Il gusto della Tradizione

 

Ippolito Caffi (1809-1866)

 

Walter Abrami

 

 

 

 

Le recenti attenzioni del pubblico e della critica nei confronti di Caffi, inducono  da parte nostra un breve riesame della sua attività poiché egli lavorò anche a Trieste,  dipinse alcune memorabili vedute (alcune notturne)  di Piazza della Borsa e nella città giuliana, ebbe e continua ad avere  estimatori.

 Rappresentante del Romanticismo italiano egli è stato ed è considerato l’ultimo dei vedutisti veneti che hanno operato nella tradizione del Canaletto, del Bellotto, del Marieschi.

Certi suoi paesaggi pieni di luce  hanno fatto anche pensare al pittore francese Camille Corot che soggiornò in Italia tre anni ed ebbe modo di cogliere atmosfere solari, mediterranee.

Forse non tutti i lettori sanno che solo qualche anno prima della nascita di Caffi, Giuseppe Baronio, dotto fisico milanese, riuscì a formare una pila elettrica adoperando fette di ramolaccio alternate con fette di bietole rosse, frammezzate da dischi di legno di noce, bolliti in mistura di aceto e tartrato acidulo di potassa. Se il lombardo  avesse visto di lì a poco ciò che Caffi sapeva fare con i pennelli forse avrebbe pensato ad altro! Altroché pila elettrica!  Caffi amò e colse nelle sue tele la Luce autentica!

 Egli non tradì mai la realtà e seppe essere perfino fedele agli spettacoli irreali offerti dalle luci improvvise e violente d’una festa notturna: ebbe la capacità di fissare sulle tele anche istanti apparentemente irreali o impossibili!   Seppe raccontare i  riverberi dei fuochi di bengala con colori verdi vaporosi che si sciolgono nei viola o nei cobalto con la  stessa puntualità con cui osservò le vedute urbane:  oggi, molte di quelle romane, costituiscono anche una preziosa documentazione storica.

Caffi nacque a Belluno nell’ottobre 1809 mese del trattato di pace tra la Francia e l’Austria quando le province illiriche Istra-Veneta e  Dalmazia furono distaccate dal regno d’Italia. 

Frequentò l’Accademia di  Venezia dal 1827 al 1832 sotto la guida di Tranquillo Orsi. Durante gli studi ottenne un premio per la prospettiva e al termine degli stessi si recò a Roma, allora la capitale artistica più accreditata d’Europa, presso il pittore Pietro Paoletti (un prezioso cugino nonché cavaliere, ben introdotto nella Roma Gregoriana di G. Belli e per di più protetto dal clero!).

Prima però Caffi dipinse nella saletta rotonda del Caffè Pedrocchi a Padova.

Queste tempere passate ad olio sono un complesso importante per l’ampiezza scenografica delle vedute e la novità d’impostazione dei motivi, ma i tanti restauri le hanno ridotte piuttosto male.

 La luce di Caffi gioca qui ancora labile attorno ai motivi. Il Ponte e Castel Sant’Angelo  suggerirono all’Arslan la suggestione del Corot che si sovrappone alle formule dell’educazione sul Canaletto.

 Ma il canalettismo è pure esaltato da un torreggiare romantico di edifici, da un continuo trasfigurarsi degli stessi sotto il gioco alternato delle luci.

Sempre a Padova Caffi dipinse con le tempere anche a Palazzo Prosdocimi. Come in altri cicli decorativi d’interni egli ritorna a modelli già sperimentati, ma li vede con sensibilità nuova, tra contrasti più accesi. Questi dipinti attestano freschezza d’ispirazione e soprattutto desiderio di lavorare su spazi ampi.

Lo  stile del bellunese si rivela fin dalle sue prime opere; Guido Perocco nota che esso traspare dalla necessità di documentarsi continuamente sul vero con un segno minuto e scrupoloso nella descrizione che tiene conto della luce. Ma proprio le sue chiarità rarefatte senza problemi danno i limiti al linguaggio pittorico dell’artista: dai quadri del primo viaggio a Roma, agli ultimi della maturità, la visione è costante, di linfa felice e quasi ingenua nella sua suprema spontaneità.

In riva al Tevere Caffi pubblicò la prima edizione delle Lezioni di prospettiva pratica e rimase circa una quindicina d’anni non senza qualche intervallo che gli consentì di  spingersi in Oriente.

Il gusto dell’esotico in quei decenni del primo romanticismo fu piuttosto diffuso (basti pensare a Delacroix o a Chassériau) e Caffi ebbe l’ansia di scoprire e di sperimentare: soggiornò ad Atene dove realizzò tra l’altro  La Porta dell’Agorà, diverse vedute dell’Acropoli, Il Tempietto di Nike opere che non vanno oltre una piacevole constatazione documentaria. A Costantinopoli dipinse il Bazar degli schiavi e alcune importanti moschee tra le quali Santa Sofia, in Egitto gli Interni del Bazar, una Carovana nel deserto, la Moschea del Cairo, l’Istmo di Suez. Infine a  Gerusalemme osservò la città dal Monte Uliveto.

Viene da pensare che il suo fu un itinerario  studiato in funzione della pittura e delle possibili committenze! Il colore assunse gamme calde su toni dorati o rossastri soprattutto in Egitto, lontani dalle tonalità veneziane. Va detto che questi dipinti non sono qualitativamente superiori a quelli romani contemporanei. Spesso in questi dipinti le figure hanno solo uno scopo illustrativo e forniscono rapporti di dimensioni. Non va qui dimenticato, tuttavia,  che Caffi disegnò ed acquerellò molto; i due nuclei più cospicui di disegni si custodiscono a Venezia nel Museo Correr e presso un collezionista. In parte sono preparatori di dipinti, anche se non sempre ritraggono lo stesso punto di vista o ne ritraggono più d’uno. Così come fanno i fotografi per intenderci!  Sono eseguiti a lapis o a penna più spesso a seppia con effetto fuso, monocromo. In parte sono ricordi dal vero: figure, studi di costume, studi di vegetali. Pure gli acquerelli sono numerosi e anche in essi ci sono annotazioni topografiche che si possono leggere accanto alla firma o a tergo dei fogli.

 

 

Ma torniamo in Italia.

 

A Roma, presumibilmente in un primo momento,  collaborò con Paoletti  che trovava ottime commissioni, ma  dal 1844 partecipò alla esposizione dei Cultori e Amatori d’Arte con Venezia veduta dai giardini in tempo d’inverno e Festa de’ pittori a Tor de’ Schiavi che ebbero buon successo per le tinte maestrevolmente condotte così come le gradazioni d’ombre.

Considerato dai romani “pittore di genere” egli si considerò piuttosto pittore di prospettiva. Ciò si desume da una domanda autografa rinvenuta che egli fece alla gendarmeria per chiedere il porto d’armi!

A cosa gli servisse una pistola è presto detto: “Nell’esercizio della sua professione era obbligato a fare dei lunghi viaggi a piedi nei dintorni di Roma o anche a girare di giorno e di notte in diversi siti, anche appartati della città con la possibilità di incontri sinistri e aggressioni”.

Deduciamo che nel tempo i pericoli perdurano, ma soprattutto che il pittore voltò le spalle alla pittura accademica: egli si spinse arditamente ad osservare vicoli, scorci, campagne, colli e altro…pure volando!

Nel 1847 salì coraggiosamente su una mongolfiera in piazza di Siena a Villa Borghese e dopo un’ora e mezza di volo in compagnia di certo Arban Francesco atterrò a Serpentari tenuta dell’Agro Romano. Provò i brividi dei cinque sotto zero, ma fu anche artefice di un quadro che rappresenta il pallone che ondeggia sulla gente festante dopo una tombola in piazza fatta per beneficenza.

Così testimoniò in una lettera ad un amico: “…saltai nella cesta e in men che non si dica ci staccammo da terra e dall’innumerevole folla che in mille e mille tuoni, facevano echeggiare grida di plauso e di commiato: quindi non si vide che un’ondeggiante e vasta foresta di mal distinte teste mascoline e femminine, che s’insinuavano qua e là, ove migliore stimavano il posto per seguirci più a lungo con gli occhi. Io intanto, fra il suono che a me giungeva dalle musiche militari e l’eco delle pubbliche grida, a piene mani facevo piover giù sonetti e fiori sul capo degli spettatori, che si abbaruffavano strappandoseli a gara e mi ricordavano le da me tante volte ritratte scene dei moccoletti (Carnevale Romano)...fino a che, col calar della sera, la terra si scolorava tutta e non pareva più che una macchia oscuramente opaca, chiazzata a più tinte, specialmente di violaceo”.

Dinamico, coraggioso, intraprendente, Caffi partecipò anche ai movimenti del ‘48/’49  ritraendo a Roma e a Venezia gli eventi di cui fu spesso testimone e protagonista.

Uno dei suoi quadri più efficaci è quello che presenta Piazza Quirinale durante una dimostrazione a Pio IX.

A Palmanova si arruolò tra i Crociati Bellunesi: partecipò ai combattimenti di Visco e di Jalmico dove fu fatto prigioniero. Rischiò pure d’essere impiccato. Tradotto a Gorizia, fu liberato in forza del Patto di Udine e inviato nella sua città natale. Sapendosi  ricercato dagli austriaci fuggì nelle montagne dell’Agordino. Dopo qualche tempo riuscì ad attraversare le linee dell’esercito austriaco e rimase combattente nella città lagunare sino alla resa della città.

Proscritto dall’Austria trovò rifugio a Genova dove dipinse Bombardamento di Marghera, Scoppio di una bomba sulla laguna di notte, Il ponte sulla laguna nell’agosto del 1849 e Sortita di Mestre e diverse vedute della città e della riviera ligure. Viaggiò in Europa: nel 1851 partecipò all’Esposizione Universale di Londra e realizzò il suo famoso quadro Hyde Park. Fu anche in Svizzera, in Spagna e in Francia.

Nel 1855 stabilìtosi a Parigi partecipò all’Esposizione Universale.   Nella capitale francese dipinse varie vedute tra le quali Boulevard St. Denis e Veduta del Palazzo del Louvre (ora a Ca’Pesaro), ma l’ambiente artistico dominato da mercanti e da speculatori  d’ogni genere lo indignò.

Tornò ad esporre a Roma l’anno seguente.

In quell’occasione il Giornale di Roma pubblicò un inserto speciale dedicato alle sue pitture più recenti. Così si legge: “Dotato di mobilissima fibra, Caffi si commuove al sorriso di un puro mattino del pari che all’orrore di una notte tempestosa. Né solo per questi opposti effetti, ma le tante modificazioni per le quali sono collocati nell’immensa bellezza della natura, tutto egli vede e sente. Onde accade che, dalle sue proprie impressioni pigliando vita e colore le tele, ne scorgiamo spesso uscir tali effetti di luce che nuovi ci sembrano perché da altri non avvertiti, o in diversa maniera sentiti e rappresentati.”

Tra le Recenti pitture di Caffi piace ricordare il Colosseo ripreso dall’alto dei gradoni in modo assai originale: sta in mezzo ad un campo spazioso nel cui fondo si ravvisa la Villa Mattei, il Palazzo dei Cesari e la Piramide di Cestio. Nel dipinto in cui via del Corso sbocca in Piazza colonna c’è un brulicare di borghesi e di maschere: dovunque lumi e tanti da far sembrare la terra un cielo stellato!

Così scrive l’allora direttore della Pallade G. Checchetelli: “In istrada, nei  cocchi, nei balconi, da per tutto una guerra, una vicenda nello spegnerli e nel infiammarli…E se ricerchiamo donde s’informi questo insieme di gioia… niuno dei mille episodi ci sfugge…Con mirabile saggezza vi è distribuita la luce; sparsa nei molti gruppi di festeggianti, si raccoglie quindi, per vie di riflessi, nelle alte facciate dei fabbricati e tutta finalmente si diffonde nell’aria, sfumando il cielo di un sottile velo d’argento”.

 

 

Caffi fu maestro della luce.

 

Nei quadri di modesto formato che rappresentano Trinità dei Monti e il Pincio le oblique ombre sottili dell’obelisco nell’uno, delle colonne nell’altro, sono dipinte per rendere più vivo il contrasto con il chiarore abbagliante che circonda i soggetti.

Anche nel dipinto Piazza San Pietro durante la benedizione papale la luce diffusa domina tutta la volta del cielo. Ritorna ai temi classici romani e ne scopre di nuovi: possiede una tecnica sicura, una sensibilità a lungo esercitata, acuita con gli anni. La sua pennellata diventa più larga, i colori più sciolti. Studia ancora la vaporosità dei cieli, gli effetti delle nubi:  i tocchi sono spesso fluidi, velati.

Talvolta i cieli bassi, tersi, celesti e luminosi testimoniano la  maturità dell’artista: sono  osservati attentamente ma eseguiti in totale libertà.

Verso il 1858 l’artista s’insediò nella sua casa in Bocca di Piazza San Marco dove replicò vari soggetti.

Tra i quadri realizzati a Venezia vanno almeno menzionati alcuni nei quali la città è magicamente imbiancata dalla neve, ma anche i ben conosciuti Piazza San Marco, Il Canal Grande e la Salute e Carnevale.

Tra i vari dipinti dell’ultimo periodo vanno ricordati il Molo di Venezia al tramonto e un Panorama di Venezia. Osserva Mary Pittaluga,  nella monografia dedicata al pittore che sono tipici esempi dell’ultimo modo di vedere la sua città, il modo stesso dei dipinti del ’58, su un piano di più scoperta ricerca scenografica: architetture levigate, esatte, sotto la luce balenante nel cielo e nelle acque, accento cromatico generale roseo-azzurro, intento di far grande, di abbellimento.

 Poi Caffi fu in Lombardia, in Piemonte e in Campania dove dipinse l’Arrivo di Vittorio Emanuele II a Napoli. Fu un viaggiatore instancabile. In anni successivi lo troviamo a Gaeta, a Nizza, a Torino.

Quando poi nel 1866 scoppiò la guerra che avrebbe dovuto restituirgli la patria e restituire il proscritto a Venezia, egli chiese ed ottenne di poterla seguire a bordo di una delle navi della flotta italiana in Adriatico.  In una lettera del 21 giugno di quell’anno, scritta ad un amico, così si espresse: “oh come sono fortunato in questa occasione!..ti assicuro, mio ottimo amico che vi sono certi periodi della vita che il pericolo, qualunque esso sia, è nulla al confronto del compenso che se ne può trarre per l’arte”.

Evidentemente l’indole dell’uomo non era molto cambiata con il passar degli anni…

Il destino lo fermò da marinaio sulla nave ammiraglia Re d’Italia nella battaglia dinanzi a Lissa.

In ottobre fu fatta la Pace di Vienna tra L’Italia e l’Austria.

Il Veneto fu ceduto e rimesso al Regno d’Italia, la corona lombarda restituita, furono presi accordi a tutela dei diritti dei privati. L’esercitò italiano entrò allora a Venezia e un Plebiscito Veneto fu favorevole all’unione col resto d’Italia.  Il 4 novembre queste furono le parole di Vittorio Emanuele II: “L’Italia è fatta: tocca ora agli italiani saperla difendere e farla prospera e grande”…

Il generoso pittore non potè né ritrarre nuovamente il re né udire quelle parole. Come suonano oggià

 

 

 

Walter Abrami