Il mosaico

 

Mosaici in pasta vitrea, quando tasselli colorati sostituiscono la pittura

 

 

 

Alessandra Doratti

 

 



La parola mosaico (latino medioevale musaicus; italiano antico musaico) deriva da Musa, termine con cui si indicava la decorazione murale delle grotte dedicate alle Muse, costruite nei giardini romani. In latino il termine museum è usato da Trebellio Pollione (nelle Historiae Augustae) e il termine musivum da Sant'Agostino (De civitate dei). Dobbiamo però tenere presente che con il termine opus musivim gli antichi non indicarono mai l'arte del mosaico in generale come noi l'intendiamo. Tale concetto globale dell'arte musiva era sconosciuto al mondo antico ed ogni tipo di mosaico formava una categoria a sé: cosi pavimentum tessellatum, verimiculatum ed opus sectile.
L'opus musivum, detto anche metalla, era perciò unicamente il mosaico parietale. L 'Edictum de Preatiis, di Diocleziano, pone il musivarius (o musearius, artigiano che faceva mosaici in pasta vitrea) al disopra del lapidarius (artigiano che faceva pavimenti a mosaico con tessere di pietra) e fissa per il primo un compenso più alto.
L'uso del mosaico in pasta vitrea è comunque riservato all'abbellimento delle pareti e viene sentito come una forma di decorazione affine alla pittura, solo di tipo più durevole. Le paste vitree usate come tessere non erano ignote agli egiziani: nella piramide di Sakkarah la tomba di Zosiri aveva le pareti rivestite di placche smaltate oblunghe, la cui faccia esterna era ricoperta da un'invetriatura di colore verdastro. Nel mondo greco il mosaico in pasta vitrea era sconosciuto. Plinio fa risalire l'uso delle tessere vitree al 58 a.C. e non prima: parlando del teatro di Scauro, dice che era decorato in parte "e vitro" e si può dunque pensare che si intendeva il mosaico fatto di tessere vitree. Il primo esplicito riferimento alle tessere vitree lo fa il monaco Teofilo. Teofilo parla del vetro che si trova negli antichi edifici pagani in forma di piccole pietre quadrate, colorato in bianco, nero, giallo, azzurro e rosso (in due gradazioni).
Pare che il mosaico in pasta vitrea sia da considerarsi un'evoluzione tecnica del vermiculatum, dovuta al desiderio di avere a disposizione una policromia più ricca e brillante di quella offerta dalle pietre che si trovano in natura. Anche nei pavimenti si ricorreva alle paste vitree per certi colori introvabili nelle pietre. Va comunque osservato che nel mondo romano il mosaico in pasta vitrea, riservato alle decorazioni delle pareti, delle absidi e delle volte, è assai meno diffuso del mosaico pavimentale in pietra. Diversi mosaici in pasta vitrea sono stati rinvenuti a Pompei ed Ercolano, come anche a Ostia, nel Mitreo e nella Casa dei Sette Savi. I mosaici che adornano le ricche fontane a Pompei ed Ercolano presentano una brillante policromia ed hanno cornici fatte di conchiglie. Il musivarius lavorava direttamente sulla parete, seguendo il contorno del disegno al positivo, spesso segnato sull'intonaco per mezzo di un'incisione.
Sull'intonaco veniva steso man mano una specie di mastice e le tessere cubiche inserite ad una ad una. Le dimensioni delle tessere sono talvolta molto ridotte e la loro forma, regolare quando si tratta dello sfondo, si fa variata nelle figure, dove si richiedeva una maggiore minuzia e raffinatezza di effetti. Le paste vitree da cui sono ricavate le tessere erano sia trasparenti che opache e comprendevano una vasta gamma di colori. Le terrecotte venivano talvolta utilizzate per i rossi. Sono anche presenti le tessere auree che però compaiono "piuttosto" tardi (III sec. d.C); il fatto che la Domus Aurea dovesse il suo nome ai mosaici in tessere auree è controverso.
Si può dire dunque che il mosaico in pasta vitrea avesse già raggiunto in epoca romana una grande raffinatezza tecnica, ma esso rimase arte secondaria subordinata alle esigenze dell'architettura. È solo in epoca cristiana che questo tipo di mosaico assunse il significato di arte indipendente e produsse dei grandi capolavori.
La tecnica non subì cambiamenti radicali, ma venne ulteriormente raffinata per servire una maggiore ricerca di aulica perfezione. Bisogna infatti pensare che in epoca romana il mosaico parietale coesisteva con la pittura parietale vera e propria, che raggiunse in quel tempo espressioni qualitativamente molto alte. In periodo bizantino, invece, il mosaico sostituì di fatto la pittura, almeno nel suo periodo di splendore. Venne trovato il modo di fare un tipo di intonaco per il letto delle tessere, più fine e allo stesso tempo più resistente e si potenziò al massimo la possibilità cromatica delle tessere. Comunque non è un caso che l'arte bizantina abbia trovato le sue maggiori espressioni nel mosaico e non nella pittura, al contrario di quanto avvenne per l'arte romana: mentre il gusto romano era volto verso l'iconismo, il gusto bizantino tendeva verso il misticismo ieratico e la scintillio delle tessere circondava le statiche e solenni figure con un'aura molto particolare.
A partire dal IV sec. il mosaico parietale cristiano assunse un'importanza di primo piano nei sec. V, VI e VII raggiunse già l'apice dello splendore, come a Ravenna dove rifulge la caratteristica policromia del mosaico cristiano: i verdi smeraldo, gli azzurri, i rossi purpurei risaltano contro lo sfondo di tessere auree, con l'eccezione degli sfondi azzurro lapislazzuli del Mausoleo di Galla Placidia, dove l'oro è usato piuttosto per risaltare a mezzo della lumeggiatura i particolari più significativi.
Le tessere, come abbiamo detto, sono tagliate nelle forme richieste dalle esigenze del disegno (con prevalenza della forma quadrangolare) e inserite nel letto di base in maniera da rifrangere la luce in un certo modo. L'inclinazione delle tessere è infatti accuratamente studiata in rapporto alla riflessione della luce proveniente dalle finestre e di questo accorgimento tecnico abbiamo un significativo esempio sempre nei Mausoleo di Galla Placidia, per citare che uno dei monumenti più noti. Molte volte le figure sono fatte a parte ed inserite nel mosaico di sfondo in un secondo tempo.
Sulle tecniche adoperate nel mosaico parietale bizantino non esiste alcuna fonte e quello che si sa deriva dai mosaici stessi. Nei mosaici posteriori a quelli ravennati la tecnica usata non sembra aver avuto varianti degne di nota. La parete destinata ad essere rivestita dal mosaico veniva ricoperta con 3 strati di calce (che talvolta possono essere 2 tenendo presente l'ipotesi che sia stato impossibile distinguere il primo dal secondo strato). Il primo strato era il più spesso di tutti, in quanto destinato a servire da base e ad uguagliare la parete; le superfici del primo e secondo strato non erano lisce, ma ruvide, in modo da favorire una migliore adesione allo strato finale. A questo scopo venivano anche fatte delle intaccature o delle striature a losanga e negli archi o nelle volte venivano usati delle grappe o dei chiodi per rinforzare l'adesione dell'intonaco. Lo spessore dell'intonaco in triplice strato varia dai 3,5 cm. ai 7,5 cm. Esso era costituito da calce mescolata con polvere di marmo o da mattoni e paglia. Il terzo strato, su cui venivano inserite le tessere, era naturalmente il più fine e spesso costituito da sola polvere di marmo e calce. Questo terzo strato veniva applicato in piccole sezioni come appare dall'esame dei singoli mosaici.
Il mosaicista lavorava seguendo le cosidette "sinopie" o schizzi, che indicavano il contorno esterno delle varie figure. Tali schizzi come già nel mosaico romano, erano destinati a venire poi ricoperti dall'intonaco che doveva servire come letto delle tessere. Talvolta il disegno veniva anche definito sul letto delle tessere (per es. il rosso veniva adoperato per indicare il fondo d'oro); tali pitture sotto il mosaico sono state rinvenute a Tsromi in Georgia, nella chiesa di S. Sofia a Costantinopoli e in quella di S. Marco a Venezia. È a Venezia che fu accertata per la prima volta questa diretta traduzione dell'affresco in mosaico, lavorando sull'intonaco ancora fresco. La pittura non aveva soltanto la funzione di guidare l'artista, ma anche quella di sostenere il valore cromatico del mosaico: l'intonaco era infatti visibile negli interstizi tra una tessera e l'altra. Naturalmente la pittura doveva precedere immediatamente la posa delle tessere. Il fondo d'intonaco visibile tra una tessera e l'altra formava una specie di reticolato, elemento che presenta un'interessante evoluzione. infatti, mentre nei mosaici più antichi ha un andamento regolare di tipo geometrico, nei mosaici più tardi comincia a seguire l'andamento delle figure, finché in quelli del XIII sec. assume quasi la funzione della pennellata in pittura. È da notare che le tessere adoperate per rappresentare il viso e le mani sono assai più piccole di quelle adoperate per il resto del mosaico. Di solito si seguivano i contorni esterni in fila semplice, duplice o triplice, poi si riempiva l'interno con le tessere disposte in linee più o meno orizzontali, ma con infinite variazioni. Esse venivano ritagliate da lastre piatte di vetro colorato; a volte una lastra veniva lavorata in modo da ottenere diverse tonalità di colore (a Costantinopoli lo stesso blu compare in 5 o 6 sfumature diverse). Anche diversi pigmenti venivano usati per la colorazione della stessa lastra. Le lastre auree o argentee venivano ottenute mettendo sopra una lastra di vetro verdastro trasparente una foglia d'oro o d'argento, sulla quale veniva versata della pasta vitrea ancora allo stato liquido in modo da formare uno strato sottile di copertura. Il materiale usato per le tessere non è però esclusivamente pasta vitrea: infatti il colore dell'incarnato viene reso per lo più con tessere di marmo e talvolta anche di pietra dipinta. Con la tecnica musiva di cui si è parlato vennero eseguiti i mosaici di tutto il mondo bizantino fino al XIII–XIV sec., né i musulmani apportarono alcun contributo allo sviluppo del mosaico parietale in pasta vitrea, tanto che i mosaici del mondo musulmano furono quasi sempre eseguiti da artisti bizantini.
Nel mondo bizantino furono eseguiti mosaici portatili che costituiscono delle vere e proprie icone. Venivano fatti su una tavola in legno e le tessere venivano fissate con cera o mastice essendo molto più piccole di quelle usate per i mosaici parietali. Con la fine dell'età d'oro bizantina anche il mosaico decadde definitivamente. Nel '500 non era sentito più come arte originale e creativa. Nel XIX sec. l'arte del mosaico cominciò a industrializzarsi e il processo continuò fino ad oggi sfociando in una meccanizzazione sempre maggiore. A volte viene composto su un supporto provvisorio, fissato mediante tela o carta incollate e poi incastrate nel luogo voluto dove viene liberato dal materiale adoperato per fissarlo durante il trasporto. Oggi molti mosaici vengono anche eseguiti su cartone.

 

 

Alessandra Doratti