abilissimi artigiani italiani sull'onda del successo suscitato da questi esemplari, incominciarono ad imitarli producendo una loro versione del cammeo classico. Creando così veri e propri capolavori, spesso prendevano a modello personalità dell'epoca.
Alcuni nomi dei più valenti artigiani, che operarono sotto l'ala protettiva dei Medici, son giunti fino a noi. Il più bravo di tutti pare fosse quel certo Giovanni (detto delle Corniole), autore tra l'altro, nel 1470, di un cammeo in agata raffigurante la testa di Cristo, oggi esposto al Victoria & Albert Museum, di Londra. Gli impareggiabili artigiani rinascimentali produssero un gran numero di intagli e cammei per ornare anelli, pendaglioni e monili cari; questi gioielli meravigliosi furono da sempre collezionati dai potenti che, considerandoli un bene prezioso, li tramandarono di generazione in generazione.
Oggi alcune di queste raccolte sono divenute pubbliche. Il gruppo di cammei più nutrito del mondo è certamente quello conservato nel parigino Cabinet des médailles. Il museo, infatti, insieme ad altri preziosissimi oggetti, comprende 4 mila tra cammei e intagli: una panoramica davvero completa dell'evoluzione, dell'incisione su pietre, dall'epoca ellenistica al rinascimento.
I pezzi esposti associano all'indiscusso valore artistico anche un'importanza storica considerevole. È il caso del cammeo in sardonica, raffigurante Giove, con l'inseparabile aquila al fianco, che regge scettro e saette. L'esemplare fu arricchito nel XVI secolo da una cornice in oro, con, motivi di piccoli fiori di giglio e stemma reale, quando Carlo, l'allora re di Francia, decise di donarlo alla cattedrale di Chartres.
Perfetto il pezzo romano eseguito nel I sec. d. C., chiamato Grand carnée de France, donato da Baldovino II al re Luigi di Francia, sulla via del ritorno dalle crociate, considerato uno dei più grandi cammei del mondo (36x26 cm). Esso raffigura una composizione allegorica, che celebra l'avvento della dinastia Claudia. Tra gli esemplari del Rinascimento, solitamente incorniciati dai più illustri orafi del tempo, figurano personaggi celebri come Lorenzo dÈ Medici e suo figlio Leone X, Ludovico Sforza e Francesco I. Anche se la storia riferisce che i cammei continuarono ad essere intagliati ancora dopo la fine del XVI secolo fino agli inizi del '700, resta il fatto che nel Rinascimento si riconosce senza dubbio il periodo del loro massimo splendore. Più tardi continuò sempre un loro apprezzamento, ma più soggettivo. Al 1601 risale la prima catalogazione di una importante collezione di cammei dovuta a un considerevole acquisto della famiglia reale inglese. Verso la metà del '700 due personaggi importanti in Europa strenuamente continuarono a collezionare e commerciare cammei: il barone Philip von Storsch (impiegato come spia giacobina) e il console Smith, di Vienna, che li raccoglieva per conto di Giorgio III.
I cammei tornano ufficialmente in auge agli inizi dell'800 in seguito alla riscoperta del gusto del classico (per la terza volta nel mondo), spinto in Inghilterra dai fratelli Adam. A quei tempi grazie alla conoscenza delle pietre e delle tecniche di incisione, ovviamente più avanzate, non si crearono solo copie del periodo classico, ma anche innumerevoli ritratti di personaggi illustrissimi, inutile dire che Napoleone e la sua corte furono tra i soggetti favoriti.
I cammei divennero così popolari e di gran moda, che la ricerca di materiali alternativi a quelli costosi divenne spasmodica. Si produssero così intagli in porcellana, pasta di vetro, lava, conchiglie, per soddisfare la generale richiesta di ornamenti femminili, anche a buon mercato. Tra i più noti intagliatori che operarono in Europa nel periodo Neoclassico va sottolineato l'importanza del londinese Edward Bich (1789) celebre per i suoi ritratti in pietre dure, che siglava abitualmente a lettere maiuscole "EBF" o "BF"; o dell'austro-italico Luigi Pichler (1773—1854), operante a Roma e Napoli, eccellente artigiano alla stessa stregua di Giuseppe e Pietro Girometti (1780—1850).
Ma senza dubbio i nomi più prestigiosi che dominarono il ritorno della gioielleria classica nel '800 restarono quelli di Castellani (1793—1863) di Giuliano (? -1895) e delle loro dinastie. Essi impiegarono per arricchire i loro gioielli pezzi classici autentici (che collezionarono anche) oppure esemplari usciti dalle mani di abilissimi artigiani contemporanei.
Capostipide della scuola d'intaglio francese fu George Bissinger, il quale mostrò lavori importanti all'Esposizione di Parigi, del 1878. Pare però che l'artista più noto fosse l'italiano Benedetto Pistrucci (1784—1855), che lavorò in Inghilterra, firmando solo col cognome. Oltre a una selezionata produzione di cammei, a lui si deve anche il disegno di quel S. Giorgio e il Drago eseguito per alcune monete inglesi, oggi visibile sui sovrani d'oro.
L'esempio più tangibile della sua bravura consiste in una "Testa di Flora" incisa superbamente in sardonica, volutamente imitando lo stile greco, che fu venduta come pezzo autentico da un certo Bonelli, il più grande commerciante di cammei dell'epoca.
Quando il Pistrucci sostenne pubblicamente di essere l'artefice dell'esemplare non fu creduto: dovette dimostrare la sua buona fede svelando una "P", la sua iniziale, minutamente celata tra le foglie che ornavano la testa di Flora.
La prova inconfutabile causò grande costernazione tra collezionisti e commercianti e gettò l'ombra del dubbio sull'autenticità di molti altri pezzi fino ad allora creduti autentici.
Esistono alcuni segreti per smascherare le imitazioni degli esemplari più antichi e vengono a malincuore rivelati, ma non tutti, dai rari conoscitori di questo importante settore dell'arte della gioielleria. Nel caso di esemplari intatti, per esempio, l'esperienza insegna che firme troppo minuscole debbono insospettire.
Anche i cammei consumati dal tempo sono stati falsificati. Il modo "elastico" per invecchiare un cammeo nuovo risulta sempre quello di spruzzare con polvere di diamante, che dovrebbe riprodurre un'apparente usura. Esiste poi un altro sistema più pittoresco, in uso prima dell'efficace polvere di diamante, e consiste nel fare inghiottire a un'oca il cammeo, che ottiene così l'invecchiamento desiderato stando nello stomaco dell'animale. La storia non racconta, ad ogni modo, se poi l'oca dovesse essere necessariamente mangiata per recuperare l'esemplare e se i pezzi in questione fossero per caso chiamati camées defoie.

 

Alessandra Doratti