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L’ARTE DELLE MERIDIANE

 

 

Giuliano Confalonieri

 

 

    

     

 

 

            L’uomo ha i suoi limiti nella nascita e nella morte. Le sue speranze d’immortalità sono latenti nelle fedi religiose e nella ricerca scientifica, dal premio della vita eterna alla reincarnazione, dall’ibernazione alla manipolazione genetica. Intanto, vive o sopravvive nel lacerante dualismo intuito da Paul Valery “notre esprit est fait d’un désordre plus un besoin de mettre en ordre”. L’edonismo nevrotico della società contemporanea fa cambiare in pochi anni le proporzioni di ciò che prima richiedeva secoli (l’enorme espansione delle comunicazioni permette contatti transoceanici immediati e la realtà virtuale promette un futuro da fantascienza). La grande illusione di vivere in fretta per vivere di più è l’inquietante prospettiva che sembra attendere il nuovo millennio. La campana ed il campanile sono stati per secoli il punto di riferimento per collettività d’ogni genere, un mezzo di chiamata a raccolta per scopi di culto o d’allarme. Rintoccando a vespro, a morto o a martello, la gente era informata proprio come con i moderni mass media: il momento della sosta e quello della preghiera, il momento del pericolo e quello della pietà. Le meridiane furono impiegate nella misurazione del tempo fino al Seicento; in seguito servirono per controllare gli orologi meccanici ancora imprecisi. Esempi di meridiane solari molto note si trovano a Genova nella Cattedrale di San Lorenzo (il cosiddetto ‘arrotino’) e la traccia d’ottone incastrata sul pavimento all’ingresso del Duomo di Milano.

 

 

Giuseppe Vasi, Obelisco di Montecitorio, incisione del 1738

 

 

A Roma l’obelisco prelevato dall’imperatore Augusto in Egitto ed innalzato in piazza Montecitorio nel 1792, ha la funzione dello gnomone ossia quella di indicare l’ora tramite la direzione e la lunghezza della sua stessa ombra sulle tracce segnate a terra. Sono state costruite meridiane da tavolo, ad anello, tascabili di legno munite di bussola per l’orientamento, altre su piani inclinati, verticali e orizzontali. La loro impostazione – ovvero disegnare le linee orarie e le relative correzioni per i mutamenti stagionali in base alla posizione – richiede calcoli matematici, strumenti astronomici e una grande abilità (gli Arabi raggiunsero un alto grado di precisione tecnica nella costruzione sia di meridiane che di astrolabi). Molte meridiane parietali sono state realizzate con notevoli ambizioni artistiche ed architettoniche, spesso con risultati cromatici e figurativi molto belli. Nel 2007, Firenze ha inaugurato la Meridiana Monumentale orizzontale in Piazza dei Giudici, di fronte al Museo di Storia della Scienza: uno gnomone alto sei metri proietta l’ombra solare sul quadrante astronomico inciso sul selciato, nelle due stele che simboleggiano il giorno e la notte; la Rosa dei Venti completa le informazioni di questo orologio del tempo e dello spazio.  I motti scritti sui quadranti delle meridiane mostrano il rapporto della gente con il trascorrere del tempo, una saggezza popolare che si riflette in frasi sintetiche: “Senza parlar io sono inteso, senza rumor l'ora paleso”, “Mancherà il suon della campana o il ferro ma se si scopre il sol io non erro”, “Fugit irreparabile tempus”, “Sorgendo il sole in sua carriera addita dell’ora la breve e passeggera vita”. È un tipo di cultura del tempo che ha notevoli riscontri: la Vallée de la Clarée, vicino a Briançon ha un itinerario dedicato esclusivamente alle numerose e interessanti meridiane storiche della zona arricchite da motti come: “Rapellez vous de vôtre heure dernière et vous ne pecherèz jamais”, “Seul le temps est perdu dont l’Amour est absent”. In una chiesa dello Yorkshire (England) esiste un orologio solare verticale risalente al Mille, quando i Sassoni suddividevano la loro giornata in base al flusso delle maree. Lungo l’autostrada che attraversa la Provenza e va dalle Alpi ai Pirenei, svetta la meridiana più alta del mondo “Nef Solaire”: seicento tonnellate di pietra e cemento a forma di veliero che indicano l’ora solare con l’approssimazione di 30 secondi; i due stili del monumento segnano l’ora locale sui cinque quadranti che vengono interessati durante la giornata dalla posizione del sole. L’uso di strumenti sonori utili alle comunità risale a tempi antichi.

 

Le campane furono impiegate come mezzo di adunata dal VI sec. e come sistema rituale dal IX sec. Sulle torri comunali avevano il compito di servizio civile (pericoli incombenti, pestilenze, inondazioni e chiamata alle armi: “e se voi sonerete le vostre trombe, noi daremo nelle campane”, Pier Capponi). Inizialmente battute in ferro, già dai secoli VII e VIII furono fuse in bronzo, una lega composta da quattro parti di rame ed una di stagno. In Italia le fonderie (in particolare quelle pisane, lucchesi e fiorentine) tramandavano i segreti di bottega da padre in figlio riuscendo a realizzare piccoli capolavori con sonorità eccezionali e con fregi di particolare valore artistico (immagini, sigilli, stemmi). Alcune credenze popolari riportano che per ottenere un suono più cristallino occorresse aggiungere alla fusione il sangue di una vergine, che la loro consacrazione avesse il potere di scacciare le streghe o i diavoli, che quando le  campane suonavano da sole annunciassero sventure. Roma è la città con il maggior numero di campane, quelle di San Pietro sono datate a partire dal 1288 (la più grande è del 1786); quella più pesante si trova a Mosca, esposta come monumento perché incrinata a causa della caduta durante il posizionamento subito dopo la fusione; nel Duomo di Milano il campanone Sant’Ambrogio pesa 15.000 chilogrammi. A Ginevra il carillon della torre (1749), collegato con 20 campane di oltre 13 quintali complessivi, suona melodie di ogni tipo in base alle festività annuali. Il “Big Ben” (soprannome dal presidente del Comitato dei lavori Benjamin Hall), sulla torre principale del Parlamento di Londra, è l’orologio con cinque campane installate nel 1856, i cui rintocchi sono basati su un’aria del Messia di G.F. Hämdel. In una torre della cattedrale di Santo Stefano a Vienna, nel 1957 è stata reinstallata la “Pummerin” – pesante 20 ton. – ricavata dal bronzo dei cannoni turchi per l’assedio del 1683; ha dovuto essere rifusa per i danneggiamenti subiti dai bombardamenti sulla città durante la Seconda Guerra Mondiale. “Tempus edax rerum” (il tempo che tutto divora e consuma, Ovidio, Metamorfosi), “Non ho tempo da perdere”, “Ingannare o ammazzare il tempo”, “Ci vediamo nei ritagli di tempo”, “Non avere mai un minuto per sé”, “La patina del tempo”, “Il tempo è galantuomo”, “Time is money”, “Il tempo è un gran medico”, “Nostalgia del tempo passato”, “Non fare domani quello che puoi fare oggi”, “I giorni fuggono senza che nulla li arresti”, “Mutano i tempi e con essi anche noi”, “Buttare tempo e quattrini”, “Vulnerat omnes, ultima necat” (tutte le ore feriscono, l’ultima ora uccide): frasi, proverbi e locuzioni latine che nella praticità colloquiale della sintesi popolare riducono al livello umano segreti di impossibile accesso come spazio, eternità, infinito. Il traguardo perseguito dalla genialità dell’uomo fino dall’antichità è stato quello di incasellarli per usarli a proprio vantaggio e per tentare di comprenderne il mistero. L’inglese Isaac Newton (1642/1727) considerava il tempo come qualcosa di assoluto, indipendente da ogni movimento e quindi da ogni durata, “conforme alla sua natura fluisce uniformemente e senza rapporto con alcun oggetto esteriore”. Il fisico Einstein (1879/1955) elaborò all’inizio del Novecento una teoria secondo la quale solo la velocità della luce è immutabile nel nostro universo. L’astronomo Hubble (1889/1953) scoprì qualche anno più tardi che le galassie sono in costante allontanamento dal Big-Bang, la grande esplosione primordiale dalla quale avrebbe avuto origine l’universo.

 

In filosofia il tempo è inteso come un continuo misurabile oppure come realtà del presente (passato e futuro relegati al ruolo di ricordato e di immaginato). Sant’Agostino (354/430) indica la coscienza individuale come depositaria del fluire dei fatti in rapporto alla creazione e all'eternità di Dio. La critica relativistica dà molta importanza alla posizione dell’osservatore ed all’influenza delle circostanze (“nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice”, Dante Alighieri). Il presente è un istante che non ha durata, il passato non è più e il futuro non è ancora: la suddivisione del tempo, ovvero la successione dei momenti quotidiani, è dunque l’oggettivazione collettiva di un fenomeno astrale indecifrabile. Dal ritmo delle albe e dei tramonti a quello  delle stagioni, dal moto apparente delle stelle all’interazione dello spazio, dagli studi astronomici di Tolomeo a quelli di Copernico, dalle interpretazioni filosofiche di Cartesio e Spinoza a quelle di Kant e Heidegger. L’analisi di una dimensione che ricorda drammaticamente la vulnerabilità del vivere e la finitezza dell’esistenza si è concretizzata nell'usanza di misurare gli intervalli di tempo. Annota Aristotele: “l’osservazione del giorno e della notte, dei mesi e dei periodi degli anni hanno formato il numero e procurato la nozione del tempo e la ricerca intorno alla natura dell’universo” ovvero “la misura del movimento secondo il prima e il poi” con un’anima che misuri (aspetto soggettivo) e un movimento reale come il Sole (realtà oggettiva). Il monumento megalitico di Stonehenge (UK) e Greenwich (sobborgo di Londra sulla destra del Tamigi, sede dell’osservatorio astronomico fondato nel 1675, trasferito nel 1948) sono testimonianze di millenni di rilevazioni per dare al concetto ‘tempo’ un valore sincrono comune a tutti. Il primo, a nord di Salisbury, è formato da un cerchio di 30 monoliti alti 4 metri e da enormi massi squadrati posti nell'interno a ferro di cavallo; antecedente al II millennio a.C. è orientato in modo da controllare il moto degli astri, proba­bilmente destinato al culto solare. Il secondo è importante per il passaggio nel suo territorio del meridiano convenzionalmente adottato come meridiano di riferimento (longitudine 0 gradi: l’ora di Greenwich è infatti considerata ‘tempo medio universale’ –  GMT – sul quale calcolare gli orari internazionali). L’Old Royal Observatory ha la stanza ottagonale dove lavorò John Flamsteed, primo astronomo reale e conserva i vecchi strumenti usati per misurare il meridiano, resosi necessario per dare ai marinai un riferimento sicuro dopo il naufragio di quattro navi della Royal Navy nel 1707. Un orologiaio, John Harrison, costruì un cronometro marino per determinare le longitudini. Il terzo astronomo reale, James Bradley, definì il meridiano 0° nel 1801. Dal 1880 sulla linea del meridiano funziona l’enorme orologio ufficiale del tempo. Dal 1884 la conferenza di Washington ha stabilito che il GMT fosse il punto di riferimento per tutti i paesi del mondo, fusi orari compresi.         

 

 

 

 

In Occidente, un notevole progresso nella misurazione del tempo fu conseguito con l’adozione degli orologi monumentali a pesi e contrappesi montati su Chiese e Municipi dal XIV secolo, talvolta collegati alle campane e completati da automi in movimento. Famosa è la torre dell’orologio di Piazza San Marco a Venezia, realizzata nel 1496/1499, in cima alla quale le statue in bronzo dei due Mori battono le ore sulla grande campana. Il Duomo di Messina ha un grande orologio astronomico con una serie di automi attivati quando scocca mezzogiorno. I primi orologi interamente meccanici (svegliatori o svegliarini monastici) risalgono al XIII secolo, nel Trecento si cominciarono a costruire i grandi movimenti da torre con le ruote dentate messe a disposizione dalla scienza meccanica. I quadranti appaiono sulla cattedrale di Strasburgo, sul campanile della Chiesa di Sant’Eustorgio a Milano (1306), a Orvieto con l’orologio Maurizio completo di campana e automa, a Siena sulla Torre del Palazzo Pubblico. A Danzica, dal 1481 è fermo il meccanismo costruito e irreparabilmente manomesso per ritorsione alle autorità dallo stesso maestro orologiaio che fu fatto accecare perché non ne costruisse uno uguale in altre città. Il Duomo di Messina ha un orologio astronomico grandioso con vari automi che si mettono in moto quando batte mezzodì. Il calendario (dal latino calendarium, ovvero libro di credito i cui interessi scadevano il primo giorno di ogni mese, denominato ‘calende’, giorno sacro a Giunone, dagli antichi romani) ha il compito di suddividere il tempo – attraverso l’osservazione dei fenomeni astronomici – in sezioni codificate generalmente su base annua. L’espressione scherzosa ‘rimandare alle calende greche’ – dapprima riferita soltanto alle scadenze economiche – ha ancora oggi il significato di rinviare le cose da fare a tempo indeterminato: infatti il calendario greco non prevedeva le calende; ‘Calendimaggio’ è il primo giorno di maggio, celebrato nei secoli passati dal folclore europeo con feste e canti per festeggiare il ritorno della primavera, a Firenze si eleggeva la Regina della Primavera, culti agrari e riti magici avevano lo scopo di favorire la fecondità vegetale, animale ed umana. I Maya facevano risalire l’inizio della loro storia a circa 3 millenni a.C. La classe sacerdotale dominante aveva identificato i solstizi studiando gli astri. Gli Aztechi adottarono un calendario diviso in 18 mesi di 20 giorni ognuno. Il primo era denominato ‘bisogno di acque’, il secondo ‘disossamento degli uomini’: in questo periodo, per sedici giorni, si svolgevano cerimonie e processioni con sacerdoti che danzavano avvolti nelle pelli delle vittime sacrificate agli dèi nel corso di riti propiziatori. Quello musulmano è basato esclusivamente sul moto della luna, quello ebraico fa coincidere i mesi con le lunazioni e le stagioni.

 

L’anno greco era formato da dodici mesi lunari, alternativamente di 29/30 giorni, 354 giorni complessivi con evidenti scompensi in rapporto al moto solare. I calendari solari confrontano la durata dell'anno civile o legale con quella dell’anno ‘tropico’, ovvero l’intervallo di tempo fra due passaggi consecutivi del Sole ad uno stesso equinozio. Nell’Antico Egitto il giorno era suddiviso in 24 ore, il mese in 30 giorni e l’anno in 12 mesi ma la differenza tra i 365 giorni fissi calcolati e la durata reale dell'anno tropico portava ad una divergenza tra il calendario civile – in vigore per quasi tre millenni – ed i fenomeni astronomici e naturali (l’inizio del calendario coincideva con le cicliche inondazioni del Nilo, alternanze strettamente legate alle stagioni della ‘raccolta’ e quindi essenziali per l’economia di tutto il paese). Originariamente il calendario romano era composto da dieci mesi, come si deduce dalle radici latine degli ultimi quattro: septem, octo, novem, decem e iniziava dal mese di marzo. Il nostro calendario deriva da quello romano attribuito a Numa Pompilio: 12 mesi per 355 giorni. Al tempo di Giulio Cesare il calendario ufficiale era in anticipo di circa 90 giorni rispetto all’anno tropico. Nel 46 a.C. il calendario giuliano introdusse l’anno bis sexto o bisestile, adottato a Roma e osservato da tutta la cristianità fino al 1582 quando Papa Gregorio XIII lo riformò ulteriormente in base ad un progetto di Luigi Lilio e sottoposto all’approvazione di matematici di tutto il mondo: è quello tuttora in uso e non avrà bisogno di modifiche per molti secoli ancora (a Giulio Cesare e Augusto furono dedicati i mesi ‘iulius’ e ‘augustus’). La società multimediale tende ad uniformare le varie culture, talvolta agli antipodi proprio per le loro diverse origini, ma non può cancellarne le tradizioni. L’anno 2000, per esempio, è l’attuale convenzione più adottata nei rapporti tra gli uomini per ragioni di praticità. Tuttavia il tempo frazionato ha altre misure: i cinesi festeggiano l’anno del Drago 4698, per i buddisti l’inizio del nuovo millennio corrisponde al loro 2544, i calendari degli antichi Maya ed egizi contano rispettivamente 5119 e 6236 anni, in base a computi di carattere religioso o leggendario. Il calendario gregoriano fu accettato dai paesi praticanti la religione greco-ortodossa soltanto dopo il 1917. Meridiane solari, orologi ad acqua e clessidre, orologi meccanici, a pendolo o a bilanciere, al quarzo e atomici: un complesso arsenale di marchingegni ideati e messi a punto per organizzare spazi di tempo predeterminati. La clessidra ad acqua di Amenofi III ritrovata nel 1904 in Egitto (datata 1400 a.C.) sfruttava una inclinazione di 70º: ciò permetteva al liquido nel cilindro di alabastro di uscire in modo omogeneo da un foro; le decorazioni rappresentano i momenti fondamentali per l’economia agricola regolata dalle inondazioni del Nilo: semina e raccolto. I Bizantini calcolavano gli intervalli di tempo con orologi ad accensione (combustione di olio, ceri, ecc.). I Cinesi usavano candele sulle quali venivano incise tacche ad intervalli regolari solitamente di un’ora che, consumandosi lo stoppino, liberavano una cordicella collegata ad una campana. I Romani classificarono gli spazi di tempo per le  necessità della loro società: il giorno naturale (dies naturalis), quello civile (dies civilis), quello militare e quello astronomico. In epoca imperiale usarono meridiane monumentali e portatili oppure clessidre a polvere (o sabbia) per segnare un tempo omogeneo e ripetitivo. La civiltà cristiana introdusse le ore canoniche: le campane scandivano le sette divisioni del giorno (dal mattutino alla compieta) ed erano regolate sulle meridiane che segnavano l’ora locale. Il Medioevo cristiano occidentale ideò la clessidra meccanica, l’orologio a mercurio, gli orologi lignei e l’astrolabio (antico strumento utilizzato per misurare l’angolatura del Sole rispetto all’orizzonte, usato per studi astronomici e dai naviganti per fare il punto (sostituito poi dal sestante).

 

 

Giuliano Confalonieri

giuliano.confalonieri@alice.it